2 agosto 2016 – Un sogno che condivido

1 agosto 2016  Scrive  Anna Foà, storica

Ieri mattina sono andata alla messa di Santa Maria in Trastevere, a Roma. C’erano tre imam che hanno detto parole senza equivoci contro il terrorismo, e nell’omelia non è stato ricordato solo padre Jacques ma è stato letto un brano di uno dei monaci trappisti assassinati in Algeria nel 1996, Christian de Chergé. Quindicimila musulmani sono andati ieri nelle chiese italiane a partecipare alla messa, per abbattere gli odi e lottare contro il terrorismo. L’iniziativa, partita dalla Francia, ha attecchito anche in Italia e, lo leggo in quello che scriveva ieri su Moked David Bidussa, darà forse vita ad una ricorrenza annuale in memoria di padre Jacques con i luoghi di culto di tutte le religioni aperti ai fedeli delle altre religioni. È vero, sarà solo una formalità se non diventerà un’occasione di conoscenza, ma se invece lo diventerà sarà un grande passo in avanti che dobbiamo a quel vecchio prete assassinato mentre celebrava la messa. E allora ve lo dico il mio sogno. Di vedere chiese moschee e sinagoghe aperte a tutti, frequentate da tutti, credenti e non credenti. E le religioni, tutte, aprirsi all’amore e al rispetto, alla conoscenza dell’altro. E chi crede in Dio, e chi non vi crede, in qualsiasi modo vi creda, farne un gradino verso un mondo senza sangue e senza fanatismi. E sognarlo adesso, nel momento in cui il terrorismo compie i suoi misfatti più atroci, può forse aiutarci, tutti, a combattere il male. Questo pensavo ieri a Santa Maria in Trastevere, io ebrea, pensando a quel prete che non si era inginocchiato davanti ai suoi assassini.

fonte: http://moked.it/blog/2016/08/01/religioni-3/

Chi è Anna Foà – qualche notizia

http://www.officinadellastoria.info/magazine/index.php?option=com_content&view=article&id=364:anna-foa-portico-dottavia-13-una-casa-del-ghetto-nel-lungo-inverno-del-43-laterza-roma-bari-20&catid=66&Itemid=92

http://www.stmoderna.it/foa-anna_s136

NOTA a proposito di Christian de Chergé, citato da Anna Foà.
Il suo testamento è troppo lontano nel tempo per essere citato nel mio blog. Però lo ricordo bene e l’ho ritrovato in una pagina del sen. Ichino di cui riporto il link.
http://www.pietroichino.it/?p=11286

 

2 Agosto 2016Permalink

5 giugno 2016 – Ecumenicamente nemica, dal Mediterraneo al Baltico

Copio da facebook e poi vado alla fonte (The Baltic Times)

La chiesa evangelica luterana in Lettonia ha abolito l’ordinazione delle donne al ministero pastorale in atto dal 1975 e sospesa dal 1993, in seguito all’elezione dell’arcivescovo Jānis Vanags, contrario “personalmente”. Il Sinodo ha reso norma della chiesa l’opinione dell’arcivescovo con il 77% di favorevoli. Si tratta di una decisione senza precedenti.

Questa sera, se volete pregare per qualcuno e non sapete per chi, pregate per la sofferenza inferta alle donne con vocazione pastorale di questa chiesa e per tutta la chiesa che si è privata dei doni che Dio le ha dato attraverso queste donne.

Nella “Ballata del carcere di Reading” Oscar Wilde scrive riguardo la pratica di gettare calce viva sul cadavere di un condannato a morte (cito a memoria): “…perché l’uomo non accetta che Dio faccia nascere una rosa dal cuore di un assassino”. Nel caso della Lettonia si potrebbe parafrasare: “…perché l’uomo non accetta che Dio faccia proclamare la sua Parola dalla bocca di una donna”. E allora gliela chiude!

(Notizia pubblicata da Peter Ciaccio)

Latvian Lutheran church officially bans women’s ordination
(
2016-06-04 BNS/TBT Staff/RIGA)

The Synod, the highest governing body of the Evangelical Lutheran Church of Latvia (ELCL) meeting every three years, on Friday amended the church rules, officially establishing that only men can seek ordination as priests.

According to BNS sources, the Synod approved amendments with 77 per cent of votes, only slightly above the 75 per cent threshold for such important decision.

The church rules used to say that “anyone who according to the regulations set by the ELCL is called by God and trained for ministry can seek ordination” but now they have been amended and state that “any male candidate, who according to the regulations set by the ELCL is called by God and trained for the ministry, can seek ordination.”

The Evangelical Lutheran Church of Latvia, however, has not been ordaining women for years already, and the adoption of the amendments will not change the existing situation.

