27 luglio 2018 – Ciò di cui si parla, fra chiacchiere e dichiarazioni più o meno autorevoli

(per una rapida consultazione nel pezzo che segue con la stessa data ho inserito per mia comodità alcuni articoli della Costituzione, del Concordato 1929, dell’Accordo 1984)

Mi è capitato ieri di trovare la segnalazione di un tweet di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica. Dopo aver trasalito (confesso con molta simpatia) per la forma di comunicazione, ben strana a fronte della solenne rivista nata nel 1850, ho verificato che il tweet fosse certo e ne ho trovato svariate conferme fino ad approdare a un interessante articolo di Avvenire, quotidiano di ispirazione cattolica, da cui traggo la citazione che segue relativa al Direttore de La Civiltà Cattolica. [fonte 1]
«Usare il Crocifisso come un Big Jim qualunque è blasfemo. La croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte, non è mai un segno identitario. Grida l’amore al nemico e l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese. Giù le mani». 
Per fortuna lo stesso Avvenire mi ha svelato l’identità di Big Jim che non mi era nota: “bambola maschile tutta muscoli e snodabile, adattabile a qualsiasi posizione e circostanza”.

Ma l’articolo di Avvenire mi ha rivelato anche una faccenda più importante e lo ha fatto con il silenzio. L’articolo infatti sottotitola: Fa discutere la proposta leghista per ribadire l’obbligo (n.d.r. del crocifisso) in tutti gli edifici pubblici.
Così mi sono detta «finalmente saprò in quali termini se ne giustifica l’obbligatorietà nelle aule scolastiche accanto al ritratto del presidente dell Repubblica» .
Avvenire riporta un elenco di decisioni in merito che si snodano fra il 2004 e il 2009, la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Uso diligentemente i link e non trovo quello che cercavo, il Concordato fra l’Italia e la Santa Sede del 1929 (rivedo le firme che, quando ne parlavo a scuola mai mancavo di sottolineare, PIETRO Cardinale GASPARRI BENITO MUSSOLINI …. in nome della Santissima Trinità) e l’accordo del 1984 che ha al suo attivo firme più sobrie. AGOSTINO CARD. CASAROLI – B:CRAXI

Non si va alla fonte per un argomento così caro ad Avvenire?
Non è possibile mi dicevo scorrendo enciclopedie cartacee e digitali, riguardando i testi ufficiali nel bellissimo sito della Santa Sede (Vatican.va per chi ne volesse approfittare).
All’alba perché mi sono rovinata la notte per ciò che non c’è ho concluso che nulla dicono le originali fonti ufficiali precedenti le sentenze citate in merito a pareti e crocifissi.
Ne parla invece una circolare (e le circolari per le amministrazioni cui sono rivolte sono un obbligo) del 1967, preceduta da due regi decreti del 1928.
Grazie al soccorso dell’Ansa ne ricopio il testo

I regi decreti del 1924 e del 1928
ROMA – L’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane – oggetto di esame il 30 giugno da parte della ‘Grande Camera’ della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo – viene formalmente prescritta da due vecchie norme, mai abrogate: si tratta dell’articolo 118 del Regio Decreto 30 aprile 1924, n. 965, che prevede disposizioni sull’ordinamento interno degli istituti di istruzione elementare e media; e dell’art 119 del Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (e, in particolare, nella Tabella C allo stesso allegata), che è riferito agli istituti di istruzione elementare.
Ecco cosa prevedono i due Regi decreti riguardo all’esposizione del crocifisso:
REGIO DECRETO 30 APRILE 1924, numero 965 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 giugno 1924, numero 148) – Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media (omissis) art. 118 – Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re.
REGIO DECRETO 26 APRILE 1928, numero 1297 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 19 luglio 1928, numero 167) – Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare (omissis). Capo V – Arredamento scolastico art. 119 – Gli arredi, il materiale didattico delle varie classi e la dotazione della scuola sono indicati nella tabella C allegata al presente regolamento (nell’allegato C il crocifisso è la prima voce in ciascuno degli elenchi riguardanti ogni classe, ndr). (ANSA). [Fonte 2]

Edilizia e arredamento di scuole dell’obbligo
Ministero della Pubblica Istruzione, Circolare 19 ottobre 1967, n. 367/2527, Edilizia e arredamento di scuole dell’obbligo: legge 28 luglio 1967, n. 641: artt. 29 e 30, in Bollettino Ufficiale – Ministero della Pubblica Istruzione, parte prima – Anno 94°, n. 40-41.

(omissis)

Ai fini suddetti si precisa che l’arredamento di un’aula è cosi costituito:
Scuole elementari:
a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) tavolini e seggiole per gli alunni; d) tavolino e scrivania con due poltroncine per l’insegnante; (…)

Scuole medie:
1) Aule normali: a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) tavolini e seggiole per gli alunni; d) tavolino o scrivania con due poltroncine per l’insegnante; (..)
2) Locali per le osservazioni ed elementi di scienze naturali, applicazioni tecniche ed educazione artistica: a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) banchi-cattedra per l’insegnante con due seggiole; d) banchi per gli alunni;(…)». [fonte 3]

    Il crocifisso come arredo
Non mi arrendo, cerco ancora e trovo alcuni vecchi precedenti finché, come in un girotondo, torno alla circolare 367.
Ordinanza ministeriale 11 novembre 1923 n. 250, nelle aule giudiziarie con Circolare del Ministro Rocco, Ministro Grazia e Giustizia, Div. III, del 29 maggio 1926, n. 2134/1867 recante “Collocazione del crocifisso nelle aule di udienza”.
In materia scolastica si ricordano, le norme regolamentari art. 118 Regio Decreto n. 965 del 1924 (relativamente agli istituti di istruzione media) e allegato C del Regio Decreto n. 1297 del 1928 (relativamente agli istituti di istruzione elementare), che dispongono che ogni aula abbia il crocifisso.
Con circolare n. 367 del 1967, il Ministero dell’Istruzione ha inserito nell’elenco dell’arredamento della scuola dell’obbligo anche i crocifissi.
Nello sconcerto per il brutto cammino percorso una speranza che il prossimo comunicatore, quando sventolerà un qualche oggetto ritenuto sacro, citi a sua fonte anche la Circolare del Ministro Rocco, un nome più appropriato di altri che pronunciare in certe circostanza è improprio e scorretto.
Se non lo farà il proponente posso ricordarglielo io e, se il caso, non mancherò.

Leggo – e la Bibbia è sempre un conforto per la ragione e, per chi crede, anche
    per la fede :“”Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19, 2).
Santo, non sacro oggetto.
[fonte 1]
https://www.avvenire.it/attualita/pagine/la-storia-infinita-del-crocifisso-a-scuola
[fonte 2]
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2010/06/27/visualizza_new.html_1847483283.html
[fonte 3]
https://www.olir.it/documenti/index.php?documento=1323

27 Luglio 2018Permalink

27 luglio 2018 – Citazioni parziali, utili per consultazione durante la lettura del post che precede (stessa data).

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA
Art. 7.
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale [138].
Art. 8.
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge [19, 20]. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze

CONCORDATO 1929
http://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg-st_19290211_patti-lateranensi_it.html
INTER SANCTAM SEDEM ET ITALIAE REGNUM CONVENTIONES*
INITAE DIE 11 FEBRUARII 1929

TRATTATO FRA LA SANTA SEDE E L’ITALIA
CONCORDATO FRA LA SANTA SEDE E L’ITALIA
PROCESSO VERBALE DELLO SCAMBIO DELLE RATIFICHE, 7 giugno 1929
(Il Trattato fra la Santa Sede e l’Italia sottoscritto l’11 febbraio 1929 fu pubblicato negli Acta Apostolicae Sedis n. 6 del 7 giugno 1929. Esso è corredato dei seguenti quattro Allegati: Pianta del territorio dello Stato della Città del Vaticano; Elenco e pianta degli immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzione da espropriazioni e da tributi; Convenzione finanziaria. Il documento, redatto dal Cardinale Pietro Gasparri e dal Primo ministro italiano Benito Mussolini, doveva essere sottoposto alla ratifica del Sommo Pontefice e del Re d’Italia.)
TRATTATO FRA LA SANTA SEDE E L’ITALIA

