16 agosto 2012 – Ferragosto, da Repubblica

Mi ero proposta di affrettare la conclusione del mio diario del cammino di Santiago ma non
voglio ignorare l’articolo di Repubblica che trascrivo integralmente. Chi volesse raggiungerlo nel sito del quotidiano potrà farlo anche da qui
Proviamo a riflettere su cosa sarebbe successo a Muna se la sua mamma fosse arrivata in Italia: le avrebbero messe in un Centro di identificazione ed espulsione (CIE), spero facendo scattare anche le particolari tipologie di protezione che la legge prevede per le puerpere. Ma l’inesistenza di una legge sul rifugio avrebbe reso confusa la situazione della mamma di Muna e, senza permesso di soggiorno, la registrazione dei figli comporta l’espulsione del reo che si definisce genitore. Così dice una legge voluta da una cultura legadipendente così pervasiva che non c’è impegno alcuno per la sua modifica:  la registrazione anagrafica senza rischi dei bambini è affidata a una circolare che può essere rimossa senza che il parlamento ne sappia nulla, così come senza che nulla ne sapesse è stata emanata (la legge della vergogna no, quella era stata votata). E continuo a non capire –perché capirlo mi spaventa- perché nessun partito (im)politico si voglia far carico di richiederne la modifica.
Molto ho già documentato di tutto ciò in questo blog e lo si può verificare attraverso il tag ‘anagrafe’.

15 agosto – La bimba nata su una nave senza patria e documenti

Le organizzazioni umanitarie si stanno battendo per lei: “Le leggi non la tutelano”. Ora ha 4 anni e vive in Francia con la mamma. Ma è apolide. E tra poco ci sarà la scuola
di DAVIDE CARLUCCI 

L’UMILIAZIONE potrebbe arrivare il primo giorno di scuola. “Dove sei nata, piccola?”. “In una barca, signore”.  Muna non avrà altre risposte da dare. Perché questa bambina somala di 4 anni, che oggi vive a Parigi, non ha nessun documento da esibire. Nessun pezzo di carta in cui è scritto in quale angolo della Terra è nata. E ora le organizzazioni cattoliche e umanitarie maltesi si stanno mobilitando perché le venga riconosciuto questo diritto.

Orfana del “qui e ora” che definisce ogni esordio umano nel mondo, Muna è nata in mare, figlia di una profuga somala salvata dal naufragio con altri 74 immigrati partiti dalla Libia e diretti verso l’Italia. Era il novembre del 2008, il Mediterraneo era grosso come un bestione affamato e cinque passeggeri finirono, uno dopo l’altro, inghiottiti dalle onde. Ma in quell’inferno di morte e salsedine c’era anche spazio per tre nuove vite: Muna e, figli di una madre diversa, altri due gemelli. Per prima nacque Muna. La barca era ancora in acque libiche o, forse, già internazionali. Chi poteva dirlo, in quel momento, quando c’era solo da salvare la pelle? E così, quando accostò la nave russa Yelenia Shatrova per salvare i disperati, la piccola appena nata salì a bordo, in braccio alla madre 24enne, già con un luogo di nascita confuso.

I due gemelli, invece, seppero aspettare. Fino a quando – la nave ormai in acque maltesi – arrivò l’elicottero della Marina militare italiana che prelevò la loro mamma e la trasportò d’urgenza all’ospedale maltese Mater Dei. “Da quel momento – spiega monsignor Philip Calleja, il presidente della commissione per gli immigrati della Chiesa maltese – il destino dei tre bambini si è diviso. I due gemelli sono stati immediatamente registrati a Malta. La bambina invece, vive ancora in un limbo civile. E questo va contro ogni elementare principio di dignità, a cominciare da quelli sanciti dalla Convenzione dei diritti dell’uomo dell’Onu”.

Calleja ha aperto un contenzioso con le autorità del suo Paese: ne è nata una disputa legale su quale nazione dovesse sobbarcarsi la registrazione della povera Muna. La Russia no, perché la bimba è nata prima dei soccorsi. La Libia? La Somalia? “Ma cos’avrebbe dovuto fare la madre – non riesce a capire il sacerdote – ritornare da dove fuggiva perseguitata?”. “Ogni persona deve avere un’identità”, protesta Tonio Azzopardi, l’avvocato che segue la causa e che ora, dopo una prima sentenza sfavorevole del tribunale, ha presentato un ricorso urgente in appello.

Per ottenere la registrazione anagrafica della figlia, la madre della bambina, Chama Hatra, ha fatto nel febbraio 2009 una dichiarazione giurata nella quale spiegava, chiamando a testimoni gli altri profughi che l’avevano aiutata a partorire: si legge che sua figlia è nata il 2 novembre 2008 “while on boat”, “mentre era su una barca”. In una autodichiarazione successiva, la donna scrive che la piccola è venuta al mondo “between Lybia and Malta”. Tutto qui: sono gli unici due atti “ufficiali” – di un’ufficialità provvisoria e labile – di cui la bambina dispone per poter attribuire un luogo, sia pure vago, alla sua comparsa sul pianeta. Ma è con questi due fogli, logori perché di continuo esibiti e rimessi a posto, che Chama, dopo essere stata ospite di un centro di accoglienza a Malta, è riuscita a ottenere un lasciapassare per raggiungere nel 2009 la Francia, dove vive grazie a un progetto europeo per la ricollocazione degli stranieri ai quali l’isola, troppo piccola, non riesce a garantire la permanenza.

“Quella bambina rischia di diventare un piccolo fantasma”, teme Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. Nel mondo, spiega, gli apolidi sono sempre di più, “almeno dieci milioni. Ma sono stime: pochi stati hanno accettato di istituire il registro che noi abbiamo chiesto. In questo caso manca addirittura la registrazione, il primo passo per l’acquisizione di qualsiasi diritto”.