The Latvian Evangelical Lutheran Church Abroad, which functions outside Latvia, has been ordaining women as priests and criticised the proposed amendments to the ELCL rules that would exclude women from church offices

Commenti – (Ho registrato i ‘mi piace’ alle 6 a.m.)

Walt Longmire · West Laramie, Wyoming Great news! (4 ‘mi piace’)

Rob Harrison   a step in the right direction (n. 1 ‘mi piace’)

R Daniel Carlson · Birmingham (Alabama) Good to hear! (1 mi piace)

FONTE:
http://m.baltictimes.com/article/jcms/id/136850/#.V1MwJAvzN3M.twitter

 

 

5 Giugno 2016Permalink

27 ottobre 2015 – Giornata del dialogo cristiano islamico

Appello per la XIV Giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico

Cristiani e musulmani, lo diciamo da sempre, hanno profonde radici comuni. Già lo scorso anno ne abbiamo indicato due, quelli della misericordia e della compassione. Islam e cristianesimo, di più, sono religioni di pace. E per costruire un mondo di pace c’è bisogno che le due religioni mondiali maggioritarie, che sono l’islam ed il cristianesimo,  sappiano riscoprire le comuni radici di pace in tutte le loro molteplici declinazioni, fra cui quest’anno vogliamo indicare alle comunità cristiane e musulmane, come tema per la quattordicesima giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico del 27 ottobre 2015, quelle dell’accoglienza dello straniero, del rifugiato, dell’aiuto ai poveri, agli ultimi della società, per costruire la convivenza pacifica, che abbiamo sintetizzato in : «Cristiani e musulmani: dall’accoglienza alla convivenza pacifica». I nostri rispettivi testi sacri dicono parole chiare su tale aspetto, checché ne dicano coloro che vorrebbero piegare sia l’islam che il cristianesimo alla logica della guerra.  Questo crediamo possa essere la strada per costruire una società libera dal terrore della guerra nucleare, dalla paura continua di qualsiasi essere umano diverso da noi, riscoprendo la comune umanità, il comune bisogno di accoglienza e di vivere pacificamente, come figli e figlie dell’unica Madre Terra che ci ospita. La ricca e opulenta Europa ed il cosiddetto “occidente”, non potranno assolversi dalle proprie gravissime colpe nei confronti dei popoli che hanno depredato delle loro risorse e che hanno costretto a subire la guerra e poi a fuggire e a divenire profughi, se non fermando la vendita degli armamenti, che sostengono la guerra e producono milioni di profughi, e ponendo fine alla depredazione delle risorse dei popoli africani, asiatici o sudamericani. Chi vuole pace per se dovrà imparare a dare pace agli altri. E questo lo si potrà fare riscoprendo le vere radici comuni alle religioni monoteiste, ad islam, cristianesimo ed ebraismo, che sono l’accoglienza, l’ospitalità, la misericordia, la pace, perché “la terrà è di Dio” e nessuno ha il diritto di dichiararla propria e sfruttarla a proprio uso e consumo. Uomini e donne di pace cercasi. Con un fraterno augurio di shalom, salaam, pace Il Comitato Organizzatore

Roma, 25 giugno 2015

Per informazioni www.ildialogo.org

Fra i vari messaggi di adesione trascrivo: L’Amicizia Ebraico Cristiana di Napoli, …, fermamente convinta che la Pace si ottiene con la conoscenza e l’accoglienza dell’altro fa proprio l’Appello per la XIV Giornata del Dialogo Cristiano Islamico

Inserisco per ora (riservandomi di trascriverli a mia futura memoria) due link ad articoli di Grossman e Yehoshua che contengono anche valutazioni delle dichiarazioni di Netanyahu

DAVID GROSSMAN. Fra Storia e finzione le ossessioni di Bibi tengono in trappola il popolo israeliano

http://www.lastampa.it/2015/10/27/esteri/yehoshua-alla-pace-non-crede-pi-nessuno-lora-che-leuropa-agisca-vYmXUUejV3Cj9kfZUunk3N/pagina.html

aggiungo questa nota di Gad Lerner

Scandalo dell’Israelitico di Roma: emerge l’uso strumentale dell’accusa di antisemitismo

