30 maggio 2012 – Da cingali a medam

Riprendo un articolo da Ho un sogno di maggio, come faccio ogni mese.
Da più di un anno Ho un sogno si occupa di storie di immigrati per scoprire le analogie che legano queste vicende a quelle degli emigranti. Lo scorso mese ce ne ha parlato lo scrittore Max Mauro, ora una voce di donna ci ricorda quanto la discriminazione sia crudele e mutevole.

SENZA COLPE, NE’ MERITI. Da cincali a medam.

Emigrata in Svizzera giovanissima ho scoperto di essere una “cincali”.
Così venivano chiamati gli emigranti italiani, una strana parola che, secondo alcuni sarebbe derivata dal suono “cinq”, ripetuto nel gioco della morra, secondo altri da “zingari”.
Comunque era un termine spregiativo, la sintesi di tutti gli stereotipi presenti nell’immaginario che ha accompagnato le nostre storie di emigrazione.
”Cincali” significava strimpellatori di mandolino, divoratori di pane e pomodoro, individui ignoranti che non amavano acqua e sapone e molto altro ancora. Persone di pelo e pelle scuri, pertanto di dubbia origine e natura. Ai “cincali” venivano riservati i lavori rifiutati dagli svizzeri, l’unica ragione che rendeva tollerabile la loro presenza. Bastava quella parola a creare una netta distinzione fra “noi” e “loro”. Era un ostacolo insuperabile al desiderio di vivere in armonia. In quanto a me, il solo fatto di essere italiana non mi consentiva vie di scampo, né io, del resto, avrei voluto rinunciare alla mia “italianità” per compiacere una falsa opinione. Mi rammaricavo, questo sì, di non poter frequentare giovani. Fra i miei coetanei svizzeri non c’era posto per noi “cincali”; anche i sogni erano diversi! E costretta in un mondo di soli adulti ho perso una piccola parte della mia giovinezza.
In breve tempo la vita mi ha portato all’altro capo del mondo, precipitandomi in una situazione completamente diversa. A Città del Capo, una città bellissima situata nella punta estrema dell’Africa e affacciata sullo stesso oceano che allora imprigionava Mandela, vigeva il regime di ”apartheid”.
La società era divisa in rigide classi sociali identificabili esclusivamente per il colore della pelle: nell’ordine: bianchi, gialli, meticci, colorati del Capo e nativi.
Una comunità minoritaria di individui dalla pelle bianca costringeva connazionali e immigrati di colore ad abbandonare la loro identità dotandosi di un nome facilmente pronunciabile dai bianchi e non permetteva loro di rivolgersi a me, giovane donna bianca, chiamandomi per nome.
Io per loro ero “medam” oppure “madame”.
Di nuovo una parola diventava strumento per impormi un’identità non mia, introducendomi nello schema del distacco, dell’ubbidienza dovutami da altri costretti ad accettare una condizione di sudditanza..
Avevo lasciato la Svizzera da pochi mesi ed ero precipitata di nuovo nella gabbia del ‘noi’ e del ‘loro’, nella crudeltà di una distanza costruita fra me e le persone di colore per renderci nemici.
Vittima anch’io dello schema della differenza, sono rimasta me stessa convinta che, se le geometrie della vita segnano i nostri limiti, la stupidità di chi vuole imporre il pregiudizio che umilia non può che essere causa di immenso dolore.              
Mary Silva Remonato

 

30 Maggio 2012Permalink

29 maggio 2012 – Un’intrigante citazione e un profetico racconto di Italo Calvino

Il discepolo aveva peccato gravemente e pubblicamente. Il maestro non lo punì. Un altro discepolo protestò: non si può ignorare la colpa. Dio ci ha dato gli occhi! Il maestro replicò: si, ma anche le palpebre!

L’intrigante citazione che un’amica mi ha inviato è tratta da un articolo del card. Ravasi. Purtroppo sua eminenza non ha citato la fonte.
Quale che sia l’origine della fulminante storiella mi permetto una chiosa: adoperare le palpebre ragionevolmente è saggezza purché ci si ricordi che si possono sollevare e abbassare secondo opportunità. Solo il sonno e la morte le rendono immobili. 

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti          di Italo Calvino
C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.

Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita. 

Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo ( e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza ( così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta. 

Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere. Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri. 

Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche ( e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita. 

In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.

Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti. 

Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione ( non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile. 

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società , ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé ( almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità , di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.

Tratto da Romanzi e racconti – volume 3°, Racconti e apologhi sparsi, i Meridiani, Arnoldo Mondadori editore. Uscito su la Repubblica, 15 marzo 1980, col titolo “Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti”.

