5 agosto 2012 – Il cammino di Santiago 13

Il Cid Campeador

Avevo lasciato la cattedrale di Bugos ricordando la tomba del Cid Campeador e di sua moglie doña Sancha. Qualche cosa ne devo dire perché il Cid rappresenta molto di più, delle caratteristiche dell’immagine stereotipata che lo vuole eroe nazionale e difensore della cristianità.
Fu signore di Valencia che, conquistata nel 1094 dopo lungo assedio, tenne fino alla morte quando gli successe la moglie Sancha che mantenne il potere sulla città fino al 1112.
Nel 1081 il re Alfonso VI l’aveva esiliato e il Cid per 10 anni fu mercenario e capitano di ventura dell’emiro di Saragozza.
Una situazione che – come ha precisato Laura Novati –  “la dice lunga sul tipo di rapporti di vassallaggio e interdipendenza culturale ed economica che si stabilì in terra di Spagna fra i regni sia mussulmani che cristiani” nella lunga storia che va dal 711 al 1492.
Chi volesse vedere i confini fra la Spagna mussulmana e la Spagna cristiana può andare al mio diario del 30 giugno, raggiungibile anche da qui, dove ho pubblicato una cartina.

6 giugno – sesto giorno – Frómista, Sahagun
Dovevo essere in un giorno di particolare negligenza perché i miei appunti non mi consentono di essere precisa nell’indicazione delle fotografie che pure voglio pubblicare.
La prima rappresenta un sarcofago in cui è visibile una donna che passa le mani sul volto che si presume rigato dal pianto, immagine straordinaria del dolore umano fuori di ogni retorica e schematizzazione.
La seconda invece è molto deprimente: rappresenta una madonna burattino del tipo (e non è l’unica che ci è stata proposta) che viene esibito durante le processioni quando può essere costretta a qualche movimento con un attrezzo posto sul retro della statua.
Questa statua viene vestita, cambiata, curata  da donne che si considerano sue devote come le sacerdotesse di un antico idolo.

Il volumetto offerto da Biblia  ricorda a Sahagun la presenza “di una forte comunità giudaica che visse in perfetta armonia con i benedettini del monastero intitolato ai santi Facondo e Primitivo fino a quando nel 1492 i re Ferdinando e Isabella non ne decisero l’espulsione dalla Spagna”.

Continua – precedenti puntate 18, 21, 23, 29, 30 giugno; 4, 10, 11, 17, 22, 27 luglio e 3 agosto

5 Agosto 2012Permalink

31 luglio 2012 – Senza legge e senza pietà

Il 15 luglio ho pubblicato una nota (raggiungibile anche da qui) in cui riportavo un messaggio ricevuto che segnalava la presenza di una donna straniera, in avanzato stato di gravidanza che, fuori dal Centro di identificazione ed espulsione (CIE di Gradisca – Go), cercava di sollecitare l’opportuno interesse per il padre del suo bambino, trattenuto nel Centro.
Non sono riuscita a saperne più nulla e non so quindi se si sia attivato un processo di tutela dovuta a lei e al nascituro (il comune di Gradisca è intervenuto per garantire a una donna incinta ridotta in strada le misure di assistenza dovute? Qualcuno ha assicurato il padre del padre del piccolo in merito alla registrazione anagrafica dopo la nascita, atto che deve poter compiere senza presentazione alcuna del permesso di soggiorno per far sì che quel bambino non diventi un apolide – si veda il tag anagrafe in questo blog)?
Di regola da queste parti le associazioni e i movimenti che si adoperano per i migranti scelgono la strada della protesta generale contro il CIE (obiettivo certamente condivisibile) affidando la tutela dei soggetti in difficoltà a misure assistenziali di vario genere, cui spesso sono estranei i soggetti istituzionali se non come erogatori di contributi (quando ne erogano).

La legge che non c’è
Ricopio di seguito una nota ricevuta da un’amica bolognese che segnala la strada della tutela individuale a termine di legge.
Personalmente penso che una seria riflessione sui diritti violati servirebbe anche a sostenere la richiesta di modifica dei CIE e non solo.
In Italia manca infatti una legge sull’asilo a norma della Convenzione di Ginevra.
L’articolo 1 della Legge 28 febbraio 1990, n. 39 (cd legge Martelli) dice: “Dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessano nell’ordinamento interno gli effetti della dichiarazione di limitazione geografica e delle riserve di cui agli articoli 17 e 18 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, poste dall’Italia all’atto della sottoscrizione della convenzione stessa. Il Governo provvede agli adempimenti necessari per il formale ritiro di tale limitazione e di tali riserve”.
Nonostante gli impegni allora previsti nulla è stato fatto per questo problema anche se sono state emanate diverse norme (di vario livello e con diverse finalità) relative ai migranti.
Il semplice testo della Convenzione si dimostra da tempo insufficiente garanzia per i richiedenti asilo, uomini e donne.
La drammaticità della notizia che pubblico ci ricorda l’importanza della distinzione di genere.

LA RIFUGIATA LIBANESE A BOLOGNA           Repubblica/BO, 20 luglio 2012
Giancarla Codrignani
Anche a Bologna non ci sono soltanto stranieri – e straniere – immigrati. Anche a Bologna ci sono i richiedenti asilo e rifugiati e la struttura per la loro protezione (Sprar) che gestisce tre centri di accoglienza: 18  posti sono riservati a donne sole, che, ben peggio di noi occidentali, vivono la discriminazione di genere. L’avvocata Antonietta Cozza e le operatrici dei servizi  si fanno carico dei “diritti difficili” di queste persone vulnerabili, ma riscontrano che le donne hanno contro tutto: non credute, in conflitto con legislazioni discriminatorie del loro paese, “diverse” anche ai fini dell’ottenimento della protezione.