27 Ottobre 2015Permalink

15 ottobre 2015 – Un’iniziativa nata nel 2001

Il 27 ottobre, come ogni 27 ottobre

Cristiani e musulmani, lo diciamo da sempre, hanno profonde radici comuni. Già lo scorso anno ne abbiamo indicato due, quelli della misericordia e della compassione. Islam e cristianesimo, di più, sono religioni di pace. E per costruire un mondo di pace c’è bisogno che le due religioni mondiali maggioritarie, che sono l’islam ed il cristianesimo, sappiano riscoprire le comuni radici di pace in tutte le loro molteplici declinazioni, fra cui quest’anno vogliamo indicare alle comunità cristiane e musulmane, come tema per la quattordicesima giornata ecumenica del dialogo cristiano islamico del 27 ottobre 2015, quelle dell’accoglienza dello straniero, del rifugiato, dell’aiuto ai poveri, agli ultimi della società, per costruire la convivenza pacifica, che abbiamo sintetizzato in :
«Cristiani e musulmani: dall’accoglienza alla convivenza pacifica
».
I nostri rispettivi testi sacri dicono parole chiare su tale aspetto, checchè ne dicano coloro che vorrebbero piegare sia l’islam che il cristianesimo alla logica della guerra.  Questo crediamo possa essere la strada per costruire una società libera dal terrore della guerra nucleare, dalla paura continua di qualsiasi essere umano diverso da noi, riscoprendo la comune umanità, il comune bisogno di accoglienza e di vivere pacificamente, come figli e figlie dell’unica Madre Terra che ci ospita. La ricca e opulenta Europa ed il cosiddetto “occidente”, non potranno assolversi dalle proprie gravissime colpe nei confronti dei popoli che hanno depredato delle loro risorse e che hanno costretto a subire la guerra e poi a fuggire e a divenire profughi, se non fermando la vendita degli armamenti, che sostengono la guerra e producono milioni di profughi, e ponendo fine alla depredazione delle risorse dei popoli africani, asiatici o sudamericani. Chi vuole pace per se dovrà imparare a dare pace agli altri. E questo lo si potrà fare riscoprendo le vere radici comuni alle religioni monoteiste, ad islam, cristianesimo ed ebraismo, che sono l’accoglienza, l’ospitalità, la misericordia, la pace, perché “la terrà è di Dio” e nessuno ha il diritto di dichiararla propria e sfruttarla a proprio uso e consumo. Uomini e donne di pace cercasi. Con un fraterno augurio di shalom, salaam, pace Il Comitato Organizzatore

Roma, 25 giugno 2015

fonte: http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/cristianoislamico/2015_1435234260.htm

15 Ottobre 2015Permalink

7 giugno 2015 – Ierocrazia o blasfemia?

targa madonna lagrimeLa targa marmorea ai cui riporto l’immagine si trova appesa alla parete esterna del palazzo della provincia regionale di Siracusa – zona Ortigia.
Poiché quel palazzo aveva un ufficio aperto al pubblico ho cercato di capire cosa sia una ‘provincia regionale’. L’impiegata continuava a fare elenchi di istituzioni dallo stato ai comuni, tornando in su, ma non sapeva spiegarmi al differenza fra una normale provincia e una provincia regionale..
Non ho voglia di mettermi a studiare lo statuto della Sicilia e quindi resto nella mia non rimediata ignoranza.
Resta però il fatto a mio parere gravissimo di quella penosa targa con il ricordo di una Madonna supposta piangente. Trovo indegno che tanto venga testimoniato in quella forma sulla parete di un edificio pubblico e che nella scritta si attribuiscano alla polizia di stato funzioni assolutamente improprie e inopportune.
Se io fossi il vescovo ne chiederei la rimozione allo stesso modo in cui è stato chiesto di evitare inchini di statue processionali di fronte alle case di boss mafiosi.
Ma io non sono, né sarò mai, un vescovo e quindi la PS di Siracusa può continuare tranquilla ad esercitare il suo compito di asciugatrice di lagrime in uno stato non laico.

 

7 Giugno 2015Permalink

13 aprile 2015 – Ricevo e giro una lettera che condivido

DUE NOTE SULL’ ANNO DELLA MISERICORDIA    Giancarla Codrignani

Tra i cinque “pilastri” dell’Islam (la professione di fede, la preghiera, la decima (zakat), il digiuno, e il pellegrinaggio alla Mecca) la preghiera ha un valore particolare perché segna profondamente cinque volte al giorno la vita quotidiana di ciascun uomo e ciascuna donna. Dice il Corano “ad Allah appartengono i nomi più belli: invocatelo con quelli”: bella, tra le espressioni islamiche più consuete, l’espressione “In nome di Dio il Clemente il Misericordioso”. Le Costituzioni di alcuni paesi musulmani (e spesso anche le bandiere) riproducono il motto e la Libia di Gheddafi la registrava nell’inno nazionale. Secondo la tradizione il Profeta aveva detto “Non crederete finché non sarete misericordiosi” e ai compagni che obiettavano “non tutti siamo misericordiosi” ammoniva “Io non mi riferisco alla misericordia che ognuno prova naturalmente per il proprio amico, ma ad una misericordia verso tutti”.