29 Maggio 2012Permalink

24 maggio 2012 – ALBA 5 (e forse conclusione di questo tentativo di dialogo)

Il 10 maggio avevo trascritto un passo del documento fondativo di A.L.B.A. che ora riprendo. Diceva; “Un soggetto politico nuovo dovrebbe impegnarsi su tanti terreni, sia dentro le istituzioni che fuori, cercando sempre di coniugare fra di loro livelli diversi della democrazia: quella rappresentativa, quella partecipativa e quella di prossimità. In prima istanza esso dovrebbe interagire con le forze e movimenti della società civile”:
Allora, ragionandoci su,  mi ero soffermata sul alcuni aspetti dell’istituzione comune che solleticano in particolare la mia riflessione, e avevo tralasciato, non per trascuratezza ma pensando a un altro scritto, una riflessione sui soggetti della società civile prossimi alle istituzioni.
Il richiamo fatto non solo a me dall’amico che, proponendo il documento di ALBA (poi commentato – 14 maggio, Alba 4), aveva scritto ‘parliamone’, mi era sembrato esemplare.
Infatti l’interlocutore primo e il minuscolo gruppo di interpellati non erano in grado di parlarne tutti assieme a voce perché vivono in località distanti fra loro, esiste – e tutti i componenti di quel piccolo gruppo ne dispongono – la possibilità di scrivere a tutti e per tutti di leggere senza rincorrerci con spedizioni di lettere da singola persona a singola persona mentre gli impegni di ognuno sconsigliano una comunicazione verbale collettiva (pur possibile: skype?).
Così mi era sembrato che uno spazio potenzialmente comune di scrittura e lettura fosse un’opportunità che luoghi un tempo deputati all’incontro non offrono più e men che meno in situazioni di distanza, qualora non si voglia ricorrere ai volatili percorsi a battute di facebook.
Non è andata così e qui mi limito a sottolineare una discrasia fra i mezzi che ci sono offerti per realizzare una comunicazione come quella che sopra ho descritto e i nostri desideri (che so sinceri).
Peccato. Avevo tentato e registro un mio ulteriore fallimento: sono fuggita –per senso di impotente decenza- dalle realtà politiche e associative degradate (i grillici vincenti, che reputo espressione di una cultura diffusa, ne sono un esempio che mi esime da qualsiasi altro commento).
Però a me resta il bisogno della comunicazione e non vorrei che questo blog diventasse la connessione di un corto circuito per cui parlo con me stessa. Meglio che niente perché almeno, trasferendo i miei pensieri in parola scritta, mi consento il farmaco del pensare ordinato.

L’immagine come risposta
Un amico del nostro informale gruppetto per la verità mi ha risposto, inviandomi immagini di sua creazione di cui lo ringrazio (una ne ho pubblicata in Alba 3 l’11 maggio) ma poiché le accompagna solo occasionalmente con scritti esplicativi – che pur estremamente sintetici – possono suggerire una potenziale connessione con i temi di ALBA in possibile dialogo, mi crea la difficoltà di sovrapporre impropriamente il mio pensiero al suo, si cui non ho sufficiente conoscenza per farmene interprete.
Di una in particolare mi spiace rinunciare alla pubblicazione ma purtroppo, quando ho espresso le mie perplessità sul titolo che a quell’immagine l’autore aveva attribuito, non ne ho avuto un titolo alternativo e perciò, per non prevaricare, rinuncio: il mio blog non è una galleria d’arte ma un tentativo di comunicazione.
Ne pubblico invece una, che ritengo perfettamente congrua alla ricerca di un’alternativa ai modi del vivere proposti o imposti che siano a tutti noi, e che si arricchisce del commento dell’autore. Aggiungo anche il testo inserito perché non vorrei che i caratteri minuscoli ne impedissero la lettura:  
   
“mòderati dicono in moderàti
la moderazione è il loro dogma
la loro imposizione.

a viva voce e in pienezza di cuore
mai moderato fu inchiodato in croce.

Penso che Alba 5 sarà la conclusione della serie.

(Se continua 5, ma probabile fine– precedenti puntate 5, 10, 11, 14 maggio)

25 Maggio 2012Permalink

22 maggio 2012 – Da Stalingrado a Berlino

Quando scrivo di Grillo preferisco assicurarmi le opportune citazioni che, in questo caso, potete verificare integralmente da qui. La fonte è Il sole 24 ore:.
“ROMA …. Beppe Grillo usa twitter e Skype per far sapere ai suoi sostenitori e agli italiani che dopo la conquista di «Stalingrado», ovvero di Parma, «siamo sulla strada di Berlino», di Roma, l’ingresso in Parlamento alle prossime politiche. È quello l’obiettivo e non lo nasconde”.
Da Stalingrado a Berlino, il percorso  di Grillo si snoda lungo una strada molto trafficata e praticata che, purtroppo, è impossibile evitare. Infatti a me riesce difficile capire come un essere umano che non può ignorare la storia europea essendo sufficientemente alfabetizzato, possa riconoscersi prima nei miasmi di un luogo vittima di un assedio (morti insepolti, feriti terribilmente sofferenti per cui mancava tutto a partire da ogni anestetico, fame … tutti gli elementi di una disperazione uguale per assediati e assedianti) per trasferirsi nel bunker delle orge e dei riti di morte che caratterizzarono le ultime ore di Hitler e seguaci.
E a Berlino con chi si identifica? Con i reclusi o con l’armata rossa liberatrice?
Ieri sera ho visto la faccia pulita del nuovo sindaco di Parma a 5 stelle. Forse per ingenuità, forse per ignoranza, ha detto una cosa terribile, pur distinguendosi dal capo. Grillo sarebbe colui che ara e i suoi seguaci quelli che seminano: ma è possibile seminare in un terreno più avvelenato che inquinato?

