17 luglio 2012 – Il cammino di Santiago 9

4 giugno, quarto giorno (a) da Pamplona (Iruña) a San Salvador de Leyre, Santa Maria di Eunate, Puente la Reina (nome basco del comune Gares)

E’ un itinerario che mi ha consentito emozioni straordinarie e rappresenta uno dei ricordi più belli di questo viaggio.
Dopo una rapida visita al monastero si San Salvador de Leyre arriviamo a Santa Maria di Eunate, chiesa circolare dall’aspetto invitante per la novità e l’armonia dell’architettura.
Ma qui devo scegliere e opto per quella che considero appunto la prima delle mie due straordinarie emozioni della giornata: il tragitto (finalmente a piedi!) fino a Puente la Reina.

Camminare nella meseta

La passeggiata si svolge, sostanzialmente piana, a circa 600 metri d’altezza.  Il vento fresco è piacevole e il sole non dà fastidio.
La strada pedonale segue l’antico percorso ed è costantemente segnalata con gli appositi simboli che ho già pubblicato il 10 luglio; in alcuni paesi la conchiglia è inserita nel selciato.
So che su tutto il percorso si trovano luoghi di accoglienza, anche molto antichi, non necessariamente turistici o commerciali. Alcuni sono tradizionalmente gestiti da confraternite (evidentemente fedeli all’antica motivazione religiosa del pellegrinaggio). Purtroppo non c’è tempo per approfondire le informazioni: già la possibilità di camminare è un regalo insperato.
L’incontro con i ‘pellegrini’ è frequente: nei saluti e nelle brevi frasi scambiate in cammino si intrecciano i linguaggi più diversi. Molti portano il simbolo della conchiglia disegnato sulla giacca o sullo zaino. Alcuni hanno la conchiglia penzolante addosso, il che mi sembra un po’ improprio dato che dovrebbero appropriarsene all’arrivo. Ma non sono un’esperta di ‘liturgie pellegrinesche’. Forse va bene così.
Mi piacerebbe chiedergli perché sono lì … penso che per molti sia un’avventura da vivere forse – o forse no- rinnovando il ricordo di avventure più antiche quando l’uscita dal proprio villaggio poteva significare una rottura completa con la vecchia vita e l’inizio di un’altra che avrebbe portato chissà dove, posto che disagi, malattie, pericoli ne consentissero il completamente del percorso (si veda il commento inserito in questo blog il 30 giugno).
Forse ad altri pellegrinaggi, diventando romei se prendevano la via di Roma o Palmieri se si dirigevano a Gerusalemme? Chissà!
E chissà cosa pensano coloro che mi si affiancano, mi salutano, mi sorpassano.

Ponte la Reina

Quttro sono le strade per Santiago che a Puente la Reina, ormai in Spagna, si riuniscono in una sola…Così inizia la “Guida del pellegrino di Santiago”, libro V del “Codex Calixtinus” (qualche notizia il 10 luglio) o meglio questa nota che ho trovano in una mia veloce ‘navigazione’.
Semplificando  i miei appunti dicono che qui si incrociano i vari cammini di Santiago, il cammino di Navarra e Aragona confluiscono in quello Francese proseguendo per Logroño.
Ho già pubblicato una mappa (29 giugno) ora ne inserisco un’altra, più semplice e schematica.

Il ponte attraversa il fiume Arga è un esempio di architettura civile romanica sul cammino di Santiago. Formato da 7 archi a tutto sesto, misura 110 metri di lunghezza. Tra gli archi se ne aprono altri più piccoli, come sfiatatoi, che alleggeriscono la struttura permettendo il passaggio dell’acqua quando la portata del fiume cresce.

Regine
Anonimamente Ponte de la Reina perché le regine cui è attribuito sono due: Doña Mayor sposa di Sancho el Mayor, Sancho il Grande (990 -1035), Re di Pamplona e conte di Aragona, e Estefania, sposa di García Sánchez III, conosciuto come García el de Nájera.
Lo scopo del ponte era quello di agevolare il flusso dei pellegrini del Cammino di Santiago che lasciavano la città dopo aver attraversato la Rúa Mayor.
Quale che fosse la regina cui è attribuito mi chiedo perché, pur senza nome, è ricordata.
Lo volle convincendo il marito, aveva denaro suo, si rifece con il pedaggio che si pagava nei luoghi chiave di ogni passaggio fino all’avvento degli stati nazionali nell’età moderna?
Ne intuiva l’importanza agli effetti economici (facilitare un affollato pellegrinaggio interessava a molti) o era spinta da motivazioni religiose? O da entrambe?
Non lo so.
Ma su quel ponte si sono concretizzate anche motivazioni mie che non lascerò perdere.

Continua – precedenti puntate 18, 21, 23, 29, 30 giugno e 4, 10, 11 luglio

17 Luglio 2012Permalink

11 luglio 2012 – Il Cammino di Santiago 8

                               

3 giugno, terzo giorno (c) da Roncisvalle (Orreaga) a Pamplona (Iruña).

Siamo partiti dal territorio del regno di Aragona, percorrendo a ritroso la via Argonese per raggiungere il valico di Somport (1660 m. circa) da cui entravano in Spagna i pellegrini del Nord, rientriamo in Spagna via Roncisvalle (altezza 1000 m. circa), incontrando il cammino della Navarra – percorso soprattutto da pellegrini francesi -ed anche la leggenda che si è intrecciata con le motivazioni religiose del pellegrinaggio.

Nel 776 Carlo Magno aveva tentato di estendere il suo potere nella penisola iberica, trovandosi fatalmente a contrastare (e ad esserne contrastato) l’espansione dei territori mussulmani.
L’impresa si concluse male (battaglia di Roncisvalle – 15 agosto 778) e i cavalieri franchi furono battuti non dai saraceni ma da montanari baschi cristiani (ariani, d’obbedienza romana o cattolici che dir si voglia, misti? Non so) ostili alla presenza di un esercito straniero nelle loro terre.
A Roncisvalle una chiesetta testimonia l’intreccio fra religiosità e racconti che si pretenderebbero storici e appartengono invece ai modi della propaganda..

La leggenda appartiene al genere letterario epico delle Chanson de geste e ci è stata trasmessa con la Chanson de Roland (o Canzone di Rolando o Orlando), scritta intorno alla seconda metà dell’XI sec., che fa parte del ciclo carolingio (Mi piace ricordare che geste in questo caso si collega al significato di stirpe e non di eventi promossi da valorosi).
Ormai in piena reconquista  (la distruzione del sistema politico creato in Spagna dai mussulmani che si concluderà nel 1492) era evidentemente necessario offrirsi un passato che giustificasse tale impegno. Probabilmente nemmeno allora bastava la motivazione religiosa, ideologicamente auto giustificatrice.
Se qui si potesse scrivere di storia, oltre i brevi appigli che offro alla mia memoria, sarebbe il caso di segnalare anche le divisioni all’interno dei regni mussulmani che ne favorirono la disgregazione, nonché la presenza di sette fanatiche anche in campo mussulmano. Voglio ricordare quella dei califfi Almohadi cui si deve la cacciata dei filosofi Maimonide (Moshe ben Maimun) e Averroé (Ibn Rush) la cui citazione mi ha richiamato un bellissimo film Il destino (1997- regista Youssef Chahine).

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano

Certamente i cavalieri potevano permettersi (se sopravvivevano agli scontri cui eventualmente avessero partecipato) soste in piacevoli castelli. Non altrettanto evidentemente i loro scudieri, servitori e quant’altri partecipassero alle battaglie come componenti del loro seguito.
Ma di questi non c’è storia a meno che non vogliamo leggerla in con una ‘scorretta’ analogia nei barconi di immigrati che oggi attraversano il Mediterraneo per il loro pellegrinaggio verso la sopravvivenza.
Dell’immagine pacifica dei dintorni dei campi di battagli abbiamo parlato in particolare con Laura Novati (accompagnatrice culturale insieme a Cardini) e ci tornerò più avanti.

