6 aprile 2016 – QUESTE BAMBINE E QUESTI BAMBINI ESISTONO

Dal n. 243 di Ho un sogno

“Queste bambine e questi bambini esistono. Il Legislatore non può cancellarli, non può voltarsi dall’altra parte, ignorandone le esigenze di protezione”. Così più di 700 giuristi scrivevano al Senato, impegnato a discutere il disegno di legge  “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. Non  furono ascoltati. La norma ottenne una faticosa approvazione a patto che ne fosse stralciato proprio l’articolo che prevedeva la protezione dei minori. I giuristi firmatari (docenti universitari, magistrati, avvocati) affermavano che proprio per l’impegno “sui temi dei diritti fondamentali, del diritto di famiglia e dei minori, non possiamo non rilevare che l’adozione del figlio da parte del partner del genitore biologico (c. d. “adozione in casi particolari”), diretta a dare veste giuridica ad una situazione familiare già esistente di fatto, rappresenta la garanzia minima per i bambini che vivono oggi con genitori dello stesso sesso”. Non servì a nulla e non è una novità. Da anni Ho un Sogno si occupa del problema dei migranti non comunitari che, se privi del permesso di soggiorno, non possono assicurare il certificato di nascita ai loro figli che nascendo in Italia, diventano bambini invisibili. Dal 2009 (quando fu approvato il cd ‘pacchetto sicurezza’) il Parlamento italiano (che su questo problema sembra godere di un silente consenso sociale) ‘si volta dall’altra parte’. Forse il lungo allenamento gli è servito anche per non vedere i minori che necessitano della stepchild adoption. Continuerà a non vederli anche nel dibattito alla camera? E riuscirà a rigettare anche una piccola norma che – inserita nel progetto di legge “Disposizioni in materia di cittadinanza” (votato alla camera ma non ancora al rissoso senato) – se approvata consentirebbe ai piccoli invisibili di esistere? Sembra che i bambini siano diventati un’arma da usarsi senza scrupolo contro i loro genitori che si vogliano penalizzare, sia per status burocratico, sia per condizione personale. C’è di che preoccuparsi.

 

6 Aprile 2016Permalink

2 aprile 2016 – Tutto il male del mondo

per non chiudere gli occhiAttendendo il 5 aprile senza chiudere gli occhi, le orecchie e la bocca.
Contro le troppe ‘scimmie sagge’ ricordiamo la famiglia di Giulio Regeni.

Un comunicato dell’ANSA:

Regeni: la madre, sul viso di Giulio ho visto il male del mondo

Nelle parole del padre e della madre il percorso che ha portato Giulio in Egitto. Se il 5 aprile sarà una giornata vuota confidiamo in una risposta forte del nostro Governo. Manconi, richiamare ambasciatore per consultazioni