IN NOME DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
Premesso:
Che la Santa Sede e l’Italia hanno riconosciuto la convenienza di eliminare ogni ragione di dissidio fra loro esistente con l’addivenire ad una sistemazione definitiva dei reciproci rapporti, che sia conforme a giustizia ed alla dignità delle due Alte Parti e che, assicurando alla Santa Sede in modo stabile una condizione di fatto e di diritto la quale Le garantisca l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo, consenta alla Santa Sede stessa di riconoscere composta in modo definitivo ed irrevocabile la « questione romana », sorta nel 1870 con l’annessione di Roma al Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia;
[omissis]
Roma, undici febbraio millenovecentoventinove.
PIETRO Cardinale GASPARRI BENITO MUSSOLINI

CONCORDATO FRA LA SANTA SEDE E L’ITALIA
IN NOME DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
Premesso:
Che fin dall’inizio delle trattative tra la Santa Sede e l’Italia per risolvere la « questione romana » la Santa Sede stessa ha proposto che il Trattato relativo a detta questione fosse accompagnato, per necessario complemento, da un Concordato, inteso a regolare le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia;
Che è stato concluso e firmato oggi stesso il Trattato per la soluzione della « questione romana »;
Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XI e Sua Maestà Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, hanno risoluto di fare un Concordato, ed all’uopo hanno nominato gli stessi Plenipotenziarii, delegati per la stipulazione del Trattato, cioè per parte di Sua Santità, Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Pietro Gasparri, Suo Segretario di Stato, e per parte di Sua Maestà, Sua Eccellenza il Signor Cavaliere Benito Mussolini, Primo Ministro e Capo del Governo, i quali, scambiati i loro Pieni Poteri e trovatili in buona e dovuta forma, hanno convenuto negli Articoli seguenti:
[omissis]
Art. 1
L’Italia, ai sensi dell’art. 1 del Trattato, assicura alla Chiesa Cattolica il libero esercizio del potere spirituale, il libero e pubblico esercizio del culto, nonché della sua giurisdizione in materia ecclesiastica in conformità alle norme del presente Concordato; ove occorra, accorda agli ecclesiastici per gli atti del loro ministero spirituale la difesa da parte delle sue autorità
Art. 34
Lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili.
Art. 36
L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. E perciò consente che l’insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato.
Tale insegnamento sarà dato a mezzo di maestri e professori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall’Ordinario diocesano.
La revoca del certificato da parte dell’Ordinario priva senz’altro l’insegnante della capacità di insegnare.
Pel detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dall’autorità ecclesiastica.
Roma, undici febbraio millenovecentoventinove.
Firmato: PIETRO Cardinale GASPARRI BENITO MUSSOLINI

ACCORDO 1984
http://www.vatican.va/roman_curia/secretariat_state/archivio/documents/rc_seg-st_19850603_santa-sede-italia_it.html
ACCORDO TRA LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA CHE APPORTA MODIFICAZIONI AL CONCORDATO LATERANENSE

LA SANTA SEDE E LA REPUBBLICA ITALIANA
tenuto conto del processo di trasformazione politica e sociale verificatosi in Italia negli ultimi decenni e degli sviluppi promossi nella Chiesa dal Concilio Vaticano II;
avendo presenti, da parte della Repubblica italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà religiosa e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica, nonché la nuova codificazione del diritto canonico;
considerato inoltre che, in forza del secondo comma dell’art. 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dai Patti lateranensi, i quali per altro possono essere modificati di comune accordo dalle due Parti senza che ciò richieda procedimenti di revisione costituzionale;
hanno riconosciuto l’opportunità di addivenire alle seguenti modificazioni consensuali del Concordato lateranense:
ART. 9
1. La Repubblica italiana, in conformità al principio della libertà della, scuola e dell’insegnamento e nei termini previsti dalla propria Costituzione, garantisce alla Chiesa cattolica il diritto di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione.
A tali scuole che ottengano la parità è assicurata piena libertà, ed ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole dello Stato e degli altri enti territoriali, anche per quanto concerne l’esame di Stato.
2. La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.
Roma, diciotto febbraio millenovecentottantaquattro.
AGOSTINO CARD. CASAROLI B:CRAXI

27 Luglio 2018Permalink

25 luglio 2018 – Il convitato di pietra

Non voglio chiudermi a frammenti di memoria che non sono storia, né possono esserlo.
Sono gli elementi di una cronaca impietosa, con tante facce impietose, parecchie probabilmente scorrette.
Prima o poi qualcuno forse saprà scrivere la storia di tutto questo che ora viene narrato come se ogni notizia fosse una tessera di lego affastellata senza riuscire a trovare il bandolo per metterla al suo posto.
Io non sono in grado di farlo.
Al tanto che si legge su ogni organo di stampa e che è facile da ritrovare, con parole che i telegiornali ci propongono continuamente, aggiungo quanto ho cercato e trovato per il mio blog, che mi aiuta a non dimenticare, mantiene vivo il mio sforzo di capire, non mi consente rimozioni selettive e mi tiene al riparo dall’ipocrisia Almeno lo spero perché quella io, a me, non la consento.

Il convitato di pietra     Un uomo rimosso da inconsapevole dal suo ruolo di AD della FCA, viene trattato da vivo come se fosse morto. Difficile sfuggire al soprassalto che provocano in chi legge e ascolta le modalità della rimozione di chi era stato un protagonista indiscusso di una fase non breve della storia italiana
Nella storia della riforma della Fiat (diventata FCA) c’è anche un’altra storia simbolo di tante altre.

Maggio 2014_ Cassintegrata Fiat suicida: “Così non vivo”

26 maggio 2014 LA DENUNCIA DI MARIA BARATTO Roberto Fuccillo NAPOLI .
«Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti». Così scriveva nel 2011 Maria Baratto, operaia Fiat che si è suicidata alcuni giorni fa, facendo vincere così il lato disperato di quella sua osservazione. Maria Baratto è stata trovata ieri nella sua abitazione, a Acerra, in un lago di sangue. Si era accoltellata allo stomaco, probabilmente cinque giorni fa. Da tanto infatti non la vedevano in giro i vicini, che ieri mattina hanno cominciato anche ad avvertire cattivo odore. Hanno così chiamato i carabinieri, ma questi sono dovuti ricorrere ai vigili del fuoco per sfondare la porta, chiusa dall’interno.
Il corpo senza vita di Maria era riverso sul letto, la mano allungata verso il telefono, forse in un ultimo tentativo di chiedere aiuto. Il medico legale ha riscontrato diversi fendenti all’addome. I vicini hanno anche riferito che soffriva da tempo di crisi depressive. Non è stato trovato alcun biglietto che spiegasse le cause del gesto. La morte dovrebbe risalire a martedì scorso, ma le certezze definitive verranno dall’autopsia.
Maria aveva 47 anni e era conosciuta in fabbrica, era anzi una attivista del Comitato mogli- operai di Pomigliano. Proprio sul sito del comitato aveva pubblicato la sua riflessione, nell’agosto di tre anni fa. «A Pomigliano — scriveva Maria — l’unica certezza dei cinquemila lavoratori consiste nella lettera di altri due anni di cassa integrazione». Maria era rimasta infatti molto impressionata dal fatto che un collega, Carmine P., avesse tentato il suicidio il giorno prima, peraltro con modalità simili a quelle con cui Maria si è ora tolta la vita. Carmine, che riuscì a salvarsi, aveva per l’appunto ricevuto da poco la lettera con la comunicazione di altri due anni di cassa integrazione.
Non era stata la prima uscita pubblica di Maria. Due anni prima, nel 2009, aveva rilasciato una amara intervista per il filmdocumentario di Luca Rossomando “La fabbrica incerta”. In quell’occasione si sfogava così: «Le patologie causate dalla catena di montaggio? A 22 anni montavo il tergilunotto sull’Alfa 33, da sola. Oggi prendo psicofarmaci, ma voglio credere che la figura dell’operaio torni a essere quella di una volta». Due anni dopo lo scritto, intitolato “Suicidi in Fiat”, nel quale accusava che «l’intero quadro politico-istituzionale, che da sinistra a destra ha coperto le insane politiche della Fiat, è corresponsabile di questi morti insieme alle centrali confederali». Inoltre accusava Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, che «chiude e ridimensiona le fabbriche italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori». Infine ricordava che, prima del tentato suicidio di Carmine, c’era stato il suicidio di un altro collega, Agostino Bova, a Termini Imerese. E oggi lo Slai Cobas, nel definire lo scritto di Maria «un lucido testamento politico e sindacale, la nitida rappresentazione dell’attuale condizione e solitudine operaia fotografata dall’interno», ricorda anche l’ultimo suicidio di un operaio di Nola, a febbraio scorso, quello di Giuseppe De Crescenzo, che si è impiccato in casa.
Lo scenario è quello del famoso referendum del 2010. Ma una delle prime cause della tensione che avrebbe raggiunto l’apice al referendum si era sviluppata un paio di anni prima, quando Fiat dispose il trasferimento di 316 operai a un nuovo reparto, il Wcl (Wordl class logistic) di Nola. Vicenda annosa, con la cassa integrazione tuttora operante, in scadenza a luglio, tanto che gli operai di Nola hanno chiesto ancora un mese fa di ritornare alla casa base di Pomigliano. E una manifestazione sul cosiddetto “reparto logistico fantasma” era già stata indetta, prima del suicidio di Maria, per il 28 maggio, presso la Regione, convocata dagli autonomi di Slai Cobas, ma alla quale ha aderito anche la Fiom-Cgil di Napoli. Anche Maria, come Carmine, come Giuseppe, era in forza a quel reparto logistico di Nola. [Fonte 1]

