Nel parlare, come da anni faccio, della questione del diritto degli immigrati privi di permesso di soggiorno ad accedere la registrazione degli atti di stato civile, non ero entrata nelle questione interne ai comportamenti della chiesa cattolica perché ritengo che i nostri doveri di solidarietà verso gli altri, quelli che la Costituzione della Repubblica prevede, siano prima di tutto da affermarsi sul piano civile (laici siamo tutti, atei e credenti di qualsivoglia religione) e poi perché la chiesa come istituzione non ha detto nulla sul diritto a sposarsi dei sans papier e sui diritti dei loro figli.
Ma ora mons. Arcivescovo di Trieste mi ci ha trascinata dentro e non riesco a tacere anche perché il problema della registrazione anagrafica di nascite e matrimoni mi sembra strettamente connesso con la celebrazione di due sacramenti, il battesimo e il matrimonio.
Certamente questa è questione che riguarda i cattolici, che però sono cittadini italiani e non vedo come possano svincolarsi dai loro precisi diritti/doveri che anche il monsignore in questione richiama con una evidente attenzione al momento presente. Afferma:
“ … il momento elettorale conserva una sua indubbia importanza perché in esso il cittadino riflette non solo sui propri bisogni e interessi, ma sul “nostro” bene, il bene di tutti, il bene della comunità percepita come un tutto. E’ così anche per la comunità di Trieste. E’ così anche per le prossime elezioni amministrative”
Non rispetto l’ordine cronologico e comincio dal matrimonio.
Secondo la dottrina cattolica i celebranti del matrimonio sono gli sposi stessi, ma la loro volontà non si manifesta nel rifugio del privato bensì in una situazione del cui ordinato proporsi è garante un sacerdote (appunto se si tratta di cattolici) e dal 1929 il sacerdote, all’atto della celebrazione, è anche ufficiale di stato civile.
Quindi il matrimonio concordatario viene celebrato dopo che, anche negli idonei locali della chiesa, sono state esposte le pubblicazioni, la cui eventuale assenza non consente la celebrazione del matrimonio stesso. Ed è chiaro che, se entrambi o uno dei due sposi sono immigrati senza permesso di soggiorno, non ci saranno pubblicazioni poiché la chiesa deve attenersi alla decisione del Comune che agisce a norma della lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009.
Della questione ho fatto cenno l’8 dicembre 2010, per un interessante intervento del giudice di Trento, alla fine del mio pezzo di allora.
Che fare a questo punto? Se gli sposi vogliono essere i celebranti del sacramento della loro unione possono chiedere un matrimonio che abbia significato solo religioso.
A questo punto il parroco che raccogliesse la loro richiesta dovrebbe rivolgersi al vescovo ed esibire motivazioni forti perché così gli è stato raccomandato dalle autorità canoniche. Se il permesso arriverà potrà farsi garante di questa celebrazione ‘segreta’. Infatti, se lo sposalizio fosse esibito alla pubblica attenzione, potrebbe esserci la ‘spiata’ già messa in atto persino a fronte di un medico costretto a intervenire pubblicamente a seguito di un malore di un sans papier(si veda il mio ‘quaderni del Gallo’ – 15 marzo).
Mi si è detto che così quel parroco darebbe soddisfazione alla sua coscienza di sacerdote ma, come dice mons. Vescovo, è valore umano “l’aiuto solidale ai poveri condotto in modo sussidiario, ossia evitando sprechi ed assistenzialismo e favorendo, invece, la creatività e l’assunzione di responsabilità di persone e corpi intermedi”.
Il matrimonio solo religioso agli effetti civili non esiste e quindi priva gli sposi di tutti i diritti che la legge loro altrimenti riconoscerebbe, a partire dalla reversibilità della pensione, e soprattutto li lascerebbe in balia della situazione di cui più volte ho scritto per ciò che riguarda il riconoscimento dei figli (si consultino i tag anagrafe, bambini, nascita).
Come la mettiamo qui con la creatività della solidarietà di cui al documento di monsignore?
Mi si è detto anche che la stessa situazione vale per qualsiasi coppia non sposata: vero solo in parte perché per molte coppie è possibile il matrimonio civile e per altre la discussione è aperta (penso alle unioni degli omosessuali) mentre nel caso dei sans papier il silenzio –laico e religioso che sia – è totale.
E inoltre i sans papier vengono discriminati non per una scelta di vita che le leggi dello stato o della chiesa cattolica non riconoscono ma perché stranieri con burocratiche difficoltà artatamente costruite e io continuo a pensare che questo sia razzismo.
Il battesimo e l’accoglienza della comunità
Riporto la lettera aperta che ho scritto al vescovo di Trieste. Se mi risponderà ne darò notizia.
Egregio monsignore,
pur non risiedendo nella diocesi di cui Lei è vescovo non posso non dichiararmi turbata, anche come cattolica, dal comunicato stampa emesso dai Suoi uffici il 10 maggio.
Inizio soffermandomi sulla frase finale che invita il cattolico a cercare l’accettabilità dei programmi dei candidati “dal punto di vista dei valori fondamentali …” e a valutare “ la storia e il retroterra culturale dei partiti dentro cui i candidati operano”.