E’ accaduto così che non sia stata giustificata la richiesta di una camerunese impossibilitata a rientrare perché, giudicata strega, chiunque può aggredirla; oppure che abbia ottenuto solo “protezione umanitaria” la congolese settantenne che non può certo trovare casa e lavoro per mantenere un soggiorno non richiesto.

Oggi è in grande difficoltà una signora libanese arrivata a Bologna alla fine del 2010, dopo un viaggio fortunoso fino al porto di Ancona e presa in carico dallo sportello protezioni internazionali dell’Asp Poveri vergognosi, in osservazione al Bellaria per ematoma cranico e difesa dall’avv. Cozza. Si tratta di un caso apparentemente fuori dalla giurisprudenza della Convenzione di Ginevra (del 1951, estesa ai paesi non-europei nel 1967) perché legato a persecuzione e maltrattamenti maritali; ma la ragione della richiesta di protezione è dovuta alla volontà della donna di far uscire l’ultimo figlio avuto da un marito che, dopo il divorzio, l’ha inseguita, ingravidata e abbandonata con un figlio “illegittimo” e privo di personalità giuridica secondo la legge patriarcale libanese. Amal – chimiamola così – è’ stata ascoltata in febbraio di quest’anno dalla Commissione per il Riconoscimento che, in giugno, le notificava il respingimento, pur consentendole il soggiorno. La lettura dell’atto è interessante: per tutte le dichiarazioni della donna si usa l’indicativo dell’oggettività, per l’uomo il condizionale dubitativo, anche per l’edema cerebrale dell’ultima aggressione e per l’affidamento al padre dei quattro figli non più rivisti. Si tratterebbe, dunque, di questioni “di natura esclusivamente personale e familiare”, di un rapporto “complesso”, non sarebbe “credibile” la rinuncia ai figli e, ancor meno convincente, che “la donna non abbia potuto presentare denuncia per le aggressioni subite”. Ma soprattutto non si fa menzione della ragione della richiesta di protezione e non di soggiorno: Amal chiede il ricongiungimento familiare per salvare il suo bambino “illegittimo” e senza diritti e su questa base è urgente il riesame del provvedimento.
La Convenzione, nata per tutelare gli esuli politici, oggi si confronta con ben altri problemi di sopravvivenza e di dignità umana: per le donne vari paesi tengono in considerazione anche la fuga da paesi che legittimano l’infibulazione. Ma c’è anche la Convenzione per i diritti dell’infanzia. La loro applicazione secondi la nostra concezione dell’universalità dei diritti.

 

31 Luglio 2012Permalink

27 luglio 2012 – Il cammino di Santiago 11

Una digressione. Ancora eretici e streghe

Purtroppo non mi riesce di proseguire trascurando alcune considerazioni sui condannati e assolti (dall’accusa d’eresia e poi?) a Logroño.
Il prof Cardini ha considerato i 12 ammazzati perché riconosciuti eretici, in rapporto ai molti (circa 1800) non riconosciuti tali. Ha inoltre dato significato a questo dato ricordando sia la caratteristica sociale dei fuggiaschi (soprattutto contadini in un’Europa in profonda crisi economica) sia gli atteggiamenti di ‘correttezza’ nell’istruttoria processuale da parte di inquisitori ‘illuminati’ appartenenti alla Suprema e non al tribunale locale.
Ha inoltre ricordato che la ‘leggenda nera’ riguardante l’inquisizione era senza dubbio sostenuta da una robusta propaganda antispagnola da parte degli inglesi concorrenti della Spagna nella conquista dei mari per assicurarsi il dominio coloniale.
Tutto vero ma dodici esecuzioni dovute a precipitazione nel concludere il processo (influenza del fanatismo?) non sono una bazzecola. Anche nel XVII sec. una vita umana è una vita umana e non c’è contestualizzazione che tenga.
Inoltre la mia abitudine a considerare anche le condizioni materiali mi ha costretta a pormi una serie di domande, di cui ho scritto nella puntata precedente e da cui non mi libero.
Così sono andata a rivedere un vecchio testo di Prosperi, autore citato con stima anche da Cardini. Si tratta di Adriano Prosperi Tribunale della coscienza 1996 Giulio Einaudi editore

Mi limito a copiarne alcuni passaggi. Perché trovare parole mie quando posso usare quelle di Prosperi?:

Pag. 140 Il papa Carafa (Paolo IV) decretò l’assoluta preminenza del Sant’Uffizio su ogni altra magistratura romana (1 ottobre 1555) … conferì al Sant’Uffizio ampia facoltà di ricorso alla tortura esentandone i membri dal rischio di irregolarità canonica conseguente al sangue versato (29 aprile 1557)

Pag. 155 Il termine ‘umanità’ si trova molto spesse nelle descrizioni che il Sant’Uffizio dava delle proprie procedure , in contrapposizione a quelle degli altri. Non si può ignorare tuttavia (pag.156) quanto questo tipo di rappresentazioni fosse destinato intenzionalmente alla propaganda.

Ecclesia abhorret a sanguine

Continua la citazione di Prosperi.
Pag 156 Il fondamento antico di quella propaganda risiedeva nell’opposizione originaria tra sacerdozio cristiano e violenza: riti di una religione nuova aliena dai sacrifici cruenti, quelli cristiani si fondavano su di un corpo ecclesiastico che non poteva macchiarsi le mani del sangue delle vittime. Ci volle, come si è visto, una misura speciale di Paolo IV per cancellare l’irregolarità prevista dai canoni per quegli inquisitori che, durante la tortura dei rei, si trovavano materialmente contaminati dal sangue.  Un altro problema dello stesso genere si creava tuttavia in occasione della consegna al braccio secolare.
<…> la sanzione più dura che il tribunale dell’Inquisizione poteva irrogare era la scomunica, Quando si trattava di mandare a morte i condannati, si era trovato l’escamotage di una formula di consegna in cui non solo non si parlava di morte fisica (ma solo di scomunica) ma per di più i giudici ecclesiastici pregavano l’autorità secolare ci moderare la punizione fisica e di astenersi dal versare il sangue.ma al di là degli schemi formali – e che si trattasse di un puro formalismo lo riconoscevano anche gli esperti di procedura inquisitoriale, come Francisco Peña – la realtà era ben diversa….

