4 ottobre 2013 – CIE di carne sempre in attività di servizio – 2

Per fare ordine.  4 settembre.

Ho pubblicato il testo della mia segnalazione all’ospedale di Udine in un pezzo intitolato ‘Naturalmente tacciono’ .
Ero venuta in possesso di un dépliant dell’Ospedale stesso, finalizzato ad informare gli utenti sui servizi e sulle modalità in cui – insieme a una lunga serie di utilissime informazioni – si leggeva alla voce ‘denuncia di nascita’
 “COSA SERVE: documento di identità valido di entrambi i genitori, se stranieri non residenti passaporto o permesso di soggiorno valido” .
Ho ricopiato pedissequamente il testo dalla “Guida rapida all’ospedale” dove si citano come estensori  l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, la sede di Cividale del Friuli e di Gemona del Friuli.

Per fare ordine. 26 settembre  

Scrivo un pezzo intitolato ‘CIE di carne’  anche in risposta a una lettera (prot. 51831) inviatami dall’Ospedale di Udine come riscontro alla mia segnalazione, da poco ricevuta anche se la data del timbro postale è  20 settembre.  
Ne ho scritto nel mio pezzo del 26 settembre e ne riprendo il passo centrale perché è intervenuto un fatto nuovo che voglio commentare senza escludere nessun elemento, almeno di quelli che io riesca a cogliere.

La dott.ssa Paola  Toscani ha approfondito la problematica evidenziata e precisa che l’informazione inerente il “permesso di soggiorno valido”, indicato in alternativa al passaporto per effettuare la denuncia di nascita, non è finalizzata a verificare se sussiste una situazione di irregolarità del migrante, ma ad agevolare lo straniero, offrendogli più di una possibilità. Infatti ai migranti irregolari non è mai stato chiesto il permesso di soggiorno ma solamente ‘un documento’ che potesse accertare l’identità del genitore, come previsto dalla normativa.

Dalle sue osservazioni sembrerebbe che l’indicazione del permesso di soggiorno abbia generato equivoci, pertanto le assicuriamo che nella prossima ristampa della Guida Rapida si provvederà a ometterla.

Nel ringraziarla per la segnalazione che ha fornito l’occasione per migliorare le informazioni sull’accessibilità ai servizi sanitari da parte della popolazione migrante, si coglie l’occasione per inviare i migliori saluti”.

Una osservazione soltanto.
Il problema che ho posto  non è l’eventuale ‘generar di equivoci’ , non questione di  opportunità, ma di ‘legalità’.
Persino la subdola circolare Maroni, con cui nel 2009 il Ministro dell’Interno allora in carica negava ciò che la legge affermava (per evitare penalizzazioni legate alla violazione di norme internazionali) recitava: “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto” (Circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 7 Agosto 2009).
Quindi, se i documenti non devono essere esibiti perché possono essere richiesti?

La lettera dell’Ospedale – che segnalava come mittente la responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico e citava nel testo la Dottoressa Paola Toscani (mi scuso ma ne ignoro il ruolo) – era giustamente firmata dal dott. Mauro Delendi, direttore generale, perché la normativa prevede che il Sindaco (sul cui ruolo di Ufficiale di Stato Civile, responsabile dei registri su cui si trascrivono gli atti di stato civile, dovrò tornare) possa delegare la registrazione degli Atti di Nascita ai direttori sanitari degli ospedali, così come a Udine è avvenuto.

A qualcuno è stato fatto presente che il documento su cui si svolge la procedura delle registrazioni non contiene la dizione con cui è stato (dis)informato il pubblico.
Ci mancherebbe. Un illecito praticato in un atto ufficiale?
Nemmeno la mia malignità arriva a supporre tanto ma io ritengo fondamentale anche l’informazione generalizzata soprattutto quando proviene da fonte autorevole e, surrettiziamente, sostiene un pregiudizio.
(Comunque chi volesse può verificare l’art. 30 del DPR n. 396/2000 e l’art. 16 comma 2 n. 445/2000).

E infine anche oggi provo a fare ordine

 Due amiche hanno scritto al sindaco di Udine, a seguito delle considerazioni relative alla responsabilità del Sindaco, una lettera con argomentazioni analoghe a quelle della mia segnalazione, e hanno ricevuto – datata 24 settembre PG/U 0128916 e firmata dal dirigente del servizio dott. Paolo Asquini – una lettera che, dopo aver ricordato  ”che analoga nota era già stata presentata direttamente all’Ufficio URP della locale Azienda Ospedaliera , da altra persona”, propone due precisazioni importanti.
1. Ricorda ‘i diritti dei minori figli di immigrati che qualsiasi Amministrazione pubblica italiana deve rispettare’ (dal che ho cominciato ad occuparmene io è la prima volta che la cosa viene detta nell’ambito dell’Amministrazione comunale. Che abbiano finalmente capito? Onore alle due amiche – Adriana Libanetti e Daniela Rosa – che sono riuscite ad ottenere questa risposta).
2 – Però afferma anche Corre l’obbligo di precisare che sia l’Ufficio di Stato Civile di questo Comune, sia la Direzione Sanitaria dell’Azienda ospedaliera, struttura presso la quale si effettuano le dichiarazioni di nascita, che operano in collaborazione pur nei rispettivi distinti ruoli, mai hanno richiesto agli stranieri l’esibizione del permesso di soggiorno in sede di dichiarazione/denuncia di nascita”.
L’ho già scritto sopra: nemmeno io avrei supposto che qualcuno potesse impegnarsi in un simile ignominia. Lasciamo l’excusatio non petita. Ovvio che non l’abbiano fatto.

Che fare?
Ora, ma questo spetta alle forze politiche non agli amministratori in quanto tali, è necessario impegnarsi per la modifica della legge che nel 2009 ha introdotto la matta bestialità dell’esibizione  del permesso di soggiorno.
Finora esiste in parlamento una proposta (n. 340 – primo firmatario on. Rosato, alla cui firma segue quasi un centinaio di firme Pd, quella di SEL dell’on Pellegrino e un paio di Scelta civica). Si trova nel mio blog, ricopiata  in data 17 giugno.
Io spero che questo pluralismo, non numericamente significativo ma reale, serva a facilitare la velocità del dibattito e impedisca perdite di tempo in cui ognuno voglia dimostrare che il partito suo è meglio di quell’altro.
Una volta tanto si concentrino su di un obiettivo in nome della loro dignità di parlamentari che ‘esercitano un ruolo senza vincolo di mandato, quindi, spero, in scienza e coscienza e non ‘in disciplina’ con finalità elettorali asservite a lobby.

Dopo la tragedia di Lampedusa.

Qualcuno comincia ad urlare ‘aboliamo la Bossi Fini’.
E’ una specie di mantra di cui non so si valuti bene il significato.
La Bossi Fini è una delle nostre vergogne nel settore specifico, non la vergogna.
Lasciamo perdere i mantra da esibizionisti e cominciamo a nominare esattamente la norma da modificare. Ecco:
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 – “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.
Qui sono confluiti la legge Turco-Napolitano, la Bossi- Fini e il ‘pacchetto sicurezza’ (legge 94/2009) di maroniana gestazione, con tutte le modifiche via via cumulatesi.
Ed è su questo testo che bisogna consapevolmente lavorare.

Il contributo specifico dei consiglieri comunali potrebbe essere, nel dolore di tutte quelle morti atroci che hanno colpito anche bambini, quello impegnarsi a non fare dei bambini che nascono a Udine dei morti alla vita giuridicamente riconosciuta.
Dopo il pianto viene il ‘che fare?’
La mia è una proposta.
I figli non possono essere usati come  CIE di carne, strumenti per l’identificazione e l’espulsione dei genitori.

