8 settembre 2023 – Sono passati 80 anni. Mi serve far memoria di qualche data

25 luglio 1943  arresto Mussolini  governo Badoglio

31 luglio  Roma città aperta

3 settembre  Armistizio di Cassibile
A causa dell’avanzata degli Alleati dal sud Italia, il governo italiano  il 3 settembre 1943, aveva firmato a Cassibile la prima versione di un armistizio con gli inglesi e gli americani, abbandonando di fatto l’alleanza con i tedeschi. L’accordo era stato firmato dal generale Giuseppe Castellano.

8 settembre annuncio armistizio

Fuga Re 9  settembre 1943
La fuga da Roma del re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoiae del maresciallo d’Italia Pietro Badoglio  consistette nel precipitoso abbandono della capitale – all’alba del 9 settembre 1943– alla volta di Brindisi, da parte del sovrano, del capo del Governo e di alcuni esponenti della Real Casa (fra cui la regina/moglie e l’erede Umberto), del governo presieduto da Pietro Badoglio  e dei vertici militari. Nessuna disposizione fu assicurata alle truppe e agli apparati dello Stato utile per  fronteggiare le conseguenze dell’Armistizio.
Questo avvenimento segnò una svolta nella storia italiana durante la seconda guerra mondiale.

16 ottobre 1943 Rastrellamento del ghetto di Roma

Regno del Sud  L’espressione si riferisce alla situazione creatasi nei territori controllati dal Regno d’Italia dopo l’annuncio dell’armistizio di Cassibile

24  marzo 1944 Fosse ardeatine

4 giugno1944 Liberazione di Roma
Il 4 giugno 1944 Roma venne liberata e Vittorio Emanuele III nominò l’indomani il figlio Umberto quale Luogotenente del regno, ritirandosi a vita privata. Umberto si insediò al Quirinale e, su proposta del CLN, affidò l’incarico di formare il nuovo governo a Ivanoe Bonomi, anziano leader politico già Presidente del Consiglio prima dell’avvento del fascismo. Il nuovo governo si insediò così in luglio nella Capitale

Repubblica di Salò . settembre 1943- aprile 1945

La Repubblica Sociale Italiana (RSI), anche conosciuta come Repubblica di Salò, fu un regime collaborazionista della Germania nazista, ( settembre 1943 -aprile 1945), voluto da Adolf Hitler e guidato da Benito Mussolini, al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l’armistizio di Cassibile

8 Settembre 2023Permalink

2 settembre 2023 _ Colpi di stato in Africa – Un mio piccolo dossier

Dopo il Niger, il Gabon. A mettere in fila gli eventi, si potrebbe immaginare un domino Wagner nell’Africa francofona: dopo il fallito ‘putsch’ in Russia dei mercenari di Evgheny Prigozhin il 24 e 25 giugno, c’è stato un colpo di Stato in Niger il 25 luglio della guardia presidenziale contro il presidente Mohamed Bazoum, filo-occidentale; e, ieri, a una settimana dalla tragica scomparsa di Prigozhin in uno schianto aereo, c’è stato un colpo di Stato in Gabon contro il presidente Ali Bongo Ondimba, appoggiato (non senza screzi) da Parigi. (Giampiero Gramaglia – Gp News)

31 agosto 2023.        Le ragioni dei continui colpi di stato in Africa
Pierre HaskiFrance InterFrancia

Il fenomeno è eccezionale e non può essere spiegato in modo semplicistico. GuineaMaliBurkina FasoNiger e il 30 agosto anche il Gabon: negli ultimi anni cinque paesi francofoni dell’Africa hanno vissuto colpi di stato militari. Inevitabilmente emergono diversi interrogativi.

Tra le spiegazioni semplicistiche possiamo elencare una semplice epidemia di golpe, un complotto russo o un rifiuto della Francia. Senza dubbio questi ingredienti sono presenti qua e là, a vario grado. Ma bisogna approfondire.

Il punto in comune tra le vicende citate è il fallimento degli stati postcoloniali, creati sotto una forte influenza francese e caratterizzati da due fasi storiche, una autoritaria e l’altra democratica, o per essere più precisi pseudo-democratica.

Nel 1960, quando diverse colonie francesi ottennero l’indipendenza, il presidente Charles de Gaulle e il suo “monsieur Afrique”, il discusso Jacques Foccart, misero in piedi regimi il cui obiettivo era quello di garantire l’influenza francese dietro una facciata di sovranità.

Il Gabon è stato la caricatura di questo processo.

Democrazie senza alternanza, senza contropoteri e senza alcun freno alla corruzione. Ma ora questo inganno politico sta saltando per aria

Foccart  ha raccontato di aver  scelto personalmente Omar Bongo (padre) quando il primo presidente del paese, Léon Mba, ha scoperto di essere affetto da un cancro, nel 1965. Bongo, all’epoca trentenne, era il direttore di gabinetto del presidente. Sostenuto da Foccart, ha guidato il Gabon fino alla sua morte, nel 2009. Poi il figlio, Ali Bongo Ondimba, ha preso il suo posto fino al golpe del 30 agosto 2023, arrivato dopo quasi sessant’anni di dominio della famiglia Bongo.

Questo non basta a spiegare il colpo di stato, ma aiuta a comprendere la gioia popolare che ha accompagnato il golpe. Inoltre da questa prospettiva è facile capire l’impasse politica in cui si trovava il Gabon, al pari di altri paesi del continente.

Durante la prima fase la Francia non si è solo adattata, ma ha tirato le fila del regime autoritario. In occasione della mia prima visita a Libreville, nel 1981, i tre uomini forti del paese erano l’ambasciatore francese, il comandante francese della guardia presidenziale e il capo di Elf, la compagnia petrolifera francese. Nel paese nessuno poteva fare niente senza il loro consenso.

Dopo la caduta del muro di Berlino, François Mitterrand ha vincolato gli aiuti francesi alla democratizzazione del regime. Un escamotage che ha permesso agli autocrati di prolungare il loro dominio, come dimostra in modo lampante il caso dei due Bongo, padre e figlio, ma anche quello di Paul Biya, l’eterno presidente del Camerun. Democrazie senza alternanza, senza contropoteri e senza alcun freno alla corruzione. Ma ora questo inganno politico sta saltando per aria un po’ ovunque.

La Francia ha progressivamente allentato la presa politica. Gli interessi economici francesi nel continente si sono ridotti, con l’eccezione proprio del Gabon. Nel frattempo la Cina si è ritagliata un  ruolo di primo piano in buona parte dell’Africa,

Ma ancora oggi sopravvivono l’eredità, il quadro istituzionale e i blocchi politici lasciati dalla Francia, mentre le nuove generazioni non sopportano più di essere mal governate e i militari si presentano come salvatori della patria. Parigi si illude evocando il ritorno di istituzioni che hanno perso tutta la loro legittimità, ma il patto sociale si è rotto, e forse questa è l’occasione di rinegoziarlo.

In queste condizioni, come sottolineava qualche settimana fa il pensatore di origine camerunese Achille Mbembe sul quotidiano Le Monde, “i golpe appaiono come l’unico modo di provocare un cambiamento, di assicurare una forma di alternanza al vertice dello stato e di accelerare la transizione generazionale”. Una tripla necessità che non abbiamo voluto considerare e che oggi esplode, nel bene e nel male.    (Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Africa. Ci si iscrive qui.

Gabon: dopo Niger, epidemia colpi di Stato in Africa prosegue (gyvs) (informazione.it)

https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2023/08/31/africa-gabon-colpi-stato

L’epidemia di golpe africani: un allarme per l’Europa

diFederico Rampini| 30 agosto 2023

Un filo conduttore è la crisi di molti esperimenti democratici in Africa: solo il 38% degli africani è soddisfatto di come funziona la democrazia, le loro élite intellettuali la associano all’Occidente inteso come imperialismo e neo-colonialismo

Il golpe in Gabon è l’ottavo consecutivo in soli tre anni in quella parte dell’Africa, cioè la fascia occidentale e centrale del continente. Lo hanno preceduto Mali, Guinea, Burkina Faso e di recente il Niger, alcuni dei quali hanno subito dei colpi di Stato militari a ripetizione (è così che si arriva al totale di otto).