Ho voluto accompagnare i versi di Ariosto (successivi al tempo cui appartiene l’evento che ha dato origine alla leggenda e anche al racconto della Chanson de geste con cui ci è stata tramandata) con una miniatura di Jean Fouquet (metà del XV secolo) che offre un’immagine idilliaca dei margini di un campo di battaglia ripresa poi anche nella poesia italiana, di cui mi limito all’incipit dell’Orlando Furioso.

Continuaprecedenti puntate 18, 21, 23, 29, 30 giugno, 4 e 10 luglio

 
11 Luglio 2012Permalink

10 luglio 2012 – Il Cammino di Santiago 7

Omissioni

Ne segnalo una (delle mie evidentemente) ed è la connessione  fra il monastero di San Juan de la Peña (San Giovanni del dirupo) e la coppa che viene chiamata Santo Graal nella presunzione che si tratti di quella usata da Gesù nell’ultima cena.

Devo dire che mentre provo un grande interesse per gli oggetti che aiutano a capire molti aspetti di un’epoca (materiali, lavoro, uso, valore …) provo irritazione per le reliquie.

Non so capire che contributo possa dare alla presenza della fede nella vita di una persona (o alla sua assenza, o al suo rifiuto) il riconoscimento della datazione e della provenienza di un oggetto (e mi turba ancor di più se di resti umani si tratta) la cui attribuzione ‘sacra’ è sempre almeno dubbia.

Quindi non dirò nulla del Graal dato che non ho registrato quanto ci è stato detto nel corso del viaggio, non ho preso appunti adeguati e i miei ricordi sarebbero inficiati dal pregiudizio. Ricordo solo che si tratta di una leggenda riportata da Chretien de Troyes (XII) secolo e che ha come protagonista Perceval (da non confondere con il Parsifal wagneriano)

Certamente anch’io nel viaggio scopro i miei significati (Cardini ha scritto: ’non si va in pellegrinaggio. Si è pellegrini’. E anch’io lo sono – certamente in questa situazione in una forma particolare dove non mi è consentito il gusto soporifero della quotidianità).

 

Ma cos’è, cosa è stato per me il cammino di Santiago?

Lo vado scoprendo un po’ alla volta in questa lenta rivisitazione e mi conforto con una citazione di Saramago da Viaggio in Portogallo
”Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione.… Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre”

 3 giugno, terzo giorno (b) da Saint Jean Pied de Port (Francia) a Roncisvalle

 

Il percorso, che ho sommariamente descritto nella precedente puntata, rappresenta una delle strade descritte nel Codex Calixtinus (alcune notizie sono reperibili anche da qui), o Liber Sancti Jacobi, un insieme di documenti manoscritti, complessivamente di 225 fogli, divisi in cinque libri, raccolti nel XII secolo.
Recentemente restaurato ed esistente in una replica esatta, un anno fa è stato rubato.
Da notizie che ho letto su La Stampa il 4 luglio sarebbe stato ritrovato.

Il prof Cardini ci parla delle modifiche al paesaggio attuate soprattutto nell’ultima fase della dittatura franchista con la creazione di envalse (invasi) o –sempre in spagnolo- pantani che hanno determinato significative modifiche climatiche..

Più volte nel fondovalle vediamo zone lacustri, ampi stagni per cui in un caso vedo segnalate anche attrezzature turistiche.
Scorgo anche tracce di antiche carbonaie: purtroppo non c’è tempo per soffermarsi su tutto questo, come mi piacerebbe.

La lingua basca (euskara) rappresenta un linguaggio isolato nel complesso iberico ma avrebbe qualche punto di contatto con linguaggi caucasici, in particolare con il georgiano.
Alcuni linguisti avrebbero fatto l’ipotesi di un’enorme area culturale e linguistica celtica al cui centro si sarebbero inseriti popoli indo europei, dividendo definitivamente le popolazioni originarie.
Tale è la mia incompetenza in materia che non voglio dire nulla oltre a questa nota confusa.
Meglio procedere con il ‘mio’ viaggio, per quanto posso capire e documentare.

L’asse attrezzato

Da Saint Jean Pied de Port ci portiamo a Roncisvalle percorrendo un tratto di una delle vie note agli antichi pellegrini francesi. Certamente nel Medio Evo le strade sono dominate dai pellegrinaggi (soprattutto dopo l’anno 1000). Questo di Santiago ha testimonianze di età carolingia che non escludono tracce di culti precedenti.
Di San Giacomo parlano infatti Eusebio di Cesarea (III sec.), S. Girolamo e Ilario di Poitiers (IV sec.), Isidoro di Siviglia (VIII sec) che ne scrive nel De ortu et obitu Patrum riferendosi ormai a San Giacomo come ‘apostolo della Spagna’.
A questo punto arriviamo all’VIII sec. e ormai la presenza dei ‘mori’ è un fatto importante – che si intreccia significativamente con il pellegrinaggio a Santiago- che rinvio alla prossima ‘puntata’.
Se oggi il Cammino si avvale di una sua particolare segnaletica; anche i pellegrini antichi trovavano lungo la strada forme di accoglienza e ristoro.

Continuaprecedenti puntate 18, 21, 23, 29, 30 giugno e 4 luglio

10 Luglio 2012Permalink

21 giugno 2012 – Il cammino di Santiago 2

Premessa. Poiché la presidente di Biblia, rivolgendosi ai partecipanti al viaggio in Spagna, ha segnalato il mio blog ripeto qualche nota che forse sarà utile 
                            a
i miei compagni di viaggio che volessero leggere diariealtro
Sarei molto lieta se aggiungeste le vostre note alle mie, approfittando dello spazio per i commenti che si trova alla fine di ogni pezzo.
Purtroppo il mio non è un sito ma un blog dove ogni testo che venga pubblicato seppellisce il precedente.
Per chi volesse seguire il percorso della mia memoria (e, spero, della vostra) senza prendere visione  di altri argomenti – di cui diariealtro si occupa da anni- identificherò le tappe del Cammino di Santiago nelle categorie Biblia, viaggi e nel tag viaggio Spagna 2012.
Al termine del diario del Cammino di Santiago (1-11 giugno) darò notizia dei i miei due giorni a Madrid.

2 giugno, secondo giorno (a) – Bilbao (in basco Bilbo)– Loyola (comune di Azpeitia)–