26 maggio 2014 «Non si può vivere nel baratro» di Fulvio Bufi NAPOLI

Non era un modo di dire: nel 2011 Maria aveva scritto quell’articolo perché un suo collega aveva appena tentato di uccidersi, e nel testo parlava anche di un altro che solo pochi giorni prima, dopo aver ricevuto la lettera di licenziamento, uccise la moglie, tentò di ammazzare la figlia e poi si suicidò. E non era un modo di dire nemmeno per quanto la riguardava direttamente, perché martedì scorso Maria si è ammazzata. Si è piantata una coltellata nello stomaco e poi un’altra e un’altra ancora, finché ne ha avuto la forza. L’hanno trovata i carabinieri dopo quattro giorni, quando i vicini di casa di Maria li hanno chiamati perché lei non rispondeva al telefono e loro avvertivano un odore troppo sospetto venire da dietro la porta del suo appartamento, in una piccola palazzina di Acerra. Era stesa sul letto, e prima di farla finita aveva chiuso la porta a chiave dall’interno.

Dei suoi 47 anni, Maria gli ultimi sei li aveva passati in cassa integrazione. In fabbrica il suo posto era al reparto logistico della Fiat di Nola. E quale effetto avessero avuto su di lei le conseguenze della politica aziendale lo aveva raccontato nella testimonianza resa al regista Luca Russomando per il film La fabbrica incerta, del 2009: «A 22 anni montavo il tergilunotto sull’Alfa 33 da sola, oggi prendo psicofarmaci».

Era depressa, dunque, e sarebbe stato sorprendente il contrario, nella sua posizione. Ma era anche una che nel suo lavoro ci credeva, e sperava «che la figura dell’operaio torni a essere quella di una volta». Perché, diceva, «noi abbiamo sostenuto una nazione».

Le parole usate in quell’articolo che ancora oggi è reperibile in Rete, però, dimostrano che con il passare del tempo era diminuita la speranza e aumentata la frustrazione. «L’intero quadro politico-istituzionale che, da sinistra a destra, ha coperto le insane politiche della Fiat è corresponsabile di questi morti insieme alle centrali confederali», scriveva. Sottolineando poi la drammatica situazione di tanti lavoratori Fiat che «sono costretti ormai da anni alla miseria di una cassa integrazione senza fine e a un futuro di disoccupazione».
La sua cassa integrazione sarebbe scaduta nel prossimo luglio. Ma lei, evidentemente, non ce l’ha fatta a fidarsi

2 agosto 2012 , il Comitato mogli degli operai degli Pomigliano aveva pubblicato un articolo di Maria Baratto. E’ il testo ricordato nell’articolo che precede e che sarebbe ipocrita oscurare ora, impietoso usarne verso chi non c’è più Soddisfare la conoscenza può essere penoso, certamente non facile .

2 agosto 2012 – NON SI PUO’ CONTINUARE A VIVERE PER ANNI SUL CIGLIO DEL BURRONE DEI LICENZIAMENTI

L’INTERO QUADRO POLITICO-ISTITUZIONALE CHE, DA SINISTRA A DESTRA, HA COPERTO LE INSANE POLITICHE DELLA FIAT E’ CORRESPONSABILE DÌ QUESTI MORTI INSIEME ALLE CENTRALI CONFEDERALI

Dopo aver lucrato negli anni scorsi finanziamenti pubblici multimiliardari, lo speculatore Marchionne chiude e ridimensiona le fabbriche Italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori che sono costretti ormai da anni alla miseria di una cassa integrazione senza fine ed a un futuro di disoccupazione.
A Pomigliano l’unica certezza dei cinquemila lavoratori consiste nella lettera di altri due anni di cassa integrazione speciale e cessazione dell’attività di Fiat Group Automobiles nella consapevolezza che buona parte di loro non saranno assunti da fabbrica Italia.
Il tentato suicidio di oggi di Carmine P., cui auguriamo di tutto cuore di farcela, il suicidio di Agostino Bova dei giorni scorsi, che dopo aver avuto la lettera di licenziamento dalla fiat per futili motivi è impazzito dalla disperazione ammazzando la moglie e tentando di ammazzare la figlia prima di togliersi la vita, sono solo la punta iceberg della barbarie industriale e sociale in cui la fiat sta precipitando i lavoratori.
Anche per questo la lotta dei lavoratori fiat contro il piano Marchionne ed a tutela dei diritti e dell’ occupazione rappresenta un forte presidio di tenuta democratica per l’ intera società.        [fonte 3]

[fonte 1]
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/05/26/cassintegrata-fiat-suicida-cosi-non-vivo26.html
[fonte 2]
https://www.corriere.it/cronache/14_maggio_26/non-si-puo-vivere-baratro-si-uccide-l-operaia-anti-suicidi-1c9e12fe-e492-11e3-8e3e-8f5de4ddd12f.shtml
[fonte 3]
2 agosto 2012 http://www.comitatomoglioperai.it/?p=63

25 Luglio 2018Permalink

24 luglio 2018 – Due articoli importanti e una mia premessa

Strani effetti di una lettura interessante:
“Quando è viva davvero la memoria non contempla la storia, ma spinge a farla. <…> Come noi… è piena di contraddizioni … non è nata per servirci da ancoraggio. La sua vocazione sarebbe piuttosto di farci da catapulta”. Eduardo Galeano scrittore uruguayano

Qualche volta però la catapulta esagera.
Figuratevi che mi è tornato il mente il discorso del bivacco in cui un certo signore il 16 novembre 1922 dichiarava «Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli… ».
Chissà perché credevo continuasse “invece ne ho fatto un sito web”, cosa evidentemente impossibile dato perché nel 1922.la rete non c’era.
Così la mia sconnessa memoria molto senile mi ha proposto un’altra citazione :
«Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, io dichiaro qui al cospetto di questa assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano che assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto».
Ma questa che c’entra, ho detto alla mia memoria, questa risale al 3 gennaio 1925
E quella imperturbabile “il delitto Matteotti era avvenuto il 10 giugno 1924”.
Che sconquasso, nella mia testa s’intende. Meglio lasciar perdere

“Forse in futuro il Parlamento sarà inutile”. E’ bufera su Casaleggio
Il fondatore dei Rousseau definisce “inevitabile” il superamento della democrazia rappresentativa. Di Maio lo difende: “Sta a noi dimostrare il contrario”. Insorgono le opposizioni. Il Pd: “Che ne pensa Fico? Questo è autoritarismo”.
Proteste, richieste di intervento al presidente della Camera Roberto Fico, allarme per la tenuta della democrazia. Sta sollevando non poche polemiche, soprattutto da parte del Pd e delle opposizioni, il nuovo attacco al Parlamento sferrato da Davide Casaleggio. Per il fondatore dell’associazione Rousseau e uno dei leader del Movimento 5Stelle “tra qualche lustro” le Camere potrebbero non essere più utili. “Oggi grazie alla Rete e alle tecnologie – dice Casaleggio in una intervista alla “Verità” – esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile”.