L’instabilità politica che questa “epidemia” segnala, il grave arretramento della democrazia che genera, hanno spinto il responsabile della politica estera Ue Josep Borrell a parlare di “un grosso problema per l’Europa”. A conferma, della crisi in Gabon parleranno a breve i ministri della Difesa dell’Unione.

In cerca di semplificazioni sarebbe facile soffermarsi su un aspetto: tutti i paesi sopra elencati per la “epidemia dei golpe” sono ex-colonie francesi. Molti di loro in seguito alla presa di potere dell’esercito hanno denunciato gli accordi con la Francia, in certi casi (Mali, Burkina) cacciando i contingenti delle forze armate di Parigi.

Siamo dunque in presenza di una «seconda morte dell’impero coloniale francese in Africa»? Senza dubbio il sentimento anti-francese gioca un ruolo. Nel Niger poco dopo la deposizione del presidente democraticamente eletto abbiamo visto scendere in piazza delle folle che inneggiavano ai militari golpisti, urlavano «abbasso la Francia e viva Putin». Le accuse di neocolonialismo contro Emmanuel Macron e i suoi predecessori sono pratica corrente. È ancora presto per dire se il copione si ripeterà in Gabon, dove pure la presenza transalpina è rilevante, per esempio con la società Elf nel petrolio. Greggio e cacao sono le due principali esportazioni del Gabon.

Un simbolo che spesso viene usato per esemplificare i retaggi di colonialismo francese, è l’unione monetaria nel Cfa o franco africano, un’istituzione abbastanza curiosa anche nel nome, visto che a Parigi il franco non esiste più, sostituito ovviamente dall’euro da oltre un ventennio.

Il Cfa è un’architettura a dir poco barocca: quella sigla descrive in realtà due unioni monetarie, una per l’Africa centrale e l’altra per l’Africa occidentale; tutt’e due legate all’euro da una parità fissa e garantite dal Tesoro di Parigi. Si possono tracciare delle (vaghe) analogie con il Commonwealth britannico. La Francia ne ricava pochi vantaggi comunque. In compenso paga un prezzo politico: nell’immaginario collettivo di molti paesi africani la sola esistenza di un “franco Cfa” è un simbolo potentissimo di ciò che loro percepiscono come un retaggio coloniale.

Ma le accuse a Parigi sono solo in parte giustificate, per lo più invece sono pretestuose, incoerenti, in malafede. Gli stessi paesi che ora cacciano i militari francesi, magari per sostituirli con mercenari russi, l’altroieri avevano chiesto aiuto a Parigi per combattere terroristi jihadisti e milizie separatiste. Gli stessi militari che hanno preso il potere a ripetizione, invocando come pretesto per i loro golpe l’incapacità dei governi civili di garantire ordine e sicurezza, sono essi stessi responsabili per clamorosi insuccessi nel reprimere terroristi, jihadisti, organizzazioni criminali. I generali che cacciano i politici accusandoli di corruzione sono di solito i primi campioni della corruzione.

Celebrare la seconda morte dell’impero francese è una forzatura anche perché la crisi della democrazia – e della sicurezza – si estende oltre l’Africa francofona. L’anglofono Zimbabwe ha appena tenuto delle elezioni di dubbia correttezza, non più limpide di quanto lo sia stata in Gabon la vittoria del “figlio d’arte” Ali Bongo (il 64enne presidente appena deposto viene da una dinastia initerrottamente al potere da 56 anni, suo padre Omar Bongo governò dal 1967 al 2009). Il Sudan, che non è un ex colonia francese bensì fu un possedimento in condominio anglo-egiziano, è ancora devastato dalla guerra tra due fazioni militari. Una ricaduta di disordini e di repressione si sta verificando anche in Etiopia, la nazione dell’Africa che si vanta di non essere mai stata colonizzata da nessuno (a ragione gli etiopi definiscono “occupazione” l’episodio italiano, che considerano talmente breve e con impatto troppo modesto per potersi definire una colonizzazione).

Un filo conduttore è la crisi di molti esperimenti democratici in Africa. L’ultimo sondaggio Afrobarometro rivela che solo il 38% degli africani sono soddisfatti di come funziona la democrazia nel proprio paese (quelli che ce l’hanno). Secondo la ong americana Freedom House metà degli Stati continentali sono “non liberi”, il 43% “parzialmente liberi”.

Noi occidentali però questi giudizi dovremmo maneggiarli con moderazione e spirito critico, tenuto conto che anche le opinioni pubbliche di casa nostra danno segnali di delusione e disaffezione verso il sistema politico democratico. Dovremmo anche considerare quel che sta accadendo in Africa come un’emergenza che ci riguarda per diversi aspetti, non tutti scontati. Da una parte è un “grosso problema” (come dice Borrell) perché la catena dei golpe investe zone strategiche per l’Europa sia come origini di flussi migratori sia come giacimenti di risorse energetiche e minerarie. D’altra parte è un “grosso problema” se e quando questi golpe poggiano su narrazioni anti-occidentali e spianano la strada a ulteriori penetrazioni di Cina, Russia, o anche altri attori come Arabia saudita, Turchia.

Dietro quest’ultimo fenomeno c’è una tendenza allarmante che accomuna tanti paesi africani: troppo spesso le loro élite intellettuali tendono ad associare la democrazia all’Occidente nel senso deteriore che esse danno alla parola Occidente, cioè come simbolo di imperialismo, post o neo-colonialismo, sfruttamento. Così facendo queste élite ottengono il triplice risultato di screditare la democrazia, avallare i golpe, legittimare le intese fra golpisti e Pechino, Mosca, eccetera.

È utile che del tema si occupino i ministri della Difesa europei perché buona parte dell’Africa soffre per un deficit di sicurezza prima ancora che di stabilità o di libertà. La democrazia non sopravvive se non è capace di assicurare ai propri cittadini un minimo di “legge e ordine” (tema sottovalutato o incompreso negli stessi paesi occidentali). I militari del Gabon, come quelli del Niger, Mali e Burkina Faso prima di loro, sono dei bugiardi quando promettono sicurezza visto che fino a ieri hanno avuto vasti poteri per mantenere l’ordine e non lo hanno fatto. Qualcuno però dovrà riuscirci prima o poi. Crescita economica, sviluppo, occupazione, istruzione e sanità, progrediscono se esiste un minimo di sicurezza. L’Europa dovrebbe sviluppare una offerta alternativa – in una cornice di rispetto dei diritti umani – rispetto al Gruppo Wagner o altre milizie mercenarie.

Il fatto che il golpe del Gabon sia accaduto a così breve distanza da quello del Niger ricorda un altro fallimento che si sta consumando: quello della comunità economica dell’Africa occidentale, Ecowas. Sotto la leadership della nazione più importante di tutto il continente, la Nigeria, l’Ecowas aveva promesso/minacciato un intervento militare multinazionale per ripristinare il legittimo governo civile in Niger. Poi l’Ecowas si è impaurita, soprattutto perché all’interno della stessa Nigeria sono cresciute le resistenze. Forse l’Unione europea dovrebbe riprendere il bandolo della matassa proprio da lì.

L’epidemia di golpe africani: un allarme per l’Europa- Corriere.it

2 Settembre 2023Permalink

27 agosto 2023 – Un generale si autopropone letterato e il Vicepresidente del Consiglio ne promuove il senso del dovere.

Per parlare del caso chiacchieratissimo del generale R.V. mi appoggio ad autorevoli fonti (citate nei link)  e, per cominciare, mi servo di brevi tratti riportati dalla Agenzia AGI  (cfr link n.1)

 L’esercito apre un’inchiesta interna sul caso Vannacci
Non si spegne la polemica sul libro “Il mondo al contrario”.  © Aleandro Biagianti / Agf – Il generale Roberto Vannacci

AGI – Non accenna a placarsi la polemica sul generale dell’Esercito Roberto Vannacci, autore di “Il mondo al contrario”, un saggio di circa 300 pagine con frasi denunciate come omofobe e razziste. E proprio i contenuti del libro, che hanno fatto esplodere la bufera, sono il motivo della decisione dello Stato maggiore dell’Esercito di sollevarlo dalla guida dell’Istituto geografico militare.