4 Ottobre 2013Permalink

26 settembre 2013 – CIE di carne

La storia di due notizie

A partire dal 26 luglio ci sono nel mio blog due notizie che per me si intrecciano.
La prima è la scoperta che in un dépliant informativo per gli utenti dell’ospedale di Udine viene indicato il permesso di soggiorno come documento da presentare per la denuncia degli atti di nascita.
Ci sono ospedali – e Udine fra questi – che possono provvedere alla registrazione delle nascite,  evidentemente senza sostituirsi al comune che, nella persona del sindaco, ufficiale di stato civile, ne è  responsabile.
La seconda è il precipitarsi di informazioni che dal 13 agosto si affastellano per raccontare la rivolta del CIE di Gradisca d’Isonzo.
L’intervento della deputata Serena Pellegrino è stato determinante per arrivare alla presenza a Gradisca della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, presieduta dal sen Manconi di cui ho scritto il 12 settembre (e a quel testo rinvio).                  
Faccio presente che la clandestinità (temine usato in un clima spesso linguisticamente confusionale) è reato a seguito dell’approvazione del pacchetto sicurezza, legge n. 94/2009 che molti i dimenticano di ricordare quando dichiarano il loro no alla Bossi Fini, legge orrenda ma non sola nel suo orrore.
Quindi la richiesta del permesso di soggiorno in un pubblico documento è pericolosa e genera i rischi che ho descritto nella segnalazione inviata all’ospedale di Udine (segnalazione che ho integralmente trascritto in questo mio blog il 4 settembre) chiedendo che la dizione ‘permesso di soggiorno’ scompaia dal dépliant informativo ‘Guida rapida all’ospedale’.
Quella richiesta era stata tempestivamente esclusa  persino dalla circolare emessa dal Ministero Maroni,
Circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 7 Agosto 2009, che recita: “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.
Certo il passaggio dalla richiesta del documento alla sua esibizione rappresenta uno slittamento solo apparente di significato perché suppone sventatamente la libertà di scelta da parte del migrante irregolare degli svariati documenti di cui dispone, compreso quello che – per definizione – non ha.
Semplificando: se i documenti non devono essere esibiti perché possono essere richiesti?

L’Ospedale risponde
Trascrivo il passo centrale della risposta ricevuta.

“La dott.ssa P. T. ha approfondito la problematica evidenziata e precisa che l’informazione inerente il “permesso di soggiorno valido”, indicato in alternativa al passaporto per effettuare la denuncia di nascita, non è finalizzata a verificare se sussiste una situazione di irregolarità del migrante, ma ad agevolare lo straniero, offrendogli più di una possibilità. Infatti ai migranti irregolari non è mai stato chiesto il permesso di soggiorno ma solamente “un documento” che potesse accertare l’identità del genitore, come previsto dalla normativa.
Dalle sue osservazioni sembrerebbe che l’indicazione del permesso di soggiorno abbia generato equivoci, pertanto le assicuriamo che nella prossima ristampa della Guida Rapida si provvederà a ometterla.
Nel ringraziarla per la segnalazione che ha fornito l’occasione per migliorare le informazioni sull’accessibilità ai servizi sanitari da parte della popolazione migrante, si coglie l’occasione per inviare i migliori saluti”

Il lastricato delle buone intenzioni sembra ancora in attività di servizio.
La risposta alla lettera si trova già nella segnalazione (consegnata il 31 luglio e qui trascritta il 4 settembre) e quindi non la ripeto ma passo ad altre considerazioni.

Due  ipotesi forse azzardate e una considerazione

Ammettiamo per ipotesi  che:

  1. il CIE di Gradisca venga non solo rimodellato nella gestione ma smantellato quanto più rapidamente possibile. Scomparendo cesserebbe dalla sua funzione di identificazione dei migranti al fine di espellerli. Ricordiamo che se sono riconosciuti richiedenti asilo la loro destinazione è il CARA (Centro di accoglienza per i richiedenti asilo) non il CIE (Centro di identificazione e espulsione;
  2. l’Ospedale di Udine provveda immediatamente alla stampa e distribuzione di un dépliant informativo corretto.
    Sono coinvolti altri ospedali? La paura indotta da quella pubblica richiesta (che, tra l’altro, è elemento di disinformazione dell’opinione pubblica) verrà finalmente superata ovunque e comunque?

Resta un fatto a mio parere sconvolgente: dal luglio del 2009 (entrata in vigore della legge 94) i nuovi nati possono essere stati adoperati per l’identificazione e conseguente espulsione del loro papà, attribuendo loro quindi la funzione dei CIE.
Le mamme godono della tutela della maternità e hanno una qualche maggior protezione.
Hanno svolto la funzione che si contesta ai CIE nella pace dell’opinione pubblica che dice di amare i bambini e in molti settori esalta quella famiglia che – a norma pacchetto sicurezza- viene negata ad alcuni neonati alla nascita.
Avevo scritto nella segnalazione: “Non sia indifferente ricordare che il migrante in situazione di irregolarità non potendo assicurare al figlio il normale certificato di nascita gli causa danni irrimediabili (la impossibilità della tutela genitoriale, la difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie, l’impossibilità di iscrizione al nido, alla scuola dell’infanzia, alla scuola successiva a quella dell’obbligo e a tutti gli atti di stato civile che accompagnano il corso dell’esistenza in cui il certificato di nascita è richiesto”

Una legge in sonno

L’unico modo per superare radicalmente questa situazione è la modifica della legge che riporti al regime precedente il 2009. Esiste una proposta di legge il cui testo, accompagnato da un’ottima relazione, ho ricopiato in diariealtro in data 17 giugno

Nessuno però fa nulla né per farla discutere e approvare in parlamento né per farla conoscere all’opinione pubblica.
Abbandonata in sonno come le vecchie logge massoniche.

26 Settembre 2013Permalink

23 settembre 2013 – CITTADINANZA NEGATA AI BAMBINI

Lo storico mensile genovese Il Gallo (www.ilgallo46.it) nel numero di settembre ha pubblicato l’articolo che riporto.
Il testo precedente sullo stesso argomento si trova in questo blog il 15 marzo 2011.tesso argomento

Il Gallo  – settembre 2013 pag. 15

Era passata da poco la metà del primo secolo della nostra era quando Paolo, un uomo cui la fede vivissima che praticava non contraddiceva l’attitudine a un solido senso della realtà, affrontò con competente determinazione rappresentanti militari e magistrati dell’impero romano.

Così raccontano gli Atti degli Apostoli (At 22, 25 sgg): «Ma quando l’ebbero disteso per flagellarlo, Paolo disse al centurione che stava lì: “Avete il diritto di flagellare uno che è cittadino romano e non ancora giudicato?”. 26Udito ciò, il centurione si recò dal comandante ad avvertirlo: “Che cosa stai per fare? Quell’uomo è un romano!”. 27Allora il comandante si recò da Paolo e gli domandò: “Dimmi, tu sei romano?”. Rispose: “Sì”.

Replicò il comandante: “Io, questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo”. Paolo disse: “Io, invece, lo sono di nascita!”. 29E subito si allontanarono da lui quelli che stavano per interrogarlo. Anche il comandante ebbe paura, rendendosi conto che era romano e che lui lo aveva messo in catene»

 Cittadini o sudditi?

Certamente la preoccupazione del comandante, tale da farlo desistere per non violare i diritti di un cittadino romano da una decisione pubblicamente presa, si fondava sulla certezza della notorietà della cittadinanza di Paolo. Esistevano a questo scopo le tabulae censoriae in cui doveva essere dichiarato, tra l’altro, il nome del padre e il luogo dell’abitazione.

Successivamente al concetto di cittadino (che anche nella legislazione romana era esclusivo) si sovrappose quello di suddito ma anche in questo caso le concessioni sovrane, le libertà, come venivano chiamati nel Medio Evo gli scioglimenti dai vincoli del potere feudale, erano ben definite, sostanzialmente certificate.

Con la rivoluzione francese il cittadino si riaffacciò alla storia pretendendo (illudendosi?) di esserne protagonista e di esserlo in termini di uguaglianza.

Nasceva fra faticose contraddizioni lo stato moderno che si organizzò per dare ad ognuno una collocazione nota che impedisse di sfuggire al pagamento delle imposte e al servizio militare ma anche, almeno in un momento successivo, per assicurare le condizioni della tutela dei diritti delle persone.

Oggi, nel quadro dei modi praticati in Italia, la certificazione della nascita consente l’identificazione della cittadinanza (che può essere italiana o seguire a quella dei genitori) e, se facciamo attenzione all’estratto completo di un atto di nascita, vi troveremo anche i nomi dei padri e delle madri che potranno essere trascritti sul passaporto.