Barchette di carta
Mentre  guardavo la trasmissione condotta da Lilli Gruber, dove appunto ho ascoltato il neosindaco Pizzarotti che poi ho rivisto e risentito  a L’infedele, prendevo nota della inopportuna gestualità della Bindi. Gentile onorevole a me non importa nulla dei sui irritati sentimenti di fronte alla vittoria 5 stelle a Parma, di cui non gioisco, tutt’altro. Mi irrita l’ostentazione della sua irritazione e mi irrita ancor più il cantar vittoria del segretario del Pd, Bersani.
I vincenti Pd (non per proprio merito ma perché sopravvissuti al crollo altrui) mi sembrano barchette di carta robusta, ma pur sempre carta, che un gruppo di bambini abbia costruito per giocare e poi sia passato, annoiato, a nuovo gioco più attraente. Erano barchette di carta robusta che ancora per un po’ resiste, ma poi inevitabilmente si scioglierà.
Robusta però non era la carta della barchetta Gorizia, un significativo capoluogo di provincia del Friuli Venezia Giulia, dove il già sindaco Pdl, appoggiato da tutto il centro destra, ha vinto al primo turno.
In realtà non poteva essere che così in una regione in cui il Pd è impegnato in giochi esclusivi al proprio interno per stabilire quale debba essere il candidato per le regionali del 2013. A me la situazione sembra molto buffa: questi signori si comportano come se votassero solo loro e non avessero anche bisogno dei voti se non di estimatori (mi guardo in giro e trovo la parola un po’ forte) almeno di persone rassegnate a quello che ancora ritiene il meno peggio.
Anche la sinistra che non è Pd non ha tempo di collegarsi a un elettorato potenziale (o almeno a chi vorrebbe capire se costoro hanno progetti, proposte .. se sono in grado di pronunciare una parola che richiami un pur minimale linguaggio politico) perché sembra occupata esclusivamente a urlare quanto sono inetti, incapaci, cattivi sia il governo regionale (operazione di una assoluta ovvietà sia per la maggioranza che, ecumenicamente, per l’opposizione) che quello nazionale (che forse richiederebbe un minimo di maggior articolata attenzione).
Purtroppo i loro incontri si svolgono anche in luoghi nati come riferimento della società civile che ormai si mettono a disposizione di costoro in forma un po’ impudica tanto assomiglia a una scelta di campo.
Sarà un caso che mentre si maturavano le decisioni di voto degli elettori in parlamento si discuteva di cani, gatti e forse canarini? (si veda il mio scritto del 18 maggio, raggiungibile anche da qui).

22 Maggio 2012Permalink

19 maggio 2012 – Brindisi e Grillo

Brindisi, tre bombe davanti a una scuola  muore una ragazza, altri cinque studenti feriti
Alle 7.50 di stamattina una devastante esplosione fuori dall’Istituto professionale Morvillo Falcone.

Mi limito al titolo di un quotidiano e al collegamento con l’articolo che si può raggiungere da qui.
Ora bisognerebbe interrogarci su ciò che nella nostra società può difenderci dalla violenza che arriva alle bombe. Ma quello è il punto d’arrivo.
E’ necessario ragionare anche su quello di partenza, anzi su quelli di partenza.

Qualche giorno fa ero rimasta stordita da una dichiarazione di Grillo (personaggio di spettacolo, autopromosso in politica con buon successo).
Ne trascrivo il testo come proposto dall’ANSA: non voglio sentirmi dire che non è vero.
PARMA, 13 MAG – ”Parma è la nostra piccola Stalingrado. Se in questa città diventerà portavoce sindaco una persona per bene, un cittadino disinteressato che da bambino sognava di cambiare in meglio il mondo come Federico Pizzarotti, allora tutto e’ possibile in questo disgraziato Paese. La democrazia diretta potrà affermarsi in ogni Comune italiano e nelle Istituzioni. Parma Caput Mundi”. Lo scrive nel suo blog Beppe Grillo, ad una settimana dal ballottaggio tra il candidato M5S e quello del centrosinistra Vincenzo Bernazzoli. (ANSA).

Come può una persona che voglia dirsi minimamente civile paragonare una situazione – in cui ha avuto un indubbio successo di cui gioisce- all’assedio di Stalingrado? E’ in grado di rendersi conto di ciò che dice? Si identifica con gli assediati o con gli assedianti?  Ha mai letto almeno qualcuna della Ultime lettere da Stalingrado, lettere dei militari tedeschi che sapevano di non poter tornare mai e che Hitler fece sequestrare per misurare il morale delle truppe combattenti?