L’Esercito ha ufficializzato l’avvicendamento di Vannacci al comando dell’Istituto Geografico militare di Firenze e l’apertura di un’inchiesta interna in relazione al volume. Il provvedimento, si legge in una nota, è stato adottato “per tutelare sia l’Esercito sia il Generale Vannacci, sovraesposto mediaticamente dalla vicenda legata al suo libro”.

“Va infatti considerato che al Comandante dell’Istituto Geografico Militare è anche attribuita la responsabilità territoriale e la gestione dei rapporti tra Esercito, autorità e istituzioni locali”, si sottolinea. “Parallelamente è stata avviata un’inchiesta volta all’accertamento dei fatti”, un “atto dovuto ai sensi degli articoli 552 e 553 del Testo Unico dell’Ordinamento Militare”.

E, a questo punto, trovo un’espressione che  mi fa paura.
Chi usa la parola dovere in relazione al dirsi del generale R.V. , indicato come leader della Lega, è un ministro della Repubblica e Vicepremier del Governo Meloni.
Trascrivo le poche righe in cui trovo la parola “dovere  “.

“Se il generale scrive qualcosa che non ha niente a che fare con segreti di Stato o con il suo lavoro, ed esprime dei suoi pensieri nero su bianco, ha il DOVERE e il diritto di farlo”.

Nel timore di sbagliare- e di dar luogo a contestazioni  militariste – proseguo con le verifiche.

E nel link n. 2 ritrovo la parola che mi spaventa, dovere, già constatata presente nel n. 1.

Matteo Salvini, ministro e vicepremier, allarga la crepa nel centrodestra sul caso Vannacci. C’è uno spazio politico da occupare subito, quello dove si è ben accomodato il generale che il ministro della Difesa Guido Crosetto ha destituito con provvedimento disciplinare per le tesi omofobe, contro i migranti e le femministe del suo libro. Fonti leghiste fanno infatti sapere di una «telefonata molto cordiale» tra il vicepremier Matteo Salvini e il parà. Salvini promette che leggerà il libro e intanto chiede di giudicare il generale «per quello che fa in servizio. Se poi scrive qualcosa che non ha niente a che fare con i segreti di Stato o il suo lavoro ha tutto il DOVERE e diritto di farlo. La condanna al rogo come Giordano Bruno non mi sembra ragionevole».

E ritrovo la stessa parola anche su Avvenire (quotidiano della CEI) che riporta la stessa citazione del paragrafo precedente depurata dal riferimento ridicolo  (opinione mia) a Giordano Bruno.
Ma la Conferenza Episcopale Italiana aggiunge un’altra nota importante con un riferimento nominativo di cui non sono responsabile.  Scrive  che:

“solo l’outsider Marco Rizzo (Partito comunista – Democrazia sovrana popolare), … invece ha puntato il dito su chi ha ignorato il generale dopo i suoi esposti sull’uranio impoverito e ora lo attacca per delle opinioni personali”.

Quindi, se è vero quello che ha scritto Avvenire, dando voce all’on Rizzo,  la denuncia dell’uranio impoverito  che, per qual cha capisco, “ha a che fare con i segreti di Stato” non ha invece a che fare con il best seller generalizio , voce di un libero cittadino italiano che non viola  in quel testo la disciplina militare..
A me sembra un gioco incrociato di furbacchioni,  ma io sono solo io  come sempre.
Così anche i vescovi  uniti nella CEI hanno il loro  link che porta il n. 3.

Infine cosa ha detto il cittadino Vannacci (libero di esprimere le sue opinioni)  di professione militare con il grado di generale?

Tanto ne hanno scritto i quotidiani e chiacchierato la TV sui più vari canali che preferirei non fare disturbanti citazioni .  Mi limito a una soltanto:

«Il lavaggio del cervello a cui siamo sottoposti giornalmente volto ad imporre l’estensione della normalità a ciò che è eccezionale ed a favorire l’eliminazione di ogni differenza tra uomo e donna, tra etnie (per non chiamarle razze), tra coppie eterosessuali e omosessuali, tra occupante abusivo e legittimo proprietario, tra il meritevole ed il lavativo non mira forse a mutare valori e principi che si perdono nella notte dei tempi?

E concludendo segnalo la silloge delle bravate verbali  proposta da Domani  (link n. 4)

 

LINK numero 1     Agi_Agenzia Italia   22 agosto 2023

Bufera su Vannacci. Salvini sente il generale. Crosetto: ‘Ho agito da ministro’

LINK numero 2     Il sole 24 ore   21 agosto  2023

https://amp24.ilsole24ore.com/pagina/AFOPE6a

LINK numero 3.   Avvenire -21 agosto 2023

Salvini difende il generale: «No al Grande fratello». Lui lo ringrazia (avvenire.it)

LINK numero 4.   Domani  –  22   agosto 2023

Streghe, «invertiti», patria e armi: dieci frasi dal libro “Mondo al contrario” di Vannacci (editorialedomani.it)

27 Agosto 2023Permalink

22 agosto 2023 _ Matteo Salvini ministro, uomo che si destreggia disinvoltamente fra barbarie e barbarie senza negarsi a telefonate improvvide.

ROMA, 22 agosto 2023, 21:25  Redazione ANSA

 Salvini torna sulla castrazione chimica: “La legge subito alle Camere”

“Se stupri una donna o un bambino il carcere non basta”

 “Porteremo avanti in Parlamento il disegno di legge della Lega sulla castrazione chimica, chiedendo di calendarizzarlo in commissione per votare e approvare al più presto una proposta di buonsenso”.

Così il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, sui social.

 Salvini torna sulla castrazione chimica: “La legge subito alle Camere” – Notizie – Ansa.it

Cos’è la castrazione chimica che Matteo Salvini vorrebbe approvare in Parlamento – L’Espresso (repubblica.it)

 Presumo che il ministro abbia uno staff che lo sostiene nei suoi percorsi mentali che si consumano nella narrazione e nella scrittura
Mi permetto perciò di suggerire una lettura che potrà competere con i link in calce.
Da quei testi riporto brevi stralci.

 Alan Turing, storia di un genio perseguitato perché gay

 Quando scoppia la Seconda guerra mondiale e il matematico si trasferisce a Bletchley Park per lavorare con i militari inglesi sulla crittografia. L’obiettivo è decifrare il sistema di comunicazione tedesco Enigma.

L’obiettivo venne  raggiunto e nel 1946  Alan Turing fu  decorato come Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico  , ma sia a lui che al suo team viene chiesto di mantenere il segreto, dato che l’operazione è top secret

Tuttavia la sua sessualità gli valse una condanna alla castrazione chimica, che lo condusse al suicidio a soli 41 anni. .

Nel marzo del 1952, fu infatti accusato di “indecenza grave e perversione sessuale” e condannato a un anno di prigione solo per essere omosessuale. E per via della presunta relazione omosessuale con un altro uomo, il 19enne Arnold Murray, poi apertamente riconosciuta.

Durante il processo, Turing dichiarò di non provare alcun rimorso o senso di colpa per aver semplicemente condotto la sua vita, e non organizzò mai una vera e propria difesa legale, considerando del tutto naturali i propri comportamenti.

Per evitare il carcere, si sottopose ad una “terapia” di castrazione .chimica   ma nel 1954 si tolse  la vita con un morso a una mela avvelenata con del cianuro

Alan Turing, storia di un genio perseguitato perché gay | Sapere.it

Alan Turing: chi era e storia di Enigma (libero.it)

 

 

 

22 Agosto 2023Permalink

22 agosto 2023 – Una mia scelta dall’ultima pagina di “Cerco solo di capire”, il blog di Giancarla Codrignani.

22 agosto 2023
“Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione!”, punto esclamativo incluso casomai non si fosse capita l’assertività. Poi, attacchi al femminismo, all’ambientalismo, ai clandestini, solo delinquenti e stupratori, par di capire. Il tutto condito da un linguaggio triviale e sessista. Libro numero 3 in classifica dei saggi su Amazon, uscito pochi giorni fa e autoprodotto, a colpire il ruolo dell’autore: Roberto Vannacci, 55 anni, generale di lungo corso, già a capo dei paracadutisti della Folgore e oggi alla guida dell’Istituto geografico militare (esautorato dal Ministro Crosetto. Non basta.