Doverosa tutela del minore

Non sono annotazioni marginali. In una situazione globale di estrema mobilità identificare come genitori coloro che si spostano con un bambino è una misura di tutela del minore e di garanzia che non siano in corso turpi e diffusi traffici che la nebbia della mancata informazione favorisce.

Tutto ovvio? Non sembra.

Esiste – e ne è formalmente riconosciuta la funzione –  il gruppo CRC, acronimo di Convention on the Rights of the Child la cui traduzione ufficiale in italiano è “Convenzione sui diritti del fanciullo”, che però è preferibile usare nella dizione più congrua “Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”.

Ne fanno parte un’ottantina di associazioni tra cui AGESCI, ANFFAS, ASGI, Caritas italiana,  CBM, Gruppo Abele, Libera. OVC, la Nostra Famiglia  e molte altre.

Nel suo recente 6o rapporto il gruppo CRC raccomanda (segnalando l’evidenza di una necessità di intervento legislativo) al Parlamento «di attuare una riforma legislativa che garantisca il diritto alla registrazione per tutti i minori, indipendentemente dalla situazione amministrativa dei genitori» (Cap 3.1).

Il Rapporto dello scorso anno così descriveva la condizione di famiglie di bambini non registrati all’anagrafe: « … Il timore […] di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità […], nonché […] contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori».

Paradossalmente l’esistenza di famiglie in queste condizioni e, lo vogliamo sottolineare, di minori cui sono negati diritti fondamentali a partire dalla registrazione anagrafica, è testimoniata da documenti ufficiali.

 In Italia bambini senza tutela

Quindi i minori privi di permesso di soggiorno in conseguenza della irregolarità burocratica dei loro genitori esistono e non sono registrati all’anagrafe, mancano perciò del codice fiscale e della tessera sanitaria.

Ribadendo involontariamente la loro esistenza, nello scorso giugno la regione Lombardia ha negato il diritto al pediatra di base al compimento del sesto mese di vita per i bambini stranieri senza documenti e lo ha fatto appellandosi proprio alla mancanza di quella documentazione che la registrazione anagrafica necessariamente assicurerebbe.

Se il parlamento quindi vuole rispettare le norme internazionali, recepite anche nella nostra legislazione e infine corrispondere alla proposta del CRC, deve affrontare il problema della registrazione anagrafica.

Per la legge italiana la possibilità di registrare atti di stato civile senza l’obbligo di presentazione del permesso di soggiorno non è una novità. Era il sistema in vigore fino al 2009 quando il principio fu violato usando del voto di fiducia che produsse la legge 94, il cd pacchetto sicurezza. Persino l’allora ministero Maroni ricorse precipitosamente ai ripari (il rovesciamento della norma avrebbe posto l’Italia in condizione di essere denunciata nei consessi internazionali) e affidò la registrazione degli atti di nascita a una circolare che concedeva ciò che la legge negava. Quali ne siano stati gli effetti ce lo hanno detto i rapporti del CRC.

In ogni caso agghiaccia l’immagine di signore e signori che seduti intorno ad un autorevole tavolo, in una sede confortevole e sicura, discutono su quale sia l’età in cui un bambino può essere lasciato privo di cure. Eppure a Milano è accaduto.

 E’ urgente rimediare

Resta difficile da capire perché il Parlamento sfugga al ruolo che gli consentirebbe di superare la contraddizione introdotta nel 2009.

Oggi ne avremmo lo strumento perché disponiamo di una proposta di legge (n. 740 del 16 aprile 2013) dispone la modifica delle norme sulla condizione dello straniero in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno: con un unico articolo corregge la stortura di cui si è detto. Ne attendiamo la discussione e, ci auguriamo, l’approvazione.

Molto opportunamente la proposta è stata assegnata alla prima Commissione, quella che si occupa degli Affari Costituzionali, perché di questo si tratta e non della organizzazione di attività di assistenza. Non rappresenta solo il mancato rispetto di una necessità ma viola un principio di uguaglianza e solidarietà offendendo quindi tutti noi in quanto cittadini.

Se oggi un Paolo di Tarso in edizione neonato dicesse a un medico ‘Sono malato. Curami’ costui potrebbe –evidentemente nel disprezzo della deontologia ma non di un diffuso senso comune che in norme inaccettabili si esprime – rispondergli ‘Non devo. Non hai il codice fiscale’. E se qualcuno ci chiedesse ancora  “Dov’è tuo fratello?” (Gen 4, 8) potremmo rispondergli “Non lo so. Come faccio a custodirlo se non ha il permesso di soggiorno?”.

Oggi il mutare dei tempi ci indica una pluralità di risposte solidali possibili. Ce le indica la Costituzione che all’art. 2 recita «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

E se la solidarietà economica e sociale può giovarsi di azioni di sussidiarietà quella politica non può non manifestarsi, se esiste, nelle sedi istituzionali che a questo loro dovere devono essere richiamate.

Augusta De Piero

23 Settembre 2013Permalink

4 settembre 2013 – Naturalmente tacciono

Io non sono una lobby

Il 26 luglio avevo segnalato in questo blog lo sconcerto provocatomi da un documento con una affermazione sorprendente distribuito dall’Ospedale di Udine. (Si veda Perplessità e preoccupazioni )

Ho consegnato una segnalazione in merito all’Ufficio relazioni con il pubblico dell’ospedale stesso e ne ho scritto all’assessore comunale di competenza. A distanza di più di sei settimana risposta zero.
Certamente ci sono le ferie, ma i responsabili dei servizi dispongono di sostituti … comunque io conto solo uno che sembra equivalere a nulla.

Ecco la segnalazione consegnata all’Ospedale di Udine

Non parlo né di me né di singoli casi a me noti ma espongo quanto potrebbe essere accaduto o accadere a tutti i neonati, figli di migranti privi di permesso di soggiorno, cui sia stato richiesto il permesso stesso per presentare la denuncia di nascita del figlio/a, per assicurargli l’atto di nascita. Se tale certificato dovesse mancare il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico. Nel comune di nascita non ne verrebbero infatti registrati né il nome, né la data e ora di nascita, né il nome dei genitori, né la cittadinanza (che, allo stato attuale, è quella dei genitori dato che viene attribuita secondo jus sanguinis).

Purtroppo se un migrante si trova in situazione di irregolarità non può corrispondere alla richiesta del documento di cui non dispone (ché se lo avesse non sarebbe irregolare) nemmeno se ciò comporti per il figlio il danno irrimediabile della mancata registrazione e la mancata iscrizione nei registri dello stato civile andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di chi che lo ha generato.

Nello scritto che segue cercherò di chiarire perché la richiesta stessa del permesso di soggiorno possa – anche se non ne consegue esplicito rigetto della domanda presentata–trasformare la richiesta della registrazione anagrafica in un rischio e quindi disincentivarne la presentazione.

Riferendomi a  quanto ho affermato constato che nel  dépliant intitolato : Guida rapida all’ospedale dove si citano esplicitamente l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, la sede di Cividale del Friuli e di Gemona del Friuli alla voce ‘denuncia di nascita’ si precisa la richiesta del permesso di soggiorno, scrivendo:  “COSA SERVE: documento di identità valido di entrambi i genitori, se stranieri non residenti passaporto o permesso di soggiorno valido” .

Preciso che tale dépliant è stato consegnato in un reparto dell’Ospedale di Udine al signor Luca Peresson in giornata immediatamente precedente il 25 luglio quando me lo ha messo a disposizione.

Il proposito osservo che:

secondo quanto recita l’art. 7 della Legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989) “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”.

Tanto dovrebbe bastare a dissuadere dalla richiesta di un documento che, per il fatto di non esistere, diventa un ostacolo al soddisfacimento di un diritto fondamentale.

Fino al 2009 la legge italiana non prevedeva la richiesta del permesso di soggiorno o documento equipollente per lo straniero che registrasse la nascita di un figlio.

In quell’anno intervenne la legge 94 (cd pacchetto sicurezza) che modificò il Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e  successive modifiche che al comma 2 dell’art. 6 impose la presentazione del documento un migrante ’irregolare’ non possiede per definizione..