Altri bambini nel mondo, spiega monsignor Calleja, si trovano o rischiano di trovarsi nel limbo di Muna. “Le legislazioni nazionali devono cominciare a tutelarli”. In molte nazioni, compresa l’Italia, si decide di registrare i neonati nella città portuale più vicina alla nascita. A Lampedusa, dove le puerpere di solito emigrano verso gli ospedali di Palermo, gli immigrati hanno rimpolpato il bilancio anagrafico. E il nome di Yeabsera, una piccola etiope nata a marzo del 2011 al largo di Linosa (ma in acque internazionali), è in un registro dell’ufficio comunale palermitano. Muna, invece no: il momento della sua venuta al mondo si è perso nel tempo indefinito del mare.

16 Agosto 2012Permalink

14 agosto 2012 – Il cammino di Santiago 16

8 giugno – ottavo giorno (a) Astorga

Lasciando Leon

Per lasciare Leon percorriamo la strada principale della città sul cui selciato è inserita, oltre le ormai consuete conchiglie, la scritta che riporto.
Qui si incrociano quindi il cammino che viene (o va … le strade hanno sempre due sensi) da Oviedo e il cammino più consueto che da Leon si dirige a Santiago.
La mappa che ho pubblicato il 18 giugno consente di identificare facilmente le due città ed è raggiungibile anche da qui
Il cammino di Oviedo sembra particolarmente difficile, inerpicato sui monti cantabrici, ma anche significativo dal punto di vista devozionale. Un antico proverbio (l’espressione spagnola è facile e così la trascrivo) dice:”Quien va a Santiago y no va al Salvador, honra al criado y deja al Señor”.

Verso Astorga

L’esperienza vissuta sulla strada per Astorga è stato uno dei momenti che più ha avvicinato il mio viaggio a un pellegrinaggio. Un tempo era evidentemente necessario un obiettivo per chi lasciava la sua casa per un lungo periodo (o forse per sempre) ed è comprensibile che le reliquie di San Giacomo (ci siano o non ci siano poco importa) potessero essere una motivazione sufficiente. Ma quel che avveniva per strada era più importante: si incontravano persone diverse (persino donne sole! ci ha ricordato Laura Novati in una sua conferenza), provenienti da paesi diversi di cui quei lontani camminatori ignoravano reciprocamente l’esistenza . E l’immagine dell’ignoto penso trovasse forma nelle parole, in ciò che si comunicavano, superando inevitabili difficoltà linguistiche.  Nasceva anche lì l’inconsapevole conoscenza dell’Europa.
Noi siamo stati fermati dai minatori in sciopero che avevano bloccato l’autostrada: e questa è la nostra Europa di cui –nel nostro pellegrinaggio impropriamente motorizzato – abbiamo sfiorato un tratto doloroso.
Tornati in Italia abbiamo saputo della continuità della protesta.
Certamente venir bloccati fra un guardrail e un tir non è piacevole (anche perché nessuno ti spiega quando finirà).
Mi chiedo se fra i miei compagni di viaggio (escludo quelli che conosco da tempo e chi mi siede vicino con cui ho scambiato piacevoli chiacchierate) ci sia qualcuno che mormora la frase –tante volte altrove sentita- della libertà altrui che confligge con la propria (libertà di sciopero contro libertà di turismo senza fastidi). Mi piacerebbe – anche perché non abbiamo altro da fare che chiacchierare fra noi- porre la questione, ma non lo faccio.
So che un tempo lo avrei fatto e mi chiedo (ma non chiedo) perché la mia voglia di comunicare si sia così ridotta.
Dopo parecchio tempo si profilano lontane le sagome dei poliziotti con il volto coperto.
Mi viene in mente Pasolini e la sua ‘Battaglia di Valle Giulia’ (1 marzo 1968) ma anche di questa non dico niente (Inserisco qui il link per chi la voglia leggere).Penso che allora la contrapposizione era fra studenti e poliziotti, qui è fra minatori e poliziotti e ognuno difende, come può, il suo tragico lavoro, chi per non perderlo, chi per mantenerlo.
Ripartendo sfioriamo copertoni che bruciano.

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14 Agosto 2012Permalink

13 agosto 2012- Una notizia dalla Siria

Mentre veniamo dolorosamente colpiti dalle notizie che arrivano dalla Siria, ne riprendo una che si collega a quanto avevo scritto il 21 giugno nel ricordo di una visita indimenticabile al monastero di Mar Musa.

Il testo è quello diffuso dall’ANSA   06 agosto, 16:54

(ANSAmed) – BEIRUT, 6 AGO – Uomini armati hanno assaltato il monastero di Mar Musa, a nord di Damasco, del IV secolo, senza causare vittime ma saccheggiandolo. Lo riferiscono all’ANSA fonti vicine al monastero, fino a poche settimane fa gestito dal gesuita italiano Padre Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità monastica.
Le fonti affermano che né le suore né i monaci presenti nel monastero – 80 km a nord di Damasco nel deserto siriano a est dell’autostrada che collega la capitale con Homs – sono stati feriti o aggrediti, ma che gli uomini armati hanno “rubato tutto quello che potevano rubare”, compresi i trattori e gli altri strumenti per l’agricoltura e l’allevamento. Già a febbraio e ad aprile scorsi il monastero era stato obiettivo di uomini armati.
Padre Paolo dall’Oglio, presente in Siria da oltre trent’anni, è stato costretto a lasciare il Paese a giugno dopo che le autorità non gli hanno rinnovato il permesso di soggiorno in seguito alle sue dichiarazioni per una “vera riconciliazione nazionale”. Dall’Oglio ha espresso “profondo rammarico” per l’assalto. Interpellato dall’Ansa, il gesuita italiano ha “espresso profondo rammarico per il molto lavoro andato perso, soddisfazione perché non ci sono state vittime, solidarietà con la comunità monastica e speranza per un futuro migliore a breve”. (ANSAmed).