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“Sono un obiettore di coscienza al servizio militare, e aderisco alla campagna di “Obiezione alla guerra” del Movimento Nonviolento. Sostengo tutti gli obiettori e credo che se fossero accolti, ascoltati e sostenuti, come i tanti nonviolenti che agiscono da sempre in tutte le parti del mondo, se fosse sostenuto il progetto di Difesa civile non armata e nonviolenta della Patria, riusciremmo davvero a fare passi concreti per “ripudiare la guerra”, ed onorare la nostra Costituzione. Pensiamoci. Di più. Quando stringiamo accordi coi dittatori, quando gli vendiamo armi, quando aumentiamo le spese militari. Quando non cerchiamo giustizia, libertà, democrazia, diritti, uguaglianza. Per tutti. MAURO BIANI, il vignttista di Repubblica

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Michela Murgia è stata una grande intellettuale a cui va riconosciuto un magistero morale popolare. Anche una profezia cattolica: l’omaggio del card. Zuppi (“credeva ai legami d’anima, perché siamo generati non dal sangue, ma dallo Spirito”) e il funerale religioso debbono essere passati come la tradizionale “occupazione” degli interessi ecclesiastici. Michela era citata e ha scritto per l’Osservatore Romano. La spaccatura interna al mondo cattolico risulta evidente, se il testamento resta un fatto laico senza considerazione sulla contraddizioni – laiche e religiose – sui vincoli dell’amore.

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Comunicare: di destra, di sinistra. Dice Salvini: ”Non guardo mai la tv: perché dovrei pagare il canone?” di pancia. La sinistra racconta tutte le sfumature del “lavoro povero” (chiamato così da tutti), come se non ci fosse il lavoro “nero” o il “no” al reddito di cittadinanza senza ragionare sul valore della spesa di 30 mld senza effetti quando andiamo a fare la spesa. Il “metodo destra” – come fu all’origine del fascismo – è intuitivo. Anzi, ti vieta di ragionare.

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Alternative für Deutschland: se pensassero che è nazismo, forse non lo direbbero. Ma sono proprio nazisti e oggi negano posto a scuola agli handicappati: stiano in aule speciali e non tolgano opportunità ai “sani”. Anche Lgbtq+ possono essere troppo diversi, intoccabili.

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Il Ponte sullo Stretto: le tre linee che collegano la Basilicata da Potenza a Foggia, Napoli e Taranto sono sospese per lavori di aggiustamento. Tra Vaglio e Trevigno, sempre Basilicata frana e crollo di un ponte: isolate? Gente, avete votato Salvini.

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Pagare i Parlamentari. Uno polemica mortificante con Fassino che difendeva gli emolumenti più o meno reali (per legge sono diversi quelli dei senatori e quelli dei deputati), stroncabile dalla richiesta che ci viene dall’Europa di regolare le prestazioni (“talora” gratuite dei vari professionisti “onorari”, giudici o ambasciatori). Inutile ricordare che sia i greci che i romani, che i moderni nel formarsi degli Stati democratici hanno retribuito le cariche pubbliche per non lasciarle nelle mani dei nobili e dei ricchi. Oggi gli eletti del popolo sono dei professionisti e vanno retribuiti. Io con il mio stipendio di insegnante, senza figli e senza altri incarichi, non ce l’avrei fatta per le spese che di cui ho dovuto farmi carico; ma questo non significa che non si debba tornare alla costituente quando Teresa Mattei pensava allo stipendio del metalmeccanico. Infatti proprio l’eletto dal popolo fa un lavoro di massima responsabilità (è, tra l’altro, “a disposizione” e non ha quasi più vita personale normale (cose queste di scarsa importanza e comuni ad altri “mestieri”.ma fare il legislatore è come fare il giudice costituzionale (come “paga” l’ultimo livello dovrebbe essere superiore a quello di senatore o deputato), non può essere un mestiere o una professione. Infatti è questione di lessico: si è perduta la terminologia originaria: non ci sono mai stati “stipendi”; ma indennità; né “pensioni”, ma vitalizi. Poi ognuno è libero di fare (secondo me) antipolitica e decidere che andava bene quando i diritti li stabiliva il regime e la camera dei fasci e delle corporazioni.
La produttività del Parlamento va certamente controllata. Dall’informazione (che ha “diritto” di averla e “dovere di praticarla criticamente). Ma soprattutto dall’elettore.

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La settimana prima di Ferragosto due fatti internazionali che riguardano il mondo: In Ecuador l’uccisione del giornalista anticorruzione Fernando Villas – che non avrebbe vinto, ma faceva paura – mostra che il potere delle cosche della droga – che in pochi anni hanno unito l’Ecuador (negli ultimi 3 anni la droga requisita è passata da 79 a 200 tonnellate, mentre nella sola Guayaquil si sono commessi 1.537 omicidi) a Colombia e Perù (che producono il 60 e il 26% della coca del mondo) – sono uno dei poteri forti. Poi il golpe in Niger: nessuno sapeva l’importanza di questo paese la cui democrazia godeva del sostegno delle potenze occidentali poco attente negli anni a promuovere democrazia anche negli altri paesi dell’Africa nera. Errori da non scontare, perché i partiti islamici radicali vincono perché il Niger odia la Francia, ma nessuno ama l’Occidente, anche se ormai ne condivide le ambizioni di consumo. In Niger l’Europa poteva intervenire insieme con la Francia ricorrendo all’ art. 1 e 2 del Trattato del Quirinale per la cooperazione bilaterale rafforzata: tempestività.

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I Palestinesi. Il Vaticano ha ricevuto il ministro degli Esteri dello Stato Palestinese Riad Malki. Nell’incontro è stato sottolineata la crescita della conflittualità religiosa, oltre che militare, che porta a radicalizzare le posizioni: conseguenze dei movimenti nazionalisti religiosi e della politica israeliana in territorio palestinese. Anche se positive le proteste del popolo israeliano contro la riforma della giustizia e se il rappresentante palestinese ha espresso un giudizio positivo sul suo omologo israeliano Eli Cohen, “uomo di pace”, si rammaricava che la questione non è più sull’agenda delle cancellerie occidentali: c’è una normalizzazione in atto, nonostante gli “accordi di Abramo (che il ministro palestinese ritiene positivi). “Noi palestinesi nell’eventualità di nuovi patti per le zone B e C pretenderemo che sia assegnato agli Usa e all’Unione Europea il ruolo di garanti…(analogamente) focalizzarci sull’Iniziativa di PaceAraba, approvata da tutti gli Stati arabi ed islamici” Contestualmente “dobbiamo far crescere una pacificazione anche tra i nostri popoli senza la quale gli accordi trai vertici politici contano poco. I cristiani di Terra Santa con le loro scuole lo fanno, ma è difficile ispirare sentimenti di pace quando ogni giorno sopporti i soprusi… Auspichiamo che la diplomazia della Santa Sede, che sta giocando un ruolo importante e generoso nel conflitto russo-ucraino, possa esercitare efficacemente le sue note ed apprezzate capacità anche in questa situazione. Occorre ricreare quel clima di dialogo che portò 30 anni fa agli accordi di Oslo,…. Sono passati quasi 10 anni dalla bella iniziativa di Papa Francesco di piantare con i due presidenti un ulivo della pace nei giardini vaticani. È ora di innaffiare e fare crescere quell’albero”. Non so come lo leggiate voi: sono parole di chi non ha speranza.

E il cinismo: forse molliamo Zelinsky. Pechino affronta la sua “bolla” alla Lehman Brothers fa paura. Biden sigla i “Principi di Camp David” patto di ferro Usa-Giappone-Corea di prevenzione anticinese, ma validi anche se vincesse Trump. Trump deve vedersela con diversi processi per corruzione e brogli, mentre la Cina ha annunciato di voler rendere noto il presunto piano di Washington sul cyber-attacco contro il “Centro di monitoraggio terremoti” di Wuhan. Ma lo spionaggio non viola il diritto internazionale?

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Vignetta pagata dal contribuente. I produttori di grano, i pastifici e dell’intera catena alimentare legata ai prezzi delle materie prime rese fluide della guerra ucraina, non hanno notizie dal governo. Il ministro Lollobrigida in materia ha versato mezzo milione per una campagna di pubblicità della “pasta” all’insegna di un personale slogan “La pasta, integratore di felicità”.