Non una lacrima, ma tanto dolore. Un “dolore necessario”, da affrontare “tutti insieme”. Paola Regeni ha lo sguardo fiero, una sciarpa gialla dello stesso colore dello striscione con cui chiede verità e giustizia, la forza di una madre che combatterà fino all’ultimo per avere quell’unica risposta che conta: perché Giulio è stato ridotto in quel modo. Accanto al marito Claudio, nella sala del Senato dedicata ai morti di Nassiriya, Paola affronta decine di giornalisti con la consapevolezza di chi sa che la morte del ricercatore è un fatto enorme che non ha cambiato soltanto la vita della sua famiglia. Ed infatti: “La morte di Giulio non è un caso isolato. Non è morbillo, non è varicella. La parte amica dell’Egitto ci ha detto che l’hanno torturato e ucciso come un egiziano. Forse non saranno piaciute le sue idee. E forse – scandisce Paola – era dai tempi del nazifascismo che un italiano non moriva dopo esser stato sottoposto alle torture. Ma Giulio non era in guerra, non era in montagna come i partigiani, che hanno tutto il mio rispetto. Era lì per fare ricerca. Eppure lo hanno torturato”. Per un attimo, prima di affrontare i media, i genitori di Giulio hanno pensato ad un gesto estremo per smuovere le acque, diffondere la foto di Giulio all’obitorio della Sapienza. Come fece già Patrizia Aldrovandi, come continua a fare Ilaria Cucchi. Poi alla fine ci hanno ripensato, anche se non è escluso che più avanti possano cambiare idea, soprattutto se dall’Egitto continueranno ad arrivare depistaggi. “Crediamo che le parole della madre siano più forti” ha detto il loro avvocato, Alessandra Ballerini. E allora eccole, quelle parole. “L’ultima foto che abbiamo di Giulio è del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno – dice Paola – , quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c’è un piatto di pesce e intorno gli amici, perché Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. E’ un’immagine felice”. Poi ce un’altra immagine. Quella che “con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella in cui era felice”, quella all’obitorio. “L’Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c’è un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato su di lui”. Nessuno parla, Paola prosegue nel silenzio. “All’obitorio, l’unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso”. La madre di Giulio non piange. Non ci riesce. “Io che piango sentendo le canzoni romantiche, i funerali e pure per i disegni dei bambini, finora ho pianto pochissimo. Per Giulio non riesco a piangere, ho un blocco totale e forse riuscirò a sbloccarmi solo quando riuscirò a capire cosa è successo a Giulio”. Le chiedono quale sia la cosa che le fa più male. “Pensare a quando lui avrà cercato in tutti i modi di far capire chi era, parlando in arabo, in inglese, in italiano, in spagnolo, in tedesco, magari anche nel dialetto del Cairo, e niente e successo. Poi mi capita di vedere i suoi occhi, quei suoi occhi felici, che dicono ‘ma cosa sta succedendo, non può accadere a me’. E ancora, lo immagino quando, alla fine, capisce che quella porta non si aprirà più, perché lui aveva tutte le chiavi cognitive, linguistiche, e storiche per capire cosa stava accadendo”. In questi due mesi, dice ancora Paola, ci sono stati “momenti di rabbia”, ma soprattutto “di gran dispiacere”: per non avere più Giulio. Che è una cosa che “ha cambiato la vita a noi, ma anche a sua sorella. E a Fiumicello. E a molti altri. Una cosa così – conclude cercando gli sguardi di tutta la sala – cambia la vita a tutti, sapete

FONTE:
http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2016/03/29/regeni-parlano-i-genitori.-conferenza-stampa-al-senato-con-luigi-manconi_6b442870-6ad0-4a8d-b065-a573e5cc8e02.html

 

2 Aprile 2016Permalink

1 aprile 2016 Calendario di Aprile

1 aprile 1939   –  Inizio della dittatura franchista in Spagna
1 aprile 2015   –  Accordo Losanna su nucleare iraniano
2 aprile 2005   –  Morte di Giovanni Paolo II
2 aprile 2015   –  Strage al campus universitario di Garissa (Kenia)
4 aprile 1949   –  A Washington viene fondata la NATO
4 aprile 1968   –  Assassinio di Martin Luther King
5 aprile 1943   –  Arresto di Dietrich Bonhoeffer
6 aprile 1992   –  Inizio dell’assedio di Sarajevo
6 aprile 2009   –  Terremoto de L’Aquila
9 aprile 1945   –   Le SS impiccano Dietrich Bonhoeffer
11 aprile 1963 –  Giovanni XXIII promulga la Pacem in terris
11 aprile 1987  –  Muore Primo Levi
13 aprile 2016  –  Muore Pietro Pinna
14 aprile 2014 –  Rapimento di 200 studentesse nigeriane da parte di Boko Haram.
15 aprile 1912 –  Affonda il Titanic
16 aprile 1995 –  Pakistan: assassinio del sindacalista Iqbal Masih. Aveva 12 anni
17 aprile 1961  – Cuba. Fallisce lo sbarco di anticastristi nella Baia dei Porci
19 aprile 2003 –  Elezione di papa Benedetto XVI (Joseph Ratzinger)
20 aprile 570  –   Nascita del profeta Muhammad (che chiamiamo Maometto)
20 aprile 1946 –  Morte di Ernesto Buonaiuti
21 aprile 1967 –  Grecia – colpo di stato dei colonnelli
22 aprile 1616 –  Morte di Cervantes
22 aprile 2016  – Pesach (o Passover) cade quest’anno (5776 nel calendario ebraico) dal 22 al 30 aprile 2016
23 aprile 1564  –  Nascita di Shakespeare
24 aprile            – Commemorazione della morte e della deportazione degli Armeni
24 aprile 2013  –  Crollo fabbrica Rana Plaza Bangladesh
25 aprile  –           Festa della liberazione
25 aprile 1974. –  Portogallo: rivoluzione dei garofani
26 aprile 1986  –  Ucraina: scoppia il reattore nucleare di Chernobyl
27 aprile 1937 –   Morte di Antonio Gramsci
28 aprile 1969 –   Charles de Gaulle si dimette da presidente della Francia
28 aprile 2013  –  Governo Letta
28 aprile 2013  –  Attentato a palazzo Chigi
29 aprile 1944 – Rivolta del ghetto di Varsavia
30 aprile 1982 – Palermo Cosa Nostra uccide Pio La Torre