Come cristiani anche noi ci affidiamo alla misericordia di Dio e saremmo in suo nome tenuti a praticare il perdono e la nonviolenza. Nonostante il principio sia chiaro a tutti, siamo ancora divisi tra confessioni che non riconoscono la piena fraternità delle comunità che seguono forme teologiche e rituali diverse per ragioni che sono eminentemente storiche e non dovrebbero rompere l’unità del riconoscimento comune in un solo Gesù Cristo. Succede anche che l’Occidente conservi sacche di antisemitismo che nel 2015 (per gli israeliani è il 5775) dovrebbero essere non solo anacronistiche ma impensabili. Analoghe sono le diversità interne all’Islam, che comportano tuttavia esiti più gravi perché le separazioni confessionali, pur nate da ragioni politiche, rappresentano eresie, apostasie, infedeltà imperdonabili dalla legge umana.

Difficile per noi occidentali entrare nelle dinamiche religiose che dividono sciiti e sunniti (ma anche alawiti, salafiti, houthi ecc.) di fronte alla minaccia solo ideologica ma terrificante dell’Isis. All’interno di paesi in conflitto per opposti integralismi (che ai nostri giorni sono – sempre – non “di religione”, ma politico-economici) ci rimettono le minoranze eterogenee: vittime per molti impreviste in primo luogo i cristiani, che ancora vengono chiamati crociati (per la conquista del santo sepolcro i cavalieri alzavano la spada con l’elsa in alto come simbolo della croce) e che sono occidentali la cui vita tutte le televisioni raffigurano come irrimediabilmente corrotta.

Non è una sorpresa se fin dal 1990 Giuseppe Dossetti, allarmato per la guerra contro l’Iraq voluta da Reagan e sostenuta dall’Onu, prevede “la conseguenza pressoché inevitabile di tumultuose reazioni in un vasto ambito di stati, più o meno direttamente coinvolti; reazioni che nessuno sarà più in grado di dominare. E questo non solo in tutti i paesi arabi, dalla Palestina allo Yemen, ma anche in Turchia, la cui situazione diventa sempre più difficile, in Egitto, dove le ripercussioni sono inevitabili, e negli altri paesi del Maghreb, aggravando crisi già in atto come quella del Sudan e di altri paesi africani. Tutto questo difficilmente non si estenderà al Pakistan e alle repubbliche sovietiche musulmane”. Sdegno e ribellione, dice, che hanno per obiettivo l’Occidente e “conseguenze evidentissime per la chiesa. C’è letteralmente pericolo dell’estinzione della chiesa nei territori palestinesi e giordani e in quel pochissimo di chiesa che poteva esserci negli altri territori di Arabia; una chiesa, cioè, ridotta a vivere all’interno degli edifici di culto….Costantinopoli saccheggiata e bruciata nella quarta crociata del 1204 sarà come un’ombra sinistra costantemente evocata a tutta la Siria, all’Egitto stesso e poi a tutto il resto dell’Africa” (cfr. Il Regno-Attualità, 18 ottobre 1990).

Non era una profezia, ma un giudizio storico consapevole. I governi occidentali non sono altrettanto bravi nel prevenire i danni di avventate politiche di potenza.

Per cristiani di fede, in così tante e tanto grandi difficoltà, c’è sempre la prospettiva del dialogo realmente ecumenico a sostegno delle libertà a partire da quella religiosa. Papa Francesco, istituendo l’anno della misericordia (cristiana) in un tempo in cui tutte le prevenzioni sembrano scadute può cercare echi teologici e, soprattutto, umani a partire da Dio, il Clemente, il Misericordioso?

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L’anno santo della misericordia viene dopo l’anno della massima corruzione, purtroppo non solo italiana, ma generalizzata in un mondo che si fa ancora catturare dai soliti falsi beni di un capitalismo ormai sostenuto anche da chi lo contesta. Come diceva Giovanni Falcone “che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”. Non deve scandalizzare che la corruzione sia arrivata in Vaticano (nemmeno il Tempio all’epoca di Gesù era esemplare per virtù): deve invece produrre stupore che davanti a contesti in cui opera la corruzione (il neocapitalismo, la finanza, il mercato) i singoli, se si dicono cristiani, restino inerti e si giustifichino con il solito “non c’è rimedio”.