E dopo le citazioni ci sono anch’io

Quindi l’umanità del Sant’Uffizio sembra più orientata alla tutela dell’inquisitore prete (assicurato dal rischio di una irrituale contaminazione da sangue) che alla protezione della dignità della persona umana, assicurata – anche se Cesare Beccaria non era ancora entrato in gioco – dall’opera di un Dio resosi fratello nella storia umana.
Tralascio alcune mie considerazioni sull’ateismo pontificio e mi limito a ricordare che lo stesso Cardini ha segnalato l’uso della mazza d’armi  da parte di Giulio II, papa guerriero, che rifiutava la spada. Evidentemente un’arma da taglio richiama il sangue contaminatore più di uno strumento che si limita a spaccare il cranio.
Ma i papi della controriforma erano così concentrati sul loro obiettivo antiprotestante da non tener conto neppure della Bibbia?
Forse se l’avessero considerata il loro orrore per la contaminazione da sangue avrebbe subito uno scossone significativo o forse no:
20 Ed ecco una donna, che soffriva d`emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. 21 Pensava infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. 22 Gesù, voltatosi, la vide e disse: “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita”. E in quell`istante la donna guarì”  (Matteo, 9)

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27 Luglio 2012Permalink

22 luglio 2012 – Il cammino di Santiago 10

 

4 giugno, quarto giorno (b) da Puente la Reina (Gares), a Estella (Lizarra), a Logroño.

Estella è stata una straordinaria scoperta di una città che mi era ignota anche nel nome.
Purtroppo non mi sento di dirne nulla – se non ricordarla con l’immagine dell’ingresso di una chiesa (la immagino città ricchissima capace di attrarre scultori di vaglia) e del capitello rimasto di quella che doveva essere una sala palatina che rappresenta non un soggetto religioso, ma una figura cavalleresca, probabilmente inserita nella leggenda di Rolando e Ferragut .
E’ un vero dispiacere sorvolare sulla descrizione delle immagini e sfuggire alla descrizione e al ragionamento sui  simboli che contengono ma i miei appunti sono poveri, la mia memoria pure e la mia conoscenza della storia dell’arte spagnola, che possa sostenere lacune e manchevolezze …è al livello dei miei appunti.
Quindi passo a Logroño non senza annotare lo schema di un progetto che non realizzerò mai: se rifacessi a modo mio il percorso di Santiago mi fermerei a Bilbao e a Estella cercando di approfondire la comprensione di ciò che avessi deciso di vedere.

Streghe a Logroño

Non scriverò di Logroño per i monumenti o l’ambiente, ma per la conferenza serale del prof. Cardini su un processo per stregoneria che si svolse nella città ne 1610.
Ho registrato la conferenza – ma non la trascriverò perché non sarebbe corretto nei confronti del relatore senza averne il consenso.
Però l’ho riascoltata più volte e spero che il riassunto di una parte del discorso (di cui mi assumo la responsabilità) sia pienamente rispettoso di un intervento brillante che a volte deviava anche piacevolmente dalla linea principale.
A Logroño nel 1610 arrivò un consistente gruppo di persone (sembra 1800) che fuggivano dalla Francia per i rischi che comportava il sospetto di eresia/stregoneria che gravava su di loro, attratte forse dal fatto che l’inquisizione spagnola (o, più esattamente la Santa Apostolica Suprema Inquisizione che già dal XV secolo dipendeva dai sovrani) non attribuiva con automatica generalizzazione il carattere di eresia alla stregoneria (ritenuta tale solo se comportava l’adorazione –canonicamente definita – del demonio).
I tribunali che giudicavano l’accusa in relazione ai soggetti che venivano loro presentati erano formati da tre inquisitori, per la maggior parte membri del clero con esperienza giuridica, e altri funzionari fra cui un notaio. In caso di giudizio di eresia venivano poi deferiti ai tribunali comuni che si comportavano secondo le leggi del luogo.
A Logroño. prima che intervenisse la Suprema,  si era pronunciato il tribunale locale che aveva  condannato a morte 12 degli imputati ed eseguita la condanna.
Il giudice della Suprema assolse tutti gli altri (dall’accusa di eresia, altre imputazioni non lo riguardavano).