31 Marzo 2016Permalink

19 marzo 2016 – Una voce dalla Siria

Vescovo siro-cattolico: la dichiarazione Usa sul ‘genocidio’ dei cristiani in Medio Oriente è “un’operazione geopolitica strumentale” 

di Agenzia Fides 18/3/2016

Hassakè (Agenzia Fides) – Il percorso che ha portato l’Amministrazione Usa a riconoscere come “genocidio” le violenze perpetrate dallo Stato Islamico (Daesh) sui cristiani rappresenta “una operazione geopolitica” che “strumentalizza la categoria di genocidio per i propri interessi”. Così l’Arcivescovo siriano Jacques Behnan Hindo, alla guida dell’arcieparchia siro cattolica di Hassakè-Nisibi, commenta per l’Agenzia Fides le dichiarazioni rilasciate ieri dal Segretario di Stato Usa John Kerry in risposta alla mobilitazione di gruppi e istituzioni che da tempo sollecitavano la leadership politica statunitense a applicare la definizione di “genocidio” alle varie forme di brutalità e oppressione consumate dai militanti dell’autoproclamato Califfato Islamico sui cristiani e su altri gruppi minoritari.

“A mio giudizio” ha affermato ieri Kerry, assecondando le richieste poste da una vasta rete di organizzazioni e sigle, “Daesh è responsabile di genocidio contro gruppi nelle aree sotto il suo controllo, compresi yazidi, cristiani e musulmani sciiti. Daesh – ha aggiunto Kerry – è genocidario per auto-definizione, per ideologia e per i fatti, in ciò che esso dice, per ciò in cui crede e per ciò che opera”.

Secondo l’Arcivescovo Hindo, che svolge la sua opera pastorale in una delle aree più travagliate della Siria nord-orientale, “la proclamazione del genocidio viene compiuta puntando i riflettori sul Daesh e censurando tutte le complicità e i processi storico-politici che hanno portato alla creazione del mostro jihadista, a partire dalla guerra fatta in Afghanistan contro i sovietici attraverso il sostegno ai gruppi armati islamisti. Si vuole cancellare con un colpo di spugna tutti gli strani fattori che hanno portato all’emersione repentina e anomala di Daesh. Mentre solo fino a poco tempo fa, c’erano addirittura pressioni turche e saudite – fatte quindi da Paesi alleati degli Usa – affinchè i jihadisti di al-Nusra prendessero le distanze dalls rete di al Qaida, in modo da poter essere classificati e magari aiutati anche dall’Occidente come ‘ribelli moderati…’”

A giudizio dell’Arcivescovo siro-cattolico di Hassakè-Nisibi, la dichiarazione di “genocidio contro i cristiani” da parte dell’Amministrazione Usa rappresenta anche un tentativo di recuperare terreno, davanti all’accresciuto prestigio russo tra i popoli del Medio Oriente: “l’intervento russo in Siria” sottolinea l’Arcivescovo “ha fatto crescere l’autorevolezza di Mosca in un ampio settore dei popoli del Medio Oriente, non solo tra i cristiani. Circoli potenti negli Usa temono questo, e allora adesso giocano la carta della protezione dei cristiani. Sembra di essere tornati al XIX secolo, quando la protezione dei cristiani del Medio Oriente era anche strumento di operazioni geopolitiche per aumentare l’influenza nella regione”.

Secondo l’Arcivescovo, intervistato dall’Agenzia Fides, è fuorviante anche presentare i cristiani come vittime esclusive o prioritarie delle violenze del Daesh: “Quei pazzi” fa notare Mons. Hindo “uccidono sciiti, alawiti e anche tutti i sunniti che non si sottomettono a loro. Dei 200mila morti del conflitto siriano, i cristiani rappresentano una parte minima. E lo ripeto, in certi casi ai cristiani viene concesso di scappare o di pagare la tassa di sottomissione, mentre per i non cristiani c’è solo la morte”. (GV) (Agenzia Fides 18/3/2016).