Pochi giorni dopo l’approvazione della legge venne emanata una circolare definita interpretativa che consente ciò che la legge nega (Circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 7 Agosto 2009) la cui applicazione, sebbene si tratti di strumento il cui valore è inferiore a quello di una legge, assicura la regolare registrazione anagrafica. Vi si legge infatti. “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.

Non sia indifferente ricordare che il migrante in situazione di irregolarità non potendo assicurare al figlio il normale certificato di nascita gli causa danni irrimediabili (la impossibilità della tutela genitoriale, la difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie, l’impossibilità di iscrizione al nido, alla scuola dell’infanzia, alla scuola successiva a quella dell’obbligo e a tutti gli atti di stato civile che accompagnano il corso dell’esistenza in cui il certificato di nascita è richiesto) e nello stesso tempo espone se stesso al rischio di essere espulso quale ‘clandestino’ in costanza del permanere del reato di clandestinità introdotto dalla legge cd. Bossi Fini.

Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC che ha il compito di preparare il Rapporto sull’attuazione della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che viene trasmesso al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza), oltre a far presente che la mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato avviene in violazione del diritto all’identità nonché dell’art. 9 della Convenzione di New York contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori, ricorda che ciò comporta un rischio anche per le partorienti. Infatti “il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto ”sottraendosi a cure necessarie e cui hanno diritto.

Segnalo anche la relazione della proposta di legge 740 (allegata) che, prevedendo la modifica della norma in vigore, spiega nell’ampia relazione in premessa la situazione che ho sommariamente riportato nella mia segnalazione.

Non ho titolo alcuno per richiedere o proporre alcunché.

Solo la consuetudine all’esercizio dei miei doveri di cittadina nei confronti di soggetti privi di difesa – e spesso del tutto ignorati anche da chi dovrebbe assicurarne tutela – mi ha indotto a segnalare la situazione che ho descritto.

Non posso che augurarmi che i dépliant con il testo che ho trascritto vengano immediatamente corretti nella speranza che neppure un neonato abbia subito il danno della mancata registrazione o della sottrazione alla potestà genitoriale se già privo di certificato che tale genitorialità formalmente dichiari.

Una interrogazione parlamentare.

Nel frattempo sono venuta a conoscenza di una interrogazione parlamentare che puntualizza un altro aspetto –che a quello che ho più volte segnalato si connette – e che, per documentazione utile almeno a me, ricopio.

Rossomando – Al Ministro dell’Interno – per sapere – premesso che:

–             l’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo,  ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, stabilisce testualmente: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita, e da allora ha diritto a un nome, ad acquistare una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da loro”;

–             La Convenzione sui diritti del  Fanciullo introduce un vero e proprio diritto del fanciullo all’immediata “registrazione”, che nel nostro ordinamento consiste nella formazione dell’atto di nascita da parte dell’ufficiale di stato civile sulla base della dichiarazione di nascita effettuata da chi ha il dovere di farla;

–             Il vecchio Ordinamento dello stato civile (r.d. 9/7/1939 n. 1238) prevedeva, all’art. 67, che la dichiarazione di nascita fosse fatta nei dieci giorni successivi al parto dal padre o dalla madre, o dall’ostetrica o da qualsiasi persona che avesse assistito al parto (art. 70 e71), con un ampio intervallo temporale attribuibile alle difficoltà di collegamento esistenti all’epoca;

–             il vigente Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’Ordinamento dello Stato civile, emanato con D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, in attuazione della legge 15 maggio 1997 n. 127, ha previsto, all’articolo 30, un nuovo termine di tre giorni per le dichiarazioni fatte presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura  in cui è avvenuta la nascita, ma ha conservato il vecchio termine di dieci giorni fissato nella previgente normativa nel caso di registrazione della nascita presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto e nel caso in cui i genitori vogliano registrare il neonato nel comune di residenza (articolo 30, comma 7); 

–             il mantenimento del termine dei dieci giorni, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, potrebbe portare all’eventualità che le dimissioni della puerpera avvengano prima che la dichiarazione di nascita con contestuale riconoscimento sia stata effettuata, esponendo quindi il neonato al pericolo di divenire vittima della tratta di minori o di finire nel circuito delle adozioni illegali, anche attraverso falsi riconoscimenti di paternità-:

quali iniziative intenda assumere affinché i termini per la registrazione e il riconoscimento dei neonati vengano aggiornati ed uniformati a quanto indicato dall’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo, ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, affinché i neonati non vengano dimessi prima che sia stata effettuata la dichiarazione di nascita, sia stato dato loro un nome e, se del caso, nominato un tutore provvisorio che ne risponda.

Roma, lunedì 5 agosto 2013

On. Anna Rossomando

4 Settembre 2013Permalink

26 agosto 2013 – Il silenzio non è calato sul CIE di Gradisca d’Isonzo 6

Dichiarazione a margine della manifestazione avvenuta davanti al Cie di Gradisca d’Isonzo sabato 17 agosto

“Ieri, a Gradisca d’Isonzo, si è svolta davanti al CIE una manifestazione di sensibilizzazione, di pacifica protesta e di civile impegno. Come tale molti l’hanno sostenuta e condivisa.
Spiace però constatare che gli esponenti delle istituzioni regionali non abbiano potuto accedere al CIE. Come già da me più volte auspicato riteniamo sia essenziale che questi luoghi possano essere accessibili attraverso più semplici protocolli.
Ma quello che più mi preoccupa è che l’accaduto possa vanificare il processo fin qui sviluppato. E’ evidente che la nuova situazione di crisi all’interno del CIE deve essere ricomposta: coloro che ne hanno la competenza istituzionale si attivino quanto prima.”

NOTA MIA

Il 31 luglio sette consiglieri regionali erano entrati al CIE. Io avevo trovato al notizia nell’intervento su fb della consigliera regionale Cremaschi e ne avevo dato notizia nel mio blog del 15 agosto, raggiungibile anche da qui                   
Perché è intervenuto il rifiuto di ingresso per i parlamentari locali, i sindaci e i loro rappresentanti?

Link ad articolo de Il Piccolo 17 agosto

COMUNICATO STAMPA   20 agosto 2013

Alla riapertura di oggi della Camera dei deputati , la parlamentare Serena Pellegrino ha depositato proprio in queste ore un interpellanza urgente : il Governo spieghi quali politiche intende attuare per affrontare concretamente le continue situazioni di crisi al CIE di Gradisca d’Isonzo.

 L’interpellanza inquadra il problema nell’architettura normativa vigente e ne illustra gli sviluppi in ordine a palesi violazioni delle leggi italiane, delle direttive europee , dei principi umanitari e dei diritti universali, delle disposizioni contrattuali che regolano il rapporto tra Prefettura e cooperativa che gestisce il CIE.

 Pellegrino, oltre a ribadire la necessità di una revisione della legge italiana in materia di immigrazione, chiede un controllo regolare sulle condizioni attinenti il rispetto della dignità umana e delle norme igienico sanitarie all’interno della struttura di Gradisca d’Isonzo. Si rivolge al Ministro dell’Interno affinché le istituzioni competenti alle pratiche di identificazione dei trattenuti – in primis ambasciate e consolati – svolgano con maggior sollecitudine gli adempimenti necessari.