 

 

22 Agosto 2023Permalink

8 luglio 2023 _ Luigi Sandri della redazione di Confronti sul Caso Mortara

Luigi Sandri (Redazione Confronti)

Il film Rapito di Marco Bellocchio, dedicato a Edgardo Mortara – il bambino ebreo di Bologna (allora parte dello Stato pontificio), nel 1858 nascostamente battezzato da una “colf” cattolica, e quindi fatto rapire da Pio IX e portato a Roma, per essere educato nella fede cattolica – ha fatto assai discutere sui media italiani. Non ci addentriamo, però, in queste valutazioni, ma ci soffermiamo su alcuni aspetti storico-teologici che ci sembra importante ulteriormente illuminare, per evidenziare l’arretratezza culturale e la caparbietà ecclesiale di papa Mastai Ferretti; e le contraddizioni di successivi pontefici.

Reticenze della stampa vaticana sul caso del piccolo ebreo rapito 

Anche L’Osservatore Romano non poteva evitare di confrontarsi con il lavoro di Bellocchio, e dunque con l’operato di Pio IX: e il 30 maggio ha dedicato due pagine al film appena uscito. Sul quotidiano vaticano ne parlano Andrea Tornielli e Andrea Monda – firme autorevoli di quel giornale, e poi una voce esterna, quella di Marco Cassuto Morselli, presidente della Federazione delle Amicizie ebraico-cristiane. Il racconto dei due giornalisti ci appare corretto nella ricostruzione dei fatti storici e, tuttavia – a nostro parere – reticente nel giudizio sull’operato del pontefice che regnò ben trentadue anni (dal 1846 al 1878) sulla cattedra di Pietro: il più lungo pontificato della storia.

È ben vero che è improprio giudicare il passato con il senno di poi, e una mentalità dell’Ottocento con quella prevalente, anche nella Chiesa romana, nel terzo millennio. Ma, proprio ponendoci centocinquanta anni fa, possiamo constatare che già allora vi erano fermenti, in campo cattolico, che iniziavano a mettere in questione alcune prassi in vigore, come quella precisata da Benedetto XIV che, nel 1747, aveva stabilito, ricorda Tornielli: “Ogni bambino battezzato doveva essere educato cattolicamente anche contro la volontà dei genitori”.  Decisione tremenda che, al tempo, fu denunciata dai filosofi illuministi, ma che il magistero papale, arroccato nella difesa della “verità” (o che tale appariva ai suoi occhi) non volle mettere mai in discussione.

Ora, già nel 1858 nel variegato mondo cattolico vi erano intellettuali (scrittori, storici, filosofi e teologi) che – interpellati – forse avrebbero fatto comprendere al papa del tempo che mantener fede a quanto stabilito da un suo predecessore di cento anni prima non era affatto una scelta “necessaria”. Antonio Rosmini era ormai scomparso: ma non ci sarà stato qualche suo discepolo e forse amico, come Alessandro Manzoni, che potesse dare un saggio consiglio al pontefice?

In campo laico, l’imperatore francese Napoleone III e il “premier” sabaudo italiano Camillo Cavour cercarono di persuadere il papa a restituire finalmente alla famiglia natia il bambino ebreo “rapito”. Ma il pontefice fu irremovibile: era convinto che Dio stesso gli imponesse di trattenere Edgardo, per educarlo cattolicamente e in tal modo “salvarlo”. Lo stesso “rapito” era ormai riconoscente al suo rapitore che, pur dopo la presa di Porta Pia (20 settembre 1870) che minò alla radice il potere temporale dei papi, rifiutò di farlo tornare a Bologna: Edgardo proseguì nella nuova fede fino e farsi sacerdote (con grovigli di coscienza che non possiamo indagare, e che forse perfino il dottor Freud avrebbe faticato a dipanare).

Stanti così le cose, non è pregiudizio, ma onesta conclusione tratta non solo dei fatti narrati da Rapito ma anche da una indagine indipendente sulle fonti storiche, affermare che Mastai Ferretti era veramente preda della cecità ecclesiale. Non era una colpa personale ma, diciamo così, istituzionale: la deliberata volontà vaticana di non ascoltare mai gli input dell’Illuminismo (che non era certo infallibile, ma che affermava anche verità indiscutibili sulle quali sarebbe stato atteggiamento prudente misurarsi). Afferma Tornielli: “Oggi un caso Mortara non potrebbe più ripetersi perché la libertà religiosa sancita dal Concilio Vaticano II ha contribuito a cambiare prospettiva”.

Certo: ma non era il caso di riconoscere su L’Osservatore che oggettivamente le idee di Pio IX, che pur caratterizzano anche molti suoi predecessori, e che durarono, in parte, anche dopo, hanno provocato immensi danni alla Chiesa?

E papa Wojtyla proclama “beato” Pio IX

Ventitré anni fa, nel 2000, il numero di marzo di Confronti riportava un’ampia intervista ad Elèna Mortara, la cui bisnonna paterna era sorella dello sfortunato ragazzo. A parte il ribadire quanto fu doloroso, per la sua famiglia, la vicenda del rapimento ordinato a suo tempo da Mastai Ferretti, ella esprimeva sdegno per il papa regnante all’alba del terzo millennio, Giovanni Paolo II. Questi, infatti, aveva appena deciso di “beatificare” insieme, entro pochi mesi – il 3 settembre successivo – Pio IX e Giovanni XXIII.

La notizia giunta dal Vaticano sollevò naturalmente molte proteste non solo nelle comunità ebraiche, ma anche in alcune delle cattoliche. Ma Karol Wojtyla non sentì ragioni, e alla data prefissata elevò Pio IX alla gloria degli altari. A giustificazione della sua decisione, nell’omelia per l’occasione affermò: «Ascoltando le parole dell’acclamazione al Vangelo: “Signore, guidaci sul retto cammino”, il pensiero è andato spontaneamente alla vicenda umana e religiosa del Papa Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti. In mezzo agli eventi turbinosi del suo tempo, egli fu esempio di incondizionata adesione al deposito immutabile delle verità rivelate. Fedele in ogni circostanza agli impegni del suo ministero, seppe sempre dare il primato assoluto a Dio ed ai valori spirituali. Il suo lunghissimo pontificato non fu davvero facile ed egli dovette soffrire non poco nell’adempimento della sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche odiato e calunniato.

Ma fu proprio in mezzo a questi contrasti che brillò più vivida la luce delle sue virtù: le prolungate tribolazioni temprarono la sua fiducia nella divina Provvidenza, del cui sovrano dominio sulle vicende umane egli mai dubitò. Da qui nasceva la profonda serenità di Pio IX, pur in mezzo alle incomprensioni ed agli attacchi di tante persone ostili. A chi gli era accanto amava dire: “Nelle cose umane bisogna contentarsi di fare il meglio che si può e nel resto abbandonarsi alla Provvidenza, la quale sanerà i difetti e le insufficienze dell’uomo”.

Sostenuto da questa interiore convinzione, egli indisse [nel 1869] il Concilio ecumenico Vaticano I, che chiarì con magisteriale autorità alcune questioni allora dibattute, confermando l’armonia tra fede e ragione. Nei momenti della prova, Pio IX trovò sostegno in Maria, di cui era molto devoto. Proclamando il dogma dell’Immacolata Concezione, ricordò a tutti che nelle tempeste dell’esistenza umana brilla nella Vergine la luce di Cristo, più forte del peccato e della morte».

Per il papa polacco, dunque, non vi era stata nessuna ombra nel comportamento di Pio IX, che sconsigliasse la sua attuale esaltazione; nessun cenno, perciò, al rapimento di Edgardo. A conforto della sua imbarazzata censura Karol Wojtyla avrà letto il lunghissimo commento che nel 1858 La Civiltà cattolica – la battagliera rivista dei gesuiti fondata otto anni prima – aveva dedicato al famoso rapimento: una difesa d’ufficio che, pur fatta la tara dei diversi tempi tra allora e il terzo millennio, oggi lascia stupefatti per l’arroganza morale e la miopia ecclesiale con cui difende l’indifendibile: e, cioè, la pienissima liceità (anzi, il dovere!) per il papa di rapire un bambino ebreo battezzato contro la volontà dei genitori, per educarlo nella “vera fede”. Del resto – spiegava la rivista – i diritti del Padre celeste vengono ben prima di quelli del padre terreno!!! Ragionamenti lontani anni-luce da quanto, a proposito dell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso gli ebrei, affermerà un secolo dopo la Nostra aetate, dichiarazione del Concilio Vaticano II, approvata nel 1965, dedicata relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane.

