9 gennaio 2016. Dal n. 242 di Ho un sogno (dicembre 2015 – Due)

Il corpo delle donne, costante oggetto di contesa

Il 9 dicembre un diffuso quotidiano locale intitolava in cronaca di Udine: “Le mussulmane: sì allo sport ma in palestre senza maschi”. Tutto era partito da un  gruppo di donne che si riuniscono nei locali della scuola media Bellavitis a seguito di una intelligente iniziativa dell’associazione locale La Tela che ha promosso un laboratorio di italiano. Sono donne straniere, ben integrate, che affrontano consapevolmente i problemi dei loro figli, ormai seconda generazione nata, cresciuta e scolarizzata in Italia e hanno trovato una risposta al loro desiderio di acquisire migliori competenze nell’uso della lingua italiana. Gli interventi che si sono susseguiti sul quotidiano hanno giocato fra due possibili, diverse interpretazioni. La prima muove dalla constatazione che l’esercizio fisico delle donne corrisponde ad esigenze diverse da quelle degli uomini, come ben sanno palestre private che offrono iniziative riservate integralmente alle donne e come tali pubblicizzate senza che intervengano obiezioni. La seconda sembra essere una interpretazione ricondotta a motivazioni ‘religiose’, un no ad attività che avvengano in contatto con maschi non familiari. In tal caso sarebbe stato auspicabile un chiarimento della prima notizia, informando l’opinione pubblica che anche l’accesso a strutture sportive in Italia non può avvenire a seguito di un discrimine religioso mentre nulla vieta la creazione di spazi separati, ove necessario, per sesso. Comunque, come ci dice Maria Rosa Loffreda presidente de La Tela, le corsiste hanno semplicemente ragionato sull’importanza dello sport in un processo di integrazione senza nulla chiedere. Il dibattito iniziato il 9 dicembre si è trascinato per alcuni giorni fino ad approdare a un articolo il cui titolo, in luogo di un discrimine, afferma un rifiuto generalizzato, chiosato in forma che lascia perplessi. “No a spazi per sole donne negli impianti sportivi”, recita il 13 dicembre il sullodato quotidiano. Chiariscono le assessore allo Sport, all’Educazione e agli Stili di Vita (Basana) e al Bilancio e all’Efficacia Organizzativa (Del Torre), pur senza rifiutare in assoluto la possibilità di “chiedere uno spazio in palestra e riservarlo alle sole donne” (Basana), che la “Casa delle Donne è aperta da sempre anche agli uomini” (Del Torre). E ancora all’inizio dell’articolo, in un testo non virgolettato riferito all’assessore Basana, è riportata una curiosa considerazione per cui “i diritti di alcuni non possono ledere quelli di altri. Ovvero quelli degli uomini che in quelle ore verrebbero esclusi dagli impianti sportivi”. Chi si è occupato di pari opportunità fin da quando il termine ha fatto la sua comparsa nel linguaggio istituzionale ricorda bene i muri alzati in nome della ‘reverse discrimination’, la discriminazione indiretta che avvantaggerebbe impropriamente il soggetto debole. Ricominciamo aggrappandoci al pretesto religioso di cui, anche in questo caso, c’è chi ha già fatto politico abuso? Augusta De Piero

“El muro devi restar su”,

A Trieste, vicino al Molo Fratelli Bandiera, c’è l’ultimo stabilimento balneare in Italia – ma forse anche in Europa – in cui la spiaggia e il mare sono divisi in base ai sessi, metà per gli uomini e metà per le donne, che accedono al bagno per accessi diversi. Si chiama Lanterna ed è noto come Pedocin (piccola cozza). La storia della Lanterna è iniziata più di un secolo fa, quando Trieste era ancora porto  dell’impero austro ungarico. E’ stato più volte proposto invano l’abbattimento del muro che divide uomini e donne. Anni fa venne fatto anche un referendum e il responso che sanciva il mantenimento del muro fu praticamente plebiscitario. Nel 2009 il bagno è stato interamente ristrutturato e riportato alle sue sembianze originarie e, come allora, resta inamovibile la divisione per sessi, difesa in nome di una dichiarata scelta di libertà, una possibilità in più per le bagnanti (e specularmente i bagnanti) di fare quello che vogliono.

NOTA
Ho scritto quanto precede per Ho un sogno turbata dall’uso fatto dalla locale informazione in merito al fatto che signore di origine nord africana e non solo (e perfettamente inserite nel quartiere udinese di via Di Giusto) esprimessero un proprio parere sulla positività di una disponibilità della palestra per attività al femminile. Ho riportato brevi citazioni delle dichiarazioni di due assessore del comune, pubblicate virgolettate dalla stampa locale, che mi hanno lasciato sgomenta.

9 Gennaio 2016Permalink

2 thoughts on “9 gennaio 2016. Dal n. 242 di Ho un sogno (dicembre 2015 – Due)

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