Venerdì 18 Marzo,2016 Ore: 22:22

Fonte

http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/noguerra/NotizieCommenti_1458336218.htm 

http://www.fides.org/it/news/59677-ASIA_SIRIA_Vescovo_siro_cattolico_la_dichiarazione_Usa_sul_genocidio_dei_cristiani_in_Medio_Oriente_e_un_operazione_geopolitica_strumentale#.VuzgWeQUXv8

NOTA: L’arcieparchia di Hassaké-Nisibi dei Siri (in latino: Archieparchia  mappahassakèapihbxyp8rlaHassakensis et Nisibena Syrorum) è una sede della Chiesa cattolica sira immediatamente soggetta al patriarcato di Antiochia. Nel 2011 contava 35.000 battezzati. È attualmente retta dall’arcivescovo Jacques Behnan Hindo. L’arcieparchia ha sede nella città di Hassaké nel governatorato omonimo nell’est della Siria. Nisibis è una sede storica, oggi in Turchia, al confine con il governatorato.

L’Agenzia Fides è organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie dal 1927

19 Marzo 2016Permalink

18 marzo 2016 – Una lettera a Donald Trump

Mr. Trump,

Ce la metto tutta per non essere politico. Mi sono rifiutato di intervistare molti suoi colleghi candidati. Non volevo mettere a repentaglio la mia buona fede prendendo posizione in un confronto politico così controverso. Ho pensato: “Non è il momento giusto”. Ma mi rendo conto ora che non c’è un momento giusto per opporsi alla violenza e al pregiudizio. Il momento giusto è e sarà sempre ora. Perché insieme a milioni di americani, mi sono reso conto che opporsi a lei non è più una decisione politica ma morale.

“Opporsi a lei non è una scelta politica ma una scelta morale.
Lo scrive a Donald Trump Brandon Stanton, il creatore di una delle pagine Facebook più seguite e note negli Usa e nel mondo, “Humans of New York”: uno straordinario archivio di volti e storie della Grande Mela seguito da quasi venti milioni di persone. Stanton, come dichiara nel post, non si è mai schierato politicamente. Nei confronti del candidato repubblicano, tuttavia, ha sentito l’urgenza di esprimere parole accorate e fortissime che in pochi giorni hanno superato il milione di condivisioni.

Per lui opporsi e schierarsi apertamente “è una questione di morale”, che si rende necessaria per contrastare l’ascesa di Trump alla Casa Bianca: “Ti ho visto ritwittare immagini razziste. Ti ho visto con gioia incoraggiare la violenza, promettendo di pagare le spese legali di coloro i quali la commetteranno in vostro nome. Ti ho visto sostenere l’uso della tortura e l’uccisione delle famiglie dei terroristi. Ti ho visto raccontare allegramente storie di esecuzioni di musulmani. Ti ho visto paragonare i rifugiati a serpenti e sostenere che “l’Islam ci odia”.

Nella sua carriera di giornalista Stanton ha avuto modo di conoscere centinaia di rifugiati e musulmani, per questo si sente in dovere di prendere le loro difese. Ma lo fa anche per paura che quella persona, a suo parere in grado di promuovere solo odio e violenza per un personale tornaconto, possa diventare il suo presidente.

“Non sei un “unificatore”. Non sei “presidenziale”. Sei un uomo che sta incoraggiando pregiudizi e violenza all’unico scopo di aumentare il proprio personale potere. E anche se le tue parole cambieranno certamente nei prossimi mesi, rimarrai sempre ciò che sei”.

La leggerezza pensosa di Gramellini:  DENIS E LULA HOOP

A dispetto dei gufi, con baffetti e no, ormai Renzi si colloca molto più a sinistra della sinistra sudamericana. Infatti, mentre in Brasile la compagna Dilma Rousseff è arrivata a nominare Lula ministro pur di evitargli l’arresto, in Italia nessuno pensa ancora di offrire un posto di governo al Verdini condannato a due anni per corruzione. Ci si limita a tenerlo dentro la maggioranza: a portata di mano, pulita o sporca che sia.

Da una parte all’altra dell’oceano, il messaggio che la politica e i partiti cosiddetti progressisti mandano ai cittadini è: chi se ne infischia se un nostro sodale è nei guai con la giustizia, basta che ci sia utile o che lo si debba ricompensare per qualche servigio. La politica è un cinico gioco di potere da molto prima di «House of Cards» e anche di Machiavelli, che ne mise per iscritto la teoria. Rimane il problema di farla convivere con un simulacro di democrazia, che presuppone la partecipazione al gioco da parte dei cittadini.