Certo, afferma il figlio del guru pentastellato, “il Parlamento ci sarebbe e ci sarebbe con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti”. Ma “tra qualche lustro è possibile che non sarà più necessario nemmeno in questa forma”. Non è una novità per i 5Stelle e per Casaleggio ipotizzare un superamento della democrazia parlamentare in favore della democrazia diretta che – dice ancora – “è già una realtà grazie a Rousseau, che per il momento è adottato dal M5s ma potrebbe essere adottato in molti altri ambiti”. E infatti Luigi Di Maio non prende le distanze, anzi: “Di solito i Casaleggio ci prendono sempre quando parlano di futuro”, dice il vicepremier ospite di ‘L’aria che tira estatè su La7. E tuttavia precisa: “I cittadini già ci dicono che il Parlamento è inutile. Sta a noi, con atti concreti, dimostrare il contrario”.

Di “integrazione” parla un altro 5Stelle, il ministro per i Rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro, chiamato in causa dall’intervista di Casaleggio: “La sua riflessione riguarda una sfida che abbiamo di fronte: valorizzare il Parlamento nell’ottica di una funzionalità rinnovata. Vogliamo integrare la rappresentanza con la democrazia diretta per restituire le istituzioni ai cittadini. E’ questo l’obiettivo del M5S”. Ma inevitabilmente oggi che i 5Stelle sono al governo e che uno dei loro più autorevoli rappresentanti, Roberto Fico, presiede uno dei due rami del Parlamento, le strategie di Casaleggio non solo mettono in evidenza una contraddizione ma gettano un’ombra pesante sulla considerazione delle istituzioni da parte di chi guida il Paese. E a denunciarlo è soprattutto il Pd.

“Non dispiacerebbe sul superamento del Parlamento e della democrazia rappresentativa vagheggiato oggi da un imprenditore sentire la ferma voce di Roberto Fico che di Montecitorio – la cui Aula non è nè sorda, nè grigia – oggi è Presidente” scrive su twitter Filippo Sensi, già portavoce di Renzi e poi di Gentiloni a palazzo Chigi. C’è anche chi, come Matteo Orfini, presidente dem, interpreta le affermazioni di Casaleggio come la conferma della identità di destra del movimento: “Prima capiamo tutti che tra l’autoritarismo del M5s e quello della Lega non c’è alcuna differenza, meglio sarà per la sinistra italiana” twitta.

Anche per il costituzionalista e senatore dem Stefano Ceccanti il Pd deve “stare alla larga da chi vuole distruggere la democrazia”. Ceccanti richiama piuttosto le analogie tra le parole del leader 5Stelle e il discorso del bivacco di Mussolini del 16 novembre 1922, che cita: “Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Il vice presidente della Camera Ettore Rosato sottolinea che quella dei grillini è “la teoria coerente di chi guarda alla Russia di Putin o al Venezuela di Chavez come modelli, ma l’Italia è un’altra cosa, è quella della Costituzione, della Resistenza”. Federico Fornaro, capogruppo di LeU alla Camera invece cita Pertini: “E’ sempre meglio la peggiore delle democrazie della migliore delle dittature”, mentre il collega di partito Arturo Scotto definisce “eversive” le parole del fondatore di Rousseau.

Ma non è solo il centrosinistra a insorgere. Anche Forza Italia contesta le parole di Casaleggio. Il portavoce dei gruppi Giorgio Mulè parla di “minchiata galattica”, mentre l’ex presidente del Senato Renato Schifani definisce “aberrante” l’ipotesi di abolire le Camere. “Soltanto qualche settimana fa Beppe Grillo aveva proposto la scelta dei parlamentari attraverso un’estrazione” ricorda Schifani, ora “pensare di sostituire disegni di legge ed emendamenti con algoritmi significa affidare la democrazia a meccanismi oscuri”.                                                   [Fonte 1]

23 luglio Davide Casaleggio: «Il Parlamento? In futuro forse non sarà più necessario»

Il fondatore dell’associazione Rousseau in un’intervista alla «Verità» parla della sua idea di democrazia e dice: «I modelli novecenteschi sono superati»                                                                                                         (segnalo senza ricopiare)
e ancora un articolo firmato

23 luglio 2018  Il Parlamento inutile di Casaleggio, il guru con la testa rivolta al passato

La fine del Parlamento non è una nuova forma di democrazia, è la fine della democrazia in quanto tale  di Pierluigi Battista

Si dice di Davide Casaleggio, esattamente come del padre, che sia un «visionario», con la testa rivolta al futuro. Forse, invece, la testa del guru ereditario dei 5 Stelle è girata all’indietro. Per esempio ai tempi della Rivoluzione culturale maoista, quando le Guardie Rosse pensavano di esercitare la «democrazia diretta» con il linciaggio dei professori costretti a indossare in piazza cappelli con le orecchie d’asino e a spedire brutalmente i dissidenti nei cosiddetti campi di «rieducazione». Ora, in un’intervista concessa a Mario Giordano per «La verità», Davide Casaleggio dice in modo più esplicito del solito che la democrazia diretta e non rappresentativa «digitale» è l’unico futuro della democrazia e che addirittura il parlamentarismo ha gli anni contati, soppiantato dalla Rete: «Tra qualche lustro non sarà più necessario». Ma la fine del Parlamento non è una nuova forma di democrazia, è la fine della democrazia in quanto tale.

Jacob Talmon, già negli anni Cinquanta e quando la rete certamente non esisteva, elaborò la figura della «democrazia totalitaria» messa a punto da Jean-Jacques Rousseau, infatti uno dei numi tutelari del Movimento che dà pure il nome al «sacro Blog» dei 5 Stelle in cui si pretende di superare i limiti della «democrazia rappresentativa» con le cliccate di qualche migliaia di militanti allineati e fedeli al Dogma. Rousseau, stella polare delle frange più radicali del giacobinismo rivoluzionario in Francia, mise a punto un concetto misticheggiante di «volontà generale» che prevedeva solo l’unanimismo fervente del popolo indiviso e la criminalizzazione di ogni opinione dissenziente e di ogni partito separato, bollati come sabotatori del «contratto sociale». Ogni rappresentanza veniva vista come particolarismo, ogni mediazione come corruzione, ogni dissenso come un attacco alla voce del popolo, organizzata e cristallizzata nel consenso totalitario a un potere che faceva finta di non essere più potere, ma immediatezza, unanimità: democrazia diretta, appunto.

La democrazia diretta di Rousseau oliò le ghigliottine del totalitarismo. Invece il parlamentarismo moderno, dalla Gloriosa Rivoluzione inglese del Seicento fino ai nostri giorni, ha irrorato la democrazia liberale, quella vera. Vera e piena di contraddizioni, incompiutezze, incoerenze, certamente. Il paradosso attribuito a Churchill secondo cui la democrazia è il sistema peggiore sinora conosciuto, ma «tranne tutti gli altri» non è solo un paradosso. Tutti i tentativi di «democrazia diretta» che avrebbero dovuto compensare i difetti di quella rappresentativa si sono rivelati rimedi alla luce dei fatti, nelle dure «repliche della storia», mostruosamente peggiori dei mali che avrebbero dovuto guarire: a cominciare dalla mitologia dei Soviet e dei «consigli» che ha messo capo a uno dei sistemi totalitari più longevi e oppressivi fino alla scorciatoia fascista e dittatoriale delle «corporazioni» che avrebbe dovuto eliminare i particolarismi della democrazia parlamentare vituperata da una buona parte della cultura del primo Novecento.

La predicazione di Casaleggio, così proiettata su un futuro che tutti dicono «visionario», si fonda malgrado la sua patina di novità tecnologica su una concezione mistica del popolo visto come entità indivisa e con una sola voce. La democrazia rappresentativa, invece, vuole appunto «rappresentare» un popolo che non è un mostro omogeneo, ma è diviso per interessi, opinioni, idee, classi, orientamenti religiosi e il cui pluralismo si riflette nella pluralità delle sue rappresentanze parlamentari. Poi ci sono sistemi democratici in cui il Parlamento ha una funzione più centrale, altri più debole, con sistemi elettorali e istituzioni diverse, ma nella storia non esistono democrazie rappresentative senza Parlamenti. E anche i sistemi che virtuosamente applicano, con i referendum, correttivi di democrazia diretta, non si sognerebbero mai di abolire il Parlamento e la democrazia rappresentativa. Ma non esistono nemmeno democrazie «dirette» che non siano totalitarie.