Non mi piace la retorica – di solito ipocrita – delle citazioni dalla scrittura come se fosse fatta di slogan da non interiorizzare e non tiro fuori la “durezza dei cuori” perché mi viene da continuare “mal comune…”. Vorrei invece riportare per un momento l’attenzione all’America Latina, che sembra lontana ma dove tanti cattolici, singoli e associazioni, preti e suore, trenta e più anni fa, hanno partecipato ai processi di liberazione dalle dittature di paesi in cui – dal Brasile al Cile o all’Argentina, ma anche dal Nicaragua al Salvador e al Chapas – interi popoli erano esclusi dalla democrazia. I diritti politici e civili si affermarono contestualmente alla ripresa dei diritti umani sociali e individuali e molti di noi ci lavorarono con impegno. Oggi non c’è area del continente americano esente dalla corruzione e gli assetti democratici che, bene o male, hanno trovato stabilità, si sono dimostrati vulnerabili al potere seduttivo del sistema che ti consente di sentirti libero, ma insieme ti condiziona con bisogni indotti e, mentre i ricchi continuano la tradizione del privilegio, i poveri hanno perduto l’innocenza, la solidarietà, la fede. Il nuovo tempio è il centro commerciale e nessuno ha più memoria dell’epica campagna di alfabetizzazione che in poco tempo consentì al NIcaragua di portare alle elezioni del 1984 un popolo che sapeva leggere, scrivere e votare. Per Transparency International oggi il NIcaragua si colloca al 138 posto nella graduatoria della corruzione mondiale (l’Italia è ultima tra gli europei). Basta rassegnarci e convenire che siamo tutti eredi della schiavitù, dei re e dei padroni che ci facevano chinare la testa?

Come incominciamo a fare i conti? è più colpevole chi paga i corrotti o chi si fa corrompere? il “dono” nelle nostre società educate alle convenzioni formali, è stato umiliato e privato della sua gratuità, del dovere di rispettare il piacere del donatore per la perversione del “ricambio”: quante volte, portando un dono, ci siamo sentiti dire “grazie, e adesso come posso ricambiare?”. Ovvio che se qualcuno regala al figlio di un ministro un rolex da diecimila euro, si aspetta un corrispettivo già dato per pagato; e ovvio anche che non esiste accettazione di doni che non sono tali.

Dato il triste panorama che ci circonda, spero che nessuno confonda la misericordia di Dio con la propria indulgenza. Tuttavia è bene che riserviamo a noi stessi un piccolo esame di coscienza. La visione di Dio ancora poco adulta forse non si accorge che anche Dio viene manipolato. E proprio perché ha una “misericordia” che capiamo male. Tanti ancora pregano per ottenere “grazie” (il nome non dice forse che sono gratis?), fanno offerte, comperano messe (?), esprimono voti, sacrifici e fioretti “per avere”. La Bibbia non sempre è chiara in proposito, ma il Salmo 50 fa parlare Dio che dice a chi gli offre immolazioni di vittime “se avessi fame, non te lo direi: è mio il mondo e quanto contiene”. I Vangeli sono costantemente espliciti e, anche se gli stessi seguaci di Gesù sono tentati dai posti raccomandati e dai privilegi, la parola della liberazione è indirizzata ai poveri. I ricchi laureati spesso credono nell’uguaglianza e nella giustizia, ma, siccome “c’è un prezzo da pagare” per essere uguali e giusti, spesso si sottraggono alla responsabilità e preferiscono “lamentarsi e dire che non si può fare nulla”.

Il giubileo della misericordia, allora, deve essere sentito un anno severo: se Dio libera, rifiuta una religione da sudditi. E’ infatti l’amico che offre i suoi doni perché è amico; è la madre e il padre che coccolano figlie e figli mentre li educano alle regole dell’umana convivenza; è l’alleato che ti accompagna attraverso i condizionamenti della storia, ma ti abbandona se fai soldi vendendo armi. Lascia che ce la caviamo come siamo capaci (come dire se abbiamo fede), sa che ogni tanto ci inventiamo condoni e amnistie che non sono nel suo stile: la misericordia è un po’ più complessa e non dipende solo dalla parte di Dio.  Come dice Etty Hillesum, siamo noi che lo dobbiamo aiutare.

13 Aprile 2015Permalink

9 aprile 2015 – 9 aprile 1945- Il teologo Dietrich Bonhoeffer viene impiccato a Flossemburg su ordine di Hitler.

Domani saranno settant’anni dalla morte di Dietrich Bonhoeffer. Perché il «cristiano che molti vorrebbero essere» è diventato un mito  di Fulvio Ferrario

Settant’anni fa, il 9 aprile 1945, veniva assassinato, nel campo di concentramento di Flossenbürg, Dietrich Bonhoeffer. Egli è divenuto, nel frattempo, non solo un simbolo, ma addirittura un mito. Le ragioni sono numerose.

