20 ottobre 2011: Donne sotto traccia 6

MAJDA: COSTRUIRE RELAZIONI.

Il colloquio con Majda (proveniente dal Marocco e ormai cittadina italiana, mediatrice culturale e di comunità) che avevamo iniziato in settembre è approdato fatalmente alla condizione delle donne.
Ci riferiamo in particolare a quelle che arrivano tramite i ricongiungimenti familiari.
Per loro vale in particolare ciò che Majda ci ha confermato a proposito di un’immigrazione che in Italia non attrae emigranti laureati o con un alto livello di scolarizzazione ma spesso (soprattutto fra coloro che vengono dall’Africa subsahariana) persone non scolarizzate, anche totalmente analfabete. Braccia per pesantissimi lavori controllati dal ‘capolarato’ (si pensi alla raccolta dei pomodori) se uomini, se donne invece si trovano chiuse in una vita familiare dai cui ristretti legami non possono uscire, sole, disorientate e impaurite come sono. Persino il mondo dei consumi  – che in tanti considerano centrale nella nostra organizzazione sociale ed economica – è luogo di isolamento e paura.
Al supermercato devono andare con il marito perché non sono in grado di scegliere merce loro ignota, a volte neppure di leggere le indicazioni che vi si trovano scritte accanto e può capitare che quando si trovano a camminare senza aiuto fra gli scaffali escano dal negozio senza comperare nulla.
E il loro isolamento  compromette le relazioni che la vita familiare loro impone.
Difficilmente possono frequentare corsi di lingua italiana, non sono evidentemente in grado di leggere né di firmare le note e gli avvisi che vengono dalla scuola frequentata dai figli e non si recano ai colloqui con gli insegnanti perché non li capiscono e non sono capite. Anche nelle nostre scuole l’altrui scolarizzazione è data per scontata, senza verifiche. Il risultato è il luogo comune che le vuole disinteressate allo studio dei figli e che spesso penalizza le famiglie migranti con una tanto sommaria quanto crudele valutazione di inadeguatezza.
Alla solitudine delle madri fa seguito quella dei figli costretti, ancor piccoli, a destreggiarsi fra due mondi fra loro estranei. Majda mi dice del  silenzio con cui spesso si difendono bambini appena arrivati e mi racconta del radicale rifiuto alla parola di due piccoli che, pur conoscendo l’italiano, per tre anni lo hanno parlato solo fra loro e con la mediatrice, negandosi a ogni altro contatto linguistico.
Ci vorrebbe una attività intensa di mediazione a scuola ma … e qui è inutile continuare: basterebbe sfogliare la nostra stampa per costruire un’antologia di nocivi luoghi comuni che spesso  bloccano ogni ragionevole possibilità di relazione.
Apriamo anche la pagina assai problematica, e di cui abbiamo più volte scritto su Ho un Sogno, del disagio delle seconde generazioni.
E infine mi permetto una domanda: ‘Potrebbe essere d’aiuto il consultorio familiare?’
Potrebbe, conferma Majda, se improvvide scelte organizzative non ne avessero ristretto il funzionamento a problematiche strettamente sanitarie, coartando anche operatori consapevoli e capaci.
Chi scrive appartiene a una generazione che per la costruzione di efficaci servizi consultoriali si era molto spesa: il fallimento del nostro lavoro di allora è assicurato dal trionfo di troppi, influenti  pregiudizi e di scelte politiche conseguenti.

20 Ottobre 2011Permalink