Ho aggiornato le segnalazioni

 

13 Agosto 2012Permalink

10 agosto 2012 –Il cammino di Santiago 15

7 giugno – settimo giorno (b) –San Miguel de la Escalada – Leon

Lascio San Miguel de la Escalada con il desiderio di un improbabile ritorno. Tra l’altro mi piacerebbe vedere di nuovo i cartelli che documentano l’entità dei finanziamenti europei per il restauro e il procedere del progetto. Sono informazioni che in Spagna ho trovato più volte mentre in Italia non ho visto nulla di simile; sono solo consapevole che non spendiamo una consistente parte di analoghi finanziamenti e a seguito di questa inettitudine paghiamo multe rilevanti.
Leon ci offre un esempio splendido di cattedrale (così grande che naturalmente non riesco a fotografarne l’intera facciata).
Sconvolgente per la bellezza delle gigantesche vetrate l’interno (1800 mq di superficie). Mi dicono che ne è in corso la pulizia e il restauro, operazione che richiederà 50 anni.
La vetrate non sono state distrutte dai bombardamenti durante la guerra civile perché a Leon si trovava la base della Legione Condor da cui partivano gli aerei per i bombardamenti sulla Spagna e la base costituiva un oggettivo elemento di protezione della città.
Burgos invece, come ho già scritto il 3 agosto, era la sede della Giunta militare.
Nella legione operarono anche piloti ‘volontari’ italiani
Purtroppo non sono riuscita a fotografare un vecchio aereo, ancora collocato in una piazza, e me ne dispiace perché lì ho scoperto che iniziava un segmento del mio personale pellegrinaggio che si sarebbe concluso a Madrid dove mi è stato possibile realizzare un vecchio desiderio di vedere Guernica di Picasso, testimonianza della città bombardata il 26 aprile 1937. Ma id questo scriverò a diario di viaggio di Biblia concluso.

Non solo cattedrali
A Leon abbiamo avuto anche la possibilità di vedere un palazzo progettato da Gaudi (Botines) quale magazzano di tessuti. Non mi entusiasma, eppure a Barcellona ho visto edifici che mi sono molto piaciuti, Sagrada Familia esclusa.
E’ un modo un po’ sbrigativo per liquidare Gaudi, ma non era uno degli obiettivi del mio viaggio.
Ho trovato invece molto importanti (e li ho naturalmente, anche se malamente, fotografati) i primi manifesti di protesta per la politica di rigore e soprattutto per la chiusura delle non lontane miniere di Astorga.
Ma l’incontro con la tragedia dei minatori si sarebbe ripetuto il giorno dopo e a quella data rinvio

 

 

 

 

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10 Agosto 2012Permalink

9 agosto 2012 – Il cammino di Santiago 14 … e non solo

7 giugno – settimo giorno (a) –San Miguel de la Escalada

Forse l’influenza del clima a 1000 m. di altezza, la bellezza del luogo e altre considerazioni di cui proverò a scrivere hanno reso questa visita fra quelle che ricordo con più interesse e gioia.
La chiesa di San Miguel de la Escalada sorse a seguito dell’insediamento di una comunità di monaci su terre loro donate dal re Alfonso III delle Asturie. Fu consacrata, nel luogo in cui sorgeva una precedente chiesa visigotica, il 20 novembre 951 dell’era ispanica. Passò poi a una comunità benedettina e subì delle trasformazioni: nel 1050 venne aggiunto il portico esterno che tanto mi è piaciuto per le evidenti assonanze con l’arte araba. Non a caso la  prima comunità di monaci veniva da Cordova.
Ancora una volta quindi è opportuno notare la continuità della storia che esaltazioni ideologiche vorrebbero di rottura: certamente la rottura ci fu … ma dobbiamo arrivare al 1492.

Mozarabi
Questa continuità ha anche un nome, mozarabi, i cristiani che vivevano nella Spagna quasi interamente islamizzata dopo la conquista araba (che in realtà ebbe a principali protagoniste le popolazioni berbere del nord Africa). Pur vivendo immersi nella cultura araba dominante, avevano mantenuto magistrati propri e libertà di esercitare il proprio culto e di parlare la propria lingua. Ci è già capitato di notare che, al di là della violenza dei momenti di guerra guerreggiata, in Spagna non si ha memoria di conversioni di massa.
Il rito liturgico mozarabico fu comunque soppresso dal concilio locale che si tenne nel monastero di Najera nel 1067 e sostituito con il rito romano (di Najera ho fatto cenno il 17 luglio).
Così pure lo stile dalla produzione artistica preromanica (IX-XI sec) nella penisola iberica prende il nome di arte mozarabica che si avvale della commistione di elementi cristiano visigoti e islamici.
All’incanto dell’esterno corrisponde anche la purezza di linee dell’interno di una chiesa che non conosce la pesantezza dei polittici di legno dorato che invadono troppo spesso secondo il mio gusto le absidi delle cattedrali.