22 agosto
Nei giorni scorsi, dopo aver vissuto le vicende del CIE di Gradisca, da dentro e in un periodo dell’anno molto particolare in cui l’Italia intera sembra sopita, devo esprimere un sentito grazie e manifestare la mia stima nei confronti del Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Luigi Manconi. Avendo saputo che mi stavo interessando in prima persona del CIE, mi ha contattato e mi sono relazionata con lui quotidianamente, ferragosto e domeniche incluse.
L’interesse e il modo in cui ha preso a cuore l’evento, ben aldilà di quanto la carica istituzionale chieda, ha dato a tutti la possibilità di sapere quanto sia uomo di grande valore umanitario.
Mai incarico istituzionale è stato assegnato così appropriatamente.
Grazie sen. Luigi Manconi

24 agosto

Prima di dirigermi verso il Comune di Gradisca, alla riunione congiunta indetta dal Sindaco, sono passata dal CIE.
Vengo a sapere che uno di loro è ricoverato in ospedale per aver ingerito un quantitativo eccessivo di psicofarmaci ma che per fortuna è fuori pericolo.
Comunico alla questura il mio arrivo, il senatore Francesco Russo di Trieste mi chiama ieri e mi chiede se è possibile entrare al CIE. Certo che si può entrare! tutti i parlamentari possono entrare! è curioso, è come se mi chiedesse il permesso. Effettivamente in questi giorni si è instaurato un rapporto con tutti, dai poliziotti, ai soldati presenti, agli operatori “in maglietta arancione”, agli “ospiti” – mi ostino a chiamarli così perché così vuole la legge e perché è così che dovrebbero essere considerati – che sembra familiare.
Rimango piacevolmente stupita. La prima telefonata istituzionale che ricevo dopo quindici giorni da quando ho denunciato i primi episodi e scopro che fa parte anche lui della commissione per i diritti umani: gaudio!
Arrivo al CIE. Mi annuncio al telefono e mi dicono che è già presente in struttura l’onorevole Gigli.  BENE!
Porto con me Matteo Negrari. Aspettiamo il Sen. Russo ed entriamo nelle “vasche”. Mi accolgono come se fossi una loro sorella. Una gioia indiscriminata. Lo stupore dei presenti è forte. Anche il mio.
Trovo pulito, in ordine, nel limite delle potenzialità della struttura, i vetri riparati la rete ripristinata.
La gabbia è di nuovo intatta.

Quante speranze, quante aspettative nei confronti della riunione di oggi.    Non voglio illuderli.
Con chiarezza gli dico che l’incontro di oggi non è risolutivo perché non è quello il luogo dove si decidono le sorti del CIE di Gradisca.
Arrivo in Comune, i ragazzi delle associazioni fuori! sempre fuori dal muro! Ma oggi è importante che ascoltino anche loro il pensiero degli amministratori. Gli dico di seguirmi.
Ottengo, senza grande difficoltà, la loro presenza. Ci siamo tutti.

La riunione congiunta a Gradisca, ospiti del sindaco Tommasini gli amministratori del comune di Gradisca, della provincia di Gorizia, della regione e della Presidente Serracchiani, ha evidenziato una voce unanime: il CIE va chiuso e la Bossi/Fini superata.

Le analisi sono chiare ed è evidente a tutti che è arrivato il momento di far sentire la propria voce.
Tutti i parlamentari presenti Brandolin, Malisani, Pegorer, Russo sono intervenuti – tranne Lorenzo Battista del movimento 5 stelle e parlandoci successivamente capisco che proprio l’argomento gli è poco chiaro.

Il CIE questo sconosciuto. Per tanti, molti, troppi in Friuli il CIE è sempre stato un universo sconosciuto.

Il mio intervento: narro in parte quanto accaduto in queste due settimane ma mi addentro subito su chi e che cosa può essere fatto.
Chi può incidere sulle sorti del CIE di Gradisca: Viminale, Prefettura a cui fa riferimento la Questura, l’ente Gestore.

Il Parlamento è l’organo di controllo e può legiferare.
Regione, Provincia e Comune hanno il compito di vigilare, tutelare e far emergere le criticità del proprio territorio.
Ecco perché in tutti questi anni ognuno, una volta interrogato ha detto: “non è di mia competenza”.
Ma ora, tutti al tavolo, per dichiarare e far valere la propria posizione e il proprio pensiero.
Questa volta credo che ci siano le persone giuste a ricoprire i ruoli giusti.

La due giunte, comunale e regionale, hanno elaborato di concerto una nota da inoltrare al Governo.
E finalmente oggi la finestra si è aperta.
Un altro piccolo passo.

Nota mia – Una preghiera a Serena
Non dimenticarti, non far dimenticare l’esigenza di far riferimento anche alle norme del pacchetto sicurezza.

Non si dica solo eliminiamo/rivediamo la Bossi Fini. Il pacchetto sicurezza voluto dal Ministro Maroni aggiunge altri disumani  e incostituzionali elementi.
Prima che mi si contesti l’attributo di incostituzionali ricordo che la norma che prevedeva il rifiuto della registrazione dei matrimoni (unitamente a quella che ancora prevede il rifiuto della registrazione delle nascite, che si trova alla lettera g del comma 22 dell’art. 1 del pacchetto sicurezza) è stata cancellata dalla Corte costituzionale con  sentenza n. 245 del 20 luglio 2011 (depositata in cancelleria il 25 luglio 2011).
Serena, chiedere al padre e/o alla madre il permesso di soggiorno che non  hanno perché manifestino la loro condizioni di irregolari (e conseguentemente possano essere espulsi) significa fare del figlio il CIE vivente dei genitori
Così ho scritto a Serena.
Aggiungo che ne ho già scritto in questo blog  
Poiché mi si è detto (ed è questione su cui dovrò tornare che ‘chiedere il permesso di soggiorno o in alternativa altro documento’  lascia al migrante irregolare libertà di scelta, ricordo che il titolo della sentenza dell’Alta Corte  suona “Illegittimità costituzionale dell’art. 116, primo comma, Codice Civile, per richiesta esibizione del permesso di soggiorno ai fini del matrimonio”.
Non sempre la cura grammaticale di burocrati, ideologicamente orientati o meno essi siano, è utile a capire.

26 Agosto 2013Permalink

28 luglio 2013 – Nascere e non esistere. Anche a Udine.

Quel che mi è capitato fra il 25 e il 26 luglio
Il 26 luglio avevo scritto di mie ‘perplessità e preoccupazioni’ a proposito di una informazione scorretta contenuta nella Guida rapida all’ospedale che un amico, entratone in possesso per essergli stata offerta nell’Ospedale di Udine all’inizio della scorsa settimana, mi aveva fornito il 25 luglio.
Non riuscendo a raggiungerlo quando ho deciso di scriverne avevo mantenuto l’indicazione anonima. Venuto a conoscenza del mio scritto lui stesso ha voluto che il suo nome comparisse, del che gli sono grata. Si chiama Luca Peresson, vive in regione a Maiano.
Ma veniamo alla storia di cui rivela un pezzo importante, l’indicazione erronea nel dépliant che mi aveva fornito.
Gli avevo risposto precisando che
1. Il dépliant distribuito dichiara ufficialmente la richiesta di permesso di soggiorno valido da parte dell’ospedale di Udine per stilare la denuncia di nascita per i figli degli stranieri non residenti. Come tante volte ho scritto la richiesta del permesso di soggiorno in questo caso non è legalmente proponibile. E’ chiaro che la denuncia di nascita viene presentata in ospedale per delega del Comune in cui il piccolo (così male accolto) risulterà nato.
2. La mattina del 26 luglio ho scritto a un paio di assessori comunali, a qualche consigliere comunale assortito per genere e a qualche amico/a impegnato nelle attività della società civile.
Ho avuto immediata risposta da una consigliera e da un’assessora che si è impegnata a documentarsi.
3. Poiché sono testarda e pignola prima che l’ufficio informazioni dell’ospedale chiudesse (venerdì 26 poco prima delle 18) mi sono recata a quello sportello, ho verificato l’inesistenza nell’espositore affiancato allo sportello del dépliant che tenevo in mano, mi sono rivolta a una gentilissima impiegata presente e, ostentando la mia aria d’occasione di vecchietta innocente e un po’ scema, le ho mostrato il dépliant chiedendole altra copia. Risposta: “ Ma quello è un documento vecchio, guardi la data (
l’avevo già guardata signora mia! Mi dimentico sempre del luogo in cui ho messo gli occhiali ma quando guardo documenti sono un mastino!). Comunque non ne abbiamo più. Sono finiti tutti”.

Su questo aspetto c’è una spiegazione ovvia. I dépliant erano finiti da tempo all’ufficio informazioni sito nell’atrio dell’ospedale e tanto mi riferiva correttamente l’impiegata che non poteva sapere che in qualche reparto ce n’erano ancora (e penso in uno dei reparti forniti di quel dépliant l’avesse ricevuto Luca).
Se c’è anche la possibilità di farsi influenzare da ipotesi maligne queste non riguardano quell’impiegata ma chi decide ed è responsabile delle decisioni.