Si inizia con una visita veloce a Bilbao dopo una notte trascorsa in un albergo dal nome inusuale, Seminario. Penso che prima di essere albergo fosse proprio seminario. Enorme.
Ma quanti preti c’erano in Spagna?
In una piazza di Bilbao, mentre la guida ci illustra le caratteristiche della città, scopro in cima a un palazzo una grande scritta: Caja Laboral Popular. Non resisto al desiderio di fotografarla e ci riesco. Sono attratta dal richiamo al lavoro nel cui ambito molti in Europa cercano di realizzare di nuovo una dignità negata finché non mi rendo conto che Caja significa Cassa e che deve trattarsi di una specie di banca cooperativa. Poco so delle banche come istituiti finanziari in Italia e non mi azzardo oltre nel considerarne il significato in Spagna, anzi nei Paesi Baschi.
Silvano mi dice di aver scoperto (o forse è stato Francesco?) una scritta Abbasso il re.
Non l’ho vista ma la segnalo perché mi sembra la giusta risposta di chi lavora (o vorrebbe poter lavorare) a un sovrano impegnato – in un momento di crisi – a cacciare elefanti intrecciati con avventure erotico-senili. Mah!
Girando per la città scopro strutture che ero abituata a chiamare bovindo (bay window ossia finestre a golfo) finché non ho scoperto che in Alto Adige vengono chiamate ercher (trovo anche la grafia erker) e ora so che qui sono miradores. Il nome ‘miradores’ mi richiama gli spazi delle deliziose finestre che ho conosciuto in Palestina dove ci si può sedere su comodi davanzali trasformati in divanetti, per guardare ciò che accade all’esterno. Sembra che il desiderio di case luminose e nello stesso tempo protette dalla riservatezza sia stato comune a molti popoli.
Niente da dire sulla seconda tappa, Loyola, che propone la radicale modifica nella vita di Sant’Ignazio, fondatore della compagnia di Gesù. Mi riesce difficile collocare Loyola (che risale a un evento del XVI secolo) nel percorso di quella straordinaria avventura medievale che fu – e che ancora è- il pellegrinaggio a Santiago.
Scaccio dalla mente i frammenti di notizie che ancora vi si trovano relative alle Reducciones dell’America latina e penso Matteo Ricci, il gesuita mandarino che nulla ha a che fare con la presentazione retorica e un po’ melensa che l’edificio dove nacque Ignazio offre. In ogni caso mi sembra che il Sant’Ignazio che viene proposto a Loyola poco dica della complessità, delle contraddizioni, del bene e del male della Compagnia di Gesù.
E al di là della ovvia segnalazione del gesuita card Martini mi viene in mente  padre Dall’Oglio e il suo straordinario monastero di Mar Musa (Siria) che resta uno dei ricordi più alti di un mio viaggio in Siria di qualche anno fa. Non solo aveva curato il restauro dello splendido antico edificio ma ne aveva rinnovato il significato di luogo d’incontro delle popolazioni della zona creando uno spazio vivo  per il dialogo intereligioso. Pochi giorni fa p. Dall’Oglio è stato espulso dalla Siria pare in seguito a un appello da lui rivolto a Kofi Annan in occasione della sua visita nel paese.
Chi volesse saperne di più può navigare su internet usando il nome di Dall’Oglio e del suo monastero. Si trova anche la lettera aperta a Kofi Annan.        A fianco: Deir mar Musa

La presidente di Biblia manda un messaggio al pullman uno

Agnese, che viaggia sul pullman 2, ci regala un testo di Miguel de Unamuno che trascrivo.
Per me, che spesso mi sentirò soffocare dalla sacralità pesante delle immagini dorate, è un momento di respiro, come il ricordo di padre dall’Oglio. Ci sono situazioni in cui per dure che siano le scelte di libertà danno la sensazione della leggerezza e l’espressione del dubbio rassicura.

“LA PREGHIERA DI UN ATEO” [Bilbao, 2 giugno 2012]

Ascolta il mio pregare Tu, Dio che non esisti,
raccogli nel tuo nulla queste mie doglianze.
Tu che ai poveri uomini nulla consenti
senza consolazione di inganno. Non resisti
alla nostra supplica e di nostra brama ti adorni.
Quando più dalla mia mente ti allontani
più ricordo i placidi racconti
con cui mi addolcì le tristi notti l’amor mio.
Quanto sei grande mio Dio! Sei tanto grande
che non sei neppure Idea, e molto angusta
è la realtà per quanto a contenerti
la si espanda. Io soffro nel tuo costato
Dio inesistente, poiché se Tu esistessi
davvero esisterei pur io.

                                   Miguel de Unamuno y Jugo

Continua – precedente puntata 18 giugno

21 Giugno 2012Permalink

18 Giugno 2012 – Il cammino di Santiago 1

Proverò a descrive il viaggio promosso da Biblia (www.biblia.org) dove avranno uno spazio privilegiato le mie considerazioni: anche se in gruppo il viaggio l’ho fatto io e se non c’è viaggio che non sia un percorso, non c’è un percorso che non costringa a leggersi dentro, facilitati dagli stimoli che vengono dalle novità che si incontrano. Se poi i miei simpatici compagni di viaggio vorranno approfittare dello spazio dei commenti … il discorso sarà più completo e intrigante.
Distribuiti in due pullman eravamo ottantatré e sono certa che altrettanti sono i nostri viaggi.

1 giugno, primo giorno – arrivo a Bilbao – il museo Guggenheim

Purtroppo il tempo limitato, intrecciato con la perversità degli orari spagnoli che ci vorrebbe fermi fino alle dieci del mattino per iniziare le visite, ci impone una corsa serale dall’aeroporto a uno spazio che meriterebbe ben di più. Bilbao mi ha affascinato, forse per me è il ricordo più coinvolgente.
Non proporrò descrizioni del museo (in viaggio ci è stato fornito un libretto edito da Biblia, integrazione delle guide che –sfidando i limiti di peso concessi in aereo- avevamo portato con noi) e inoltre le informazioni fornite dai motori di ricerca sono ampie (purtroppo in buona parte in inglese ma se ne trovano anche in italiano. E’ sufficiente scrivere Guggenheim museum Bilbao e procedere fra i materiali che ci vengono offerti).
Per chi sia sul posto la prima fantastica offerta è l’edificio stesso, integrato in maniera che mi affascina con il territorio in cui è collocato. Ci propone materiali inusuali (il titanio) e soprattutto forme diverse da quelle ovvie; le disparità del territorio non sono appiattite secondo l’uniformità che vuole i palazzi emergenti ma ‘rispettate’ per cui -ad esempio- nel museo si entra scendendo e non salendo .

Attorno al museo

Bilbao è una grossa città (400.000 abitanti) e, come in tutta Europa, ha risentito delle modifiche del mercato del lavoro e dei conseguenti cambiamenti nella produzione (o è l’inverso?).
La zona in cui sorge il museo era un’area industriale abbandonata e perciò degradata (se non mi bastassero quelle di Udine … ricordo il lunghissimo tragitto compiuto fra abbandono e degrado in Armenia, una delle situazioni che, da questo punto di vista, mi ha più impressionato).
La costruzione del museo è frutto di una intelligente e lungimirante scelta dell’amministrazione locale (Giancarla C., con cui spesso mi capita di ritrovarmi in non previamente concordata sintonia, ce lo ha ricordato più volte)

che ha voluto la ristrutturazione di tutta l’area. Oggi canali, strade, edifici, alcuni dei quali caratterizzati da ‘gigantismo’, circondano la splendida piazza che affianca il museo .
Dal selciato, nella zona più bassa, si alzano schizzi d’acqua che vanno e vengono per la gioia di bambine e bambini, ma anche adolescenti che, più o meno vestiti, si impegnano nell’eterno gioco dell’acqua. Strillano e nessuno protesta. Mi vengono in mente gli anziani che dalle mie parti usano il mugugno – lamentoso o astioso che sia – come il più normale mezzo di comunicazione. Più in là vedo un papà che gioca a palla con un figlio piccolissimo. C’è gente che va e viene … non sembra avere, almeno per il momento, altro scopo che quello di star bene in compagnia. Trasmettono una gioia coinvolgente, del tutto estranea alle volgarità che in Italia ci sono state propinate dall’alto. Ho l’impressione di trovarmi dentro un’illustrazione un po’ didattica della decrescita felice di Latouche.
Eppure sono nella ‘capitale’ dei Paesi Baschi (la terra dell’ETA –Euskadi Ta Askatasuna, in basco.  Tradotto fa ‘paese basco e libertà’). L’ultimo giorno della coda del mio viaggio spagnolo a Madrid  tenterò una visita al monumento delle vittime di Atocha (non ci riuscirò: gli orari spagnoli!).  Non posso e non devo dimenticare gli attentati ma devo constatare che c’è molto altro.
In particolare mi colpisce la gioia di vivere che ritrovo persino nella pomposa Madrid nei giorni del codicillo aggiunto al mio Biblia viaggio in un campetto per il gioco delle bocce  non lontano dal monumento a Cervantes.

 

 

 

Il mio pellegrinaggio

Ricordo a me stessa che partecipo a un viaggio che ripercorre l’itinerario dello storico pellegrinaggio a Santiago di Compostela. Che senso ha per me che cerco di capire mentre mi si propone prepotente alla mente la penna dell’agnolo Gabriello immortalata da Boccaccio? Certamente è importante rivisitare l’avventura medievale (e ne avremo occasione!) ma al presente, oggi, cosa mi dice?
La chiave della mia ricerca sta proprio in quel ‘presente’, nel tentativo di identificare su una strada antica quei segni dei tempi che un papa indimenticabile citò nella Pacem in terris e che ritroviamo anche nei testi del Vaticano II (e perché – a questo punto – mi vengono in mente il degrado e la rinascita di Bilbao?).