 

 

 

 

Una curiosità cronologica
Poco sopra ho scritto ‘era ispanica’.
Un tempo la datazione aveva riferimenti molteplici e diversi che non conoscevano quella che noi oggi riteniamo (a torto) essere uniformità. Chi in Israele voglia leggere la stampa locale troverà due date: quella ‘occidentale’ e quella ebraica. Nei territori ne troverà tre, perché dovrà aggiungere la datazione islamica.
A seguito della decisione di Lenin di uniformare le date, la rivoluzione che diciamo di ottobre – secondo il calendario giuliano – è databile in novembre secondo il calendario gregoriano. A Betlemme, data l’abbondanza di patriarchi nelle terre d’oriente si festeggiano tre natali, rispettosi dei calendari occidentale, ortodosso e armeno.
Tornando alla Spagna l’era ispanica inizia nel 38 a.e.v., con la ‘pacificazione’ imposta da Augusto.
Mi piace annotare tutto questo perché il passaggio dagli assoluti alla relatività che la ragione ci impone mi entusiasma sempre.

… e non solo –  ancora streghe

Sembra che non riesca a liberarmi dalle ‘streghe’ di Logroño, ma l’ascolto della risposta che ad una delle mie tante domande in buona parte inespresse ha dato il prof Cardini (ascolto che devo all’enorme lavoro di registrazioni regalatemi da Marco T. cui sono veramente grata) mi consente alcune ulteriori considerazioni che espongo con molta attenzione e prudenza perché non posso evidentemente rivolgermi all’accompagnatore culturale del viaggio di giugno per una verifica.
Avevo tentato di sfuggire alla necessità di questa nota inserendo una piccola riga di riferimento ai contadini nei testi precedenti, ma non mi basta. E vediamo perché.
Innanzitutto i numeri. Per fortuna, dopo una digressione su calcoli ipotetici di eretici (e streghe loro assimilate) bruciati in Europa (di cui nulla avevo chiesto), il prof. Cardini è tornato allo specifico e ha parlato di circa 3000 persone fuggite da Bordeaux e arrivate a Logroño nel 1610, di cui 1800 interrogate e assolte dopo che il tribunale laico (l’eresia era reato) ne aveva sbrigativamente condannate 12.
Questo l’ho già scritto ma l’elemento interessante che rilevo nell’ampia risposta datemi è la contestualizzazione. La chiave di tutto è il periodo di crisi che colpisce l’Europa fra la seconda metà del 1300 e la prima del 1600 che determinò lo spostamento di masse significative di persone appartenenti alle classi maggiormente colpite dalla insorgente povertà, fra cui evidentemente anche i contadini. Giustamente Cardini annota che nulla vieta ai contadini di essere eretici e viceversa.
Possiamo allora dire che coloro che giunsero a Logroño nel 1610 non erano un compatto numero di eretici in cerca della libertà religiosa ma persone che fuggivano dalla povertà cui si mescolavano anche quelle che fuggivano dalle persecuzioni.
Anche se Cardini non lo afferma esplicitamente mi sembra una considerazione ragionevolmente deducibile dalle sue parole e che risponde a parecchie delle domande che mi sono posta senza saper rispondere.
Chi volesse collegarsi a quanto ho già scritto può andare a: 22 luglio  e  27 luglio

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9 Agosto 2012Permalink

5 agosto 2012 – Il cammino di Santiago 13

Il Cid Campeador

Avevo lasciato la cattedrale di Bugos ricordando la tomba del Cid Campeador e di sua moglie doña Sancha. Qualche cosa ne devo dire perché il Cid rappresenta molto di più, delle caratteristiche dell’immagine stereotipata che lo vuole eroe nazionale e difensore della cristianità.
Fu signore di Valencia che, conquistata nel 1094 dopo lungo assedio, tenne fino alla morte quando gli successe la moglie Sancha che mantenne il potere sulla città fino al 1112.
Nel 1081 il re Alfonso VI l’aveva esiliato e il Cid per 10 anni fu mercenario e capitano di ventura dell’emiro di Saragozza.
Una situazione che – come ha precisato Laura Novati –  “la dice lunga sul tipo di rapporti di vassallaggio e interdipendenza culturale ed economica che si stabilì in terra di Spagna fra i regni sia mussulmani che cristiani” nella lunga storia che va dal 711 al 1492.
Chi volesse vedere i confini fra la Spagna mussulmana e la Spagna cristiana può andare al mio diario del 30 giugno, raggiungibile anche da qui, dove ho pubblicato una cartina.

6 giugno – sesto giorno – Frómista, Sahagun
Dovevo essere in un giorno di particolare negligenza perché i miei appunti non mi consentono di essere precisa nell’indicazione delle fotografie che pure voglio pubblicare.
La prima rappresenta un sarcofago in cui è visibile una donna che passa le mani sul volto che si presume rigato dal pianto, immagine straordinaria del dolore umano fuori di ogni retorica e schematizzazione.
La seconda invece è molto deprimente: rappresenta una madonna burattino del tipo (e non è l’unica che ci è stata proposta) che viene esibito durante le processioni quando può essere costretta a qualche movimento con un attrezzo posto sul retro della statua.
Questa statua viene vestita, cambiata, curata  da donne che si considerano sue devote come le sacerdotesse di un antico idolo.

Il volumetto offerto da Biblia  ricorda a Sahagun la presenza “di una forte comunità giudaica che visse in perfetta armonia con i benedettini del monastero intitolato ai santi Facondo e Primitivo fino a quando nel 1492 i re Ferdinando e Isabella non ne decisero l’espulsione dalla Spagna”.