Ora si rimane basiti nel constatare che, trentacinque anni dopo quell’evento, al quale Giovanni Paolo II aveva personalmente partecipato come arcivescovo di Cracovia, questi non fosse sfiorato da nessun dubbio sulla opportunità di beatificare il “santo rapitore”. Tuttavia, proprio nel 2000 da più parti, all’interno stesso del mondo cattolico, si sottolineò: quali che siano stati i “meriti” di Pio IX, proprio per la vicenda di Edgardo Mortara quel papa non (non!) andava beatificato: egli, invece, andava lasciato nel chiaroscuro del suo tempo e del suo pontificato, con gli storici, ed i fedeli, liberi oggi di apprezzarlo per alcune sue scelte, e di criticarlo per altre. O è una “calunnia” ricordare oggi che Pio IX ordinò di fatto il rapimento di Edgardo?

Commentando su L’Osservatore il film di Bellocchio, Morselli scrive: «Le reazioni che esso susciterà negli ambienti cattolici  diventeranno una cartina di tornasole della recezione degli insegnamenti di Nostra aetate e della diffusione delle acquisizioni del dialogo ebraico-cristiano. È ora necessario che sia l’idea stessa di “conversione degli ebrei” ad essere ripensata dalla riflessione teologica». Auspicio del tutto condivisibile, ma non sappiamo se davvero recepibile – e recepito – dall’Istituzione-Chiesa romana.

 

Il Codice canonico: sì al battesimo a ignari bambini non cristiani

Il rinnovato – alla luce del Vaticano II – Codice di Diritto canonico, varato da papa Wojtyla nel 1983, al canone 868, § 2, afferma: “Il bambino di genitori cattolici e perfino di non cattolici in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori” (in latino: etiam invitis parentibus). Dunque, in teoria è possibilissimo che si ripeta, magari aggiornata, una vicenda Mortara. Forse, oggi, un piccolo bambino ebreo, battezzato segretamente da una colf che lo ha considerato in pericolo di vita, non sarà rapito (come si potrebbe, davanti alle tv, giustificare un tale delitto?). Ma, pur nel silenzio, e nell’impunità, sarebbe violata la volontà dei genitori.

Rimane un enigma: come, nel post-Concilio, e mentre le strutture vaticane sempre lodano Nostra aetate, è stato possibile varare una tale aberrazione giuridica valida erga omnes (magari in India con un bambino indù, o in Congo con il figliolo di una famiglia seguace di una religione tradizionale africana, o in una clinica del Pakistan, dove la maggioranza della popolazione è musulmana). Ma la spiegazione è semplice, e ferrea: la Chiesa romana, ritenendo che quel bambino, morendo senza battesimo, finirebbe all’inferno (non più al limbo, dato che l’esistenza di quel “luogo” è stata messa in dubbio perfino da papa Ratzinger!), propone di battezzarlo anche contro la volontà dei genitori. Quindi niente segreto: magari una furiosa lite in una stanza di ospedale, dove l’infermiera, obbediente cattolica, riesce infine ad aver la meglio sugli straziati genitori. Ma se questi – supponiamo che il caso avvenisse in Italia – per difendere il loro diritto chiamassero i carabinieri, questi debbono arrestare i genitori che si oppongono al Codice di Diritto canonico, o mettono le manette all’infermiera che viola le leggi di uno Stato laico?

Sullo sfondo, rimane la teologia cara a Pio IX, e tuttora viva sotto traccia nel pensiero di molti prelati: la Chiesa romana, pur “invitis parentibus”, deve far di tutto per battezzare i bambini nati da famiglie non cattoliche e che siano (o sembrino) morenti. Non è nemmeno sfiorata dall’idea che tutti i bambini del mondo, quale che sia la religione o non religione delle loro famiglie, se muoiono vanno dritti dritti in paradiso, seppure non battezzati. Dio è grande e giusto, e non domanda carte di identità ai bambini: per salvarli, se battezzati, e punirli, se non lo sono. NO: il Padre li salva tutti.

Altra cosa, ovviamente, è se si tratta di genitori cattolici che, almeno in teoria, dovrebbero essere felici che il loro piccolo sia  battezzato. Non ci addentriamo, però, in questa problematica che riguarda la prassi, per alcuni fedeli giustissima ma per altri discutibile, di battezzare gli infanti, incapaci di decidere.

Torniamo al figlio di “non cattolici”: la gravità teologica di quel § 2 del canone 868 è evidente, perché trasmette una idea inammissibile di Dio. Eppure rimane nel Codice canonico: come mai, allora, già dalla parte cattolica, non si alza un tuono di proteste per cancellarlo? Oggi la Chiesa romana – ufficialmente – non vuole battezzare gli ebrei; non lo voleva nemmeno ai tempi di Benedetto XIV e di Pio IX. Ma si è riservata, come già allora, una eccezione furba: ove un bambino ebreo sia stato infine validamente battezzato, sia pure invitis parentibus, ormai è cristiano a tutti gli effetti. Dunque “nostro”; e “sbattezzarlo” è arduo. Che fare? I tempi sono calamitosi, ed è “impossibile”, per  ragioni politiche, rapirlo: infatti, un tale atto, pur eseguito invocando il beato Pio IX, susciterebbe un clamore mediatico tale da distruggere il Vaticano. E allora, far finta di niente e lasciare il bambino battezzato, se sopravvive, ai rabbini? Un mare di contraddizioni inestricabili.

L’unica soluzione degna e onesta è che un papa – Francesco oggi regnante, o chi verrà dopo di lui – cancelli quel canone, sostituendolo con un altro che proibisce espressamente di  battezzare in punto (vero o presunto) di morte bambini di famiglie non cattoliche. Tornielli e Monda nei loro commenti su L’Osservatore Romano, ignorano la spinosa questione del canone 868. Ma potrebbero sempre riprenderla…

Da questa pur schematica panoramica, innescata dal film Rapito di Bellocchio, ma esondata anche su altri fatti, emerge che nella Chiesa romana permane una legislazione canonica che sfocia in una violenza oggettiva profonda, seppur in parte diversa da quella che attuò Pio IX contro il piccolo Edgardo. L’ipotesi di un battesimo di bambini (veri o presunti ammalati gravi) invitis parentibus, contraddice frontalmente il Concilio Vaticano II, in particolare la Dignitatis humanae, dichiarazione sulla libertà religiosa. Dunque, quel § 2 del canone 868, e iniziando proprio dal fronte cattolico, andrebbe scardinato, sotto il profilo storico, giuridico, ecclesiale e teologico. Se non ora, quando?

 

7 Agosto 2023Permalink

29 luglio 2023 Dopo il deserto africano che uccide fisicamente , il deserto italiano che crea invisibili dalla nascita..

16 Marzo 2023  MICROMEGA

Saraceno: “Discriminando i figli di coppie omosessuali si torna all’idea retrograda del ‘figlio illegittimo’

Secondo la sociologa, le recenti iniziative governative per il blocco delle procedure di riconoscimento all’anagrafe dei figli di coppie omosessuali sono frutto di una battaglia ideologica condotta sulla pelle dei bambini. Si torna indietro a un principio secondo il quale alcuni bambini sono figli legittimi e altri illegittimi.

Cinzia Sciuto

Di recente due vicende hanno riportato al centro del dibattito pubblico la questione del riconoscimento giuridico dei figli di coppie omosessuali. Le due vicende sono da un lato la circolare del ministero dell’Interno che chiede ai prefetti di invitare i sindaci a non trascrivere più i certificati di nascita ottenuti all’estero in cui oltre al genitore biologico viene riconosciuto anche il genitore non biologico; dall’altro la risoluzione di una commissione del Senato che ha bocciato una proposta di regolamento europeo che si propone di uniformare le procedure di riconoscimento dei figli.
Ne parliamo con la sociologa Chiara Saraceno, esperta di politiche familiari e autrice di L’equivoco della famiglia.

Prof.ssa Saraceno, che idea si è fatta di queste due vicende?