Nota  Fare clic sopra l’immagine per ingrandirla.

18 Giugno 2012Permalink

16 giugno 2012 – Nuovo Corso 6

 2 giugno – festa della  Repubblica. (nota mia: rileggere l’art. 11 della Costituzione)
 3 giugno 1963  – morte del papa Giovanni XXIII
 4 giugno 1989  – strage di piazza Tien An Men
 7 giugno 1989 –  la città del Vaticano diventa uno stato sovrano
 8 giugno 570 – alla Mecca nasce l’Islam
10 giugno 1924 – assassinio di Giacomo Matteotti
10 giugno 1940 – Mussolini annuncia l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale
                                 (iniziata il primo settembre 1939 con l’invasione della Polonia)
12 giugno 1964– Nelson Mandela è viene condannato all’ergastolo
17 giugno 1991 – fine dell’apartheid in Sudafrica
19 giugno 1945 –nascita di Aug San Suu Kyi
22 giugno 1633 – Galileo Galilei è costretto all’abiura
23 giugno 1858 – papa Pio IX fa rapire il bambino ebreo Edgardo Mortara
25 giugno 1946 – inizio dei lavori dell’Assemblea Costituente
26 giugno 1967 – morte di don Lorenza Milani a Firenze
27 giugno 1980 – strage di Ustica
28 giugno 1919 – trattato di Versailles – fine della prima guerra mondiale
29 giugno 1934 – Germania – notte dei lunghi coltelli
30 giugno 2005 – il parlamento spagnolo ammette i matrimoni gay

Ai miei compagni di viaggio in Spagna

Quanto prima inizierò il mio diario di viaggio (1-11 giugno, cui aggiungerò i miei due giorni a Madrid).
Sarei molto lieta se aggiungeste le vostre note alle mie, approfittando dello spazio per i commenti che si trova alla fine di ogni pezzo pubblicato.
Inserirò il percorso della mia memoria (e, spero, della vostra) nelle categorie Biblia, viaggi e nel tag viaggio Spagna 2012.

16 Giugno 2012Permalink

24 giugno 2009 – 5. Diario di viaggio, Iran 2009. Due interviste a Shirin Ebadi e un articolo del premio Nobel.

5 – Documentazione e un po’ di terminologia
Gli articoli che trascrivo più avanti riguardano tutti donne e in buona parte sono opera del premio Nobel Shirin Ebadi.

Intendo la mia scelta di privilegiare l’informazione al femminile, come un piccolissimo omaggio a Neda, vittima simbolo di questo giugno iraniano.
Traggo le prime due interviste dal Numero 861 del 24 giugno 2009
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO – e-mail: nbawac@tin.it
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo –

 IRAN. FRANCESCA CAFERRI INTERVISTA SHIRIN EBADI
Dal quotidiano “La Repubblica” del 23 giugno 2009 col titolo “”In Iran censura e violenza: chiedo l’aiuto dell’Europa”

Avrebbe voluto tornare in Iran, ma i suoi amici l’hanno fermata. Da dieci giorni Shirin Ebadi è in Europa. Gli occhi sono fissi a Teheran, dove la premio Nobel si ripromette di rientrare fra pochi giorni, ma la scelta, per ora, è quella di rimanere lontana da casa, dove rischia l’arresto, per far sentire al mondo la voce dei riformisti iraniani. “Sono più utile fuori dal Paese che all’interno, dove regna la censura”, spiega. La settimana scorsa la Ebadi è andata alle Nazioni Unite di Ginevra per chiedere che le elezioni siano annullate. Ieri ha ripetuto questo messaggio all’Alto rappresentante per la politica estera della Ue Javier Solana: nelle prossime ore lo ribadirà al Parlamento europeo.
Francesca Caferri: Signora Ebadi, la tensione nel suo Paese è altissima. Si aspettava quello che è successo quando è partita, il giorno delle elezioni?
Shirin Ebadi: No. Tutti si aspettavano che avrebbe vinto Moussavi. Era un’opinione condivisa. Poi ci sono stati quei risultati e le persone hanno cominciato a chiedersi dove fossero finiti i loro voti. Ed è esplosa la rabbia: non sono stati solo gli annunci sui falsi risultati che hanno fatto infuriare la gente. Ma soprattutto le premature congratulazioni della Guida suprema Khamenei ad Ahmadinejad. Nessuno poteva aspettarsi che le leggi venissero violate in questa maniera. Nè tantomeno questo comportamento verso il popolo.
Francesca Caferri: Quindi lei pensa che ci siano stati brogli nei risultati…
Shirin Ebadi: Gli oppositori di Ahmadinejad e le persone che dimostrano in piazza lo pensano. Giustamente, ritengo. I raid dei poliziotti dopo il voto, quando sono stati attaccati i dormitori degli studenti universitari e molte persone sono state arrestate, rendono questa ipotesi più credibile. Ma a questo punto il fatto più importante non sono più i brogli ma la maniera in cui sono state trattate le persone che partecipavano alle proteste. La gente che manifesta pacificamente non merita di ricevere pallottole come risposta. Nessuno immaginava che il governo fosse così crudele e violento.
Sono state aggredite persone indifese: la Costituzione iraniana dice che le manifestazioni e i raduni pacifici devono essere consentiti. Questo non è stato rispettato. Tutto il mondo ha visto quanto pacifiche fossero le manifestazioni del popolo iraniano e quanto violenta la risposta.
Francesca Caferri: Da fuori questa appare soprattutto come una rivolta di giovani e di donne: la sorprende?
Shirin Ebadi: No. Sia i giovani che le donne negli ultimi anni hanno sofferto per la diseguaglianza, che comunque ha toccato tutta la popolazione. Volevano più libertà, non erano soddisfatti, volevano cambiare. Pensavano, come tanta gente, che i riformisti avrebbero vinto. Sarebbe andata così se non ci fossero stati i brogli che hanno portato alla vittoria di Ahmadinejad. Di fronte a questo il popolo iraniano ha chiesto di annullare le elezioni: e non si fermerà fino quando questo non succederà.
Francesca Caferri: Anche se questo significherà più violenza?
Shirin Ebadi: Le persone che sono a favore delle riforme non ricorrono alla violenza. Non è nel loro modo di comportarsi. La violenza è venuta dalla parte della polizia e del governo. Le proteste continueranno, la gente non userà la violenza, così come non l’ha usata fino a questo momento: in questa maniera otterrà i risultati che vuole.

IRAN. FRANCESCA DONNER INTERVISTA RIYA HAKAKIAN
[da Notizie Minime della nonviolenza in cammino….
Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per averci messo a disposizione la seguente intervista nella sua traduzione]