Le mie domande inevase

Le mie domande inevase sono tante ma voglio scriverle a mia futura memoria, dividendole in due blocchi.
Il primo riguarda il tempo in cui l’evento accadde: 1800 persone sono un numero enorme in una zona certamente meno popolata dell’attuale. Avevano portato con sé denaro o beni che ne garantissero la sopravvivenza? O altrimenti chi le manteneva? Dove erano state collocate? Erano tutte convinte di aver avuto una qualche forma di relazione con il demonio (fosse o non fosse di adorazione) o altri erano i motivi che le avevano spinte a personali e particolari esperienze di natura religiosa? Non erano certo 1800 singoli che si erano incontrati sulla via dell’esilio casualmente uniti dalle stesse riflessioni o presunte esperienze soprannaturali. Cosa li legava?
Quanto tempo poteva aver richiesto l’istruttoria del processo?
E soprattutto che cosa dire della paura che certa ecclesiastica inflessibilità suscitava.
Era un consapevole sistema di dominio? E se tale che influenza poteva avere sui pellegrini contemporanei dell’evento processuale cui non potevano essere nascoste né 12 esecuzioni (probabilmente pubblicizzate perché potessero funzionare da utile deterrente) né 1800 persone a giudizio. E i 12 morti ‘innocenti’ suscitarono qualche seria riflessione?
Certamente quei 12 non fanno storia, su di loro non si sono scritti codici da leggere e studiare, ma sono storia umana: sono vissuti e sono morti per essersi inseriti in una scelta di vita non bene accetta dal potere.
E oggi – il mio secondo e più tormentoso dubbio – i pellegrini di passaggio per Logroño hanno cognizione – e qualcuno li informa – di quello che avevano visto i loro predecessori o alle varie organizzazioni, anche parareligiose, che di loro si occupano la cosa è indifferente?
Quel che conta è che la via del pellegrinaggio sia percorsa per la gioia dei pellegrini, con tutti i vantaggi che ne derivano per i residenti?
E’ un caso che mentre io mi pongo le mie inutili domande in Norvegia si celebri il primo anniversario della strage di Utoeya? Quale la differenza fra i fanatismi? La conoscenza consapevole del passato può aiutare a rendere più decente il presente?

 

Continua – precedenti puntate 18, 21, 23, 29, 30 giugno e 4, 10,
11. 17 luglio

22 Luglio 2012Permalink

20 luglio 2012 – Undicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2012

 Ho ricevuto dal Comitato Organizzatore della Decima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2012 (tramite il sito www.ildialogo.org) il testo che trascrivo.
Ricordo che avevo pubblicato il primo appello del Comitato il 2 luglio.

Auguri ai Musulmani per l’inizio del Ramadan 1433

Cari fratelli e sorelle,

in occasione dell’inizio del Ramadan 1433 vi porgiamo i nostri auguri più sinceri e fraterni e niente affatto rituali.

Ci auguriamo che anche quest’anno il periodo di Ramadan possa essere per voi e per tutti i credenti delle altre fedi, in particolare per i cristiani, un momento fecondo di sviluppo della reciproca conoscenza e del reciproco ascolto e rafforzamento dell’amicizia e della stima reciproca, condizioni indispensabili per sviluppare, nell’ambito del rispetto dei principi sanciti nella nostra Costituzione, quella civile convivenza che porta concretamente alla pace.

Ed è proprio la PACE ad essere oggi grandemente in pericolo con il delinearsi di nuovi e tremendi scenari di guerra mondiale a partire dal vicino oriente. Ed è proprio la PACE, come abbiamo imparato in questi undici anni di proficuo e profondo rapporto di amicizia e stima reciproca, ad essere l’aspirazione profonda del musulmano impegnato sulla via di Dio. Ed è proprio la PACE uno dei cardini fondamentali della nostra Costituzione repubblicana che all’art. 11 esprime il ripudio per la guerra e le sue mostruosità.

Ed è anche per questo che per la undicesima edizione della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del prossimo 27 ottobre 2012, abbiamo proposto come tema dell’incontro tra comunità cristiane e musulmane quello di “Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello Stato”.

Auguriamo che la gioia che caratterizza il Ramadan possa contagiare positivamente tutta la società italiana e mondiale nel suo complesso, affinché prevalgano la riscoperta del bene comune, l’amore per la vita ed il rifiuto di ogni violenza, rifiutando l’idea di poter essere padroni di Dio, perché – così abbiamo concluso anche quest’anno il nostro appello – il dialogo è lo sforzo sulla via di Dio che ci compete e ci onora.

Ramadan karim!

Con un fraterno saluto di shalom, salaam, pace

Il Comitato Organizzatore                                               Mercoledì 19 Luglio,2012

20 Luglio 2012Permalink

2 luglio 2012 – Un appello

 

 

Undicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2012

 

Comunicato stampa n. 1
“Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello Stato”  

E’ questo il tema che quest’anno proponiamo all’attenzione delle comunità cristiane e musulmane per l’undicesima edizione della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico.

I motivi che ci spingono a proporre tale tema sono:

1 La nostra Carta Costituzionale, a 65 anni dalla sua promulgazione, è ancora largamente inattuata ed anzi continuamente calpestata nei suoi principi fondamentali e necessita, quindi, di una sua robusta difesa che si può attuare con la sua conoscenza e con lo stimolare iniziative concrete dal basso per la sua attuazione.

2 L’Islam in Italia, come è sottolineato in numerosi studi sull’argomento, fa ancora fatica a diventare un “islam italiano”, è ancora un fenomeno legato molto strettamente all’immigrazione, pur essendoci già le seconde e forse anche terze generazioni degli immigrati musulmani arrivati in Italia 40 anni fa, che però sono ancora legati alle loro terre d’origine di cui vivono intensamente come proprie le vicissitudini attuali.

3 C’è, infine, sia tutta la questione della costruzione delle moschee, che sono di fatto bloccate in tutta Italia (vedi ad esempio la vicenda di Genova) , sia la questione dell’intesa, che è del tutto in alto mare e non solo per i musulmani.

Invitiamo così anche quest’anno a celebrare, il prossimo 27 ottobre 2012, la Undicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, nella convinzione che sono “Beati quelli che si adoperano per la pace” (Mat 5:9) , perché Dio (Allah) “chiama alla dimora della pace” (Sura 10, 25) perché Lui è “La Pace” (Sura LIX, 23 ), perché il dialogo è lo sforzo sulla via di Dio che ci compete e ci onora.