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5 Agosto 2012Permalink

3 agosto – Il cammino di Santiago 12

5 giugno – quinto giorno – Nájera, Santo Domingo de la Calzada (carreggiata), Monastero  San Juan Ortega, Burgos

In Spagna e fuori
Gli appunti che soccorrono la memoria sono strumenti di diagnosi del suo funzionamento e la mia- senza stampelle – scricchiola e poco so dire di ciò che ho visto.
Mi sono concentrata sulla vicenda delle streghe di Logroño, che ancora mi interroga.
Certo non ci bruciano, non ci impiccano, l’Inquisizione – che è diventata ‘Congregazione per la dottrina della fede’ (con una modifica che onestà obbliga a considerare ben più che nominale)– si concentra su qualche personaggio di pubblico rilievo in particolare nel campo della cultura e della ricerca teologica e su misure che portano ad indicazioni di carattere generale che, se non si trasformano in sanzioni comminate da tribunali ecclesiastici o laici che siano, là dove il cattolicesimo conta ancora come potere, diventano occasione di stigma sociale.
Perché ho scritto cattolicesimo e non chiesa? Perché –dal Concilio Vaticano II – la chiesa non è definita come un potere gerarchico, almeno finché la ormai sessantenne definizione non verrà cancellata, come già in parte lo è, nella sonnolenta indifferenza della realtà del mondo cattolico e – almeno in Italia – in furberie di politicanti da strapazzo che ricercano il successo assicurato dai sondaggi secondo categorie costruite su una tradizione non ragionata e opportunisticamente adoperata con squallide complicità.
La laicità, almeno in Italia, sembra ormai a brandelli ovunque.

Ma torniamo in Spagna
La prima tappa del quinto giorno è il monastero di Santa Maria la Real di cui ricordo la pietra che diventa merletto secondo un gusto raffinato che a me richiama alcune decorazioni arabe.
Vi si trovano sepolcri di una trentina di sovrani di Navarra.

 

 

Per arrivarci attraversiamo il fiume Najerilla dove piante acquatiche scorrono trascinate dall’acqua come isole fiorite.
E’ uno spettacolo straordinario (ma gli allarmi ormai automatici mi fanno scattare una domanda cui non ho risposta: natura affascinante o inquinamento?). Comunque lo spettacolo così inconsueto non mi impedisce di guardare in su e di vedere –ed è uno spettacolo costante- nidi di cicogne ovunque che purtroppo non sono riuscita ad adeguatamente fotografare.

Il pollaio in chiesa.
Il pollaio è una nicchia alta all’interno di una navata della cattedrale di Santo Domingo.
Vi soggiornano (mi hanno detto che vengono sostituiti ogni 15 giorni) un gallo e una gallina.
Se ne stanno lì da quando i loro antenati schizzarono fuori dal piatto di un giudice che aveva inopinatamente condannato a morte un giovane presunto ladro. E’ buffo ma la leggenda è simile (in chiave grossolana) alla storia biblica di Giuseppe. In questo caso non un fratello offeso ma una fanciulla rifiutata da un giovane pellegrino aveva messo una coppa d’argento nel suo sacco, denunciandolo poi al magistrato locale. Inseguito, scoperta la coppa, condannato e impiccato fu ritrovato parecchi giorni dopo ancor vivo dai genitori che avevano proseguito il pellegrinaggio. Ovviamente i due si precipitarono dal magistrato che consumava un pollo arrosto e, informato del miracolo, affermò che lo avrebbe accettato quando il pollo che mangiava fosse uscito vivo dal piatto. Secondo miracolo e la tradizione continua. Non mi entusiasma ma è evidentemente attrae.
Fuori della cattedrale si trova l’antico edificio dell’Ospedale dei pellegrini, esempio interessante di quel ‘percorso attrezzato’ che aveva ed ha tanti e diversi luoghi di accoglienza che meriterebbero uno studio a sé.
Ma purtroppo bisogna proseguire.

Burgos
Dal 1936 al 1938 vi ebbe sede il governo franchista, l’organizzazione nata dal golpe (alzamiento) militare contro la Seconda Repubblica Spagnola (nata nel 1931).
Perciò la città fu pesantemente bombardata dai repubblicani.
Non ho competenze sufficienti per sintetizzare la storia di Spagna, ci tengo solo a precisare che cito eventi di cui controllo sempre i relativi dati e che non appartiene al mio pensiero spiegare una violenza come la contropartita di un’altra violenza. Ognuna è una storia a se stante.

Anche la cattedrale di Burgos subì danni significativi e oggi appare comunque in tutta la sua imponenza. Non la descrivo se non per alcune considerazioni,
Qui, come in altre chiese, troneggiano sfondi di legno dipinto e soprattutto dorato che spesso coprono l’intera abside. Nel mio egocentrismo fotografico ne ho ripresi alcuni, senza entusiasmo. Avrei voluto potermi soffermare su i particolari più raccapriccianti che spesso vi si possono vedere, nati –temo (ma so di essere maligna) più per imbonire un popolo che per istruirlo (non posso negarmi un parallelo con i meravigliosi, sobri capitelli romanici), ma non c’era il tempo per un’attenzione mirata. Meglio così, forse!
Al centro della navata di Burgos sorge il coro: un ampio spazio riservato  alle preghiere del clero che disponeva dei suoi stalli ben rinchiusi in una sorta di chiesa nella chiesa. Rappresentano una frattura per me  liturgicamente  interessante quanto l’iconostasi delle chiese ortodosse dietro la quale il clero celebra riti tutti suoi, avvolto i nubi di incenso.
Non ricordo se qui o a Leon l’enorme porta di ingresso al coro (in qualche modo aperto verso l’altar maggiore) non è cieca, ma sostituita da una di cristallo che consente di godere di una visuale completa del tempio.

Nella cattedrale di Burgos ci sono le tombe del Cid Campeador e della moglie.
Prometto a me stessa di verificare le mie note e di riprendere l’argomento.