Roya Hakakian, giornalista nata a Teheran, è l’autrice di numerose raccolte di poesie e del romanzo autobiografico Viaggio dalla Terra del No. Poiché ha lasciato l’Iran nel 1984 all’età di 18 anni non le è mai stato permesso di tornare nel proprio paese.
*
Francesca Donner: Qual è stata la tua prima reazione nel vedere donne fra i dimostranti nelle strade dell’Iran?
Roya Hakakian: La presenza delle donne non è affatto una sorpresa per me.
Sono decenni che l’Iran ha un vigoroso movimento femminista. Negli ultimi anni ’90 la nuova generazione si è fatta avanti, e nei primi anni del 2000 le donne si sono organizzate ed unite in modi che non avevano più sperimentato sin dalla rivoluzione del 1979. La cosa è cominciata con il movimento raccoltosi attorno alla petizione per porre fine alle condanne a morte delle donne per lapidazione, e si è espansa sino a divenire la campagna “Un milione di firme”. Perciò, quel che ho visto è esattamente quel che mi aspettavo.
Francesca Donner: Che rischi stanno correndo i dimostranti?
Roya Hakakian: Enormi. Solo guardando le fotografie e i video ti accorgi che il regime sta usando delle tattiche particolari: agenti travestiti armati di lame circolano tra la folla e aggrediscono i dimostranti dall’interno mentre questi si sentono relativamente al sicuro, convinti di essere circondati da persone che la pensano come loro. Non è lontanamente paragonabile alla situazione del 1978-1979, quando lo Scià venne rovesciato. Sebbene io fossi molto giovane, ero conscia della nettezza del confronto: la gente sapeva chi stava fronteggiando, c’era una chiara contrapposizione tra le guardie ed i soldati dello Scià e il resto del popolo. I confini erano chiari, allora, ma il presente regime non agisce così. Alcuni giornalisti hanno notato l’uso di polizia che non parla persiano. Poiché il regime teme che la lealtà dei poliziotti possa andare altrove, ha importato truppe per il controllo della folla da altri paesi arabi, di modo che i dimostranti non possano comunicare con loro. Gli iraniani parlano persiano, gli arabi parlano arabo, e ciò rende difficile comunicare e far passare la polizia dall’altra parte. Credo che a questo punto al regime non importi più chi ha di fronte, se donne o uomini, giovani o vecchi. L’unica misura che può garantire un certo grado di sicurezza è il numero delle persone che scendono in strada. Negli scorsi 15 anni, non abbiamo mai avuto manifestazioni da un milione di persone. Negli ultimi giorni più di un milione di persone hanno marciato per le strade di Teheran. La gente dev’essere talmente disgustata da essere pronta a pagare il prezzo che la protesta richiede.
Francesca Donner: È un momento di cambiamento per le donne?
Roya Hakakian: Si’. Il movimento femminista, che non è mai scomparso in Iran, si è unito ad altri movimenti contrari al regime. Ciò era accaduto in Iran anche alla fine degli anni ’70, ma purtroppo ebbe un effetto terribile sul movimento delle donne. Le donne in qualche modo si convinsero che le restrizioni alla loro libertà non erano poi così importanti, che dovevano fare sacrifici per il bene comune, così lo Scià se ne andò, e arrivarono i veli. Questa generazione di femministe è molto più avvisata al proposito. E i movimenti sociali sono molto più favorevoli alle cause delle donne di quanto lo fossero negli anni ’70. Trent’anni più tardi, gli uomini iraniani hanno compreso che il loro destino è legato a quello delle donne iraniane: se le donne stanno meglio, gli uomini staranno meglio anche loro.
Francesca Donner: La moglie di Mousavi, Zahra Rahnavard, rappresenta in qualche modo il volto nuovo delle donne in Iran?
Roya Hakakian: La sua presenza sulla scena politica è una manifestazione della forza del movimento femminista. È stata una strategia intelligente che lei fosse visibile. Mousavi voleva appellarsi alle donne, che costituiscono un grosso blocco elettorale, sono tenaci e sanno come organizzarsi. Così Mousavi, più che a chiunque altro, ha parlato al
movimento femminista.
Francesca Donner: Che ruolo giocano internet e la moderna tecnologia nell’aiutare le iraniane a portare il loro messaggio all’esterno?
Roya Hakakian: Penso un ruolo enorme. Io ho una pagina su Facebook dove centinaia di persone sono diventate mie amiche dall’Iran. È gente che non ho mai visto o conosciuto. Postano fotografie, videoclips, notizie. Non ho avuto bisogno di guardare nessun telegiornale, guardo il telegiornale solo per misurare la differenza di tempo fra la velocità dei network sociali e la lentezza delle televisioni nel riportare le notizie.
Francesca Donner: Cos’hai saputo negli ultimi anni della situazione delle donne in Iran? Le loro vite sono cambiate o no?
Roya Hakakian: Le situazioni variano. La vita può essere molto differente per una donna che abiti in una grande città o in un remoto villaggio. C’è stata però una grande metamorfosi dal 1979, quando il regime cominciò ad erodere e cancellare i diritti delle donne che sotto lo Scià il movimento femminista era persino riuscito ad estendere. Il regime teocratico ha adottato un approccio molto “macho”, e ha visto come una priorità assoluta lo spingere indietro le donne. Ha istituito i codici di abbigliamento ed ha chiuso importanti campi accademici alle donne, come la legge e l’ingegneria.
Non aveva messo in conto l’enorme contrattacco che ne sarebbe scaturito, e non solo da donne che avevano goduto delle loro libertà. Le sfide sono venute al regime anche dall’interno, dalle “loro” donne, che hanno detto: “Siamo musulmane, abbiamo il velo in testa e vogliamo partecipare. Continuate a ripeterci che siamo fratelli e sorelle, perciò, fintanto che siamo devote, dovete garantirci pari opportunità”. Il regime aveva promosso e incoraggiato le donne “devote”, e spesso erano donne che non avevano mai pensato a se stesse fuori dalla cucina, perciò esse si sono sentite legittimate a protestare. È stato un risvolto a cui gli uomini non avevano pensato. Queste donne hanno contribuito a coltivare un’intera generazione che in precedenza non era politicamente attiva.
Francesca Donner: A questo punto, qual è la tua più grande speranza per le donne iraniane?
Roya Hakakian: Che ottengano una più vasta solidarietà e che si dedichino con forza alla causa femminista. Molto di quel che vediamo in questo stesso momento, quello che percepiamo come un grande movimento sociale contro i brogli elettorali, viene in realtà dall’enorme ammontare di attività svolte nel corso degli anni dal movimento femminista. Le donne sono quelle che hanno messo insieme le infrastrutture, che hanno pianificato ed organizzato le manifestazioni, e sanno come farlo bene. Il movimento odierno deve moltissimo della sua esistenza a quello delle donne, ed alle infrastrutture che le donne hanno costruito.
Francesca Donner: Cosa possono fare le persone che in tutto il mondo vorrebbero mostrare il loro sostegno all’eguaglianza delle donne in Iran?
Roya Hakakian: Si potrebbe cominciare una campagna portando nastri o distintivi. Ma soprattutto dobbiamo tenere in mente questo: siamo tutti molto più connessi, come esseri umani, di quanto lo siamo mai stati. I nostri destini sono legati insieme, interdipendenti.

Riporto ora un articolo, sempre di Shirin Ebadi, tratto -Giovedì 12 Febbraio,2009 – dal sito ildialogo.org
LA DONNA E IL DIVORZIO IN IRAN di Javad Daneshpour

Le donne iraniane sono costrette a convivere con una situazione paradossale. Da un lato hanno conquistato ampi spazi nella società (più del 65% degli iscritti all’università’ sono donne e molte di loro ricoprono posti di rilievo a livello professionale) e dall’altro devono ancora lottare per affermare i propri diritti in una società intrisa di una tradizione e di una religione interpretate in modo maschilista. Il movimento femminile iraniano resta, tuttavia, molto combattivo, al di là dei molti ostacoli legali e istituzionali, delle minacce e degli arresti. L’iniziativa più rilevante è stata la Campagna di un milione di firme per cambiare le leggi discriminatorie per le donne in Iran, dichiarata vincitrice del Premio Simone de Beauvoir 2009, un premio destinato al personaggio femminile più meritevole nel campo della lotta contro le discriminazioni e per la libertà della donna.

Questo articolo, scritto da Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003, è apparso sul quotidiano Rooz on line, il 6 febbraio 2009, e tratta di una nuova norma che riduce ulteriormente i diritti già limitati delle donne iraniane.