Con un fraterno augurio di  Shalom, salaam, pace

I promotori della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico

Roma li, 28/06/2012

Per l’elenco dei promotori, per le adesioni e le iniziative, vedi la pagina: http://www.ildialogo.org/cristianoislamico

 

1 Luglio 2012Permalink

17 marzo 2012 – Nuovo corso 3

 A mia futura memoria
Insisto! Anche se non ho ricevuto riscontro alcuno in merito alla rubrica in cui segnalo feste che non fanno parte della nostra tradizione ma che in paesi dove sussiste un pluralismo consolidato dalla storia comune consentono un incontro fra persone o gruppi che reciprocamente si riconoscono non in un evento – che agli uni o agli altri può non appartenere – ma nel clima gioioso che questo può suscitare.
Come nelle precedenti puntate aggiungo qualche indicazione di eventi che, in qualche caso, ho voluto chiarire con mie note.
Per chi volesse saperne di più non mancano pubblicazioni e notizie su internet

  1 marzo 1968 – battaglia valle Giulia dà inizio al ’68 italiano
  4 marzo 2005   uccisione di Nicola Calipari
  9 marzo 1976   caduta della funivia del Cermis
10 marzo 1987 – l’ONU riconosce il diritto di obiezione di 
                           coscienza   alle armi
13 marzo 1983 – assassinio di Marianella Garcia Villas in Salvador
15 marzo 1545 – apertura Concilio di Trento
16 marzo 1978 – rapimento di Aldo Moro
17 marzo 1981 – nella villa di Gelli viene ritrovata la lista dei
                        membri della P2
20 marzo 1930 – Gandhi inizia la “marcia del sale”
24 marzo 1980 – assassino di mons. Oscar Romero
25 marzo 1957 – firma del Trattato di Roma che istituisce la Cee
29 marzo 1973 – uscita dei soldati americani dal Vietnam

Note (mie non del calendario)

1 marzo 1968    La ‘battaglia’ di valle Giulia venne ricordata anche da una celebre poesia di Pasolini,  in questi giorni evocata a proposito e sproposito in merito alla reazione alla costruzione della TAV.
Chi volesse leggerla può attivare il sito che segnalo
http://www.corriere.it/speciali/pasolini/poesia.html

17 marzo 1981 nella villa di Gelli viene ritrovata la lista dei membri della P2
 Della questione si occuperà  l’on. Tina Anselmi a partire dal 1981nella sua veste di presidente della Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, che terminò i lavori  nel 1985.
La relazione finale fu approvata dalla stessa commissione il 3 luglio 1984, e dalla Camera il 6 marzo 1986

24 marzo 1980 Tre anni prima , il 24 marzo, era stato assassinato mons. Romero, arcivescovo di San Salvador.  Ne tratta un libro che mi sento di segnalare:
 Raniero La Valle e Linda Bimbi Marianella e i suoi fratelli.
Una storia latinoamericana
,    Milano, Feltrinelli, 1983

17 Marzo 2012Permalink

12 dicembre 2012 – I custodi dell’imene

La prima vittima: fra apparenza e realtà 

Una ragazzina denuncia uno stupro, discinta e insanguinata (almeno così la descrivono i giornali) risulta credibile e… ma sui risultati di questa credibilità tornerò dopo.
Ora voglio soffermarmi su di lei, per cui provo una grande pena.
Quando si rende conto dei risultati della sua denuncia, confessa: aveva inventato tutto.
Si trattava di una bugia difensiva perché la famiglia la voleva –povero oggetto che la compravendita tribale pretendeva integro alla prevista consegna– vergine fino al matrimonio.
Se la storia finisse qui potremmo pensare al normale sacrificio della dignità e della decenza altrui in nome di un arcaico, ma non concluso, mercato matrimoniale, in onore della famiglia patriarcale dove, se il patriarca è padrone, trova sempre complici servili quale che ne sia il genere e quale che ne sia la religione, se in una religione il clan si riconosce.
Ma la storia non finisce qui perché la ragazzina, istintivamente, capisce (o almeno io capisco così) che deve stornare l’interesse dei sui familiari-custodi dal suo imene e rivolgerlo ad altri.
Gli altri sono lì, pronti all’uso, pubblicamente pubblicizzati senza riserve di consapevolezza.
Così aveva affermato un deputato della Lega Nord: “Ora che la pioggia è riuscita nell’impresa in cui aveva fallito il sindaco Piero Fassino, ossia lo sgombero del campo nomadi abusivo sul Lungo Stura Lazio, mi auguro che il comune provvederà all’identificazione di tutti gli irregolari che vivevano in quel campo”.
E’ un’affermazione che a suo  tempo avevo letto da varie parti e che ora ho ritrovato e rendo leggibile da qui, riportando alla fine anche l’indirizzo della fonte * per esteso. 

E che i ‘colpevoli’ fossero pronti all’uso quella poveretta lo sapeva, probabilmente glielo avevano detto in casa se si è sentita in dovere di precisare che i suoi stupratori erano zingari e alla sua dichiarazione (che saranno i carabinieri a verificare non i familiari) questa famiglia, evidentemente ben organizzata,  riesce a promuovere immediatamente una crociata contro i campi rom, ripercorrendo l’antica lezione dei crociati storici che, strada facendo, non si facevano scrupolo di devastare le comunità di ebrei che la chiesa aveva indicato come deicidi.
Ognuno ha il suo dio e ognuno i suoi nemici da combattere!
C’è da sperare che ora la povera ragazzetta non sia mutilata per sempre della gioia di un fondamentale rapporto umano ma che qualcuno l’aiuti, nel far pace con se stessa (ma sarà mai possibile?), a farsi forte di quel senso di responsabilità e rispetto di sé di cui finora è stata derubata (e questa sì è violenza e di questo furto quella poveretta è stata ed è veramente vittima). 

Nella realtà, le altre vittime

Mentre la marcia proseguiva il fratello della ragazzina veniva a conoscenza della verità e –sempre che i giornali non mentano – si precipitava a fermare l’avanzata dei neo crociati, ma era troppo tardi. Chi risarcirà ora i rom cui è stata risparmiata solo la vita?