 Mi è tornata in mente una delle prime, oscene imprese di Bossi e camerati quando (1995) impostarono la prima campagna di massa anti rom. Si basava su un falso di cui avevo raccolto prove e modalità e ricordo ancora il gelo di tutti coloro (politici, sindaci, società civile, chiesa cattolica …) cui mi rivolsi. La Lega, si ponesse contro questo o contro quello, faceva comodo. E mentre tutti tacevano Bossi raccoglieva il peggio degli italiani. Rinviandolo con la legittimazione acquiescente del razzismo.
Ora molti si stracciano le vesti per i furti di Lega e famiglia il cui ammontare si gonfia di giorno in giorno. Si gonfierà ancora ma la Lega (con i suoi complici già al governo e non solo) ci ha rubato molto più del denaro.

Quali altri danni farà (e ha già fatto) Grillo?

20 maggio
E’ difficile uscire dallo sgomento e dal dolore generato da quanto è accaduto a Brindisi.
Tre sole note a mia futura memoria:
– ieri sera ho seguito una lunga trasmissione de La7. Noto solo il contegno scandaloso del già ministro Ferrero che ha – a mio parere cinicamente – approfittato della situazione riportando la difficoltà in cui viviamo e gli avvenimenti di Brindisi a un rapporto di causa-effetto e adoperando il dolore per un’attività di bassa propaganda;
– molte le opportune e utili ricostruzioni storiche, giustamente iniziate da qualcuno ricordando Portella della Ginestra. Nessun ricordo però (o almeno io non ne ho sentiti) della recente strage di senegalesi a Firenze provocata da un militante di casa Pound;
– interessante l’analisi in termini di terrorismo proposta dal procuratore Grasso: da oggi chiunque avrà paura a mandare i propri figli a scuola (e l’effetto paura è l’obiettivo di ogni terrorismo). Aggiungo io: anche di quello che non si serve di armi.

 

19 Maggio 2012Permalink

18 maggio 2012 – Ma non si rendono conto di esagerare?

Avevo trovato un bel documento che mi sembrava giusto far conoscere e lo pubblicherò, ma non ora, perché c’è una notizia che per me diventa un segnale di degrado insopportabile. Insopportabile nella società politica e civile (o meglio impolitica e incivile).
Ho sentito che la camera dei deputati o il senato (non ricordo chi, ma è irrilevante) oggi ha trascorso tre ore a esternare scandalizzati sentimenti (o moderati sentimenti … guai a dimenticare il grigiore moderato!) in merito alla supposta imposizione di una tassa sugli animali domestici.
Preciso subito che non ho nulla contro gli animali domestici, ritengo che verso di loro sia doveroso un atteggiamento di rispetto come verso ogni vivente, che la prospettiva antropocentrica che caratterizza molta della nostra cultura sia da ridiscutere senza moderazioni e senza fanatismi. Ritengo molto positivo che ci siano persone che nella compagnia con un animale possano trovare gioia o almeno conforto nella solitudine che non hanno saputo superare altrimenti.
Poi mi chiedo il perché di tanta agitazione, parlamentare o senatoriale che sia, finita con la dichiarazione del sottosegretario che aveva dichiarato la possibilità della tassa, dichiarazione definita poi (opportunisticamente, penso) una battuta.
E qui mi spavento.
Una classe politica attenta solo alla quantità del consenso che riesce a suscitare, imbottita dai sondaggi su ogni cosa (mi chiedo cosa farebbero se un sondaggio dimostrasse che la maggioranza degli italiani ama smodatamente le pantegane o le zanzare. Proporrebbero l’eliminazione delle trappole e dei prodotti che tutelano il nostro sonno?), oggi agitata (ma non credo per il rischio di abbandono di qualche animale o di sofferenza di chi al gatto o cane domestico si accompagna ma non potrebbe sostenere la relativa tassa) non ha mai voluto dir nulla sulla questione della registrazione anagrafica dei figli di sans papier.
Me ne occupo e ne scrivo da tre anni, ma ci torno sopra.
Che un padre non possa dire, con onore e con gioia, ‘questo è mio figlio’,  se non affrontando il rischio di espulsione, non ha emozionato nessuno, impolitico o incivile che sia.
A mio parere che a un neonato possa essere negata la registrazione per ragioni di appartenenza etnica è razzismo.
Concludo: le emozioni umanitarie degli italiani si fermano ai quadrupedi, quando arrivano ai bipedi distinguono a norma di razza.
E i parlamentari lo sanno e si allineano, infischiandosi – tutti insieme – della Costituzione.
Posso dirmi disgustata e sgomenta insieme?

18 Maggio 2012Permalink

16 maggio 2012 – spese militari

Anche se ho creato una pagina per le segnalazioni desidero che questo messaggio (alla cui proposta ho aderito) compaia nel blog.
Potete raggiungere il sito governativo, oltre che dal corpo del messaggio che di seguito ricopio, anche da qui.