OGNUNO INFORMI ALTRE CINQUE PERSONE
La protesta delle donne iraniane al disegno di legge intitolato “Diritto di Famiglia” e il parziale smacco dei conservatori nell’imporre loro ulteriori maggiori limitazioni con il matrimonio ha indotto i difensori delle leggi misogine a escogitare un nuovo espediente. Questo espediente consiste nel cercare di “ingannare legalmente” le donne, al momento della stipula del contratto di matrimonio, grazie a una piccola ma determinante variante al contratto stesso. Ciò è reso possibile grazie alla sostituzione di un termine arabo, ‘end ol motaleba, con un altro termine anch’esso arabo, ‘end ol esteta, in un contesto dove, probabilmente, la maggior parte delle donne non solo non si accorge di questa modifica, ma anche nel caso in cui se ne accorgesse, non si renderebbe conto delle gravi ripercussioni giuridiche del nuovo termine, di cui, probabilmente, molte di loro ignorano perfino il significato.
Bisogna chiarire che, in Iran, da circa settanta anni, nel contratto di matrimonio, veniva fissato il mehrieh, che la moglie poteva esigere ‘end ol motaleba, vale a dire in qualsiasi momento avesse voluto reclamarlo, anche subito dopo il matrimonio, e che il marito aveva l’obbligo di onorare. L’aggiunta di questa clausola e la sottoscrizione del contratto erano molto importanti poiché, in caso di fallimento del matrimonio, offriva alla donna una possibilità – anche se minima – di mettere fine alla vita coniugale.
È noto che in Iran, la legge riconosce all’uomo il diritto al divorzio, mentre la donna può avvalersi di questo diritto solo se può dimostrare che il marito è violento o è affetto da gravi problemi psichici o fisici. L’iter è talmente impervio che molte donne, che vorrebbero mettere fine alla vita coniugale, si trovano costrette, loro malgrado, a portare avanti per lunghi anni e, a volte, per tutta la vita, una difficile convivenza matrimoniale. In queste circostanze segregazioniste, l’unica via di uscita per affrancarsi da una tale situazione era esigere il mehrieh, in altri termini la donna considerando il mehrieh qualcosa di ‘end ol motalebe (comunque esigibile) nel contratto di matrimonio, poteva rivolgersi al tribunale e nel caso in cui il marito non fosse stato in grado di onorare la richiesta, in cambio della rinuncia al mehrieh poteva convincere o costringere il marito al divorzio (la famosa frase: “Rinuncio al mehrieh e mi salvo la vita.”). Comunque neppure questa via si rivelava per molte donne, reticenti per vari motivi a citare il marito in giudizio per esigere il mehrieh, una soluzione per affrancarsi da una vita grama. Restava, tuttavia, per una buona parte di quelle donne, che erano scontente della vita coniugale e non avevano diritto di chiedere il divorzio, l’unica via percorribile. In breve, il mehryeh, essendo ‘end ol motaleba, restava l’unico strumento per le donne private del diritto al divorzio.
La recente modifica al contratto di matrimonio toglie, purtroppo, anche questa minima possibilità. Nei nuovi contratti di matrimonio, dopo l’indicazione del mehryeh, viene stabilito che il mehryeh deve essere soddisfatto ‘end ol esteta (in luongo di ‘end ol motaleba). Questo vuol dire che il marito, contrariamente a prima, quando era tenuto a onorare il mehrieh “nel momento in cui la moglie lo esigeva”, ora è tenuto a onorarlo “nel momento in cui ha la possibilità di farlo”. In altri termini, qualora una donna non tolleri più suo marito e intenda porre fine alla vita coniugale, non solo non avrà diritto al divorzio, ma, rivolgendosi al tribunale per esigere il mehrieh, non avrà neppure la possibilità di divorziare dal marito, giacché il marito potrà dichiarare in tribunale di essere nell’impossibilità di onorare il mehrieh. Questo provvedimento, in un momento in cui i diversi strati sociali si trovano in difficoltà economiche e molti uomini, per diverse motivazioni, possono sostenere o dimostrare di essere nell’impossibiltà di onorare il mehrieh, offre il destro a quegli uomini dispotici che vogliono costringere le mogli impotenti a non mettere fine alla vita coniugale.
L’irrigidimento della legge in materia di matrimonio per le donne, come è stato esposto, significa, forse, che, a seguito delle modifiche apportate ad hoc nel contratto di matrimonio, le donne iraniane non avranno più la possibilità di usare la leva del mehrieh per ottenere il divorzio?
Bisogna precisare che questo diritto vige ancora, anche se con più difficoltà rispetto a prima. Tuttavia, perfino nella nuova situazione, le donne potrebbero impedire di vedere calpestata la loro minima possibilità di divorziare purché accorte e irremovibili sui loro diritti. Per fare ciò, è necessario che le donne, al momento della stipula del contratto di matrimonio, pretendano che venga aggiunta allo stesso contratto una frase scritta a mano, che imponga che il mehrieh debba essere esigibile ‘end ol motalebe. L’aggiunta di questa formula, firmata da entrambi i coniugi prima del matrimonio, dà la possibilità alla donna, nel caso in cui intenda mettere fine alla vita coniugale, di poter esigere il mehrieh in aula di tribunale. In questo modo, nel caso in cui il marito fosse impossibilitato a onorarlo, la donna, potrebbe divorziare dal marito, in cambio di rinuncia.
Questa soluzione, in ogni caso, ha bisogno della fermezza delle donne, nel momento del matrimonio, per convincere il futuro marito a sottoscrivere questa clausola che non sarà sempre facile e possibile. Ma, sicuramente, in molti casi, le donne, al momento del matrimonio, quando non ci sono ancora contrasti tra i coniugi e non c’è ancora un matrimonio, che le neghi il diritto al divorzio, possono mantenere un minimo di diritto, ricorrendo a questo sistema.
Qui emerge una domanda importante: qual è la percentuale delle donne a conoscenza di questa piccola modifica apportata al contratto di matrimonio e delle conseguenze che questa comporta? Logicamente questa percentuale non è molto alta.
Sembra, dunque, necessario che, a parte le attività, a lungo termine, dei militanti dei diritti della donna che cercano di contrastare le leggi e le regole segregazioniste in scala macroscopica, ogni donna (e sicuramente ogni uomo egualitario) si attivi per informare altri sulle nuove condizioni imposte alla donna, al momento del matrimonio, e i metodi per contrastare le nuove imposizioni.
A questo proposito, esorto ogni persona che legga questo articolo a farlo conoscere a cinque donne tra parenti e conoscenti. Ognuno di noi, tenti di chiarire ad almeno cinque donne iraniane quali varianti siano state apportate nei nuovi contratti di matrimonio, quali possano essere le conseguenze per la donna e come si possano contrastare gli effetti.
Questo è il minimo che possono fare, quanti diano importanza al destino delle proprie figlie e sorelle di fronte ai nemici incalliti della parità dei diritti tra donne e uomini.
Shirin Ebadi (traduzione dal persiano di Javad Daneshpour)

24 Giugno 2009Permalink

23 giugno 2009 – 4. Diario di viaggio, Iran 2009.

4 – Il secondo messaggio del presidente dell’IID

Concludendo la prima puntata del diario avevo scritto “E quanto costerà a un popolo gentile la scelta della democrazia?” Purtroppo sta costando un prezzo altissimo e tragico.
Per questo continuo a tradurre – e ringrazio ancora Laura NB per la revisione della traduzione – i messaggi ricevuti dal presidente dell’Istituto per il dialogo interreligioso.
Il 17 giugno ne ho pubblicato il primo, oggi passo al secondo che forse non mi sembrerebbe così significativo se non precedesse le elezioni e la successiva rivolta.
Cerco di spiegarmi il linguaggio pieno di riserve e l’atteggiamento poco disinvolto di Mohammad Ali Abtahi ricordando le regole ristrettissime che in Iran controllano (e condannano) qualsiasi contatto fra uomini e donne al di fuori dell’ambito familiare. Inoltre chiunque si candidi alle elezioni deve avere il parere favorevole del Consiglio degli Ayatollah e quindi, quale che ne sia la posizione nei confronti di quella cultura, non può ostentarvi una totale estraneità.
Forse quanto scrive può essere un indizio per immaginare diversificazioni anche fra i potenti teologi iraniani che, se l’ipotesi ha un senso, verrebbero messi in discussione dalla presenza delle donne.
Il 17 scorso avevo pubblicato la notizia dell’arresto di Mohammad Ali Abtahi, ‘ex stretto collaboratore del presidente riformista Mohammad Khatami’. Non so se oggi sia ancora in prigione. L’ultimo scritto del suo blog risale al 13 giugno.