I quali ogni tanto vorrebbero illudersi che la posta in palio siano gli slanci ideali e gli interessi concreti delle persone. Invece la politica si presenta al giudizio degli elettori nella sua nudità, intessuta di bramosie e convenienze completamente sganciate da qualsiasi obiettivo che non sia la conquista o la conservazione del potere.  . Esimi politologi ci spiegano con un sorriso di degnazione che non può essere che così. Allora la smettano di stupirsi se le urne si svuotano. E se il mantra degli astenuti non è più «non mi interessa», ma «mi disgusta».

Fonti nell’ordine

http://www.huffingtonpost.it/2016/03/18/lettera-brandon-stanton-donald-trump_n_9496338.html

http://www.lastampa.it/2016/03/18/cultura/opinioni/buongiorno/denis-e-lula-hoop-rNE7Aii3E47FHPj9dJcGTI/pagina.html

 

18 Marzo 2016Permalink

17 marzo 2016 Al consiglio europeo tramite Presidente Consiglio

Ricopio la lettera che ho trovato, inviata al Presidente del Consiglio e firmata dalle organizzazioni in calce

Roma, 15 marzo 2016

Al Presidente del Consiglio dei Ministri  Matteo Renzi

e p.c.

Al Ministro degli Interni  Angelino Alfano
Al Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni

Gentile Presidente,

in seguito al meeting europeo dello scorso 7 marzo con i rappresentanti del governo turco, e in vista del prossimo Consiglio dei Capi di Stato e di Governo del 17 e 18 marzo, le organizzazioni firmatarie esprimono profonda preoccupazione riguardo le politiche che l’Unione Europea sta mettendo in pratica per rispondere ai flussi di migranti e rifugiati diretti sul suo territorio.

E’ notizia degli ultimi giorni lo sbarramento della rotta balcanica, dopo settimane di chiusure intermittenti dei confini che hanno bloccato migliaia di uomini, donne e bambini in una terra di nessuno, privi di qualunque protezione. Ora in Grecia migliaia di persone sono accampate in condizioni insostenibili, in una situazione di tensione crescente.

E’ nel contesto di questa gravissima crisi umanitaria che si stanno sviluppando accordi tra Unione Europea e Turchia, che prevedono il respingimento in Turchia, sistematico e collettivo, dei migranti giunti sulle coste greche nel tentativo di raggiungere altri paesi europei.

Si consuma in questo modo una violazione senza precedenti del diritto europeo alla protezione internazionale e della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati. I principi fondanti l’Unione europea non permettono di stabilire respingimenti collettivi di tutti i migranti verso l’ultimo paese di transito, né tanto meno la possibilità di rinviare tutti i richiedenti asilo verso un paese terzo considerato sicuro. Al contrario, prevedono esplicitamente l’accesso alla procedura di protezione internazionale anche ai valichi di frontiera, nonché nella acque territoriali e delle zone di transito. Come e chi deciderà che le persone respinte sono migranti irregolari? Seguendo quali procedure e applicando quali garanzie, in una situazione al collasso come quella greca?

Inoltre, a quanto si apprende saranno respinti anche i cittadini siriani, che saranno oggetto di uno scambio con altri siriani provenienti da campi profughi in Turchia. Consideriamo assolutamente inaccettabile vincolare i programmi di reinsediamento, pur fondamentali, al respingimento di un pari numero di migranti, come se le persone fossero pacchi da spostare, prive di bisogni e di diritti. E ci domandiamo che fine abbia fatto il principio della ricollocazione, di fatto riservato a poche nazionalità, tra cui quella siriana. Una tale accordo sarebbe illegittimo e politicamente inaccettabile anche se stipulato con un paese sicuro e democratico. Tanto più appare inqualificabile l’idea che questo paese possa essere individuato nella Turchia, che non rispetta alcuna delle condizioni rigidamente sancite dalla Direttiva UE 32 del 2013 per definire sicuro un paese non europeo. La Turchia attraversa infatti una delle più gravi crisi democratiche della sua storia recente, testimoniata dall’atteggiamento repressivo verso gli organi di informazione e dalle indiscriminate operazioni militari condotte nel sud del paese. Ma soprattutto non riconosce ai profughi siriani la possibilità di accedere allo status di rifugiato e non garantisce il rispetto della Convenzione di Ginevra e del principio del non refoulement.