Non intendo abbandonare questa brutta storia e proseguo
Do per buona la data sul dépliant: gennaio 2012 e non vado oltre.
Però la legge che nega la possibilità di registrare la nascita di un figlio è del 15 luglio 2009.
La norma indecente (cui il dépliant dell’ospedale di Udine si adegua) si trova nella lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge stessa e ha conformemente modificato il comma 2 dell’articolo 6 del decreto legislativo 286/1998, e successive modificazioni. Si tratta del Testo unico sull’Immigrazione.
La circolare che consente –contraddicendo la legge ma senza modificarla – la registrazione dei nuovi nati anche a chi sia privo di permesso di soggiorno porta il n. 19 ed è datata 7 agosto 2009.
Quindi, anche se la distribuzione del dépliant all’ospedale di Udine fosse cessata nel gennaio 2012 (secondo la data indicata nel documento e che qualcuno mi ha suggerito essere ultimativa del processo discriminatorio ma sappiamo che non è così) a quanti bambini fra il 7 agosto 2009 e il gennaio 2012 è stato negato – nel comune di Udine (e in ogni altro comune italiano di cui non posso verificare le procedure nel merito) – il certificato di nascita loro dovuto? e a quanti dal gennaio 2012 ad oggi, periodo per cui non disponiamo della condanna a norma dépliant?

A chi denunciare questa faccenda?
Nella nostra regione non è stata istituita la figura del garante per l’infanzia e l’adolescenza, il Sindaco di Udine –cui ho scritto più volte – non mi ha mai risposto e non riprovo.
Proverò ad andare dal direttore dell’Azienda sanitaria e riferirò quello che vorrà dirmi se mai mi riceverà.
Non mi resta che confidare nell’etica e nel senso di responsabilità della giovane assessora che si è detta disponibile ad informarsi e nell’impegno dei parlamentari per la modifica della norma per cui già esiste una proposta di legge il cui testo si trova nel mio blog, in data 17 giugno.
 

28 Luglio 2013Permalink

26 luglio 2013 – Perplessità e preoccupazioni

Un’informazione scorretta ma ufficiale

Capita che miei amici, consapevoli delle mie fissazioni, mi facciano strani regali.
Ieri uno di loro mi ha messo in mano un pieghevole che proclama: Guida rapida all’ospedale  e cita esplicitamente l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, la sede di Cividale del Friuli e di Gemona del Friuli.
E’ datato: aggiornamento gennaio 2012.
Scorro rapidamente la miriade di notizie chiare, stampate a più colori per facilitare la concentrazione dell’attenzione su ciò che può servire, finché arrivo là dove casca l’asino.
Mi correggo subito per l’espressione che può suonare irrispettosa verso chi quel pieghevole ha pensato e la sostituisco con un banale richiamo a una descrizione di illegittima attività prevista come possibile e leggo (copio diligentemente la notizia)
Denuncia  di nascita
COSA SERVE: documento di identità valido di entrambi i genitori, se stranieri non residenti passaporto o permesso di soggiorno valido.
Seguono le informazioni i sul dove e quando (all’ospedale di Udine)  si  possa presentare la denuncia.
Vediamo di ragionare.
La denuncia di nascita di regola si fa in comune e viene incrociata con l’atto steso al momento della nascita con cui la madre riconosce il bambino o la bambina che ha appena partorito e che può anche legalmente disconoscere.
La data del dépliant mi conforterebbe se fosse collocabile fra il 15 luglio 2009 e il 9 agosto 2009, lo stretto spazio di giorni fra l’entrata in vigore della legge 94 (che nega a chi non abbia il permesso di soggiorno la possibilità di registrare la nascita del figlio) e l’emissione della circolare che, riconoscendo il diritto che la legge nega, rende invece possibile la registrazione della nascita senza intoppi burocratici relativi allo status dei genitori.
In quel lasso di tempo sarebbe stato necessario richiedere il permesso di soggiorno, poi no, pur riconoscendo tutta precarietà dello strumento circolare rispetto alla legge.
Inoltre il permesso risulta richiesto in alternativa a un valido passaporto e anche qui ci sarebbe qualche cosa da osservare che per ora lascio perdere, supponendo che la congiunzione ‘o’ indichi veramente  un’alternativa e che gli estensori del dépliant non ne abbiano immaginato un altro significato che non so quale possa essere.
Ma dopo il 9 agosto 2009 un ente locale corretto (e l’ospedale, offrendo la possibilità della denuncia di nascita, assicura l’esercizio di una funzione che è propria del Comune e appartiene al Sindaco come ufficiale di stato civile) non dovrebbe nominare il permesso di soggiorno.
E invece lo fa.
Che ha da dire il comune di Udine? Che hanno da dire i comuni di Cividale e Gemona che, per essere citati, si suppone seguano l’itinerario descritto in questa confusa informazione o presunta tale?
(Ulteriori e più dettagliate informazioni si trovano nel mio blog in data 15 marzo 2011 )-
 
Istituzioni, società civile e giovani

E il Sindaco di Udine dovrebbe, a mio parere, sentirsi coinvolto anche da un altro problema.
Leggo su la Repubblica del 25 luglio nella rubrica lettere un testo che ricopio
Gentile Corrado Augias, ci ha molto colpiti la notizia delle dimissioni della sindaca Maria Concetta Lanzetta del comune calabrese di Monasterace. Lanzetta era una dei sindaci anti ‘ndrangheta della Locride, che ha resistito all’incendio della sua farmacia e alle numerose minacce delle cosche. Nel dimettersi ha dichiarato di essere stata abbandonata dalla politica. I mass media hanno riportato questa denuncia come uno dei tanti fatti di cronaca. Sapendo quanto la criminalità danneggi il nostro paese, le dimissioni di un amministratore che la combatte a rischio della vita, dovrebbe avere, credo, maggiore risonanza. Se la vita di una nazione dipende dalla politica, e questa abbandona le persone che meglio la interpretano, vuol dire che la politica nei fatti tollera che ciò accada. La sindaca Lanzetta ha raccontato al sua esperienza a 500 studenti e docenti di Udine, impegnati in progetti sulla legalità. I ragazzi hanno diritto di chiedersi “Se un amministratore come lei viene abbandonato dalla politi, non c’è più speranza?”
La lettera è firmata da Liliana Mauro, un’insegnante molto impegnata nei progetti cui fa cenno.
La risposta di Augias – pubblicata con il titolo “Mafia, se la politica abbandona un sindaco”- riprende i concetti espressi dalla prof. Mauro.
Io invece, poiché ero presente all’incontro della sindaca Lanzetta con gli studenti, ho qualche altra cosa da dire. Preciso che l’incontro faceva parte delle manifestazioni organizzate dall’associazione Vicino Lontano.
I ragazzi erano attenti, evidentemente coinvolti.
Era presente anche il sindaco di Udine che, salito sul palco vicino alla signora Lanzetta, si è espresso con parole di partecipazione profonda e profferte di amicizia e collaborazione oltre il suo personale apprezzamento ed espressa simpatia, strappando anche lui il suo applauso. E applaudendolo i ragazzi in sala hanno dimostrato di avere fiducia in quanto diceva.
Se mi ascoltasse (ma non so se lo farebbe anche se mi rivolgessi direttamente a lui) gli direi che ha dei doveri precisi verso quei ragazzi e gli chiederei di spiegare loro la sua impotenza e di ragionare con loro come l’impotenza della solidarietà possa essere superata purché siamo in molti a volerlo con chiarezza di obiettivi e condivisione di percorsi, in questo caso anche – e necessariamente – politici.
I ragazzi non meritano che alle parole dei momenti gioiosi segua il silenzio dei tempi difficili.