 

Ma i rom non sono le sole vittime del pregiudizio e del bisogno del capro espiatorio .
Non posso non pensare a tutti i ‘no’ che mi sono stati detti quando cercavo di sostenere la necessità di modificare la legge che pretende la presentazione del permesso di soggiorno per la registrazione della nascita, negando quindi – ai figli di sans papier e ai sans papier stessi – il diritto alla genitorialità.
E’ chiaro che dalla negazione di questo diritto discendono una serie di danni che non sto qui a ricordare (ne ho scritto per tre anni nel mio blog, chi volesse farne memoria può attivare i tag anagrafe e bambini).
Ora c’è una proposta di legge che vuole dare dignità al nostro patto sociale superando  la ferita profonda che nega il riconoscimento dell’esistenza per ragioni burocratiche (ne ho scritto nel mio blog il 2 e il 5 dicembre). Sarà sostenuta? Non lo so. 

Resta per me la ferita provocata da una politica che, a parte la scelta di mezzi cartacei e non fisici, ritengo perfettamente parallela e consona alla marcia dei neocrociati torinesi e, soprattutto, permane l’orrore che mi ha provocato l’indifferenza dei sindaci a fronte del ruolo di garanti del  territorio che dovrebbero governare, ruolo loro negato in legge a danno dei più deboli. Ed estendo questo orrore alle chiese (metto in primo luogo quella cattolica per il potere sulle coscienze e politico che le è riconosciuto) nei riguardi di questo problema. 

Nota che vorrei inutile, ma so che non lo è:  So bene che una circolare, precipitosamente emanata dall’allora ministro dell’interno Maroni, ha ‘concesso’ la registrazione anagrafica per i figli dei sans papier, ma una circolare non è legge e in legge il divieto permane.
Anche di questo ho scritto in questo mio blog e voglio segnalare che l’unica realtà associativa che, a mia conoscenza,  abbia colto il significato di questo problema (prima della proposta di legge di cui ho riferito) è stato il GrIS (Gruppo immigrazione e salute del Friuli Venezia Giulia) di cui riporto per esteso il comunicato emesso il 28 ottobre scorso (leggibile alla fonte da qui). 

Un segno di civiltà – il comunicato del GrIS

Il Gruppo Immigrazione e Salute (GrIS) Friuli Venezia Giulia (della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni – SIMM) ha aderito alla campagna ‘L’Italia sono anch’io’ che promuove due proposte di legge a iniziativa popolare relative ai diritti dei migranti.
In particolare il GrIS del FVG ritiene che la proposta di Nuove norme sulla Cittadinanza, riconoscendo ad ogni nuovo nato in Italia il diritto ad esserne cittadino, attengano direttamente ai propri obiettivi di promozione della salute come diritto umano al completo benessere fisico, mentale e sociale, come ribadito, nel maggio di quest’anno, dalle “Raccomandazioni finali dell’XI Congresso della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni”
Poiché è chiaro che un diritto è tale solo se si declina in termini di uguaglianza, il GrIS del FVG non può non guardare con preoccupazione alla legislazione in vigore che – dal 2009- impone ai migranti irregolari che vogliano registrare la nascita del proprio figlio la presentazione del permesso di soggiorno, documento che – per definizione – non possiedono.
Qui non si tratta di attribuzione di cittadinanza ma di garantire ad ogni bambina e ad ogni bambino sin dalla nascita, un nome e una nazionalità, come vuole la Convenzione di New York del 1989 che in Italia è legge (n.176/1991) evitandone la discriminazione in nome di un cavillo burocratico.
L’assenza di un certificato di nascita comporta gravi conseguenze per la tutela della salute.
Siamo al corrente che è stata precipitosamente emanata dal governo, a pochi giorni dall’approvazione del ‘pacchetto sicurezza’ una circolare interpretativa che apre una procedura che rende possibile la registrazione anagrafica delle nascite.
Ma ciò non basta.
La Corte Costituzionale ci ha recentemente ricordato che i diritti inviolabili dell’uomo, di cui leggiamo negli artt. 2 e 3 della Costituzione, appartengono “ai singoli, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”. Non possiamo perciò accettare che il diritto alla salute, di cui anche come operatori del settore siamo garanti, e ogni altro diritto inviolabile che appartiene ad ogni essere umano, sia affidato per alcuni bambini alla labilità di una circolare e non a una norma di legge che regoli la nostra convivenza civile.
Chiediamo perciò al Parlamento italiano di modificare con la necessaria urgenza la lettera g) del comma 22 dell’art. 1 della legge 94 del 2009 (cd. pacchetto sicurezza).

 

NOta finale: 

Al riferimento  della fonte * relativa alle dichiarazioni pro alluvione di un deputato leghista aggiungo anche alcuni riferimenti ad articoli di giornali che descrivono la vicenda della efficace crociata torinese 

* http://www.polisblog.it/post/12287/per-la-lega-lalluvione-a-torino-sgombera-i-campi-rom-dato-di-fatto-o-razzismo  

http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/12/12/news/santini_ovunque_e_tapparelle_chiuse_sandra_piange_ora_come_ne_esco-26452967/?ref=HREC1-4 

http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/12/11/news/torino_ultr_bruciano_il_campo_ro
m_terrore_per_uno_stupro_inventato-26420781/?ref=HREC1-1  

http://www.corriere.it/cronache/11_dicembre_10/torino-caccia-stupratori_46a32a40-2341-11e1-bcb9-01ae5ba751a6.shtml  

http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/433883/

12 Dicembre 2011Permalink

19 novembre 2011 – Veli e svelamenti

16.11.2011 Giudice intima all’interprete musulmana di togliersi il velo in aula

Comunicato dell’ASGI: “Una lesione del diritto costituzionale alla libertà religiosa”
 