Le chiediamo pertanto con forza di continuare ad attivarsi in seno al Consiglio Europeo per scongiurare la finalizzazione dell’accordo con la Turchia così come prefigurato, e per garantire:

• – Che non vengano effettuati respingimenti collettivi verso i paesi di origine e di transito, in  applicazione del principio di non-refoulement;

• – Che sia garantito a tutti i migranti l’accesso a una piena e chiara informazione circa la possibilità di chiedere protezione internazionale e una effettiva possibilità di presentare domanda di protezione internazionale ai valichi di frontiera;

• – Che la disastrosa situazione umanitaria creatasi in Grecia e nei Balcani ottenga rapidamente una risposta, garantendo la protezione delle persone in viaggio e soprattutto dei più vulnerabili;

• – Che si riapra in seno all’Unione Europea la discussione volta all’apertura di canali legali, sia riservati ai richiedenti protezione internazionale che alla migrazione per lavoro, che rappresentano l’unica risposta possibile per evitare che le persone seguano rotte pericolose e illegali e per smantellare le reti di trafficanti.

L’Unione Europea sembra avviata lungo una strada estremamente pericolosa, dove la mancata tutela dei diritti umani e l’erosione dei principi democratici su cui era sorta dopo la seconda guerra mondiale rischiano di minacciare la sua stessa sopravvivenza.

Confidiamo che possa accogliere le nostre osservazioni e farsene portatore in seno al Consiglio.

Cordialmente

ACLI
ARCI
ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione
Caritas Italiana
Centro Astalli
CIR – Consiglio Italiano Rifugiati
MEDU – Medici per i diritti umani
Oxfam Italia
SenzaConfine

Fonte: http://www.mediciperidirittiumani.org/pdf/Lettera_Consiglio_UE.pdf

17 Marzo 2016Permalink

15 marzo 2016 – Lettera dall’Europa / El Paìs

Un articolo di  FERNANDO SAVATER che ci ricorda ciò che stiamo distruggendo

L’IDEALE di un’effettiva e piena cittadinanza europea è antico quasi quanto la stessa Ue, ma i suoi progressi non sono stati facili né rapidi. La sua prima formulazione – poco più di un abbozzo firmato da Leo Tindemans nel 1974 – fu accolta dai governi con scarso entusiasmo. Dieci anni dopo si formò in seno al Consiglio europeo un comitato denominato “Europa dei cittadini”, le cui proposte, che pure influirono positivamente sul progetto di Trattato dell’Ue redatto da Altiero Spinelli, furono recepite solo in minima parte nell’Atto Unico europeo. Si dovrà attendere altri quattro anni per vedere un progetto di cittadinanza europea articolato e motivato, presentato dalla delegazione spagnola al Consiglio europeo riunito a Roma, e inserito due anni dopo nel Trattato di Maastricht. L’ulteriore miglioramento e sviluppo di questo progetto non solo innovatore, ma con aspirazioni ragionevolmente rivoluzionarie, fu poi frenato dall’insuccesso del referendum sulla Costituzione europea, anche se nel Trattato di Lisbona si tentò, per quanto possibile, di salvarlo dal naufragio.