Una vigliaccata
Riporto la notizia da La Stampa, ma si trova su molti quotidiani.
Inizialmente non volevo crederci

http://www.lastampa.it/2013/07/26/italia/politica/il-deputato-disabile-deriso-hanno-offeso-le-istituzioni-cL11Q0R2OLekDvxk2MnVRN/pagina.html

26 Luglio 2013Permalink

23 giugno 2013 – Una proposta di legge che ho atteso molto

Finalmente nel sito del parlamento – Camera dei deputati è possibile leggere la proposta di legge 740, completa di firme e titolo “ROSATO ed altri: “Modifica all’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno” (740)
Ne avevo riportato il testo integrale pochi giorni fa, leggibile da qui.
Per quello che mi riguarda io ho raggiunto l’obiettivo che mi ero proposta: vedere la presentazione ufficiale di un testo.
Arriveremo alla legge? Non lo so.
Quanto è accaduto nel corso di questi anni non consente grandi speranze a meno che i parlamentari che l’hanno firmata non si impegnino  a promuovere informazione attraverso i normali canali dei media e per il dibattito in commissione e in aula.
Ho scritto nella pochissima attenzione delle organizzazioni della società civile, raccogliendo le poche testimonianze che mi erano e sono note.

Un aspetto che fa ben sperare è l’assegnazione alla I Commissione Affari Costituzionali in sede Referente il 21 giugno 2013 (con il parere delle commissioni  II Giustizia, V Bilancio, VII Cultura e XII Affari Sociali).
Mi ha sempre preoccupato una specie di riflesso condizionato per cui quando si parla di stranieri si pensa all’assistenza. In questo caso l’assistenza non c’entra proprio nulla.
Il ragionamento, a parer mio,  è su un diritto la cui mancanza di riconoscimento dovrebbe turbarci come una privazione di civiltà.

Tutto questo mi è tornato in  mente questa mattina ascoltando il dibattito che segue la rassegna stampa di Prima Pagina quando un’ascoltatrice, assolutamente contraria al matrimonio fra persone dello stesso sesso, ha tranquillamente affermato che per lei scopo del matrimonio è la procreazione che assicuri la continuità della razza. Ripeto ‘della RAZZA’.
Certamente figli di non comunitari sans papier non sono il meglio per continuare una razza: sono solo esseri umani.
La giornalista, che concludeva la sua conduzione settimanale, si è concentrata sull’aspetto omofobico della questione posta e nulla ha detto della parola razza.
Forse le scosse sismiche che oggi sembrano essere state particolarmente numerose e piuttosto intense dipendevano dai ribaltamenti nelle rispettive tombe dei Costituenti. Le cronache dell’epoca registrano una loro perplessità nell’uso della parola ‘razza’ all’art. 3 della Costituzione, dove pure è presentata fra gli ostacoli che “impediscono il pireno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Oggi la difesa e la promozione della razza, scopo del matrimonio, è stata presentata come valore positivo.

PS: Se le ho ben contate le firme dei deputati sono 134, il primo firmatario e cento parlamentari fanno parte del gruppo del Pd, 4 appartengono ad altri gruppi  e precisamente: gruppo misto-minoranze ligustiche, scelta civica per l’Italia (2) e SEL

23 Giugno 2013Permalink

18 giugno 2013 – Cercando di rendere visibili i bambini fantasma.

Ieri nel mio blog ho scritto dei bambini fantasma, considerando la proposta di legge di cui ho riportato il testo come un primo possibile sguardo su di loro o almeno per non  essere coloro che si rendono disponibili a produrne.
Oggi ne ho scritto al Sindaco di Udine. So bene che non è compito suo votare leggi, ma sollecitare iniziative necessarie a tutela dei soggetti più deboli sì.
Ne ho mandato copia anche ad alcuni assessori e consiglieri comunali.
Se qualche cosa accadrà ne darò notizia.

Lettera aperta

Egregio prof Honsell,
con questa lettera mi rivolgo al Sindaco della città dove sono nata e vivo per segnalare una questione che da anni mi tormenta.
Nel 2009 quando fu approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza venne introdotta una modifica, secondo me di squallida portata storica, alla norma che era stata introdotta con la legge Turco Napolitano e rispettata persino dalla Bossi Fini.
Precedentemente al 2009 infatti il testo unico sull’immigrazione non richiedeva l’esibizione del permesso di soggiorno per alcuni documenti tra cui gli atti di stato civile o inerenti l’accesso a pubblici servizi.
Nel 2009, con la legge 94 (lettera g, comma 22, art. 1) si impose la presentazione del permesso di soggiorno anche per la registrazione degli atti di stato civile.
Lo stesso governo che aveva voluto quella norma, blindandola con un voto di fiducia, non potendo violare norme internazionali che impongono la registrazione anagrafica per ogni nuovo nato, intervenne con una circolare ‘interpretativa’ che consente ciò che la legge nega.
Vedo in questo anche un vulnus al ruolo del sindaco, custode dell’evidenza della popolazione del suo comune, che non può rifiutare ai nuovi nati il certificato di nascita, accontentandosi della labilità di una circolare che potrebbe essere abrogata senza intervento parlamentare.

So che ora si propongono iniziative non solo per il passaggio dal principio di jus sanguinis a quello di jus soli, come fondamento della cittadinanza, ma anche per ripristinare il regime precedente il 2009 per ciò che concerne la registrazione anagrafica, registrazione che non consegue automaticamente dall’attribuzione della cittadinanza, quale che sia, come ho scoperto essere convinzione di molti (per chiarezza mi riferisco alla pdl 740/2013).

Purtroppo per la questione dello jus soli il significato delle proposte è affogato dentro un bellissimo slogan ‘L’Italia sono anch’io’ che spesso nasconde il necessario approccio al tema, che merita certamente adesione ma deve accompagnato da quella consapevolezza critica che è la condizione necessaria per ogni efficace attuazione di un principio.
Per la registrazione anagrafica non è così. La modifica necessaria e – a mio parere anche urgente- della norma in vigore passa attraverso la correttezza della legge, per non ridursi a fonte di emozioni, piacevoli a viversi ma inutili a dare dignità alla vita stessa di coloro cui il riconoscimento di tale dignità è sottratto all’origine. E in una operazione del genere il linguaggio è tecnico. Altrimenti si riduce a beffa.

La prego quindi di fare, ciò che è possibile avvalendosi dell’autorevolezza che il suo ruolo consente, per sostenere lo spirito di tali iniziative e assicurare quindi ai nuovi nati nel comune di Udine il diritto (non la conseguenza di una benevolenza burocratica) a disporre di quel certificato di nascita che li rende legalmente  componenti di una famiglia, riconoscendone ai genitori il diritto – dovere di tutela,  e che li rende cittadini italiani (o d’altro stato finché viga il principio dello jus sanguinis)

Ora ce lo chiede anche il 6o Rapporto del Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) – rapporto presentato al Parlamento all’inizio del mese – che raccomanda al Parlamento: “ …di attuare una riforma legislativa che garantisca il diritto alla registrazione per tutti i minori, indipendentemente dalla situazione amministrativa dei genitori” (Cap 3.1).
Il Rapporto dello scorso anno così descriveva la condizione di famiglie naturali e non legalmente riconosciute di bambini non registrati all’anagrafe: “ … la scarsa conoscenza dei contenuti di questa circolare, in primo luogo tra le donne immigrate prive di permesso di soggiorno, rende necessario  promuovere una reale e diffusa campagna di sensibilizzazione sul diritto di tutti i bambini ad essere registrati alla nascita senza che questo comporti alcun rischio per le loro famiglie. Si deve comunque sottolineare come la Circolare Ministeriale non sia una fonte primaria del diritto e di conseguenza sia suscettibile di essere modificata o revocata dal potere esecutivo senza bisogno di alcun passaggio parlamentare.
Il timore, quindi, di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori”.

Ringraziandola per l’attenzione porgo distinti saluti
Augusta De Piero

18 Giugno 2013Permalink

17 giugno 2013 – Forse qualcuno ha visto i bambini fantasma

Il GrIS, una premessa

Prima di proporre il testo della p.d.l. 740 sulla registrazione anagrafica dei figli dei sans papier voglio segnalare un  passo della relazione con cui il responsabile regionale dott. Pitzalis ha informato in merito al lavoro svolto sin qui nel 2013:

Il Gris Fvg continuerà ad impegnarsi affinché per le attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – stato civile) non debbano essere esibiti documenti inerenti il soggiorno, chiedendo una modifica delle norme legislative in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno che garantisca il diritto alla registrazione per tutti i minori, indipendentemente dalla situazione amministrativa dei genitori, così come richiesto dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (art.7) e dal rapporto del gruppo CRC (cap.3.1). 

