18 aprile 2011 – Donne sotto traccia 3

NABILA, PONTE TRA CULTURE

Nabila – una cittadina marocchina poco più che ventenne  – mi accoglie nella sede pordenonese dell’associazione onlus Circolo Aperto, Lavorando Per Tutti (LPT).
E’ sabato, la ‘casetta del volontariato’ di Pordenone, che ospita varie associazioni non è attiva e l’ambiente è tranquillo. Nabila ha portato con sé i due fratellini minori: Soumia di otto anni e Bilal di sei con cui faccio una simpatica chiacchierata mentre lei si occupa di due mediatrici impegnate nel suo stesso progetto, una proveniente dall’Albania e l’altra dal Burkina Faso.
Complessivamente le mediatrici impegnate nell’associazione appartengono a quattordici nazionalità e l’italiano non rappresenta solo la lingua di mediazione con gli autoctoni, ma anche fra loro.
Il mio incontro con i due piccoli è importante e dice molto di più di tante parole che gli adulti possano pronunciare sul loro conto. Sono due bambini estremamente socievoli, in grado di esprimere tranquillamente i loro pensieri, testimonianza significativa di una crescita in ambiente sereno, segno –anche nelle ottime capacità di comunicazione linguistica in italiano- di una avvenuta integrazione.
Rivelano subito un grande amore per la sorella maggiore, mi raccontano emozionati di un’altra sorella più grande che aspetta un bambino. Eccitatissima Soumia (“sarò zia a otto anni!”), più riservato Bilal, unico maschio con quattro sorelle (“io veramente volevo un fratellino per giocare”). Mi parlano positivamente della scuola (frequentano rispettivamente la terza e la prima elementare) di cui a Soumia “piace tutto” e a Bilal soprattutto gli amichetti. Li distingue dai coetanei, e ne provano disagio, la mancanza della cittadinanza italiana. La domenica al centro islamico imparano l’arabo e hanno una formazione religiosa “compatibile con la loro età”, mi spiega Nabila rientrando.
Nabila indossa il velo come la sua mamma e ne parliamo. Chiarisce subito che si tratta di una sua scelta personale, come personale è quella delle due sorelle che non lo indossano. In famiglia questo significativo pluralismo di atteggiamenti è accettato con tranquillità. A nessuna di loro è stato richiesto di giustificare le ragioni della scelta compiuta. Nabila mi spiega che il velo (le copre i capelli e il collo, nulla nasconde del volto) è una protezione della ‘modestia’ suggerita dalla tradizione religiosa islamica.
Vissuta in Marocco –paese islamico quasi al cento per cento- l’identità in cui si riconosce appartiene a quella realtà, senza che ciò la faccia sentire a disagio nell’occidente in cui è immersa.
“Sono una privilegiata –precisa – quando, a dodici anni, sono venuta in Italia con un ricongiungimento familiare. Il mio papà, che viveva e lavorava qui già da vent’anni, aveva preparato un terreno in cui possiamo essere noi stessi senza disagi”. Nabila si è voluta garantire anche il sogno del ritorno. In Italia ha conseguito la maturità come geometra ma si è assicurata anche la maturità liceale del Marocco e sembra destreggiarsi fra le due realtà con estrema disinvoltura, affrontando anche i problemi burocratici che le sono imposti dalla realizzazione dei progetti di cui si fa carico nell’ambito dell’associazione.
E’ una realtà complessa che offe molte occasioni di approfondimento. Ne parleremo in seguito.

18 Aprile 2011Permalink