Non posso analizzare tutti i valori che Lei elenca –me lo impedisce la necessaria brevità dello scritto – per cui mi limito ad augurarmi che La sua proposta voglia essere una autorevole indicazione per la libera coscienza dei cattolici e non pretenda di farsi – sollecitando l’adesione di forze politiche in quanto tali – vincolo politico per chiunque, anche non cattolico.
Mi permetto però di richiamare la Sua attenzione su un punto che non c’è nel Suo comunicato.
La legge che, con uno sprezzante ossimoro, è stata chiamata “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” prevede che, per registrare gli atti di stato civile (nascita, morte, matrimonio), lo straniero non regolare debba presentare il permesso di soggiorno, esponendosi quindi, nel momento in cui cerca di avvalersi del godimento di diritti umani fondamentali al rischio dell’espulsione (il riferimento è alla lettera g) del comma 22 dell’art.1 della legge 94/2009).
Potrei dire molte cose ma, rivolgendomi a un Vescovo, Le chiedo come vi comporterete quando nelle chiese italiane si celebrerà il battesimo di un bambino senza famiglia per disposizione di legge, essendo i genitori impediti a riconoscere il piccolo dalla ragionevole paura dell’espulsione. Quel battesimo non potrà essere celebrato sottolineando, come si usa, l’atteggiamento di accoglienza della comunità al nuovo nato ma solo in forma che, per essere protettiva, dovrà essere catacombale, umiliando l’immagine gioiosa della celebrazione di un sacramento a quella oscura di un’attività scaramantica.
Non mi risponda che c’è una circolare che rende possibile la registrazione anagrafica delle nascite. La conosco bene ma non posso accettare che la difesa contro un principio di legge che discrimina i cittadini più deboli proprio per ciò che sono, sia affidata alla volatilità di un atto burocratico che comunque non garantirebbe sicurezza alla pubblica presenza dei genitori del battezzando in chiesa.
Certamente quando mi sono rivolta (inutilmente) ad esponenti politici il mio discorso non si basava sulla contraddizione fra la celebrazione del sacramento e la violazione dei diritti di un neonato che, crescendo apolide, non solo sarebbe privato a priori di ogni diritto ma diventerebbe, per l’oscurità cui sarebbe condannato, vittima privilegiata di ogni crimine a partire dalla pedofilia. La mia interrogazione teneva conto di un quadro ben più ampio e ora mi piacerebbe sapere come prevedono di comportarsi gli eletti sindaci e i candidati ai diversi ballottaggi (oltre naturalmente a quello triestino) quando la legge imporrà loro di farsi complici – nell’esercizio legittimo del loro ruolo di sindaci– della negazione di una registrazione di nascita, matrimonio, morte.
Ma non lo posso sapere perché nessuno glielo ha chiesto con quella autorevolezza che merita risposta né questo argomento mi risulta essere presente in alcun programma elettorale.
Ringraziandola per l’attenzione porgo distinti saluti.
(Augusta De Piero)
Ciao Augusta!
Ho letto con molto interesse, ma soprattutto con tristezza e indignazione il passo dell’art. del quotidiano di Trieste “Il Piccolo” nel quale viene riportata l’indicazione-monito del Vescovo di quella diocesi, mons. Crepaldi, che con determinazione e durezza di toni chiede agli elettori cattolici di votare per i partiti che hanno a cuore e propugnano concretamente i valori della Chiesa, aggiungo io, istituzionale, quindi non da intendersi come Assemblea dei fedeli.
Infatti mi chiedo che cosa hanno a che fare con il messaggio evangelico, il privilegio, l’arroganza del potere, le disposizioni di legge emarginanti e razziste, le disuguaglianze socio-economiche e culturali sempre più diffuse, le forme di corruzione, le discriminazioni sessuali ed etniche, la mercificazione del corpo femminile…. tutti atteggiamenti, comportamenti e azioni presenti nelle linee di condotta e negli atti legislativi dei partiti che da troppo tempo detengono il governo di questo nostro Paese, a livello centrale e periferico e che, secondo il vescovo di Trieste e (almeno così mi sembra di aver capito)secondo il card. Angelo Bagnasco presidente della C.E.I., ed altri, i cittadini cattolici, e possibilmente non solo loro, dovrebbero nuovamente promuovere e riproporre con il loro voto.
In troppi momenti della storia dell’Italia repubblicana, la Chiesa cattolica, come qualsiasi altro organismo politico potente e quindi in grado di “dettare leggi” al Parlamento ed al Governo italiani, ha preteso di contravvenire ai principi della laicità dello Stato e della libertà religiosa, sanciti dalla vigente costituzione, espressione di una chiara volontà di democrazia e frutto di una sintesi di idee, basata sul pluralismo e la valorizzazione delle diversità ad ogni livello. Anche in occasione di queste elezioni amministrative, dunque, si sta cercando –non solo in ambito ecclesiastico, in verità – di manipolare le coscienze e di costringerle al pensiero unico con molteplici forme di sopruso, più o meno impositivo o più o meno illusorio; ne sono un esempio evidente le mistificazioni, le distorsioni, le reticenze, le omissioni nell’informazione, che i media – per la maggior parte assoggettati al governo- impongono per non fornire a noi cittadini strumenti di conoscenza, di comprensione e di critica volti a scelte consapevoli.
Ritengo perciò assolutamente necessario prendere e far prendere coscienza di questa realtà e a nostra volta adoperarci, ciascuno con i mezzi di cui dispone, per apportarvi dei cambiamenti sostanziali
Adriana Libanetti