Stando alle notizie pubblicate su diversi quotidiani (si veda ad es. l’articolo comparso sul quotidiano “La Repubblica“, edizione del 15 nov. 2011), nel corso di un’udienza dinanzi alla prima sezione penale di Torino, il 14 ottobre scorso,  un giudice avrebbe intimato all’interprete di lingua araba di togliersi il velo islamico, l’hijab, che questa portava sul capo coprendone i capelli ed il collo lasciando libero interamente il volto oppure, in caso contrario, di lasciare l’aula. Il caso sarebbe stato portato davanti al CSM dal Presidente del Tribunale di Torino, non d’accordo con la decisione del collega. Il magistrato avrebbe giustificato la sua posizione, asserendo la necessità di rispettare il dettato dell’art. 129 del codice di procedura civile che impone a chi interviene o assiste all’udienza di stare a capo scoperto per rispetto nei confronti della Corte.

Ancora dal  comunicato stampa dell’ASGI del 15 novembre

La sezione torinese dell’ASGI esprime il proprio disappunto e sconcerto per la vicenda dell’esclusione dall’aula giudiziaria dell’interprete in lingua araba decisa nel corso di un’udienza tenutasi il 14 ottobre scorso davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Torino, in ragione del fatto che la donna indossava lo hijab, il velo tradizionale islamico che copre i capelli ed il collo, lasciando libero il volto.

Sebbene l’art. 129 del c.p.c. preveda che chi interviene o assiste in udienza debba stare a capo scoperto e prassi istituzionale vorrebbe che chi presenzia in udienza stia a capo scoperto a tutela del decoro e del rispetto dell’Autorità Giudiziaria sulla base anche dei poteri di disciplina dell’udienza attribuiti al giudice ai sensi dell’art. 470 c.p.p., l’ASGI ricorda che l’applicazione di tali norme deve trovare il limite del legittimo  rispetto del diritto fondamentale alla libertà religiosa e alla manifestazione del proprio credo religioso di cui all’art. 19 della Cost.  e all’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Inoltre, un‘ applicazione assoluta delle norme dei codici di procedura senza le dovute eccezioni per chi ritenga di rimanere  con il capo  coperto in ossequio alla propria fede religiosa (sia essa la suora cattolica, o l’ebreo ortodosso, o il sikh o la donna musulmana) o abbia altre legittime ragioni per farlo (si pensi alla persona sottoposta a chemioterapia) finirebbe per snaturare la stessa ratio della norma, esorbitando dalla sua funzione di assicurare il dovuto rispetto nei confronti della Corte per invece arrecare una lesione alla dignità della persona coinvolta. Inoltre,  l’applicazione generalizzata della norma,  senza possibilità di giustificate esenzioni,  nei confronti di  persone che svolgano  in udienza incarichi professionali tecnici quali quelli di interprete o verbalizzante, costituirebbe anche una forma di  “discriminazione indiretta” nell’esercizio dell’attività lavorativa, vietata dal d.lgs. n. 216/2003 di recepimento della direttiva europea n. 2000/78. Questo in quanto l’applicazione di un criterio apparentemente neutro (il capo scoperto) finirebbe per escludere dall’attività professionale persone appartenenti a minoranze religiose senza che ciò corrisponda ai requisiti di necessità e proporzionalità.

Ho ricopiato la notizia mettendo in chiaro anche una parte che nell’originale è accessibile attraverso link e questo mi ha suscitato altre considerazioni su cui mi propongo di tornare presto.

Non chiamatelo sempre burqa

Per ora torno alle mie storie pubblicate su Ho un sogno e riprese in questo blog sotto il titolo  di ‘donne sotto traccia’ dove anche di velo si parla.
Chi volesse leggere il testo integrale delle tre storie troverà il link agendo sul nome delle tre donne
Faten  “La donna che ho davanti veste come me, non l’ho mai vista velata né con la testa coperta oltre la necessità di difendersi dal freddo. Eppure so che è mussulmana praticante, che ha fatto il pellegrinaggio a La Mecca (uno dei pilastri dell’Islam, cui si è accompagnata al marito) ed è tornata – secondo il titolo che spetta ai pellegrini- ‘agia’”
Nabila “ indossa il velo come la sua mamma e ne parliamo. Chiarisce subito che si tratta di una sua scelta personale, come personale è quella delle due sorelle che non lo indossano. In famiglia questo significativo pluralismo di atteggiamenti è accettato con tranquillità. A nessuna di loro è stato richiesto di giustificare le ragioni della scelta compiuta. Nabila mi spiega che il velo (le copre i capelli e il collo, nulla nasconde del volto) è una protezione della ‘modestia’ suggerita dalla tradizione religiosa islamica.
Vissuta in Marocco –paese islamico quasi al cento per cento- l’identità in cui si riconosce appartiene a quella realtà, senza che ciò la faccia sentire a disagio nell’occidente in cui è immersa”.
Majda  “Porta il velo che non copre il volto, che lei chiama khemar  e che a me ricorda l’hijab. Mi piacerebbe in ogni caso che si smettesse di usare sempre – e per lo più a sproposito – il termine afgano di burqa”.

Forse se provassimo ad ascoltare in libertà (soprattutto dal pregiudizio) arriveremmo da noi alle conclusioni che l’Asgi ci propone ma sostenere in Italia (o almeno in Friuli dove vivo) che l’uso del velo è compatibile con una scelta libera e che non portarlo non è offesa al Corano suscita derisione e ostilità.
Eppure gli  anziani (e soprattutto le anziane) se non usassero la memoria come un’arma per celebrare le proprie virtù e rovesciarle sugli altri come un liquame invasivo dovrebbero ricordare che la connessione fra veli, abiti e religione maggioritaria appartiene anche alla nostra storia.
Ne riparlerò perché voglio testimoniarmi che non omologo la mia memoria al comune cattivo buon senso.