Segnala gli sprechi
Il Governo ci chiede di segnalare gli sprechi di denaro pubblico
Fallo anche tu!
Digli di  tagliare le spese militari,
cancellare gli F-35
e i privilegi di cui godono gli alti gradi delle forze armate

Nonostante siano passati vent’anni dalla fine della guerra fredda l’Italia continua a sprecare ogni anno migliaia di milioni di euro per mantenere in piedi un apparato militare mastodontico, inutile e inutilizzabile, che nulla ha a che fare con il bisogno di sicurezza degli italiani.

Questo è il più grande spreco di risorse pubbliche che il nostro Paese deve cancellare!

Le risorse risparmiate devono essere impiegate per dare un lavoro a chi non ce l’ha o lo sta perdendo, per chi è in difficoltà e sta pagando il prezzo più alto della crisi, per estirpare la povertà e riaprire un futuro nuovo per il nostro Paese.
Per dire al Governo di cancellare questo spreco clicca qui
http://www.governo.it/scrivia/RedWeb_Form.htm

Inondiamo il sito del Governo con questa denuncia!

Inoltra questo messaggio a tutti i tuoi amici e conoscenti
Passaparola!

Flavio Lotti  Coordinatore Nazionale della Tavola della Pace

16 Maggio 2012Permalink

14 maggio 2012 – ALBA 4

Ricopio di seguito la nota arrivata dall’amico che mi aveva segnalato il documento di A.L.B.A. e che ringrazio per aver fatto riferimento nel testo ai miei precipitosi scritti che nascevano dal suo invito ‘parliamone’ e dalla mia voglia di ragionare.
Anche se ha la forma di lettera, perché è stata inviata all’esiguo numero di ipotetici corrispondenti che Fabio Persig aveva inizialmente identificato, è giusto che io la trasferisca nel blog e non gli chieda di inserirla nei commenti perché costituisce l’occasione e il punto di partenza di questo tentativo di dialogo aperto a chi voglia intervenire.
Le pagine dei commenti a ciò che Fabio scrive, a ciò che scrivo io, ai disegni di Ugo Pierri sono a disposizione di chi voglia intervenire.
 
Dati i continui rimandi al documento originale torno a stabilire qui il link per comodità di chi legge

Carissimi,

vi invio queste mie riflessioni sul “Manifesto per un nuovo soggetto politico” che nel frattempo ha ricevuto il nome di A.L.B.A. (acronimo di Alleanza, Lavoro, Beni comuni, Ambiente) e che dal nome fa presagire la fine della notte, lunga notte che ha avvolto e avvolge le coscienze degli uomini e delle donne di questo Paese, tranne poche sentinelle che attendono il far del giorno, l’alba appunto.

            Mi scuso per il ritardo con cui invio queste righe che ho scritto già da un decina di giorni e che vogliono essere un contributo alla discussione che tra noi ho cercato di provocare, ma questo è un momento molto ingolfato nella mia vita come ben sap “”ete. Per prima cosa voglio ringraziare Augusta per la sua partecipazione, attenzione e disponibilità a fare del so Blog il luogo d’incontro (come sempre la civiltà della “vecchia” scuola è classe!).

            Nel redigere queste mie riflessioni mi sono attenuto strettamente al “Manifesto” citato -http://www.soggettopoliticonuovo.it/- per essere il più aderente possibile al tema. I punti si riferiscono al capitolato.

 

  1. Premessa “Non c’è più tempo” §2

Per “riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte…” è necessario stabilire a quale livello si vuole agire: a) culturale, diffuso intervento sulla società, b) istituzionale, intervento sul corpo legislativo e quindi parlamentare. Nel primo caso, che è imprescindibile per realizzare il secondo, è necessaria una trasversalità movimentistica che attraversi tutte, o quasi, le formazioni politiche esistenti ed operi delle chiare esclusioni (mafie, massoneria, clientele…). Impresa di attuazione lenta e che richiede una enucleazione chiara e serrata in pochi punti degli obiettivi da raggiungere.

Nel secondo caso, che comunque presuppone il primo o almeno un suo avviamento, è necessaria una maggioranza rappresentativa che è appena l’obiettivo da raggiungere per il nuovo soggetto politico.

E’, secondo me, necessario chiarire a quale livello si vuol operare, con quali fini, con quali strumenti, con quali strategie, con quale linguaggio.

Bene la “poesia pubblica”!