Anzitutto, l’intreccio tra il suo pensiero e la sua biografia, suggellati dal martirio, ne hanno fatto per le chiese l’occasione o anche (per usare una parola non bella, ma pertinente) lo strumento per recuperare credibilità dopo i compromessi e i silenzi che hanno caratterizzato l’epoca dei fascismi. La prosa incisiva di Bonhoeffer accompagna un coraggio personale non comune, frutto della ferrea disciplina spirituale, in parte ereditata dal contesto familiare, in parte coltivata mediante una severa spiritualità, fatta di lettura biblica e preghiere quotidiane, ascesi «laica», ma molto pronunciata, controllo sui propri sentimenti. È persino troppo facile trovare nei suoi scritti, o negli episodi della sua vita, la citazione folgorante per concludere un sermone, l’intuizione suggestiva che mette in moto il pensiero, la parola che commuove. Bonhoeffer è il cristiano che molti vorrebbero essere, l’uomo di chiesa che non teme di sporcarsi le mani con la politica, il pacifista che non si rende schiavo nemmeno dei propri ideali, e prepara un attentato dinamitardo contro Hitler.

Non vorrei criticare superficialmente la mitizzazione di Bonhoeffer, è anche più che dubbio che io abbia, personalmente, le carte in regola per farlo. Anche i miti hanno la loro funzione, nella chiesa e nella società. Non ha torto, però, Alberto Gallas, il maggiore studioso italiano del teologo, cattolico, prematuramente scomparso, quando pone, come epigrafe della sua importante monografia, un passo di Rilke: «…come sono andati a recuperarti nella tua gloria! Appena ieri erano contro di te, fino in fondo, e ora ti frequentano come un loro pari. E portano in giro con sé le tue parole nelle gabbie della loro presunzione e le mostrano nelle piazze e le eccitano un po’, standosene al sicuro».

In effetti, è facile, oggi, celebrare Bonhoeffer, che ha visto la centralità della «questione ebraica» quando nemmeno Karl Barth, come egli stesso ha riconosciuto, l’aveva fatto; o che ha scritto parole sull’idea di responsabilità che sono fondamentali anche per chi non conosce il suo nome; che è andato incontro alla morte affermando: «È la fine. Per me è l’inizio della vita». Meno facile è leggere la critica bonhoefferiana nei confronti di un protestantesimo esangue, che utilizza le parole di Lutero sulla salvezza per grazia al fine di sottrarsi all’obbedienza quotidiana ai comandamenti; che straparla di «libertà evangelica» senza sapere che essa nasce dalla disciplina; che celebra la centralità della Bibbia senza una pratica quotidiana di lettura e di meditazione. Una delle costanti nell’opera bonhoefferiana, peraltro ricca di svolte e innovazioni, è la consapevolezza che un cristianesimo, e in particolare un protestantesimo, fatto di consuetudini e di acquisizioni culturali, anche sacrosante, non ha futuro, e nemmeno presente. Bonhoeffer aveva capito benissimo già negli anni Trenta quello che ad alcuni non è chiaro nemmeno ora, cioè che l’epoca di un protestantesimo nominale, che può permettersi di vivere, o almeno vivacchiare, contando sulla propria grande eredità (che ora, appunto, include Bonhoeffer stesso!) è finita per sempre. Già dal punto di vista sociologico, una minoranza può vivere solo investendo nella propria testimonianza un alto tasso di motivazione. Dal punto di vista spirituale, poi, la situazione minoritaria costituisce un’occasione: la scarsa rilevanza (o, per quanto riguarda noi, evangelici italiani: l’assoluta irrilevanza) sociologica della chiesa sottolinea che solo la parola della quale essa è, indegnamente, portatrice è rilevante. Ben venga, dunque, anche il mito di Bonhoeffer, se esso contribuisce a ricordarci quel che conta. La nostra testimonianza, oggi, non richiede il sangue: «solo» il tempo per andare al culto, per leggere la Bibbia e per pregare ogni giorno; «solo» i quattrini di una contribuzione che non voglia essere vergognosa (come diceva, un po’ rudemente, ma non senza efficacia, un mio amico: «Gesù Cristo non può valere meno di un cappuccino al giorno»); «solo» la concentrazione spirituale per provare, fallendo, ma ricominciando ogni giorno, ad essere qualcosa come degli aspiranti cristiani. Chi tenta di farlo può, forse, permettersi di emozionarsi per le grandi parole di Bonhoeffer, che non fanno altro che echeggiare quelle della Bibbia. Troppo grandi e troppo alte per noi, forse (cfr. Salmo 131): ma se Dio ce le ha rivolte, siamo autorizzati, «nell’insanabil nostra debolezza», ad accoglierle.

Fonte Nev-notizie evangeliche, 14/2015

 

9 Aprile 2015Permalink

16 marzo 2015 – Hijab in Germania

La Corte Costituzionale tedesca e il velo islamico Hijab - Vanity Fair

Le insegnanti musulmane potranno di nuovo indossare il velo nelle scuole pubbliche. Lo ha stabilito la corte costituzionale tedesca con l’abolizione di una legge del 2003, che impediva alle insegnanti di indossare il velo a scuola, mentre permetteva alle suore di indossare l’abito religioso e i crocifissi nelle aule.