Si tratta di due vicende molto tristi, ma che non mi sorprendono affatto. Stiamo pur sempre parlando di forze politiche che avevano tanto insistito perché sulla carta d’identità ci fosse “madre” e “padre” (decisione di Salvini quando era ministro dell’Interno, poi ribaltata da un tribunale, n.d.r.).

La ragione addotta dalla maggioranza per queste decisioni è che in questo modo si aggirerebbe il divieto di gestazione per altri che vige in Italia.

Innanzitutto, il regolamento europeo cerca di dare una forma più completa a delle norme che esistono già, secondo le quali i rapporti familiari che sono legali in un Paese dell’Unione devono essere in qualche modo riconosciute anche negli altri Paesi europei, ricorrendo alle forme legali più vicine. Per cui, per esempio, il matrimonio tra omosessuali celebrato in Spagna, visto che noi non abbiamo il matrimonio per gli omosessuali, viene riconosciuto come unione civile in Italia. Questo per evitare che le persone che si spostano da un Paese all’altro si ritrovino prive di tutele. Ora se questo principio vale per gli adulti, dovrebbe a maggior ragione valere per i bambini.

Quali sono le conseguenze concrete di queste decisioni per i bambini?

Questi bambini di fronte alla legge italiana sono di fatto orfani di un genitore. Anzi, peggio, perché gli orfani di un genitore hanno comunque ancora tutta la relativa parentela (nonni, zii, cugini ecc.) mentre questi bambini per i quali l’altro genitore non è mai esistito davanti alla legge sono orfani di una intera parentela. E questo significa che, per esempio, se la coppia si separa il genitore legalmente riconosciuto ha tutti i diritti sul figlio, può quindi impedire all’altro genitore (che tale è di fatto, anche se la legge non lo ha riconosciuto) di continuare a vedere il bambino. Viceversa, il genitore non riconosciuto può sparire nel nulla, senza prendersi carico del mantenimento del figlio, dato che per la legge non ha nessun diritto ma neanche nessun dovere nei suoi confronti. Se il genitore riconosciuto muore, il bambino è automaticamente orfano e non solo il genitore non riconosciuto ma anche l’intera parentela (nonni, zii) sono per la legge inesistenti. E questo vale anche per quel che riguarda cose come l’eredità ecc. Queste sono le conseguenze più pesanti, poi ci sono quelle più “banali” ma che rendono complicata la vita di tutti i giorni: andare a prendere i bambini a scuola, dal medico, assisterli in ospedale, viaggiare con loro ecc.

Ma per risolvere tutti questi problemi non è sufficiente l’istituto dell’adozione del figlio del partner?

Lo sarebbe se fosse una procedura semplice e immediata, con un effetto fin dalla nascita. Un po’ come avviene nel caso in cui in una coppia eterosessuale un uomo riconosce come proprio il figlio che la compagna ha in grembo anche se non è suo. In quel caso basta che l’uomo dichiari “quel figlio è mio” affinché venga riconosciuto come padre legittimo. Nel caso dell’adozione del figlio del partner invece devono trascorrere diversi anni, l’altro genitore deve dimostrare di essere idoneo a fare il genitore, di avere un rapporto reale con il bambino ecc. Nel frattempo il tempo passa, e i figli rimangono senza tutele. Di fatto oggi questi bambini sono trattati esattamente come venivano trattati i figli cosiddetti illegittimi, che non potevano essere riconosciuti perché nati fuori dal matrimonio ed erano dunque figli di madre nubile, con tutte le conseguenze del caso.

Nei bambini nati da gestazione per altri si pone però un problema di diritto alla verità sulle proprie origini.

Ma questo non c’entra nulla con il riconoscimento dei due genitori. Si può benissimo riconoscere giuridicamente entrambi i genitori e allo stesso tempo garantire il sacrosanto diritto dei bambini a conoscere le proprie origini. Che poi è il dibattito che c’è stato in passato sull’adozione, attorno alla quale prima vigeva l’anonimato assoluto. Usare questo argomento per impedire il riconoscimento di entrambi i genitori è pretestuoso.

Certamente, comunque, la gestazione per altri pone dei problemi etici e sociali non indifferenti.

Non c’è dubbio, e sono questioni di cui varrebbe la pena discutere ampiamente nella società, possibilmente però senza anatemi e preconcetti ideologici. Per esempio, non si può negare che la gestazione per altri è una categoria sotto la quale ci sono situazioni diversissime fra loro ed è disonesto trattare situazioni diverse con i medesimi strumenti. Quello che è inaccettabile è che si conducano battaglie ideologiche sulla pelle dei bambini.

Ma, si dice, evitare il riconoscimento dell’altro genitore rappresenta un deterrente: se tu sai che in Italia non sarai riconosciuto, ci penserai due volte prima di ricorrere alla gestazione per altri all’estero.

Innanzitutto, questo effetto di deterrenza è tutto da dimostrare.
E poi se non si vuole essere ipocriti, l’unico vero “deterrente” a ricorrere alla gestazione per altri per le coppie omosessuali (maschili, perché le lesbiche in linea di massima non hanno bisogno di ricorrervi) sarebbe consentire loro l’adozione. Ma non mi pare proprio che questo sia nel programma di questo governo. Aggiungo tra l’altro che a subire gli effetti di queste disposizioni non sono solo i figli avuti con gestazione per altri (alla quale comunque, lo ricordiamo, fanno ricorso in massima parte coppie eterosessuali), ma anche i figli di coppie lesbiche nelle quali una delle due è la gestante e l’altra talvolta è la donatrice di ovuli: in questo caso sono entrambi madri biologiche, ma per la legge italiana la madre è solo quella che porta in grembo il bambino. Colei che ha donato il suo corredo genetico – che è esattamente quello che fa il padre – non viene riconosciuta. E questo perché quello che interessa non è tutelare i bambini, ma ribadire il concetto che una famiglia è fatta da una mamma e un papà

 

Parlo anch’io  .. da 14 anni ma non demordo

Dice la Costituzione Italiana all’art. 10:
10. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Dice la Costituzione e  la legge 176/1991 che è ratifica della la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo afferma:

Articolo 7

  1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha  diritto  ad un  nome, ad  acquisire una cittadinanza e, nella misura  del  possibile,  a  conoscere  i  suoi genitori ed a essere allevato da ess”Ho cominciato ad occuparmi di questo problema nel 2009 quando ho scoperto che  un articolo della legge 194 (per la cronaca l’art. 1 comma 22 lettera G) si faceva  beffa di questo principio  con un raggiro abile, ideato e imposto con voto di fiducia dall’allora Ministro dell’interno Roberto Maroni (il Ministro apparteneva alla Lega ed era il tempo del quarto governo Berlusconi) . Mentre la norma precedente (la cd legge Turco Napolitano) escludeva la presentazione del permesso di soggiorno  per la registrazione degli atti di stato civile, la nuova norma ne imponeva   la presentazione. .
    Così il principio del superiore interesse del minore veniva artatamente rovesciato e l’esistenza giuridica di un nuovo nato in Italia era subordinata alla  caratteristiche burocratiche dei suoi genitori, beffando  l’art. 3  della legge 176/1991. Per qualche anno ci siamo attivamente occupati di questo problema con l’ammirevole appoggio del gruppo NonSoChe che lo ha fatto emergere  con una rappresentazione teatrale.
    Quando sembrava che il Parlamento ne potesse finalmente discutere una parlamentare PD, con abile giravolta, lo ribaltò sulla società civile, umiliata a strumento di propaganda,  e tutto si è spento.
    Se fosse stato almeno noto sarebbe ben connesso al problema dei figli delle coppie arcobaleno  (ben chiariti nell’intervista che precede dalla sociologa Chiara Saraceno) ma coì non è stato.
    E i figli dei sans papier restano silenziati.