Non è difficile comprendere la reticenza dei governi nazionali, così come dei cittadini degli Stati membri, nei confronti di questa prospettiva post-nazionale. Già il filosofo George Santayana aveva scritto, in Dominations and Powers, che nelle grandi alleanze internazionali la parte più difficilmente assimilabile è la prospettiva di essere almeno in parte governati da stranieri. Oltre tutto, in questo caso si esige di andare anche più in là, accettando come concittadini i nativi di altri Paesi, e dimenticando che poco prima quegli stessi individui erano considerati a tutti gli effetti come “stranieri”. Deterritorializzare la cittadinanza separandola dal luogo d’origine, dalla comunità genealogica che ci tiene ancorati al passato, per farla dipendere invece da una stessa legge, con uguali diritti e doveri di fronte al futuro, vuol dire porsi in contrasto con quella che è la visione elementare in questo campo. La cittadinanza, in tal modo legata all’universale e non più a tradizioni locali, sarebbe allora aperta a tutti, indipendentemente dal luogo d’origine. Finora ciò che caratterizzava gli spagnoli, i francesi, i tedeschi, erano le “radici”, il “ceppo” di provenienza ( de pura cepa per gli spagnoli, de souche per i francesi): metafore agricole, basate sul seme che germoglia dove è stato piantato e non altrove. Ma come bene ha detto George Steiner, noi non abbiamo radici, ma gambe che ci consentono di muoverci qua e là e recarci dove ci conviene. Il progetto europeo nasce, come a suo tempo la stessa democrazia, da uno sradicamento: non si è europei per la purezza del ceppo ma per le leggi condivise. Peraltro, tutti gli Stati moderni sono nati da un movimento analogo, che ha radunato diverse etnie, tribù, lingue e usanze popolari sotto una comune amministrazione, destinata a rendere gli individui uguali per diritti e doveri, liberandoli dalle strettoie collettive delle rispettive origini locali. Essi rappresentano quindi il primo passo verso il successivo cosmopolitismo post-nazionale. Ecco qual è il pericolo dei movimenti separatisti e disgregatori dello Stato che oggi si sviluppano in Europa, e più particolarmente in Spagna. Il nazionalismo separatista di catalani e baschi pretende di trasformare la diversità culturale in frammentazione politica. Il “diritto di decidere”, che definisce la cittadinanza democratica, spetta secondo loro ai territori e non agli individui, i quali sarebbero cittadini dello Stato solo parzialmente; e la sovranità di ciascuno risulterebbe ristretta in base a determinazioni pre-democratiche e persino pre-politiche quali l’etnia, la genealogia, la geografia o la lingua. In alcuni territori si chiede un referendum per decidere se continuare o meno a far parte dello Stato, ammettendo però al voto solo chi è preventivamente identificato come “catalano” o “basco”: in altri termini, si vuol far accettare a priori ciò che dovrebbe essere determinato attraverso la consultazione. Nella Spagna franchista il castigliano era l’unica lingua spagnola autorizzata nel sistema scolastico e nei rapporti con l’amministrazione. Attualmente viviamo nel solo Paese dell’Ue ove in alcune aree dello Stato la lingua ufficiale comune non è ammessa per gli stessi usi. Oggi i separatisti in Spagna si appoggiano ai partiti populisti e cercano di far leva sull’indignazione provocata dalla crisi, dalla corruzione e dagli sprechi. Il resto dell’Europa si disinteressa di questi conflitti, definiti “interni”. Ma le rivendicazioni disgregatrici si stanno affermando anche in altri Paesi, e un successo dei separatismi in Spagna contribuirebbe a rafforzarle. Non dimentichiamo che nel secolo scorso un conflitto spagnolo è servito da prova generale a un tragedia europea…

Fonte:

L’autore è uno scrittore e filosofo spagnolo che scrive per ” El País” (Traduzione di Elisabetta Horvat) © LENA, Leading European Newspaper Alliance

http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/14/news/la_cittadinanza_minacciata-135425214/?ref=HRER2-1

15 Marzo 2016Permalink

7 marzo 2016 – Quando girano le informazioni

Ricevo una segnalazione dal dr. G. Pitzalis, della segreteria della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni Il percorso è un po’ complesso. Si comincia da un articolo del mensile socialnews del 2 marzo, raggiungibile con il link che trascrivo (purtroppo non posso riportare le mappe citate)

http://www.socialnews.it/le-nostre-firme/extraeuropei-ed-ex-europei/

 e si arriva a un numero di Limes dello scorso anno (numero 6/2015) dove è possibile leggere l’editoriale del direttore Lucio Caracciolo, testo di straordinaria attualità 

Lucio Caracciolo “Chi bussa alla nostra porta” 

La paura dei migranti frantuma l’Europa. Tornano le frontiere, si rialzano i muri. E, alla fine, ci scopriamo tutti ex Europei.

  1. Il migrante ci smaschera. Lo straniero che approda sulle nostre sponde rompe il ritmo della quotidianità. E l’irregolare per eccellenza. Perciò ci costringe a riflettere sulle regole della nostra vita sociale e politica. Ce ne spalanca gli abissi insondati, ce ne illumina gli angoli oscuri. Mette in questione tutto ciò che per noi non è questionabile. E ci espone alla più radicale delle domande: chi siamo? Pur di non rispondere a tanto dolorosa interrogazione, spesso preferiamo respingere – non solo metaforicamente – l’altro da noi.