2.                                                                                                                                 A.
“Diffondere il potere, non concentrarlo” §1

Il principio di sussidiarietà è fondamentale ma non deve sovvertire quello di gradualità che al suo livello più alto deve fissare delle norme generali (leggi quadro, principi di diritto …), senza le quali  inevitabilmente si scivola nel localismo (quanto afferma Augusta è assolutamente rilevante). Non dobbiamo sottovalutare il fatto che oggi e nel nostro Paese -ma non solo- la dimensione territoriale locale è conflittuale ed insofferente verso ogni coazione generale e non per nobili principi, anzi per una subcultura politica e sociale.
Si dovrebbe, innanzitutto, rivedere la mappatura dei Comuni, perché unità troppo esigue non sono capaci di politiche sociali efficaci e unità troppo estese (aree metropolitane) risultano inefficienti e con competenze egemoniche sul territorio che spesso confliggono con istituzioni inferiori e superiori. Non va dimenticata poi l’esperienza utopistica della “rete dei Comuni”, proposta negli anni ’90 dal “Movimento per la Democrazia -La Rete”, che incontrò una sconfitta politica e determinò la dispersione del suo patrimonio culturale innovativo.
3.   A. §2
Il Comune e le Istituzioni successive dovrebbero informarsi ad un sistema sociale e rappresentativo “aperto” (v. Popper), operante con un atteggiamento critico e di controllo dei governanti. Tale sistema è probabilmente l’unico che riesca a garantirsi da una società “chiusa”, informata a comportamenti collettivistici tribali e retta da governanti, sicuramente eletti secondo la volontà generale, ma illiberali.
Inoltre non sempre le microstrutture sociali o corporative sono capaci di esercitare un indirizzo e un controllo per la prossimità, la similarità, la complementarietà degli interessi, quando non degli stessi componenti. Troppo spesso le microstrutture che formano la “società civile” si limitano ad ottenere privilegi, a difendere i propri interessi materiali ed economici o, semplicemente, a garantire la propria sussistenza.
Quindi, secondo me, è necessario sviluppare un sistema di interazione e partecipazione aperto e soggetto a controllo.

4.                                                                                                                        B.
“Il nuovo spazio pubblico della democrazia §1 
E’ fondamentale una nuova legge elettorale, sulla cui stesura si affanna l’ingegneria costituzionale e la cui materia é molto ardua e tecnica.
Comunque vedrei positivamente una democrazia rappresentativa che distingua nettamente il potere legislativo e di controllo da quello esecutivo a garanzia delle rispettive competenze e della loro efficienza. Tale distinzione potrebbe essere sancita da una doppia elezione, magari sincrona.
Il Governo potrebbe essere eletto con sistema maggioritario moderato a garanzia della sua efficienza.
Il Parlamento bicamerale dovrebbe invece “fotografare” la situazione reale del Paese e quindi rispettare il criterio proporzionale (con eventuali lievi correzioni), perché siano rappresentati e compiuti i bisogni, gli interessi e le volontà dei cittadini tutti.
Credo sia importante anche evitare un doppione delle Camere come avviene oggi; il secondo livello (Senato) potrebbe rappresentare una Camera delle Regioni con un’attenzione soprattutto all’ambiente, all’amministrazione, alla composizione sociale del territorio, alla cultura … 
Questa distinzione funzionale delle Camere consentirebbe al primo livello (Camera dei Deputati) una maggior efficienza nel deliberare su principi generali (Esteri, Sanità, Trasporti, Istruzione, Difesa …) e al secondo livello (Senato) un’attenzione maggiore al coordinamento del territorio non solo a livello nazionale-statuale ma anche al ruolo delle Regioni nell’ambito europeo e mediterraneo  (costituzione di “Euregio”, “Regioni Mediterranee”, riprendendo un filone politico che è stato  bruscamente interrotto negli anni ’90).
Il rapporto diretto tra i rappresentanti e la comunità, dovrebbe essere regolato da incontri periodici obbligatori per evitare che l’atto elettivo sia anche l’unico atto politico compiuto dai cittadini (ora, ahimè, anche coatto), ma divenga il fine di un percorso comune e continuo. A questo proposito molto bene i §§ finali!

5                                                                                                                      C.
“Forme e pratiche di una nuova aggregazione”  §6
Molto positivo il giudizio sull’antinomia Inclusione/Connessione!
6.    §7
E’ importante che le cosiddette selezioni “primarie” siano garantite da un sistema certo e definito che garantisca una consultazione elettorale vera e propria (liste degli elettori, verifica degli stessi, numero significativo, etc.).

7.                                                                                                                        D.
“Comportamenti e passioni”   §1
La “cultura della pace” non è e non può essere solo una passione e un comportamento individuale. Essa è il fondamento del vivere civile e del costituirsi della società e come tale necessita di un’elaborazione teorica, di Istituzioni, di comportamenti che travalicano di gran lunga il concetto di “assenza di guerra” e di automatica derivazione dal suo non esserci. La mancanza di un adeguato sistema culturale e scientifico in questa materia è stato uno degli obiettivi mancati dell’”Associazione per la Pace”, operante un decennio fa.
Il ruolo della pace entra a pieno diritto nelle finalità che Stefano Rodotà descrive nel suo articolo “Europa dei diritti” ( “la Repubblica” -Sabato 12 maggio 2012 , pag. 33) e comporta una serie obiettivi che il nuovo soggetto politico dovrebbe proporsi come fondanti (ruolo dell’ O.N.U., disimpegno dalla N.A.T.O., formazione di forze armate trasnazionali a livello almeno europeo, etc.).
Fabio Persig                                       (continua  4 – precedenti puntate 5, 10, 11 maggio)

14 Maggio 2012Permalink

13 maggio 2012 – Non solo ALBA

Per il piacere di contribuire (anche se probabilmente per un limitatissimo numero di persone) alla diffusione dell’informazione che procede con poco più che virtuali tam tam ricopio un documento che mi è stato inviato e su cui potrete avere maggiori informazioni andando al sito www.economiademocratica.it, dove troverete anche l’elenco completo dei proponenti e dei (finora) aderenti.  