La corte si è pronunciata su un caso di una donna musulmana alla quale era stato negato un posto di lavoro a causa del velo: “I simboli religiosi possono essere vietati solo quando pongono un rischio concreto di turbare la tranquillità della scuola”, dice la sentenza

http://www.internazionale.it/notizie/2015/03/13/germania-velo-scuola

http://it.euronews.com/2015/03/13/germania-la-corte-costituzionale-da-il-via-libera-alle-insegnanti-con-il-velo/

http://www.vanityfair.it/news/mondo/15/02/01/giornata-mondiale-hijab

NB. L’immagine è ripresa dal sito di Vanity Fair

 

16 Marzo 2015Permalink

1 gennaio 2015 – L’Italia riconosca lo stato di Palestina

Ricopio dalla newsletter di ‘Bocche scucite”.
In Palestina, se ben ricordo, ci sono tre patriarchi : cattolico, ortodosso e armeno. Poiché il patriarca cattolico dipende dalla Santa Sede questa dichiarazione mi sembra di rilevante significato. Forse sarebbe ancor più rilevante una posizione unitaria delle chiese cristiane, comprese quelle protestanti.

IN ESCLUSIVA per il lancio dell’Appello “ANCHE L’ITALIA AFFRETTI LA PACE”, il PATRIARCA DI GERUSALEMME dichiara il suo appoggio alla richiesta al parlamento italiano per il riconoscimento dello Stato di Palestina:

Riconoscere lo Stato di Palestina incoraggia i palestinesi a credere nel dialogo che dovrà seguire a questo riconoscimento. Non capisco perché l’Italia, che é stata sempre vicina a noi, tarda a riconoscere lo Stato di Palestina. Se l’Italia riconoscerà questo Stato dopo tanti altri Stati, non avrà, in realtà, molto merito. Ma se lo fa adesso, sarà un gesto profetico e coraggioso, e avrà il rispetto di un miliardo di musulmani nel mondo. D’altra parte, va ricordato a tutti che lo Stato di Palestina è già nato! La storia può tardare oppure affrettare i tempi, ma deve registrare che il nostro Stato di Palestina é già nato.

Appoggio il vostro Appello “Anche l’Italia affretti la pace” e vi ringrazio di cuore per il vostro impegno. Buon anno nuovo, pieno di coraggio, di buona salute e di buone sorprese! Amen.

Mons. FOUAD TWAL  Patriarca Latino di Gerusalemme, 25 dicembre 2014

vedi anche: http://www.bocchescucite.org/anche-litalia-affretti-la-pace/

 

1 Gennaio 2015Permalink

27 novembre 2014 – Quel che è troppo è troppo

Oggi l’Osservatore Romano ha pubblicato un lungo articolo finalizzato a far conoscere l’istituzione della giornata di preghiera contro la tratta (8 febbraio 2015)
Ne riporto il testo nella sua forma breve, quale appare in rete, raggiungibile anche da qui.

«Un terzo delle vittime della tratta di esseri umani è rappresentato da bambini. Lo rivela un rapporto pubblicato ieri a Vienna dall’Unodoc, l’agenzia dell’Onu contro la droga e il crimine e riferito al triennio 2010-2012., precisando che si tratta di una quota è in aumento del cinque per cento rispetto al 2007-2009. Il rapporto sottolinea che questo aspetto è particolarmente accentuato in Africa e in Medio Oriente dove i bambini sono il 62 delle vittime della tratta. Ma nessun Paese è immune: sono almeno 152 quelli di origine quelli di destinazione del traffico di esseri umani. La tratta si verifica soprattutto all’interno dei confini nazionali o della stessa regione, mentre il traffico transcontinentale si dirige soprattutto verso i Paesi ricchi. «Purtroppo, non c’è posto al mondo nel quale i bambini, le donne e gli uomini siano al sicuro da questo pericolo», ha detto il direttore esecutivo dell’Unodc, Yury Fedotov, presentando il rapporto. «I dati ufficiali riferiti dalle autorità nazionali rappresentano solo ciò che è rilevabile. Ma è chiaro che si tratta solo della parte emersa dell’iceberg», ha aggiunto. L’Unodoc parla di 21 milioni di vittime, che ogni anno aumentano di due milioni e mezzo. In Asia orientale e nel Pacifico la destinazione delle vittime è invece soprattutto il mercato del lavoro forzato. A questo si aggiungono arte forme di sfruttamento, dalla servitù domestica, al matrimonio forzato, alle adozioni illegali, fino a quella atroce dell’espianto di organi per i trapianti.»