19 Novembre 2011Permalink

27 ottobre 2011 – Decima giornata del Dialogo cristiano islamico

Oggi si celebra la X ma giornata del Dialogo cristiano islamico. 

Chi vorrà leggere il testo dell’appello che l’ha promossa (e la relativa documentazione) potrà farlo da molti siti (perché molte sono le adesioni all’iniziativa).
Qui segnalo il sito www.ildialogo.org, in particolare alla voce http://www.ildialogo.org/cristianoislamico/Cstampa_1308129442.htm.

Per quel che mi riguarda ricordo bene i giorni della prima manifestazione la cui idea nacque in seguito all’attentato alle torri gemelle e qualcuno capì la necessità dell’incontro, della conoscenza che distingue, libera dal pregiudizio e capace di sostenere il rifiuto della guerra.

In memoria di quei giorni riporto un articolo di Filippo Gentiloni che mi sembra ancora perfettamente attuale. 

Da Il Manifesto del 18 Novembre 2001

Non è da ieri che ci occupiamo di islam, ma non c’è dubbio che negli ultimi due mesi il discorso si è moltiplicato. Forse anche approfondito. Discorso-confronto: il divino direttamente interessato, anche se si continua a ripetere che la guerra in atto non è né di religione né di civiltà. Sarà vero? Se ne può dubitare.
Un dibattito-confronto confuso e contraddittorio: per lo meno ha – può avere – il vantaggio di farci conoscere un po’ meglio il mondo islamico, un mondo per molti di noi piuttosto misterioso. Abbiamo difficoltà, prima di tutto, a riconoscerne il pluralismo, anche mentre continuiamo a ripetere che le frange più radicali, tipo talebani, non rappresentano né la totalità e neppure la maggioranza del mondo islamico. E’ quella frangia, comunque, che fa talmente parlare di sé da oscurare l’enorme maggioranza moderata.
Abbiamo anche difficoltà nel confronto. Oscilliamo fra le condanne e le sottovalutazioni (per le quali molti si sono autorevolmente distinti, da Berlusconi a Oriana Fallaci a Baget Bozzo) e le facili omologazioni, sulla base, magari, del monoteismo comune all’islam come al cristianesimo e all’ebraismo. Un comune monoteismo che però sembra piuttosto ininfluente agli effetti della pace. Come piuttosto ininfluenti sembrano quelle citazioni della Bibbia e del Corano che si moltiplicano, da una parte e dall’altra mentre si continua a sparare. Sui sacri testi secoli di storia hanno sparso tanta di quella polvere – anche da sparo – da renderne ardua la lettura.
Sarebbe meglio evitare sia i confronti sulla base di voti di merito sia le omologazioni. Così stanno cercando di operare non poche istituzioni, sollecitando un confronto che eviti i due scogli. Fra le dichiarazioni recenti, mi sembra particolarmente significativa quella sottoscritta da Gianni Long, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FceiI) e da Nour Mohamed Dachan, presidente della Unione delle Comunità e Organizzazioni islamiche in Italia (Ucooii).
La “Dichiarazione Congiunta per il dialogo interreligioso” si apre con una decisa condanna del terrorismo e prosegue con la preoccupazione “per l’andamento dell’azione militare in Afghanistan che sempre più spesso colpisce civili innocenti, mentre fatica a individuare e colpire le basi del terrorismo”. Angoscia anche “per l’attentato condotto in Pakistan il 28 ottobre contro una chiesa in cui erano raccolti in preghiera credenti cattolici ed evangelici”. Forte preoccupazione anche per la gravità della situazione in Medio Oriente. Nonché “per il clima più teso che avvertiamo anche nel nostro paese”.
“Per questo vogliamo impegnarci, insieme ad altre espressioni delle comunità cristiana ed islamica in Italia, a promuovere quella reciproca conoscenza che è premessa del dialogo e fondamento della convivenza”. In questa linea di serietà e di libertà, moltiplicare le occasioni di incontro: “Sollecitiamo i mezzi di informazione di massa a dare un’informazione più completa ed equilibrata del mondo delle fedi, non ignorando quindi le comunità di minoranza e non limitandosi a dare visibilità soltanto alle componenti più radicali; auspichiamo che la scuola si apra alla presenza di esponenti delle diverse comunità di fede e che proprio la scuola possa qualificarsi come un laboratorio di convivenza e di pluralismo nel rispetto della fede di ciascuna e delle regole di convivenza di tutti”.
Sulla stessa linea un appello ecumenico corredato di molte firme autorevoli, chiede la creazione di una “Giornata del dialogo cristiano-islamico”, ben sapendo che non sarebbe risolutiva, ma che si “tratterebbe di un piccolo segnale nella direzione di un incontro che, in ogni caso, sta nella forza delle cose”. Siamo chiamati “ad accelerare il processo di reciproca conoscenza senza il quale ci sembra difficile ipotizzare passi avanti sul piano delle relazioni interreligiose, in particolare con quei musulmani che sono da tempo nostri compagni di strada sul cammino della costruzione di una società pluralista, accogliente, rispettosa dei diritti umani e dei valori democratici”

L’Islam in Italia tra fondamentalismo e islamofobia

 Ma non voglio dimenticare l’oggi e, fra le tante iniziative conseguenti la diffusione dell’appello per il dialogo cristiano-islamico, segnalo quella promossa il 21/22 ottobre 2011 dalla rivista Confronti  “L’Islam in Italia tra fondamentalismo e islamofobia.
Lo faccio in particolare perché il convegno si è svolto presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, sperando che questo evento contribuisca anche ad  indicare i modi di una miglior informazione.

27 Ottobre 2011Permalink