Casaleggio insomma non è un precursore, ma l’ultimo seguace, dotato di maggiori strumenti tecnologici, dell’antica e classica retorica antidemocratica. Che poi, certo, la democrazia vive una crisi terribile, le sue istituzioni appaiono svuotate, le politiche economiche, il cuore di ogni politica, sono sempre più sottratte al controllo della sovranità popolare. Il meccanismo della decisione sembra inceppato, generando frustrazione, rabbia e pulsioni verso forme più «dirette» di decisionismo autoritario. Una crisi che molti paladini della democrazia si ostinano a non vedere, anzi a negare alimentando come in un circolo vizioso le smanie antidemocratiche della «democrazia diretta». Ma il Parlamento è troppo importante per metterlo nelle mani dei suoi nemici. Con la Rete o senza, nemici della democrazia tout court, da sempre.                                                                                  [Fonte 2]

[Fonte 1]
https://www.repubblica.it/politica/2018/07/23/news/casaleggio_parlamento_inutile-202476029/
[Fonte 2]
https://www.corriere.it/politica/18_luglio_23/parlamento-inutile-casaleggio-guru-la-testa-rivolta-passato-306f9d3a-8ea6-11e8-a00a-fdaee410bf0b.shtml

 

24 Luglio 2018Permalink

21 luglio 2018 – Se nasci e non hai un nome non esisti. Nessuno potrà chiamarti vicino a sé

Oggetto: Lettera aperta alle assessore del comune di Udine
– diritto di ogni nato in Italia al certificato di nascita

Gentili assessore dott.ssa Elisa Battaglia, dott.ssa Francesca Laudicini, dott.ssa Daniela Perissutti, avv. Silvana Olivotto,
sono una vecchia cittadina udinese preoccupata dall’ipotesi che ci siano bambini che, nati in Italia, vengano privati del certificato di nascita non per negligenza dei genitori ma per una norma di legge emanata nel 2009. Scrivo quindi a ognuna di voi, come da anni faccio con donne e uomini del mondo politico e della cultura, perché assessore del comune, l’ente che ora gioca un ruolo determinante in una vicenda molto triste.
Infatti nel 2009 la legge 94 (art. 1, comma 22, lettera g) aveva modificato in una forma inusitata le condizioni di registrazione delle dichiarazioni di nascita se – allo sportello degli Uffici anagrafe dei comuni – si presentassero cittadini non comunitari, genitori di un bimbo nato in Italia pronti a garantirgli, come dovuto, il certificato di nascita.
La legge che ho sopra citato, nota come ‘pacchetto sicurezza’ prevedeva e prevede infatti fra i documenti che i genitori devono presentare il permesso di soggiorno, il che ha creato una significativa difficoltà come testimonia il Terzo Rapporto Supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (novembre 2017. cap.3.1):
«Rispetto … al diritto di registrazione alla nascita, si fa presente che l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato, avvenuta con la legge 15 luglio 2009 n.94 in combinato disposto con gli artt. 316-362 c.p., obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante. Tale prescrizione condiziona i genitori stranieri che, trovandosi in situazione irregolare, spesso non si presentano agli uffici anagrafici, proprio per timore di essere eventualmente espulsi».
E il rapporto ancora raccomanda «di intraprendere una campagna di sensibilizzazione sul diritto di tutti i bambini ad essere registrati alla nascita, indipendentemente dall’estrazione sociale ed etnica e dallo status soggiornante dei genitori».
Contestualmente alla legge era stata però emanata la circolare n. 19 del 7 agosto 2009 del Ministero dell’Interno (Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali) che afferma:
« Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto».
La circolare quindi rende possibile ciò che la legge nega, assicurando ad ogni nuovo nato in Italia quello che gli è dovuto: il diritto ad avere un’identità, un nome, una cittadinanza, diritto assoluto (secondo il significato del termina latino ab solutus, sciolto da ogni vincolo).
Non gli garantisce naturalmente la cittadinanza italiana perché in Italia vige lo ius sanguinis non lo ius soli e la cittadinanza può essere concessa solo a particolari condizioni previste dalla legge n.91/1992 (Nuove norme sulla cittadinanza). Quindi, finché non ci saranno contestuali modifiche, ad ogni nuovo nato verrà riconosciuta la cittadinanza dei genitori.
Purtroppo il ‘pacchetto sicurezza’ non è stato modificato e oggi questo diritto è affidato a uno strumento debole, quale una circolare nei confronti di una legge.
Ma, proprio perché strumento debole per un diritto assoluto (diritto di ogni neonato insisto), la circolare merita il massimo di attenzione e cura in una situazione in cui una donna non può non provare una totale solidarietà per sue simili che possono (dalla scarsa conoscenza della circolare e dalla paura di una scorretta applicazione) essere indotte a nascondere il piccolo senza identità e senza nome: un fantasma in definitiva, vittima di una norma che penalizza chi la subisce, degrada chi la promuove e umilia chi non può liberarsene come cittadino/a di uno stato che l’ha fatta propria.
Il 10 dicembre del 1948 l’Assemblea delle Nazioni Unite si aprì affermando nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.
In questo momento di confusa fragilità della civiltà che allora sperammo di promuovere, consapevoli degli orrori che avevano distrutto e schiavizzato popoli interi, di fronte al rischio di negare a nuovi nati un’esistenza giuridicamente riconosciuta, i Comuni possono farsi garanti di un passaggio importante e le donne, nell’orgogliosa rivendicazione del loro status di madri (biologiche e non), possono farsene responsabili custodi.
Augusta De Piero                                                           Udine 9 luglio 2018

NOTA: la lettera è stata pubblicata il 21 luglio  dal quotidiano Messaggero Veneto

21 Luglio 2018Permalink

20 luglio 2018 – I ‘figli degli altri’ fra Israele e l’Italia

Un articolo che si presenta da sé
“si nota non solo un crescente fascismo israeliano, ma anche un razzismo simile al nazismo degli esordi”.

1 marzo 2018  Da «Micromega» Zeev Sternhell    [Nota 1 ]
“Israele, fascismo in crescita e razzismo come nazismo degli esordi” [Nota 2 ]
Spesso mi chiedo come, tra 50 o 100 anni, uno storico interpreterà la nostra epoca. Quand’è – si chiederà – che la popolazione in Israele ha iniziato a realizzare che lo Stato, nato dalla guerra d’indipendenza, sulle rovine dell’ebraismo europeo, e pagato col sangue dei combattenti, alcuni dei quali erano sopravvissuti all’Olocausto, si è trasformato in una tale mostruosità per i suoi abitanti non ebrei? Quand’è che alcuni israeliani hanno capito che la loro crudeltà e la capacità di prevaricazione sugli altri, palestinesi o africani, ha iniziato a erodere la legittimità morale della loro esistenza come entità sovrana?
La risposta, potrebbe dire quello storico, è racchiusa nelle azioni di parlamentari come Miki Zohar e Bezalel Smotrich e nelle proposte di legge del ministro della Giustizia Ayelet Shaked. La legge dello Stato-nazione, che sembra formulata dal peggiore degli ultranazionalisti europei, è stata solo l’inizio. Dato che la sinistra non ha protestato contro di essa nelle manifestazioni in Rotchild Boulevard, quella è stata l’inizio della fine della vecchia Israele, la cui dichiarazione di indipendenza rimarrà come pezzo da museo. Un reperto archeologico che insegnerà alla gente ciò che Israele sarebbe potuta diventare, se solo la sua società non fosse stata disintegrata dalla devastazione morale causata dall’occupazione e dall’apartheid nei Territori.
La sinistra non è più in grado di sconfiggere l’ultranazionalismo tossico che si è sviluppato qui, la cui versione europea ha praticamente sterminato la maggioranza del popolo ebraico. Le interviste per Haaretz di Ravit Hech a Smotrich e Zohar (3 dicembre 2016 e 28 ottobre 2017) dovrebbero essere ampiamente diffuse su tutti i media in Israele e nel mondo ebraico. In entrambe, si nota non solo un crescente fascismo israeliano, ma anche un razzismo simile al nazismo degli esordi.
Come ogni ideologia, la teoria nazista della razza si è sviluppata nel corso degli anni. All’inizio, ha solo privato gli ebrei dei loro diritti umani e civili. È possibile che, se non ci fosse stata la Seconda Guerra Mondiale, la “questione ebraica” si sarebbe risolta con la sola espulsione “volontaria” degli ebrei dalle terre del Reich. Dopotutto, molti ebrei austriaci e tedeschi erano riusciti ad andarsene in tempo. È possibile che questo sia il futuro dei palestinesi.
Smotrich e Zohar, infatti, non vogliono nuocere fisicamente ai palestinesi, a patto che questi non si ribellino contro i loro padroni ebrei. Vogliono semplicemente privarli dei diritti umani fondamentali, come l’autogoverno nel loro Stato e la libertà dall’oppressione, o l’uguaglianza di diritti nel caso in cui i territori siano ufficialmente annessi a Israele. Per questi due rappresentanti della maggioranza alla Knesset, i palestinesi sono condannati a restare sotto occupazione per sempre. È probabile che anche il Comitato centrale del Likud la pensi così. Il ragionamento è semplice: gli arabi non sono ebrei, quindi non possono rivendicare la proprietà di alcuna porzione della terra che è stata promessa al popolo ebraico.
Secondo il ragionamento di Smotrich, Zohar e Shaked, un ebreo di Brooklin che non ha mai messo piede in questo Paese è il legittimo proprietario di questa terra, mentre un palestinese, la cui famiglia vive qui da generazioni, è uno straniero che vive qui solo grazie alla benevolenza degli ebrei. “Un palestinese – ha detto Zohar a Hecht – non ha alcun diritto all’autodeterminazione nazionale perché non possiede la terra in questo Paese. Per senso del vivere civile gli riconosco la residenza, dato che è nato qui e vive qui; non gli dirò di andarsene. Ma, mi dispiace dirlo, loro hanno un enorme handicap: non sono nati ebrei”.
Da ciò si può presumere che, anche se si convertissero tutti, si facessero crescere i payot (riccioli laterali) e studiassero la Torah, non servirebbe. Questa è la realtà dei richiedenti asilo sudanesi ed eritrei e dei loro figli, che sono israeliani a tutti gli effetti. Era lo stesso con i nazisti. Poi c’è l’apartheid, che si può applicare in determinate circostanze agli arabi con cittadinanza israeliana. La maggior parte degli israeliani non sembra preoccupata.
* di Elena Bellini da Nena News