I COMITATI DOSSETTI PER LA COSTITUZIONE … invitano i cittadini ad associarsi per un movimento di “ECONOMIA DEMOCRATICA”. 

Dopo un confuso periodo di turbolenza dominato dalla figura di Berlusconi, si è reso manifesto in Italia il vero problema che mette a repentaglio il futuro del Paese e la sicurezza dei cittadini: il sopravvento dell’economia sulla politica che rende tutti indifesi e prosciuga gli spazi della democrazia.

Questo processo che in forza della globalizzazione investe tutto il mondo, in Italia è già molto avanzato. Lo si vede dalla condizione cui è stato ridotto il lavoro, espropriato alle persone, negato ai giovani e non più messo a fondamento della Repubblica; lo si vede dal trasferimento della sovranità dal popolo ai Mercati; nella sottrazione allo Stato di ogni facoltà e strumento di intervento nella vita economica; nello svuotamento del principio di rappresentanza e delle vie per la partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale; nell’abbandono della concertazione con le parti sociali e nella rinunzia a promuovere la coesione sociale; nella crisi dello Stato di diritto per il venir meno di uno spazio pubblico capace di dettare le regole al sistema delle imprese e all’economia privata; nella pretesa oggettività e neutralità delle decisioni tecnocratiche; nello smarrimento e anzi nel rovesciamento degli ideali di solidarietà e giustizia che diedero luogo alla costruzione dell’Europa.

La causa di tutto ciò sta nella rottura del rapporto vitale tra economia e democrazia, sul quale si è costruita gran parte della storia moderna dell’Occidente. Questa storia è risultata infatti dall’incontro di due movimenti: un impetuoso sviluppo dell’economia, nelle sue diverse forme di economia capitalistica, socialista o keynesiana, e un impetuoso sviluppo della democrazia, sia nella sua dimensione procedurale che nei suoi contenuti sostanziali. Il momento di massima convergenza e unità tra lo sviluppo dell’economia e quello della democrazia si è avuto, dopo la vittoria sul nazifascismo e la tragedia della guerra, nel costituzionalismo interno e internazionale e, in Italia, nella Costituzione del 1948, che prescriveva di fare della comunità politica il regno dell’eguaglianza, della persona il tempio della libertà e dignità umana, e della Repubblica il potere legittimo avente il compito di rendere effettivi i diritti e di rimuovere gli ostacoli anche di ordine economico e sociale che ne impediscono di fatto l’esercizio.

Oggi questa integrazione tra economia e democrazia si è rotta, e nello stesso tempo e non per caso si è arrestato lo sviluppo sia dell’una sia dell’altra. L’economia non solo si è isolata e affrancata dalla regola democratica ma, a cominciare dall’ordinamento europeo, si è sovraimposta. alla società e alla politica.

È giunto in tal modo a un punto culminante un processo per cui a un capitalismo che pretendeva di farsi legge a se stesso e all’intera società, il legislatore, e perciò la politica, ha risposto attribuendogli ogni potere e permettendogli di stare “nell’ordinamento giuridico solo per servirsene, ma non per assoggettarvisi” come già denunciava nel 1951 Giuseppe Dossetti in un ben noto dibattito col prof. Carnelutti. È sulla scia di questo indirizzo che negli anni 70-80 del Novecento irruppero sulla scena le politiche reaganiane e tatcheriane, che presero poi piede anche all’Est dopo la rimozione del muro di Berlino e contagiarono le stesse sinistre dell’Ovest, dal Labour Party di Tony Blair ai partiti ex comunisti europei. Ne è derivata la rinunzia ad ogni controllo sui movimenti dei capitali, l’immunità fiscale per le grandi ricchezze, la riduzione dei diritti del lavoro e del lavoro stesso visti solo come costi e limiti alla competitività e ai profitti d’impresa, il primato attribuito ai mercati sopra e contro i compiti che la Costituzione attribuisce alla “Repubblica”.

Questa supremazia di un’economia fine a se stessa e ignara della democrazia rischia di essere la nuova condizione del mondo e anzi viene presentata come l’unica civiltà possibile, l’unico ordine conforme a natura a cui non sarebbe lecito resistere e la cui ideologia anzi bisognerebbe essere educati ad abbracciare e a professare come l’unica vera.