Chi volesse sapere qualche cosa di più sul GrIS può andare della Società di Medicina delle migrazioni (www.simmweb.it) dove, in calce alla nota del 6 giugno troverà anche il testo del 6o Rapporto CRC citato sopra. 

Una proposta di legge che meriterebbe di essere approvata

Ringrazio l’impegno autorevole della dr. Alajmo, coordinatrice del gruppo locale di Libertà e Giustizia, che mi ha permesso di acquisire il testo completo della p.d.l. che elimina il divieto alla registrazione anagrafica dei figli degli immigrati senza permesso di soggiorno.
La proposta è accompagnata da un’ottima relazione esplicativa che trascrivo volentieri perché l’aspetto necessariamente tecnico dell’unico articolo (approvabile senza oneri finanziari) non è per sé di immediata comprensione.

Atti Parlamentari — 1 — Camera dei Deputati

XVII LEGISLATURA — DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI — DOCUMENTI

CAMERA DEI DEPUTATI N. 740

PROPOSTA DI LEGGE   d’iniziativa del deputato ROSATO 

Modifica all’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno 

Presentata il 13 aprile 2013 

ONOREVOLI COLLEGHI ! — Il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Con il termine di straniero si intende, agli effetti del citato testo unico, il cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea e l’apolide.

Le disposizioni del capo I del titolo II riguardano l’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio italiano. All’articolo 5 viene disciplinato il permesso di soggiorno, mentre il successivo articolo 6 è rubricato « Facoltà ed obblighi inerenti il soggiorno ».

Infatti, il permesso di soggiorno, rilasciato per motivi di lavoro subordinato, autonomo e familiari, può essere utilizzato anche per le altre attività consentite (articolo 6, comma 1).
Nella sua versione originale, poi, il successivo comma 2, imponeva a carico dello straniero l’obbligo di esibire agli uffici della pubblica amministrazione i documenti inerenti al soggiorno, ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati. La disposizione faceva salvi da questo obbligo i soli provvedimenti riguardanti: 1) le attività sportive e ricreative a carattere temporaneo; 2) gli atti di stato civile o inerenti l’accesso a pubblici servizi.

La legge 15 luglio 2009, n. 94, è intervenuta modificando l’articolo 6 originario del decreto legislativo di cui sopra. In particolare, la lettera g) del comma 22, dell’articolo 1, ha sostituito la prima parte del comma 2 « Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi, i documenti inerenti al soggiorno (…) devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione… » con una nuova formulazione che recita: « Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno (…) devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione (…) ».

L’articolo 35, infatti, riguarda le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali garantite ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale anche se non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno. Queste riguardano, in breve sintesi, la tutela sociale della gravidanza e della maternità, la tutela della salute del minore, le vaccinazioni, gli interventi di profilassi internazionale e la diagnosi e la cura delle malattie infettive. Il comma 5 dell’articolo dispone che l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità. Viene fatto salvo il caso in cui sia obbligatorio il referto a parità di condizioni con il cittadino italiano.

Questa norma e la modifica che ha mantenuto salve le prestazioni sanitarie dall’obbligo di presentazione dei documenti di soggiorno hanno permesso di tutelare – anche nei casi di stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale – un principio fondamentale quale il diritto alle cure mediche urgenti, il diritto alla maternità e il diritto alla salute. Risulta inoltre tutelato il diritto alla salute inteso come interesse della collettività.

L’esonero relativo ai provvedimenti inerenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, invece, garantisce il rispetto del diritto fondamentale all’istruzione e all’educazione, più volte sancito dalla nostra Carta costituzionale, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia ai sensi della legge 2maggio 1991, n. 176.

La nuova formulazione, però, escludendo gli atti « di stato civile » o inerenti « all’accesso a pubblici servizi », ha lasciato dubbi interpretativi circa l’applicabilità dell’esonero ad alcune fattispecie di provvedimento quali, ad esempio, gli atti di nascita, di famiglia e di morte dello straniero.

Se, da un lato, infatti, il testo unico riconosce la specificità delle prestazioni sanitarie urgenti – quindi anche di pronto soccorso – e tutela il diritto alla maternità (il citato articolo 35), dall’altra parte non riconosce i provvedimenti che possono derivare dalla prestazione sanitaria medesima ovvero l’atto di nascita e l’atto di morte. La legge 15 luglio 2009, n. 94, nell’intervenire sull’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ha esplicitamente omesso – anzi ha sostituito – il richiamo agli atti di stato civile. Ha fatto, quindi, emergere la volontà di sopprimere il riferimento agli atti di stato civile.

La necessità urgente di chiarimenti ha portato il Ministero dell’interno ad emettere una circolare già il 7 agosto 2009 (circolare n. 0008899 del Dipartimento per gli affari interni e territoriali) che, al punto 3, recita: « Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto ».

Poi la circolare, nel medesimo punto 3, ribadisce che « l’atto di stato civile ha natura diversa e non assimilabile a quella dei provvedimenti menzionati nel citato articolo 6 ».

Quindi, il testo della circolare non risulta essere del tutto risolutivo ed anzi appare, per certi versi, anche contraddittorio.

Alcuni enti locali ritengono che l’articolo 6 sia abbastanza esplicito nel definire quali sono i documenti esenti da obbligo e non riscontrano nella circolare alcun beneficio interpretativo, ma al contrario registrano un intento di modificare il tenore della norma oltre la reale portata giuridica di una circolare.

Altre uffici, nel dubbio rispetto a quale norma devono applicare, rifiutano ancora oggi di registrare la nascita da parte di genitori extracomunitari presenti sul territorio nazionale illegalmente. Secondo alcuni, infatti, la circolare non rappresenterebbe un sufficiente scudo giuridico per giustificare l’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 6.

Il Ministero dell’interno ha, comunque, rassicurato che il riconoscimento della nascita e dello status di nascituro vanno considerati indipendentemente dalla situazione di irregolarità del soggiorno dello straniero in territorio nazionale.

Lo stesso Ministero è consapevole che una differente interpretazione lederebbe un diritto assoluto del figlio, il quale, in assenza di atto di nascita, risulterebbe inesistente dal punto di vista delle regole dell’ordinamento giuridico.

Si richiama, a tal proposito, l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, che anche l’Italia ha ratificato ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.

La Convenzione dichiara che « Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi ».

Lo Stato deve quindi garantire anche ai nati da genitori stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale la registrazione all’atto di nascita. Per fare ciò occorre accogliere l’interpretazione della circolare di cui si diceva, la quale inseriva anche la dichiarazione di nascita e di riconoscimento di filiazione tra i provvedimenti che non dovrebbero richiedere l’esibizione da parte dello straniero dei documenti di soggiorno, così da consentire anche agli stranieri presenti irregolarmente sul territorio nazionale di effettuare tale registrazione.

La circolare non è riuscita a dirimere il dubbio circa l’interpretazione del citato articolo 6 e, va aggiunto, non potrebbe evitare il contrasto della norma con l’articolo 10 della Costituzione per violazione di norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta.

Per ottenere la piena efficacia dell’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo e per garantire una uniforme applicazione del diritto su tutto il territorio nazionale si ravvede la necessità di una modifica legislativa dell’articolo 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Illustrare le motivazioni giuridiche e sociali per le quali è corretta l’interpretazione esposta nella circolare e valutata la necessità di riformulare l’attuale articolo 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l’articolo unico della presente proposta di legge si limita a reintrodurre esplicitamente gli atti di stato civile tra quelli per i quali non è necessaria l’esibizione dei documenti di soggiorno.

Va sottolineato che tale proposta di legge non comporta variazioni al bilancio dello Stato, in quanto da essa non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 

PROPOSTA DI LEGGE__

ART. 1. 

1. Il comma 2 dell’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

« 2. Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile, per i provvedimenti inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti all’accesso a pubblici servizi e alle prestazioni scolastiche nelle scuole di ogni ordine e grado, compresi le scuole dell’infanzia e gli asili nido, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni e altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati»

17 Giugno 2013Permalink