L’ UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha recentemente reso pubblico un documento che l’Associazione Studi Giuridici Emigrazione (ASGI) ha riportato nel suo sito, corredato dallo studio (in inglese) su cui il testo si fonda.
Il documento è limpido.
Si apre con un’affermazione che, in un paese che si considera civile, dovrebbe dar luogo a conseguenze che non interessano né i cittadini italiani, né i legislatori: “Un bambino che nasce apolide oggi affronterà un futuro incerto ed insicuro” e precisa che “A livello globale, gli apolidi, ovvero le persone che non posseggono la nazionalità di alcuno stato, sono circa 12 milioni, di cui addirittura la metà potrebbero essere bambini”
Poi ci propone la seguente considerazione: “Gli apolidi sono tra le persone più povere ed emarginate al mondo, spesso sono popolazioni invisibili che risultano difficili da censire”.
In Italia tale difficoltà – che il documento UNHRC riferisce all’impossibilità delle madri in alcuni paesi dell’Africa, dell’Asia e anche americani ad attribuire ai figli la propria cittadinanza anche autonomamente dal marito e comunque dal padre del bambino – permane in legge, limitatamente ai figli di coloro che, privi di permesso di soggiorno, dovrebbero esibirlo all’atto dell’iscrizione dei nuovi nati, esponendosi così al rischio di espulsione.
A fronte della vergogna di questa norma l’allora Ministro dell’Interno Maroni ‘rimediò’ con una circolare che dice essere obbligo iscrivere in ogni caso il neonato nei registri dello stato civile del comune al fine di garantirgli il certificato di nascita (Non credo di dover chiarire ulteriormente dato che da tre anni scrivo nel mio blog di questo problema e non mi faccio scrupolo a diffondere gli scritti. Mi collego comunque al più dettagliato mio intervento in merito come pubblicato dal mensile genovese Il Gallo).
Se da allora è possibile riconoscere i propri figli a seguito di una circolare permane però in legge la negazione della genitorialità che sarebbe possibile cancellare senza nessun passaggio parlamentare.
Credevo che i cittadini italiani si sarebbero sentiti offesi dalla presenza in legge di una norma di sapore razzista (come altro definire la discriminante burocratica identificata da rappresentanti delle istituzioni proni alla cultura della Lega Nord?).
Credevo ma sbagliavo perché la questione non interessa neppure – fatte salve pochissime eccezioni fra cui ricordo il GrIS– le organizzazioni che si dichiarano interessate ai diritti dei migranti, comprese quelle che –per meglio tutelarli – si sono messe in rete.
A questo punto mi sento finalmente di dichiarare un mio sospetto.
I neonati, di cui mi sono interessata, non votano, non chiedono di votare, non manifestano in piazza, non si aggregano per onorare con la loro presenza gli autoproclamati tutori di diritti (o almeno di alcuni diritti).
Non offrono fama e onore, o almeno visibilità, a chi eventualmente li protegga.
Ora, a seguito del documento dell’UNHRC potrebbe esserci qualche progetto finanziato a promuovere una legislazione intesa ad evitare l’apolidia nei paesi in cui vi sono difficoltà (almeno quelle di genere) a riconoscere i propri figli e garantire loro il godimento della cittadinanza nello stato in cui sono nati o almeno quella dei loro genitori (fosse pure uno solo di essi).
E allora associazioni (e anche chiese? Perché no? L’ipocrisia è ben diffusa) andranno, forti della loro civile provenienza, a spartirsi il bottino o almeno offriranno il loro consenso a chi può spartirselo. Sarà un bottino miserello? Meglio che nulla: siamo in crisi! E, in ogni caso, un impegno per sollecitare una modifica della legge non assicurerebbe guadagno alcuno.
Ricordo che una proposta di modifica c’è, è all’attenzione del parlamento, ma viene ampiamente ignorata.
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