Per avere un luogo da cui fare la propria parte per rispondere a questa sfida, i Comitati Dossetti per la Costituzione, l’Associazione per la Democrazia Costituzionale, Altrapagina, l’Associazione Pace e Diritti e altri gruppi e associazioni che si stanno consultando, promuovono un’aggregazione di cittadini intesa a rivendicare il criterio della democrazia costituzionale come vaglio della legittimità delle diverse espressioni della vita economica e ad animare un movimento organizzato di “Economia democratica”.

Economia Democratica intende operare per far prevalere un’altra concezione e pratica dell’economia, in un indissolubile nesso con la democrazia; e ciò senza ignorare il conflitto, alieno tuttavia dalla violenza e ordinato alla giustizia e alla pace; senza nascondere, nella indistinzione di un generico economicismo, lo scarto tra ricchi e poveri, forti e deboli, liberi e oppressi; senza liquidare, come “novecentesca”, la lotta operaia, sapendo vedere le angosce e i volti degli esuberi e degli esclusi e restituendo alla politica il compito di difendere la parte debole nei rapporti economici assegnatole dall’art.3 cpv. della nostra Costituzione.

In questa direzione il movimento di “Economia democratica” cercherà di agire sia promuovendo una comunicazione di saperi, sia attraverso attività di ricerca, di formazione, di studio e di proposta anche legislativa, sia attraverso confronti e dialoghi con i partiti e le formazioni sociali, sia attraverso pubblicazioni, assemblee, web e lotte politiche e sociali, tanto nel raggio nazionale che in quello europeo. Si tratta di riprendere e sviluppare il processo costituzionale italiano, dando nuovo impulso a una produzione di ricchezza che una Costituzione stabile nei suoi fondamenti e dinamica nei suoi svolgimenti può regolare in forme sempre più avanzate, sulla base del primato dei diritti fondamentali dei cittadini rispetto ai poteri economici e finanziari dei mercati; occorre portare il complesso delle istituzioni, dei trattati e della legislazione europea alla coerenza con i principi e i diritti sanciti dalle Costituzioni nazionali dei Paesi membri e dalle Carte, dalle Convenzioni e dai grandi Patti internazionali sui diritti che si tratta oggi non soltanto di attuare ma anche di arricchire e di sviluppare.

La lotta per un’economia democratica non riguarda solo gli economisti né è ristretta alla sfera economica, ma coinvolge tutte le competenze e riguarda la figura stessa della società: allo stesso modo in cui, nella fase creativa della vita della Repubblica, la chiusura dei manicomi voluta da “Psichiatria democratica”, l’integrazione dei bambini disabili nelle scuole ottenuta da “Genitori democratici” e “Insegnanti democratici”, l’attuazione dei principi costituzionali nella giurisdizione perseguita da “Magistratura democratica” e simili, non riguardavano specialisti e interessi di settore, ma perseguivano beni e valori comuni e hanno cambiato la società tutta intera.

Le novità intervenute in Francia dimostrano che la politica può riprendere il suo altissimo ruolo, e che non sono un destino la povertà, la disoccupazione, la precarietà, la diseguaglianza, la perdita dei diritti e dei valori della vita pubblica.

Si può aderire a “Economia democratica” iscrivendosi alla “Associazione per un Movimento per un’economia democratica e costituzionale”, con sede in Roma, c/o Centro per la Riforma dello Stato, via Palermo 12, 00184; il recapito telefonico (c/o Focus-Diritti sociali) è 064464742, in funzione dalle 9 alle 19 dal lunedì al venerdì. Ci si può iscrivere versando una quota annua associativa di euro 50 o una quota di sostegno. Gli studenti, i disoccupati e i diversamente indigenti potranno versare una quota minore, o inviare una promessa di pagamento, non esigibile dall’Associazione. L’iscrizione al Movimento è compatibile con qualsiasi attività e l’appartenenza ad associazioni o partiti.

Quando il Movimento avrà raggiunto una prima soglia di 500 iscritti, sarà convocata la prima Assemblea di Economia Democratica, nella quale saranno discusse analisi e prospettive del movimento, sarà discusso e approvato lo Statuto, saranno eletti i destinati alle cariche sociali. Saranno anche costituiti un Comitato di studiosi comprendente economisti, giuristi e altri esperti, e un Comitato di collegamento per i rapporti e le iniziative comuni da promuovere con gruppi, associazioni, sindacati, partiti e simili. Potrà così partire, speriamo in breve tempo, la vera e propria attività culturale e politica del movimento.

11 maggio 2012

13 Maggio 2012Permalink

11 maggio 2012 – ALBA 3

 L’amico Ugo Pierri di Trieste mi ha inviato questo suo lavoro che considero un regalo e colloco nella serie di ALBA perché Ugo fa parte del gruppo di corrispondenti da cui è nata l’idea di questi commenti.
Mille e non più mille

  A me suggerisce una sintesi della storica connessione fra religione e potere (o che altro vogliono dire tonaca e tiara?) e denaro (il ghirigoro appeso al braccio del personaggio non richiama forse un dollaro?).
Se sapessi inserire musiche ci metterei (copyright permettendo) money, money cantato da Judy Garland.

11 Maggio 2012Permalink