[Nota 1]
Zeev Sternhell, 83 anni, il più autorevole storico israeliano. Tra le sue opere, ricordiamo «Nascita d’Israele. Miti, storia, contraddizioni»; «Nascita dell’ideologia fascista»; «Contro l’illuminismo. Dal XVIII° secolo alla guerra fredda», editi in Italia da Baldini, Castoldi, Dalai. Nel 2008, è stato insignito della più prestigiosa onorificenza culturale e scientifica del suo Paese: il Premio Israele per le Scienze politiche.
La denuncia lo storico israeliano Zeev Sternhell: “Israele vuole privare i palestinesi dei diritti umani fondamentali. La sinistra non è più in grado di sconfiggere l’ultranazionalismo tossico che si è sviluppato qui, la cui versione europea ha praticamente sterminato la maggioranza del popolo ebraico”.
di Zeev Sternhell, da Haaretz *

[Nota 2]
http://temi.repubblica.it/micromega-online/israele-fascismo-in-crescita-e-razzismo-come-nazismo-degli-esordi/
Ripreso da Tiziano Sguazzero su facebook
https://www.facebook.com/tiziano.sguazzero?hc_ref=ARTMaJhz2kBKmuzKZ5dPDjWOANpExPkl4SivX1tBGwY63YP0qkVUAEFDLCL2yTDGHCU&fref=nf

[Nota 3] A proposito dell’articolo pubblicato ieri: Qualcuno parla anche in Italia
Gad Lerner
L’idolatria dello Stato-Nazione diventa legge a stretta maggioranza e divide Israele. Svilisce la tradizione ebraica, umilia i palestinesi, legittima l’espansionismo dei coloni nei territori occupati. Netanyahu brinda con Orbàn ma è un giorno triste per chi ama quella terra

20 Luglio 2018Permalink

20 luglio 2018 – Ancora un articolo di Gideon Levy, giornalista di Israele

La legge che dice la verità su Israele di Gideon Levy, Haaretz, Israele

Il parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato una delle leggi più importanti della sua storia, oltre che quella più conforme alla realtà. La legge sullo stato-nazione (che definisce Israele come la patria storica del popolo ebraico, incoraggia la creazione di comunità riservate agli ebrei, declassa l’arabo da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale) mette fine al generico nazionalismo di Israele e presenta il sionismo per quello che è. La legge mette fine anche alla farsa di uno stato israeliano “ebraico e democratico”, una combinazione che non è mai esistita e non sarebbe mai potuta esistere per l’intrinseca contraddizione tra questi due valori, impossibili da conciliare se non con l’inganno.
Se lo stato è ebraico non può essere democratico, perché non esiste uguaglianza. Se è democratico, non può essere ebraico, poiché una democrazia non garantisce privilegi sulla base dell’origine etnica. Quindi la Knesset ha deciso: Israele è ebraica. Israele dichiara di essere lo stato nazione del popolo ebraico, non uno stato formato dai suoi cittadini, non uno stato di due popoli che convivono al suo interno, e ha quindi smesso di essere una democrazia egualitaria, non soltanto in pratica ma anche in teoria. È per questo che questa legge è così importante. È una legge sincera.
Le proteste contro la proposta di legge erano nate soprattutto come un tentativo di conservare la politica di ambiguità nazionale.
Il presidente della repubblica, Reuven Rivlin, e il procuratore generale di stato, i difensori pubblici della moralità, avevano protestato, ottenendo le lodi del campo progressista. Il presidente aveva gridato che la legge sarebbe stata “un’arma nelle mani dei nemici di Israele”, mentre il procuratore generale aveva messo in guardia contro le sue “conseguenze internazionali”. La prospettiva che la verità su Israele si riveli agli occhi del mondo li ha spinti ad agire. Rivlin, va detto, si è scagliato con grande vigore e coraggio contro la clausola che permette ai comitati di comunità di escludere alcuni residenti e contro le sue implicazioni per il governo, ma la verità è che a scioccare la maggior parte dei progressisti non è stato altro che vedere la realtà codificata in legge.

Era bello dire che l’apartheid riguardava solo il Sudafrica
Anche il giurista Mordechai Kremnitzer ha denunciato invano il fatto che la proposta di legge avrebbe “scatenato una rivoluzione, né più né meno. Sancirà la fine di Israele come stato ebraico e democratico”. Ha poi aggiunto che la legge avrebbe reso Israele un paese guida “per stati nazionalisti come Polonia e Ungheria”, come se non fosse già così da molto tempo. In Polonia e Ungheria non esiste un popolo che esercita la tirannia su un altro popolo privo di diritti, un fatto che è diventato una realtà permanente e un elemento inscindibile del modo in cui agiscono Israele e il suo governo, senza che se ne intraveda la fine.
Tutti questi anni d’ipocrisia sono stati piacevoli. Era bello dire che l’apartheid riguardava solo il Sudafrica, perché lì tutto il sistema si basava su leggi razziali, mentre noi non avevamo alcuna legge simile. Dire che quello che succede a Hebron non è apartheid, che quello che succede in Cisgiordania non è apartheid e che l’occupazione in realtà non faceva parte del regime. Dire che eravamo l’unica democrazia della regione, nonostante i territori occupati. Era piacevole sostenere che, poiché gli arabi israeliani possono votare, la nostra è una democrazia egualitaria. O fare notare che esiste un partito arabo, anche se non ha alcuna influenza. O dire che gli arabi possono essere ammessi negli ospedali ebraici, che possono studiare nelle università ebraiche e vivere dove meglio credono (sì, come no).
Ma quanto siamo illuminati. La nostra corte suprema ha stabilito, nel caso dei Kaadan, che una famiglia araba poteva comprare una casa a Katzir, una comunità ebraica, solo dopo anni di dispute. Quanto siamo tolleranti nel consentire agli arabi di parlare arabo, una delle lingue ufficiali. Quest’ultima è chiaramente una menzogna. L’arabo non è mai stato neanche remotamente trattato come una lingua ufficiale, come succede invece per lo svedese in Finlandia, la cui minoranza è nettamente più piccola di quella araba in Israele.
Era comodo ignorare che i terreni di proprietà del Fondo nazionale ebraico, che includono buona parte delle terre dello stato, erano riservati ai soli ebrei, una posizione sostenuta dalla corte suprema, e affermare che fossimo una democrazia. Era molto più piacevole considerarci egualitari. Adesso ci sarà uno stato che dice la verità. Israele è solo per gli ebrei, anche sulla carta. Lo stato nazione del popolo ebraico, non dei suoi abitanti. I suoi arabi sono cittadini di seconda classe e i suoi abitanti palestinesi non hanno statuto, non esistono. Il loro destino è determinato da Gerusalemme, ma non sono parte dello stato. È più facile per tutti così.
Rimane un piccolo problema con il resto del mondo, e con l’immagine d’Israele che questa legge in parte macchia. Ma non è un grave problema. I nuovi amici d’Israele saranno fieri di questa legge. Per loro sarà una luce che illumina le nazioni. Tanto le persone dotate di coscienza di tutto il mondo conoscono già la verità, e da tempo devono farci i conti. Sarà un’arma nelle mani del movimento Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele)? Sicuramente. Israele se l’è guadagnata, e ora ne ha fatto una legge.
(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz.
Opinion A Law That Tells the Truth About Israel
The nation-state law makes it plain. Israel is for Jews only, on the books. It’s easier this way for everyone Gideon Levy Jul 12, 2018 5:01 AM

https://www.haaretz.com/opinion/.premium-a-law-that-tells-the-truth-about-israel-1.6267705