Link  a un ampio articolo sul medesimo argomento e all’intervista riportata sopra

Gravidanza per altri. Qualche riflessione e un po’ di domande – Transform! Italia (transform-italia.it)

“Discriminando i figli di coppie omosessuali torniamo al “figlio illegittimo”” (micromega.net)

 

 

 

29 Luglio 2023Permalink

28 luglio 2023 _ C’è famiglia e famiglia. A i componenti di questa che non c’è più è concesso un nome

Fati, Pato, Marie – Refugees in Libya
La madre si chiamava Fati Dosso (30 anni), la figlia Marie (6 anni). Sono le due persone morte abbracciate nel deserto tra Tunisia e Libia e ritratte nella foto che nei giorni scorsi ha fatto il giro del mondo. Un durissimo atto d’accusa contro il presidente Kais Saied, il responsabile delle deportazioni alla frontiera che è stato ricevuto in Italia tra domenica e lunedì dalla premier Meloni e dal capo dello Stato Mattarella. L’identità delle vittime è stata ricostruita dalla giornalista Antonella Napoli e dal collettivo Refugees in Libya. Nello scatto qui sopra c’è anche Pato, marito e padre. Di lui non si hanno più notizie.
da Il manifesto 27 Luglio 2023
Sono riuscita a riprendere questa notizia dalla Bacheca che l’amico Lino Di Gianni mi ha reso disponibile.
28 Luglio 2023Permalink

17 LUGLIO 2023 – Ieri è scomparso mons. Luigi Bettazzi, ultimo testimone del Concilio Vaticano II

 

Addio a monsignor Bettazzi, vescovo di sinistra. Era l’ultimo testimone del Concilio Vaticano II

Storia di Serena Sartini • 2 h fa

Addio a monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea ed ex presidente di Pax Christi, ultimo testimone del Concilio Vaticano II. È morto ieri mattina all’età di 99 anni. «Ha ricevuto l’Eucaristia, l’Unzione degli Infermi e la Benedizione Papale, con grande lucidità – hanno riferito dalla Diocesi – rispondendo con un filo di voce alle preghiere e manifestando una sorridente riconoscenza alle persone che gli sono state accanto».

Nato nel 1923 a Treviso, monsignor Bettazzi in gioventù si era trasferito a Bologna, città di provenienza della madre, dove era stato ordinato sacerdote nel 1946. Ha partecipato a tre sessioni del Concilio Vaticano II al termine del quale è stato ordinato vescovo di Ivrea, diocesi che ha amministrato fino al 1999. Dal 1968 è stato presidente nazionale di Pax Christi, e nel 1978 ne è diventato presidente internazionale, fino al 1985 vincendo per i suoi meriti il Premio Internazionale dell’Unesco per l’Educazione alla Pace. Ultimo testimone del Concilio Vaticano II, monsignor Bettazzi si è portato dietro l’impronta conciliare per tutta la vita: l’attenzione alle questioni sociali, al mondo del lavoro, alla politica, agli ultimi, sono state al centro del suo ministero, durante il quale (ma anche in pensione) ha assunto spesso posizioni scomode e certamente non in linea con la tradizione ecclesiastica. Diventò celebre per lo scambio di lettere col segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer, per il quale fu aspramente criticato, sulla conciliabilità o no della fede cattolica con l’ideologia marxista, o comunque con l’adesione al Partito comunista. Giudicò inaccettabile la decisione di ridurre il personale dell’Olivetti per aumentare la produttività dell’impresa e mettere in salvo i conti. Famoso anche per le sue battaglie per l’obiezione fiscale alle spese militari, nel 1992 partecipò alla marcia pacifista a Sarajevo, insieme a don Tonino Bello, nel mezzo della guerra civile in Bosnia. Altra presa di posizione fortemente criticata fu quella assunta nel 2007, quando si dichiarò a favore del riconoscimento delle unioni civili.

Il cordoglio per la sua scomparsa è arrivato dall’ex premier Romano Prodi – che lo ha definito «voce profetica che ha accompagnato la vita religiosa e civile» – e dall’attuale segretario del Pd, Elly Schlein. Per il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, mons. Bettazzi è stato «promotore di pace e di dialogo con tutti». «Il sorriso, la gentilezza, la fermezza, l’ironia, la capacità di leggere la storia e di portare il messaggio di pace sono stati i suoi tratti essenziali», conclude il presidente dei vescovi italiani. Martedì i funerali nel Duomo di Ivrea.

 

https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/addio-a-monsignor-bettazzi-vescovo-di-sinistra-era-l-ultimo-testimone-del-concilio-vaticano-ii/ar-AA1dXq6x?ocid=msedgdhp&pc=U531&cvid=cedc1b1e843d481784a191a50581de8a&ei=11

 

 

17 Luglio 2023Permalink

13 luglio 2023 – Se il Presidente del Senato al museo d’arte moderna e contemporanea a Udine …

OLTRE LA CANCELLATA

A chi entri a casa Cavazzini, Museo d’arte moderna e contemporanea di Udine, si presenta subito una grande scultura: è il modello in gesso della Cancellata principale delle Fosse Ardeatine, opera dello scultore Mirko Basaldella, realizzata fra il 1949 e il 1950 ed esposta nel 1952 alla Biennale d’arte di Venezia. Rappresenta la porta che introduce al Mausoleo delle Fosse Ardeatine, le cave di pozzolana dove il 24 marzo 1944 furono trucidati 335 fra detenuti politici (civili e militari), ebrei e semplici sospetti.
Il giorno precedente appartenenti a un gruppo di Azione Patriottica (GAP) avevano organizzato un attentato in via Rasella a Roma dove erano morti 33 militari tedeschi della Südtiroler Ordnungdienst.

Nella città ‘aperta’, da cui le massime autorità (a partire dal re) erano fuggite dopo l’armistizio dell’8 settembre, si attivò immediatamente il quartier generale in Italia del feldmaresciallo Albert Kesserling che, in contatto con il quartier generale di Hitler, stabilì dovessero essere uccisi 10 civili italiani per ogni soldato morto. Il tenente colonnello Herbert Kappler e il questore di Roma Pietro Caruso scelsero le vittime, che furono condotte alle Fosse Ardeatine da Erich Preibke e Karl Hass. Raccolte in gruppi di cinque vennero finite una ad una con un colpo alla testa.
Al termine dell’esecuzione l’entrata delle cave venne fatta esplodere. Il massacro perpetrato a 23 ore dall’attentato fu reso noto solo a esecuzione avvenuta,
A distanza di 79 anni, il 23 marzo 2023, il Presidente del Senato, seconda carica dello Stato, ha dichiarato: « Via Rasella è stata una pagina tutt’altro che nobile della resistenza, quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e non».
Sono parole che si commentano da sé, ma sarebbe opportuno che qualcuno suggerisse al sen. Ignazio Benito La Russa di recarsi al mausoleo romano, dopo essersi documentato su ciò che in quel luogo avvenne, invitandolo ad esprimersi in una maniera più consona al ruolo che pro tempore ha assunto.
Se mai entrasse, attraverserebbe la cancellata con cui un artista ha voluto dar forma a ciò che quella porta rinchiude e proietta nel tempo per chi la sappia guardare. Lo possiamo fare anche noi, anche a Udine, che custodisce quella memoria. Volendo, possiamo ricorrere anche ai libri presenti nella perfettamente organizzata Biblioteca d’arte che ha sede in Castello e, fra le tante pubblicazioni, consultare il volume dello scrittore Tito Maniacco che aiuta a comprendere, attraverso l’analisi dei lavori di Mirko Basaldella, come la cancellata delle Ardeatine sia il frutto non occasionale di una profonda elaborazione del tema della violenza della guerra e di ciò che alla guerra si lega. E proprio Tito Maniacco ci offre una notizia fulminante. Nel 1938 Mirko Basaldella fece un precipitoso ritorno in Italia per sposare la fidanzata, Serena Cagli, ebrea. Una settimana dopo quel matrimonio non sarebbe stato possibile: erano state approvate le leggi razziali.

Quindi il 24 marzo 1944  fu possibile  inserire fra i condannati a morte anche persone  scelte per  l’appartenenza  a quella che era chiamata “razza”,  identificata per essere perseguita.
Come non pensare a tutti coloro che anche oggi sopportano il peso della discriminazione nei modi diversi in cui viene agita  in tanti paesi e anche in Italia?
Mirko Basaldella   ci ha offerto, con la  rappresentazione  in forma astratta di un caso  drammatico ,  uno strumento  per leggere nell’orrore di allora i  fin troppi segnali disturbanti dell’oggi.

 

Il mio articolo nel periodico Ho un Sogno n. 272

13 Luglio 2023Permalink