Se la scelta delle argomentazioni è sincera (ma non ne sono sicura) è comunque incompleta. Infatti a fronte dei dati abbondanti, a fronte della chiarezza nell’uso del termine crimine (cui, nella più ampia edizione a stampa si aggiunge anche il problema della impunità) nulla si dice della prevenzione. Un caso? Dopo cinque anni che me ne occupo non sono più disposta a ritenerlo tale.

Prevenire, reprimere o rimandare la responsabilità altrove?

Tanto più grave appare il silenzio sulla prevenzione se andiamo a leggere (Avvenire – 11 novembre 2014) quanto disse il card. Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nella sua prolusione all’Assemblea della Conferenza stessa il 10 novembre ad Assisi. Ne riporto il passo relativo alla famiglia dove le espressioni in grassetto non  sono mie ma si trovano alla fonte: «Per questo è irresponsabile indebolire la famiglia, creando nuove figure – seppure con distinguo pretestuosi che hanno l’unico scopo di confondere la gente e di essere una specie di cavallo di troia di classica memoria – per scalzare culturalmente e socialmente il nucleo portante della persona e dell’umano. L’amore non è solo sentimento – è risuonato nell’Aula sinodale – è decisione; i figli non sono oggetti né da produrre né da pretendere o contendere, non sono a servizio dei desideri degli adulti: sono i soggetti più deboli e delicati, hanno diritto a un papà e a una mamma.»

Non si dica che il cardinale si occupa di sommi principi e non di legislazione italiana. Anche senza l’indicazione delle fonti precise (anno, numero della legge, eventuale indicazione di altra fonte) il giochetto di Sua Eminenza è chiaro. Il richiamo al diritto del bambino “a un papà e a una mamma” è un modo obliquo per indicare come scelta univoca quella della famiglia tradizionale su cui la Lega Nord sta sprecando le sue confuse e populistiche, ma coincidenti,  energie. Il cardinale si chiude quindi a quelle che lui stesso chiama ‘nuove figure’ ma non solo. E dei bambini che hanno un papà e una mamma ma cui è negato farsi famiglia che ne facciamo? Lasciamo che Sua Eminenza ci chiuda gli occhi e intorpidisca la mente? Io non ci sto e per l’ennesima volta riporto un passo dal Rapporto 5 (2011-12) del gruppo CRC, di cui fanno  parte anche la Caritas italiana, l’AGESCI e altre organizzazioni gradite nell’ambito cattolico: «Il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori.

Pur non esistendo dati certi sull’entità del fenomeno, le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno Questo può far supporre che vi sia un numero significativo di gestanti in situazione irregolare».
(per verificare i rapporti CRC trasferire su un motore di ricerca l’indirizzo che segue: http://www.gruppocrc.net/-documenti-)

Al di là dell’analisi della lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009 (che l’ONU ci chiede  esplicitamente di modificare come ci informa il 7mo rapporto CRC) ci viene testimoniata l’esistenza del problema che unisce molti nell’indifferenza creando legami insospettabili. Chi avrebbe detto di veder insieme, uniti nell’intento di voltare la testa dall’altra parte, le loro eminenze e i gruppi di sostegno alle donne che mai del problema delle gestanti costrette – vuoi dalla paura vuoi da minacce percepite nell’ambiente in cui vivono –  a nascondersi, a partorire di nascosto e a nascondere il proprio nato?

Nel memorabile recente discorso di Strasburgo il papa ha detto, probabilmente invano, ignaro forse o impotente di fronte al vescovil disinteresse ben forte nella base cattolica sempre unita dal legame razzista a molti laici  (questa volta il grassetto è mio)

«Nel mondo politico attuale dell’Europa risulta sterile il dialogo solamente interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire per l’incontro dalle strutture che “contengono” la propria identità al fine di renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità. Un’Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a metà strada; c’è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità. < omissis> Parimenti sono numerose le sfide del mondo contemporaneo che necessitano di studio e di un impegno comune, a partire dall’accoglienza dei migranti, i quali hanno bisogno anzitutto dell’essenziale per vivere, ma principalmente che venga riconosciuta la loro dignità di persone

Aggiungo:” e quale maggior ferita alla dignità della negazione dei legami fondamentali dell’esistenza umana?”.

Tornando al punto di partenza Se un bambino che non esiste sarà rapito da bande pedofile come potranno denunciarne la scomparsa i suoi genitori che non possono nemmeno dimostrare di essere tali  se non  c’è documento che lo certifichi? So che nessuno vorrà rispondermi ma io la domanda la pongo lo stesso come un messaggio in una bottiglia.

27 Novembre 2014Permalink