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3 Agosto 2012Permalink

31 luglio 2012 – Senza legge e senza pietà

Il 15 luglio ho pubblicato una nota (raggiungibile anche da qui) in cui riportavo un messaggio ricevuto che segnalava la presenza di una donna straniera, in avanzato stato di gravidanza che, fuori dal Centro di identificazione ed espulsione (CIE di Gradisca – Go), cercava di sollecitare l’opportuno interesse per il padre del suo bambino, trattenuto nel Centro.
Non sono riuscita a saperne più nulla e non so quindi se si sia attivato un processo di tutela dovuta a lei e al nascituro (il comune di Gradisca è intervenuto per garantire a una donna incinta ridotta in strada le misure di assistenza dovute? Qualcuno ha assicurato il padre del padre del piccolo in merito alla registrazione anagrafica dopo la nascita, atto che deve poter compiere senza presentazione alcuna del permesso di soggiorno per far sì che quel bambino non diventi un apolide – si veda il tag anagrafe in questo blog)?
Di regola da queste parti le associazioni e i movimenti che si adoperano per i migranti scelgono la strada della protesta generale contro il CIE (obiettivo certamente condivisibile) affidando la tutela dei soggetti in difficoltà a misure assistenziali di vario genere, cui spesso sono estranei i soggetti istituzionali se non come erogatori di contributi (quando ne erogano).

La legge che non c’è
Ricopio di seguito una nota ricevuta da un’amica bolognese che segnala la strada della tutela individuale a termine di legge.
Personalmente penso che una seria riflessione sui diritti violati servirebbe anche a sostenere la richiesta di modifica dei CIE e non solo.
In Italia manca infatti una legge sull’asilo a norma della Convenzione di Ginevra.
L’articolo 1 della Legge 28 febbraio 1990, n. 39 (cd legge Martelli) dice: “Dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessano nell’ordinamento interno gli effetti della dichiarazione di limitazione geografica e delle riserve di cui agli articoli 17 e 18 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con legge 24 luglio 1954, n. 722, poste dall’Italia all’atto della sottoscrizione della convenzione stessa. Il Governo provvede agli adempimenti necessari per il formale ritiro di tale limitazione e di tali riserve”.
Nonostante gli impegni allora previsti nulla è stato fatto per questo problema anche se sono state emanate diverse norme (di vario livello e con diverse finalità) relative ai migranti.
Il semplice testo della Convenzione si dimostra da tempo insufficiente garanzia per i richiedenti asilo, uomini e donne.
La drammaticità della notizia che pubblico ci ricorda l’importanza della distinzione di genere.

LA RIFUGIATA LIBANESE A BOLOGNA           Repubblica/BO, 20 luglio 2012
Giancarla Codrignani
Anche a Bologna non ci sono soltanto stranieri – e straniere – immigrati. Anche a Bologna ci sono i richiedenti asilo e rifugiati e la struttura per la loro protezione (Sprar) che gestisce tre centri di accoglienza: 18  posti sono riservati a donne sole, che, ben peggio di noi occidentali, vivono la discriminazione di genere. L’avvocata Antonietta Cozza e le operatrici dei servizi  si fanno carico dei “diritti difficili” di queste persone vulnerabili, ma riscontrano che le donne hanno contro tutto: non credute, in conflitto con legislazioni discriminatorie del loro paese, “diverse” anche ai fini dell’ottenimento della protezione.

E’ accaduto così che non sia stata giustificata la richiesta di una camerunese impossibilitata a rientrare perché, giudicata strega, chiunque può aggredirla; oppure che abbia ottenuto solo “protezione umanitaria” la congolese settantenne che non può certo trovare casa e lavoro per mantenere un soggiorno non richiesto.

Oggi è in grande difficoltà una signora libanese arrivata a Bologna alla fine del 2010, dopo un viaggio fortunoso fino al porto di Ancona e presa in carico dallo sportello protezioni internazionali dell’Asp Poveri vergognosi, in osservazione al Bellaria per ematoma cranico e difesa dall’avv. Cozza. Si tratta di un caso apparentemente fuori dalla giurisprudenza della Convenzione di Ginevra (del 1951, estesa ai paesi non-europei nel 1967) perché legato a persecuzione e maltrattamenti maritali; ma la ragione della richiesta di protezione è dovuta alla volontà della donna di far uscire l’ultimo figlio avuto da un marito che, dopo il divorzio, l’ha inseguita, ingravidata e abbandonata con un figlio “illegittimo” e privo di personalità giuridica secondo la legge patriarcale libanese. Amal – chimiamola così – è’ stata ascoltata in febbraio di quest’anno dalla Commissione per il Riconoscimento che, in giugno, le notificava il respingimento, pur consentendole il soggiorno. La lettura dell’atto è interessante: per tutte le dichiarazioni della donna si usa l’indicativo dell’oggettività, per l’uomo il condizionale dubitativo, anche per l’edema cerebrale dell’ultima aggressione e per l’affidamento al padre dei quattro figli non più rivisti. Si tratterebbe, dunque, di questioni “di natura esclusivamente personale e familiare”, di un rapporto “complesso”, non sarebbe “credibile” la rinuncia ai figli e, ancor meno convincente, che “la donna non abbia potuto presentare denuncia per le aggressioni subite”. Ma soprattutto non si fa menzione della ragione della richiesta di protezione e non di soggiorno: Amal chiede il ricongiungimento familiare per salvare il suo bambino “illegittimo” e senza diritti e su questa base è urgente il riesame del provvedimento.
La Convenzione, nata per tutelare gli esuli politici, oggi si confronta con ben altri problemi di sopravvivenza e di dignità umana: per le donne vari paesi tengono in considerazione anche la fuga da paesi che legittimano l’infibulazione. Ma c’è anche la Convenzione per i diritti dell’infanzia. La loro applicazione secondi la nostra concezione dell’universalità dei diritti.

 

31 Luglio 2012Permalink

29 luglio 2012 –Olimpiadi, rappresentanza nazionale e contraddizioni insanabili

Leggo su facebook in data di oggi il pezzo che ricopio.