Finisce l’oggi e recupero l’ieri che il nome di Gideon Levy mi richiama in un passaggio fondamentale della mia vita che ho testimoniato nel mio blog
21 agosto 2010 – Chi garantisce il diritto di esistere?
21 agosto 2010   –  diariealtro.it/?p=511

20 Luglio 2018Permalink

19 luglio 2018 – Cercare nel dolore le strade della solidarietà

Vivere senza esistere

Di fronte alle tragiche morti dei migranti, con cui continuamente siamo costretti a confrontarci, emerge la chiarezza delle parole di chi le vite salva e vuol salvare ma non si propongono gli strumenti adeguati ad affrontare questa difficile – e temo non breve – fase della storia.
Non lasciamoci paralizzare dall’orrore e dal dolore.
E’ il momento di sostenere ogni contributo alla sicurezza dei più deboli comunque minacciata.
Intervenire contro ogni minaccia è un modo per ricordarci quello che si può fare e indurci a fare di più.
Non è piccola cosa che chi nasce in Italia, figlio di migrante non comunitario irregolare, rischi di non avere un’esistenza legalmente riconosciuta perché gli è negata la garanzia del certificato di nascita.
Vivere senza esistere è una tragedia cui si può porre rimedio e, se non è stata modificata la legge che nel 2009 ne ha creato le condizioni, è possibile appoggiarsi alla circolare contestualmente emanata e che, se nota e applicata, può far superare l’ostacolo che la legge crea.
Riporto il parere di un’esperta, scritto nel 2009 ma ancor valido, come contributo alla possibilità di non tradire le vite che si aprono nel nostro paese di cui i comuni possono farsi garanti assumendo un ruolo di civiltà che non può essere loro sottratto.

L’ESPERTO RISPONDE 

Buongiorno sono un cittadino extracomunitario sono sposato e vivo con mia moglie in Italia ma siamo irregolari , senza permesso di soggiorno. Mia moglie aspetta un a bambino e deve partorire tra un mese , cosa dobbiamo fare in ospedale, dobbiamo presentare la denuncia di nascita anche se siamo irregolari?

29- ottobre 2009- La denuncia di nascita deve essere presentata obbligatoriamente, costituisce un diritto della persona, se non esiste l’atto di nascita non esiste la persona e quindi i diritti civili, come ad esempio il diritto al nome, pertanto è un atto dovuto nei confronti del bambino. Se tua moglie partorisce in ospedale la dichiarazione di nascita potrai farla tu o anche il medico o l’ostetrica o anche una persona che ha assistito al parto. La dichiarazione deve essere resa entro tre giorni dalla data del parto. In merito al fatto che non avete il permesso di soggiorno non dovete preoccuparvi in quanto non potete essere segnalati all’autorità giudiziaria in quanto irregolarmente soggiornanti. L’accesso alle strutture sanitarie, inteso non solo come il diritto di usufruire di prestazioni mediche ma inteso come anche uso nell’insieme dei servizi, anche di tipo amministrativo, da effettuare presso la struttura sanitaria di fatto non comporta nessuna segnalazione all’autorità. Il fatto di non avere il permesso di soggiorno non incide neanche sulla dichiarazione di nascita. Dopo l’emanazione del pacchetto sicurezza, è stato modificato, l’articolo 6,comma 2, del D. Lgs. n.286/1999, Testo unico sull’immigrazione, che recita: “Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”. Dalla lettura della norma si poteva evincere che per l’iscrizione in anagrafe del minore era necessario esibire un permesso di soggiorno in corso di validità. Per chiarire la situazione il Ministero dell’Interno ha emanato una circolare, la numero 19 del 7 agosto 2009, vedi articolo: http://www.stranieriinitalia.it/ministero_dell_interno-chiarimenti_in_materia_di_anagrafe_e_stato_civile._9243.html ,
che ha chiarito che l’obbligo di esibizione del permesso di soggiorno previsto da tale norma non si applica alla dichiarazione di nascita ed al riconoscimento del figlio naturale. Quindi si può rendere la dichiarazione di nascita anche se non si è in possesso di permesso di soggiorno. Se la dichiarazione di nascita viene effettuata in ospedale sarà il direttore sanitario a inoltrare la dichiarazione di nascita all’ufficiale civile entro 10 giorni, il quale formerà l’atto di nascita.. Ti ricordo che la dichiarazione di nascita può anche essere effettuata, entro dieci giorni dalla nascita, presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto, dovrai recarti all’ufficio anagrafe. L’ufficiale civile formerà l’atto di nascita, dovrai esibire attestazione di nascita rilasciata dal medico o dall’ostetrica che ha assistito al parto e come documento, sufficiente mostrargli il passaporto, non il permesso di soggiorno.    Mariangela Lioy

http://www.stranieriinitalia.it/l-esperto-risponde/lesperto-risponde/lesperto-risponde/figlio-di-irregolari-come-denunciare-la-nascita.html

19 Luglio 2018Permalink

18 luglio 2918 – Oggi Mandela compie 100 anni

Ricordando quando avevo scritto su quello straordinaria iniziativa politica, che fu l’istituzione della Commissione per la Verità e la Riconciliazione ideata da Nelson Mandela e dal vescovo anglicano Desmond Tutu il 7 dicembre 2013
[onte 1] ricopio quanto ho trovato sul discorso di Barack Obama a Johannesburg proprio in occasione del centenario della nascita di Nelson Mandela [fonte 2]

17 luglio – Obama, omaggio a Mandela guardando anche a Trump: “Attenti alla politica dell’uomo forte”
L’ex presidente americano, a Johannesburg per il centenario della morte del leader antiapartheid, ripercorre i progressi dell’ultimo secolo sulle diseguaglianze. E racconta le sue preoccupazioni per il futuro. Molte le allusioni a The Donald all’indomani del vertice con Putin di Silvia Martelli

Viviamo in tempi strani e incerti – molto strani e molto incerti. Ogni giorno sentiamo notizie estremamente inquietanti. Per capire come siamo arrivati qui dobbiamo capire che cosa è successo cento anni fa”. Così Barack Obama, acclamato da quindicimila persone nello stadio di Johannesburg, ha esordito la sua “lezione” offerta al pubblico sudafricano e a moltissimi ospiti internazionali per il centenario della nascita di Nelson Mandela, eroe antiapartheid e premio Nobel per la pace. Le allusioni alla presidenza di Donald Trump sono state molte seppur implicite: senza mai menzionare apertamente il suo successore, Obama ha parlato di xenofobia e nazionalismo in aumento, e di una politica “dell’uomo forte” sempre più popolare, quasi espressione del vertice tra Putin e l’attuale presidente Usa che si è appena svolto a Helsinki.
Accolto dalla folla che scandiva il suo celebre slogan elettorale – “Yes we can” – l’ex presidente americano ha compiuto una rapida carrellata degli eventi storici in Sudafrica e nel mondo, sottolineando la forza della lotta contro la segregazione di cui l’ex presidente sudafricano Mandela è stato campione, per i neri e non solo.