31 maggio – Ieri sera il signor Karobi e io siamo andati in una sala a vedere un filmato sulle richieste delle donne, girato dalla signora Rakhshan Bani Etemad. Lei intende mostrare il filmato ai candidati alle elezioni presidenziali per conoscere le loro opinioni.
Era una gradevole pellicola. Molte donne attive in ambito sociale dichiaravano i loro punti di vista. In questa pellicola attiviste politiche provenienti da vari gruppi sia fondamentalisti che riformisti, sia laici che tradizionalisti raccoglievano e proponevano le loro opinioni..
Un grande passo per le donne, sebbene la loro maturità non sia avvertita da molti uomini.
Ci presentarono una lista di richieste delle donne.
Il signot Rezaii aveva accompagnato sua moglie e si pensava che il sig. Mossavi venisse con la sua in seguito. La signora Kadivar, collega del sig. Karobi, non era presente e sua moglie era in viaggio così egli mi chiese di accompagnarlo. Accettai per sottolineare l’importanza dell’impegno delle donne nel costruire una società migliore in Iran. La maggior parte delle loro richieste riguardavano i problemi economici delle donne, la condizione delle donne sole, la loro indipendenza economica, discussioni legali e la presenza delle donne al congresso e anche agli alti livelli esecutivi.
La mia prima considerazione fu che le richieste delle donne per le prossime elezioni erano molto ampie e importanti . Credo che gli sforzi fatti negli ultimi anni e le enormi sofferenze che hanno conosciuto anche con la loro resistenza provino le loro ragioni. Le ideologie patriarcali del governo possono essere un altro motivo per la crescita del movimento delle donne.
Altri fattori che sono conseguenza della attuale, spiacevole situazione sociale delle donne sono i limiti di genere imposti nei corsi universitari, gli insulti alle donne in pubblico con il pretesto di doverle guidare, la mancanza di fiducia nelle loro capacità direzionali e le irragionevoli pressioni religiose che sono connesse a credenze pietrificate.
Durante la tavola rotonda chiesi al signor Karobi di considerare le richieste delle donne che la sig Bani Etemad aveva raccolto nel filmato come base dei suoi progetti per i quattro anni di presidenza invece di cominciare uno studio sui problemi delle donne per una futura progettazione..
Durante l’intervista il signor Karobi prese positivi impegni, che io non riferisco perché sono protetti dai diritti d’autore della signora Bani Etemad.

23 Giugno 2009Permalink

17 giugno 2009 – 3. Diario di viaggio, Iran 2009

3 – 6 aprile. Teheran. Istituto per il dialogo interreligioso.
Visita all ’INSTITUTE FOR INTERRELIGIOUS DIALOGUE  (IID)

NOTA successiva: Oggi, 17 giugno, il sito web dell’Istituto è raggiungibile.
L’ultima nota pubblicata dal magazine del I.I.D. risale al tre maggio ed è il messaggio dell’I.I.D, in occasione della giornata mondiale per la libertà di stampa e, fra le altre notizie (posso evidentemente controllare solo l’edizione inglese, non quella farsi) c’è anche quella dell’incontro con il gruppo di Confronti.
La nota che riporto è tratta dalla maggior parte dalla registrazione che Gianni N. mi ha gentilmente trasmesso, senza ignorare i miei appunti.
La donna che ci accoglie, e che appare nella mia fotografia, è Fahimeh Mousavi Nejad, responsabile editoriale della pubblicazione on line bimensile del “Religious News”.
Una collaboratrice dell’istituto ha svolto la funzione d’interprete dal persiano all’italiano.

 Fahimeh Mousavi Nejad (non so se si tratti di un’omonimia o se Mirhossein Mousavi, l’attuale oppositore di Ahmadi Nejad, sia parente della signora) ci presenta il suo istituto completamente indipendente, fondato otto anni fa. Alle pareti non ci sono i ritratti degli ayatollah Khomeini e Khamenei.

  La signora ci ricorda che in Iran il 98% della popolazione è musulmana e che prima dello sviluppo dei moderni mezzi di comunicazione la maggior parte non aveva neppure l’idea che esistessero tante altre religioni, anche nell’Iran stesso.
Oggi l’I.I.D. si propone di costruire un ponte tra musulmani e fedeli di altre fedi religiose all’interno dell’Iran ed all’estero.
“Siamo dei pionieri in quest’attività. – dice- e, pur essendo relativamente piccolo. l’istituto ha avuto una notevole risonanza nel dibattito fra le religioni. Prima c’erano alcune iniziative o partecipazioni saltuarie di natura ufficiale. Ora svolgiamo un’attività indipendente, sistematica e di respiro internazionale. Siamo molto contenti perché abbiamo potuto aprire un grande dibattito nel paese. Dal 2003 pubblichiamo una rivista che si intitola “Religious news”, in tremila copie. Cerchiamo di presentare i nuovi libri e il dibattito attuale sulle religioni, e in particolare sul dialogo interreligioso. Traduciamo in persiano articoli da altre lingue per metterli a disposizione dei lettori iraniani. I lettori sono in gran parte teologi, ricercatori e studiosi delle religioni”.
Il locale in cui si è svolto l’incontro è ricavato fra gli scaffali di una biblioteca di cui, continua la nostra interlocutrice, “siamo particolarmente fieri. Con i suoi 7000 volumi in persiano, arabo e inglese è la più ricca di testi sulle religioni di tutto il paese. Lo spazio è piuttosto ridotto e pertanto abbiamo dovuto fare una grande selezione. E’ frequentata prevalentemente da studiosi, ma comunque è aperta sempre al pubblico. Esiste infatti anche un pubblico non specializzato. Molti vengono pure a seguire le conferenze che mensilmente offriamo alla cittadinanza, dandone avviso sui giornali”.
Curiosando (è stato difficile mantenere un atteggiamento discreto!) fra gli scaffali trovo una sezione ricca di studi (soprattutto americani) sul femminismo. Marina trova un Talmud.
”Obiettivo del nostro istituto è il dialogo tra le religioni e le culture a favore della pace nel mondo” prosegue la signora Fahimeh. “Dedichiamo molta attenzione ai giovani. In particolare organizziamo una sessione riservata per far conoscere tra di loro giovani ebrei, cristiani, armeni, zoroastriani e musulmani. … La frequenza dei giovani è buona anche se speriamo che cresca. In verità questo tipo di interesse religioso non è molto diffuso nella società. Ma una volta che i giovani hanno iniziato a venire continuano e sviluppano grande interesse. Spesso si tratta di giovani che hanno vissuto all’estero. E’ questione di apertura o chiusura mentale”.
“Abbiamo anche molte relazioni con l’estero. Il nostro istituto ha lo statuto di ONG e da cinque anni è registrato nell’elenco delle ONG dell’ONU. Siamo in relazione con la chiesa anglicana di Inghilterra, con la chiesa luterana di Germania, con il Consiglio ecumenico delle chiese di Ginevra. Con loro abbiamo dei progetti in comune. Ad esempio adesso stiamo lavorando ad una ricerca sulla partecipazione femminile alla promozione della pace nel mondo. La nostra sezione giovanile collabora con un Istituto americano che si chiama ‘United religious initiatives’”.
“Anche finanziariamente siamo indipendenti. C’è una rete di finanziatori privati che ci sostengono in diversi modi. Parecchi contribuiscono con quote annuali. Questa stessa sede ci è offerta gratuitamente da una persona amica. Cerchiamo comunque di ridurre molto le spese. Ci sono quattro persone che lavorano stabilmente e molti volontari. Il consiglio scientifico, costituito da 22 membri, collabora del tutto gratuitamente. La rivista si autofinanzia”.
“E’ un cammino nuovo e non del tutto compreso,anche all’interno delle diverse religioni. Direi che è più facile il dialogo inter-religioso del dialogo intra-religioso, ossia all’interno della propria religione dove spesso questa attività è guardata con sospetto od ostacolata. Per quanto riguarda il mondo islamico ci sono diverse istituzioni che si dedicano allo studio delle ramificazioni dell’islam comprese quelle tra sanniti e sciiti. Noi ci dedichiamo di più al dialogo tra le diverse religioni”.
E infine il punto che a me è sembrato particolarmente intrigante.
“Siamo comunque tutti all’interno di una società dove sono in atto forti processi di secolarizzazione. Anche in Iran esiste una tendenza secolarizzante. Noi non ci occupiamo direttamente di questo processo ma non possiamo non confrontarci con questa mentalità e con questa filosofia che per altro non valutiamo positivamente”.
Sarebbe bello approfondire ma l’affermazione ferma della nostra interlocutrice ce ne dissuade.