Della vicenda di Balotelli si è parlato tanto durante gli Europei, ma i nuovi italiani sono molti, meno famosi e alcuni di loro alle Olimpiadi di Londra porteranno la bandiera italiana, mentre altri, per questioni burocratiche, non saranno lì a rappresentare il paese in cui, di fatto, sono nati o cresciuti.

Gli italiani di origine straniera che parteciperanno alle Olimpiadi di Londra sono 21 fra i nati in Italia da genitori stranieri o nati all’estero, ma naturalizzati per matrimonio e per sport.

Gli italiani con genitori stranieri. Gloria Hooper (atletica), nata in Veneto da genitori del Ghana. Ivan Zaytsev, pallavolista, è nato a Spoleto e i suoi genitori sono Russi. Nathalie Moellhausen (scherma) è nata a Milano da un genitore tedesco e uno brasiliano.

Gli atleti naturalizzati. Sono dodici. Dragan Travica (pallavolo) Croato. Michail Lasko (pallavolo) Polacco. Noemi Batki (tuffi) Ungherese. Mihai Bobocica (tennis tavolo) Rumena. Deni Fiorentini (pallanuoto) Croato. Pietro Figlioni (pallanuoto) è di Rio de Janeiro. Claudia Wurzel (canottaggio) è tedesca, mentre la pallavolista Carolina Costagrande è Argentina. Jiri Kovar (pallavolo) è originario della Repubblica Ceca. Edwige Gwend (judo), è nata a Edea in Camerun. Andrea Stefanescu è nata Romania e Anzhalica Savrayuk, in Ucraina.

Gli “italiani per matrimonio”. La canoista azzurra Josefa Idem, tedesca d’origine; Nadia Ejjafini (atletica), nata in Marocco; Libania Grenot (atletica) e Amau Rys Perez (pallanuoto) cubani. E’ cinese, Wenling Tan (tennis tavolo), mentre è Moldava la tiratrice con l’arco Natalia Valeeva.

Non saranno presenti alle olimpiadi per questioni burocratiche legate ai tempi delle leggi italiane sulla cittadinanza: Dariya Derkach, di origine Ucraina, campionessa di atletica, in Italia fin da bambina, ma che per motivi burocratici non è stata ammessa perché non ancora ufficialmente Italiana. Hakim Chebakia, pugile di origine marocchina, in Italia dall’età di sei anni, ha richiesto la cittadinanza quattro anni fa, ma non è arrivata in tempo per la partecipazione alle olimpiadi. Eusebio Haliti, nato in Albania, qui dall’età di 9 anni in Italia, campione di atletica potrà richiedere la cittadinanza Italiana solo da settembre 2012. Judy Ekeh, campionessa di atletica nata in Nigeria e che, nonostante i 15 in Italia, non è ancora cittadina italiana e per questo è stata esclusa dalle Olimpiadi.

Arriva, dunque, anche dallo sport, un segnale forte che invita le istituzioni a riconsiderare seriamente la legislazione sulla cittadinanza, proprio alla luce di quello che questi cittadini italiani di origine straniera, possono

Così ho risposto

Non so se arrivi dallo sport un qualche segnale forte di civiltà e dubito ci sia qualcuno che, se arriva, lo voglia raccogliere, almeno in relazione agli atleti italiani di origine straniera. Esiste infatti nell’ordinamento italiano una norma che nega (dal 2009) alle persone prive di permesso di soggiorno la possibilità di riconoscere i figli: presentandosi in comune a registrarne la nascita infatti si esporrebbero a misura di espulsione. Poco importa vi sia una circolare che permette di aggirare l’ostacolo: quel che conta in fatto di principio è che siamo, per legge, produttori di apolidi che, qualora avessero attitudini sportive, non  potrebbero gareggiare per nessuno stato.
E questo sarebbe l’aspetto meno drammatico conseguente questa condivisa scelta di inciviltà.
Mi occupo inutilmente da anni della questione e ho scoperto che molti cittadini italiani – anche con ruoli istituzionali – ignorano la differenza fra cittadinanza e registrazione anagrafica, da cui l’indifferenza al problema e l’impossibilità di legiferare per irresponsabile, colpevole ignoranza.
Chi volesse saperne di più può andare al mio blog www.diariealtro.it e evidenziando i tag anagrafe, nascita, bambini potrà trovare molte informazioni che sono disposta anche a girare, se richiesta, a chi fosse interessato al problema (augusta.depiero@tin.it)

Ricopio quanto avevo scritto il 29 0ttobre 2010.

Le mie opinioni sulle due signore di cui avevo scritto due anni fa, una delle quali è anche oggi presente a Londra, non differiscono per nulla da quelle di allora e ci tengo a dire che simili personaggi non mi rappresentano vincano, perdano o facciano quel che accidenti gli pare.

Consenso e svendita dei figli.
Alla televisione capita spesso di vedere corpi di bambini usati per pubblicità: non è un bello spettacolo e forse nemmeno decente, ma, a mio parere, esistono casi intollerabili per le contraddizioni interne che presentano.
Ci sono due signore che praticano con successo internazionalmente riconosciuto lo sport loro congeniale che, attraverso ciò che propinano ai loro figli e figlie impietosamente esibiti in attività masticatorie, traggono un reddito aggiuntivo.
A me consta che quando si fanno campagne contro l’obesità infantile uno dei cibi indicati come pericolosi siano le merendine che le due sventate propinano alle loro redditizie creature.
E si tratta di signore che per la loro attività hanno cura del proprio corpo ben conservato e anche i loro figli non sono obesi.
Forse nella vita privata non faranno ingurgitare ai graziosi piccini ciò che danno loro davanti alla macchina da presa.
Come spiegheranno la contraddizione?
Diranno – o lasceranno intendere- che ci sono bambini di qualità, che devono avere rispetto per la loro salute e altri, di qualità inferiore, cui tanto non è dovuto?
Di qui all’accettazione dei bambini di razza il passo non è poi così lungo.
A questo punto mi vengono in mente le critiche ai rom che mandano i loro figli a mendicare. Non so perché mi frullino per la testa queste strane idee.
Qualcuno me lo sa spiegare?