“Il cittadino medio 100 anni fa non credeva ci fosse alcuna possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Persino in una democrazia come gli Stati Uniti la segregazione razziale e la discriminazione sistematica erano leggi in metà del Paese, e norme nell’altra metà. Ma attraverso sacrifici e leadership incrollabile, e forse soprattutto con il suo esempio morale, Mandela e il movimento che ha guidato hanno finito per significare qualcosa di più grande. È diventato il simbolo delle aspirazioni universali dei diseredati in tutto il mondo”.
Così Obama sottolinea come la forza del movimento di Mandela non abbia avuto confini, inspirando persone di ogni età e provenienza. Tra queste lui stesso, allora un giovane uomo che si è sentito di riconsiderare le proprie priorità, ammaliato dalla generosità e naturalezza con cui Mandela abbracciava quelli che erano stati i suoi peggior nemici. “Non erano solo gli oppressi ad essere liberati – spiega -, gli oppressori stessi stavano ricevendo un enorme dono, l’opportunità di contribuire agli sforzi per costruire di un mondo migliore”. E proprio questi progressi, che sono stati “veri e profondi”, permettendo a un’intera generazione di crescere in un mondo più libero e tollerante, dovrebbero essere fonte di grande speranza secondo l’ex presidente americano, che però avverte: si tratta di una speranza che non può autorizzarci ad ignorare le minacce di un ritorno ad un mondo “ancora più brutale e pericoloso”:

“Dobbiamo iniziare ad ammettere che qualunque legge sia stata scritta… le precedenti strutture di potere, privilegi, ingiustizie e sfruttamento non sono mai completamente sparite”. Così Obama si sofferma lungamente sulle diseguaglianze che tuttora esistono in America, in Sudafrica ed in molti altri Paesi. “Per alcuni, più le cose sono cambiate e più sono rimaste le stesse” racconta in riferimento alla globalizzazione e agli sviluppi che hanno “saltato intere regioni e nazioni”, a tal punto che i più ricchi al mondo possiedono tanto quanto la metà più povera della popolazione mondiale. A questo dato allarmante Obama aggiunge la preoccupazione per la diffusione a piede libero delle politica “della paura e del risentimento” e di leggi sull’immigrazione basate su religione ed etnia.

“Guardatevi intorno – dice evidentemente alludendo alla presidenza Trump – la politica dell’ uomo forte sta dilagando, coloro al potere stanno cercando di minacciare tutte le istituzioni e le norme che danno un significato alla democrazia”. Sottolinea anche la situazione drammatica della stampa, ora “sotto attacco”, e l’utilizzo dei social media come strumento di propaganda e per promuovere odio, un altro riferimento implicito al rapporto conflittuale di Trump con i media e al suo utilizzo di Twitter. Non mancano i commenti sulle ‘fake news’, altro carattere distintivo della presidenza di The Donald. “Questo era uno di quegli argomenti su cui non pensavo di dovere dare lezioni – dice Obama -. Dovete credere ai fatti. Senza fatti, non c’è base per cooperare. Se io dico che questo è un podio e tu che è un elefante, sarà molto difficile intenderci. Non ci può essere un punto di incontro se qualcuno dice che il clima non sta cambiando, mentre tutti gli scienziati del mondo affermano il contrario”.

Obama si dice infine preoccupato per il problema crescente di governi autoritari che impediscono uno sviluppo economico, politico, culturale e scientifico in quanto spesso consumati da guerre sia civili che internazionali.

L’ex presidente condivide pienamente la visione di Mandela per il futuro, la possibilità di attuare in toto i principi che il leader sudafricano predicava con tanta passione. “Credo nelle idee di Mandela, condivise da Gandhi, King e Abraham Lincoln, credo in un progetto basato sull’equalità, giustizia, libertà, e in una democrazia multirazziale costruita sul principio che siamo creati tutti uguali e abbiamo dei valori inalienabili – dice – . Ci può essere più pace, più cooperazione in nome di un bene comune. Ma per questo, dovremo lavorare di più, e con più intelligenza”. Così Obama incita ad essere più fantasiosi, prendendo in considerazione idee come il reddito di base universale, e invita a portare investimenti nei Paesi in via di sviluppo, abbandonando l’idea di “fare solo carità”.

[fonte 1] https://diariealtro.it/?p=2830
[fonte 2]
http://www.repubblica.it/esteri/2018/07/17/news/obama_discorso_centenario_mandela-202010398/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P6-S1.8-T1

18 Luglio 2018Permalink

16 luglio 2018 _ Migranti, volontari bacchettano i vescovi: “Alzate la voce contro il razzismo”

15 luglio 2018_ Lettera aperta di un centinaio di operatori pastorali ai vertici della Conferenza episcopale italiana: “Non abbiate paura di essere etichettati o di perdere dei privilegi economici” di Giovanni Panettiere

Roma, 15 luglio 2018 – “Restano ancora poche” le voci dei vescovi che ricordano “l’inconciliabilità profonda tra razzismo e cristianesimo”. A denunciarlo sono centodieci operatori pastorali cattolici in una lettera indirizzata al presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Gualtiero Bassetti, e ai singoli vescovi delle 226 diocesi. Tra i firmatari preti, religiosi, laici, in alcuni casi si tratta di docenti di università pontificie (uno dei promotori è don Rocco D’ambrosio, professore di Filosofia politica alla Gregoriana), in altri di responsabili della Caritas a livello diocesano. A unirli il disagio crescente per una sempre più dilagante cultura del “rifiuto, della paura degli stranieri, del razzismo, della xenofobia; una cultura avallata e diffusa persino da rappresentanti delle istituzioni”.
Migranti, Mattarella sblocca sbarco nave Diciotti. Salvini si infuria
In un contesto sociale cosí arroventato “sono diversi a pensare che è possibile essere cristiani e, al tempo stesso, rifiutare o maltrattare gli immigrati – continua l’appello – denigrare chi ha meno o chi viene da lontano, sfruttare il loro lavoro ed emarginarli in contesti degradati e degradanti”. Non mancano poi “le strumentalizzazioni della fede cristiana”, con l’uso, “a volte blasfemo o offensivo” di simboli religiosi come il crocifisso, il rosario o versetti della Scrittura”.
Gli estensori della lettera richiamano gli intervventi contro il razzismo dello stesso Bassetti e del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin. “Ma restano ancora poche le voci dei Pastori – è l’affondo – che ricordano profeticamente cosa vuol dire essere fedeli al Signore”. E non c’è niente che possa giustificare il silenzio della Chiesa: “Né la paura di essere fraintesi o collocati politicamente, né la paura di perdere privilegi economici o subire forme di rifiuto o esclusione ecclesiale e civile”.
Migranti, un italiano su due vuole i porti chiusi. Ma piace la mediazione di Mattarella
Gli ultimi vescovi in ordine di tempo a prendere la parte dei migranti sono entrambi siciliani: monsignor Pietro Maria Fragnelli (Trapani), che ha espresso gratitudine per l’intervento risolutivo del Capo dello Stato sul caso della nave Diciotti, e monsignor Antonio Staglianò (Noto). Quest’ultimo, in passato critico verso posizioni di accoglienza senza limiti, si è fatto sentire per stigmatizzare la vicenda delle due navi, con 400 migranti a bordo, ferme davanti alle coste di Pozzallo per volere del governo Conte. “Il braccio di ferro politico va fatto a bocce ferme – ha ricordato Staglianò –, non si può mettere a rischio la vita delle persone”. Nei giorni scorsi il presidente dell’episcopato siciliano, monsignor Corrado Lorefice, se l’era presa, neanche troppo implicitamente, con il vice premier Matteo Salvini: “È giusto che l’accoglienza dei migranti diventi una questione europea, ma non si possono chiudere i porti e lasciare la gente galleggiare in mare. C’è pure qualcuno che rivendica le radici cristiane, ma di quale cristianesimo stiamo parlando?”.
Prima dell’arcivescovo di Palermo erano scesi in campo, incassando anche insulti sul web, i vescovi di Bologna (monsignor Matteo Zuppi) e di Acquaviva (monsignor Giovanni Ricchiuti). Segno che qualcosa si muove, dalle diocesi c’è chi rompe il silenzio. Ma per i firmatari dell’appello anti-razzismo nella Chiesa a prevalere è ancora la prudenza.
https://www.quotidiano.net/cronaca/migranti-1.4039813

NOTA: Spero che l’attenzione dei volontari con le idee chiare si scateni a Natale e Pasqua quando presepi e crocifissi sono usati come armi improprie contro il ‘nemico’ con  picchi di attenzione stagionale, di regola scomposta e agitata.

16 Luglio 2018Permalink