All’Istituto per il Dialogo Interreligioso ho lasciato il mio indirizzo.

Da allora mi sono arrivate parecchie mail firmate dal presidente dell’I.I.D. Mohammad Ali Abtahi (che credo, giostrando fra nomi a me ignoti e grafie sconosciute, di poter identificare come marito della signora Fahimeh Mousavi; l’autobiografia di Abtahi confermerebbe questa ipotesi)

Su di lui una notizia Ansa di ieri. Teheran, 16 giu – Mohammad Ali Abtahi, ex stretto collaboratore del presidente riformista Mohammad Khatami, e’ stato arrestato oggi.
Lo rende noto il suo staff. Intanto, la tv iraniana in lingua inglese Press tv, ha diffuso la notizia dell’uccisione di sette civili nella manifestazione di ieri a Teheran, senza precisare se i morti siano sostenitori dell’opposizione o meno. La notizia era stata diffusa questa mattina dalla radio ufficiale Radio Payam.
Così é riportata la notizia nel sito web di Mr. Abtahi che si può raggiungere da qui
Mr. Abtahi arrested Mohammad Ali Abtahi, former vice president during Mr. Khatami’s presidency and the advisor to Mr. Karroubi in the presidential election had been arrested today (Tuesday). Whenever he gets released, he will write here on his website.

Ne riporto ora lo scritto ricevuto il 3 giugno e che ho tradotto (collocherò la traduzione degli altri scritti che ho ricevuto in calce ai prossimi diari e ringrazio Laura NB per la revisione della traduzione).

30 maggio – Chi boicottò le elezioni precedenti, ora invita il popolo a partecipare.
Uno degli eventi politici più importanti in questa tornata elettorale é il calo dell’onda di boicottaggio delle elezioni.
L’enorme boicottaggio delle elezioni precedenti ha causato difficoltà negli ultimi quattro anni tanto da apparire un regalo incredibile per il presidente.
Parecchi giorni fa mi sono visto con un gruppo di studenti che aveva raccolto circa 500 firme per boicottare le precedenti elezioni. Ora molti di loro cercano di invitare la gente a votare. Anche uno di loro che era appena uscito di prigione e raccontava storie penose sul carcere.
Erano realmente addolorati per Mr. Masoud Dehghan, Mahdi Mashayekhi and Abbas Hakim.
La battaglia per il loro rilascio dal carcere è l’azione più importante in cui dovrebbero impegnarsi attivisti politici e civili e specialmente i candidati alle elezioni presidenziali.
Sfortunatamente durante i dibattiti pre elettorali, sono state ignorate le pressioni fisiche e psicologiche sugli studenti imprigionati. Ora essi sono realmente attivi per ciò che riguarda le elezioni.
La maggior parte del gruppo che ho citato sosteneva Mr. Karobi perché gli slogan sui diritti umani sono più chiari nelle sue parole che in quelle di altri. La maggior parte delle attiviste donne che fanno parte della campagna per un milione di firme, hanno incominciato ad invitare la popolazione al voto. Anche i media stranieri parlano di boicottaggio meno che nel periodo precedente.
E’ una buona opportunità. La presenza di due ben noti candidati riformisti può attrarre molti elettori con diverse opinioni e prevenire il boicottaggio in modo da non concedere la vittoria ad Ahmadi Nejad al primo turno. D’altra parte è del tutto evidente lo sforzo per promuovere un cambiamento in tutto il paese.
Possiamo vedere persino la frustrazione e la paura dei sostenitori di Mr. Ahmadi Nejad.
Gli attacchi fisici e mediatici agli annunci degli incontri dei riformisti mostrano questa paura.
Ora quasi tutta la nazione può sperare di avere un altro presidente per i prossimi quattro anni.

17 Giugno 2009Permalink

29 maggio 2009 – 2. Diario di viaggio, Iran 2009

2 – In Iran con i piedi per terra

  Dopo un inizio ingentilito da richiami poetici non posso sottrarmi a qualche notizia che si rende necessaria quando si vuole entrare in un Paese con i piedi consapevolmente per terra (o almeno io sento questa necessità e poiché il diario é mio … vi corrispondo). Altre informazioni seguiranno via via nella descrizione delle varie tappe e conto sulla collaborazione dei miei compagni di viaggio per integrarle e, se necessario, correggerle. ianni Novelli mi ha già inviato sue trascrizioni di alcuni incontri. Saranno utilissime e lo ringrazio. 

Fino al 1935 il nome ufficiale del paese era Persia, poi lo scià Reza Pahalavi volle attribuirgli il nome di Iran, terra degli Arii, per adattarsi in seguito all’uso di entrambe le denominazioni. 
L’Iran – o meglio la Repubblica Islamica dell’Iran – ha una superficie di 1.648.195 kmq (cinque volte e mezzo l’Italia che occupa una superficie di 301.338 kmq).
Gli abitanti oscillano, nei dati che ho trovato, fra i 66.429.284 e i 68.278.826.
L’Iran confina a Ovest con la Turchia e l’Iraq; a Nord con il Turkmenistan, l’Azerbaijan e l’Armenia, oltre al Mar Caspio; a Est con il Pakistan e l’Afghanistan, mentre a Sud è delimitata dal Golfo Persico e dal Golfo dell’Oman.
Il punto più basso é rappresentato dal mar Caspio (28 m) e il monte più alto raggiunge i 5.671 m..
Il nostro viaggio si é svolto a sud di Teheran, nella zona centrale del paese, sull’altipiano iranico, mantenendosi sempre al di sopra dei 1.000m di altezza.
La differenza di fuso orario rispetto all’Italia, 2 ore e 30 minuti (che diventano 1 ora e 30 minuti quando in Italia vige l’ora legale) é forse un indice più significativo della distanza che il numero dei chilometri..   

Altre informazioni saranno necessarie nel corso delle prossime puntate (e molte volte dovrò tornare alla ‘islamicità’ di quella repubblica).
Per ora mi limito all’immagine del mio primo impatto, l’obbligo del velo islamico così proposto nel primo albergo in cui siamo approdati.
Molte donne, oltre al velo, indossano lo chador, un terribile mantello normalmente nero che, nelle due occasioni in cui l’ho dovuto affittare e indossare, mi é sembrato uno strumento di tortura: se badavo a non inciampare mi scivolava dalle spalle, se lo tenevo fermo sulle spalle inciampavo.
Ma la tortura non é il velo in sé bensì la consapevolezza della possibilità dei guardiani della rivoluzione di ficcare il naso nella vita privata. Sono poliziotti senza divisa che, negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione di Khomeini (1979), non avevano neppure un cartellino di riconoscimento.
La consapevolezza del danno che una nostra trasgressione avrebbe potuto nuocere a Diana, la nostra carissima guida locale, ha mantenuto i veli ben fermi sulla testa.

29 Maggio 2009Permalink