Indirizzo relativo alla citazione iniziale:
http://www.avoicomunicare.it/blogpost/futuro/nuovi-italiani-alle-olimpiadi-di-londra-chi-va-e-chi-no

29 Luglio 2012Permalink

27 luglio 2012 – Il cammino di Santiago 11

Una digressione. Ancora eretici e streghe

Purtroppo non mi riesce di proseguire trascurando alcune considerazioni sui condannati e assolti (dall’accusa d’eresia e poi?) a Logroño.
Il prof Cardini ha considerato i 12 ammazzati perché riconosciuti eretici, in rapporto ai molti (circa 1800) non riconosciuti tali. Ha inoltre dato significato a questo dato ricordando sia la caratteristica sociale dei fuggiaschi (soprattutto contadini in un’Europa in profonda crisi economica) sia gli atteggiamenti di ‘correttezza’ nell’istruttoria processuale da parte di inquisitori ‘illuminati’ appartenenti alla Suprema e non al tribunale locale.
Ha inoltre ricordato che la ‘leggenda nera’ riguardante l’inquisizione era senza dubbio sostenuta da una robusta propaganda antispagnola da parte degli inglesi concorrenti della Spagna nella conquista dei mari per assicurarsi il dominio coloniale.
Tutto vero ma dodici esecuzioni dovute a precipitazione nel concludere il processo (influenza del fanatismo?) non sono una bazzecola. Anche nel XVII sec. una vita umana è una vita umana e non c’è contestualizzazione che tenga.
Inoltre la mia abitudine a considerare anche le condizioni materiali mi ha costretta a pormi una serie di domande, di cui ho scritto nella puntata precedente e da cui non mi libero.
Così sono andata a rivedere un vecchio testo di Prosperi, autore citato con stima anche da Cardini. Si tratta di Adriano Prosperi Tribunale della coscienza 1996 Giulio Einaudi editore

Mi limito a copiarne alcuni passaggi. Perché trovare parole mie quando posso usare quelle di Prosperi?:

Pag. 140 Il papa Carafa (Paolo IV) decretò l’assoluta preminenza del Sant’Uffizio su ogni altra magistratura romana (1 ottobre 1555) … conferì al Sant’Uffizio ampia facoltà di ricorso alla tortura esentandone i membri dal rischio di irregolarità canonica conseguente al sangue versato (29 aprile 1557)

Pag. 155 Il termine ‘umanità’ si trova molto spesse nelle descrizioni che il Sant’Uffizio dava delle proprie procedure , in contrapposizione a quelle degli altri. Non si può ignorare tuttavia (pag.156) quanto questo tipo di rappresentazioni fosse destinato intenzionalmente alla propaganda.

Ecclesia abhorret a sanguine

Continua la citazione di Prosperi.
Pag 156 Il fondamento antico di quella propaganda risiedeva nell’opposizione originaria tra sacerdozio cristiano e violenza: riti di una religione nuova aliena dai sacrifici cruenti, quelli cristiani si fondavano su di un corpo ecclesiastico che non poteva macchiarsi le mani del sangue delle vittime. Ci volle, come si è visto, una misura speciale di Paolo IV per cancellare l’irregolarità prevista dai canoni per quegli inquisitori che, durante la tortura dei rei, si trovavano materialmente contaminati dal sangue.  Un altro problema dello stesso genere si creava tuttavia in occasione della consegna al braccio secolare.
<…> la sanzione più dura che il tribunale dell’Inquisizione poteva irrogare era la scomunica, Quando si trattava di mandare a morte i condannati, si era trovato l’escamotage di una formula di consegna in cui non solo non si parlava di morte fisica (ma solo di scomunica) ma per di più i giudici ecclesiastici pregavano l’autorità secolare ci moderare la punizione fisica e di astenersi dal versare il sangue.ma al di là degli schemi formali – e che si trattasse di un puro formalismo lo riconoscevano anche gli esperti di procedura inquisitoriale, come Francisco Peña – la realtà era ben diversa….

E dopo le citazioni ci sono anch’io

Quindi l’umanità del Sant’Uffizio sembra più orientata alla tutela dell’inquisitore prete (assicurato dal rischio di una irrituale contaminazione da sangue) che alla protezione della dignità della persona umana, assicurata – anche se Cesare Beccaria non era ancora entrato in gioco – dall’opera di un Dio resosi fratello nella storia umana.
Tralascio alcune mie considerazioni sull’ateismo pontificio e mi limito a ricordare che lo stesso Cardini ha segnalato l’uso della mazza d’armi  da parte di Giulio II, papa guerriero, che rifiutava la spada. Evidentemente un’arma da taglio richiama il sangue contaminatore più di uno strumento che si limita a spaccare il cranio.
Ma i papi della controriforma erano così concentrati sul loro obiettivo antiprotestante da non tener conto neppure della Bibbia?
Forse se l’avessero considerata il loro orrore per la contaminazione da sangue avrebbe subito uno scossone significativo o forse no:
20 Ed ecco una donna, che soffriva d`emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. 21 Pensava infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. 22 Gesù, voltatosi, la vide e disse: “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita”. E in quell`istante la donna guarì”  (Matteo, 9)

Continua – precedenti puntate 18, 21, 23, 29, 30 giugno e 4, 10, 11, 17, 22 luglio

27 Luglio 2012Permalink