Rimuoverlo. Almeno restringerlo in un ghetto che ce lo renda invisibile. E configgerlo in una definizione di specie – ≪il Marocchino≫, ≪l’Afghano≫, ≪il Somalo≫ – a certificare che di fronte non abbiamo una persona, con la sua storia di vita, ma una molecola di un mondo inferiore che non vogliamo conoscere. Una razza, non un individuo. Un oggetto, non un umano. Cui imponiamo una maschera, mentre lui ce la toglie.

Di fronte al migrante diventiamo stranieri a noi stessi. Soli con la nostra ipocrisia cognitiva, indifferenti a riconoscerlo e ad esserne riconosciuti, perché ≪straniero e colui il cui sguardo e incapace di farci provare vergogna≫. Sicché l’Europa, che ieri volle alzare la fiaccola della ≪missione civilizzatrice≫ colonizzando spazi e anime di quegli Africani e Asiatici i cui pronipoti ne puntano oggi le terre, sembra incapace di venire a patti con la pressione di presunti alieni in fuga dalle nostre ex colonie. Se alcune centinaia di migliaia di persone – si, persone – mettono a soqquadro l’ordine mentale e sociale di un continente di oltre mezzo miliardo di anime (anime?), qualcosa di essenziale non funziona nella ‟culla della civiltà”. Se, poi, il 38% degli Italiani connette i migranti ai

terroristi e la maggioranza assoluta (51%) ne invoca il respingimento, significa che a casa nostra siamo governati dal panico. Certo non dalla politica, che da queste paure appare ipnotizzata. Tanto da farsene dirigere. Trattare con distanza analitica un tema sconvolgente, fuggendo la retorica (con annessa industria) dell’umanitarismo e le scorciatoie securitarie che speculano sulla para dell’altro, può apparire velleitario.

Eppure, e uno sforzo che dobbiamo a noi stessi, dopo che lo straniero in fuga da molti Sud in miseria o in fiamme che affacciano sul già Mare Nostrum ci ha strappato la maschera. Perché una certezza l’abbiamo: l’ordine europeo non c’è più né potremo ripristinarlo. Le migrazioni in corso e, soprattutto, il nostro modo di rappresentarle, incrociando la lunga crisi economica che sembra sfociare in strutturale stagnazione e la decomposizione del quadro geopolitico e istituzionale accelerata dall’infinita tragedia greca, marcano la fine dell’idea di Europa. Non solo dell’Unione Europea come (non) attore geopolitico – su cui il lettore di Limes e informato ad nauseam – ma della coscienza di essere Europei, senza di che e vano architettare un qualsiasi progetto di casa comune. Non abbiamo retto alla prova del migrante.

Sotto la maschera che lo straniero ci ha strappato scopriamo mille identità, dalle nazionali alle locali, opportunamente inflazionate dalla paura del diverso. Tanti volti sfigurati dalla paura. Ne manca uno: l’Europeo. Gli Extraeuropei ci svelano ex Europei.

  1. Nel 1964, il settimanale tedesco Der Spiegel festeggiava in copertina Armando Rodriguez, il milionesimo Gastarbeiter, accolto nella Germania Federale con una cerimonia ufficiale a Colonia e il regalo di una motocicletta. Campione di una specie, quella del ≪lavoratore ospite≫, il cui prototipo potremmo rintracciare nel Protocollo italo-belga del 1946 che sanciva lo scambio fra migliaia di minatori in Vallonia e vagoni di locale carbone per noi. Oggi a nessun governante europeo salterebbe in mente di celebrare un immigrato straniero.

Perché è venuto da tempo al pettine il nodo che non sciogliemmo negli anni ‘50 e ‘60, quando in Europa le campagne si svuotavano e milioni di braccianti andavano ad alimentare industrie e servizi della ricostruzione, nel clima inebriante del miracolo economico. Quel dilemma posto con icastica sintesi dallo scrittore zurighese Max Frisch appena un anno dopo le celebrazioni per Rodriguez: ≪Cercavamo braccia, sono arrivati uomini≫.

Frisch squadernava cosi l’irriducibile contrasto tra capitalismo e Nazione. Tra il più o meno libero flusso dei capitali e delle persone e la necessita degli Stati di identificarsi con una comunità di popolo, dotata di un proprio limes. Un recinto nel quale distinguere, convivendo, i nostri dagli alieni. So che nel secondo dopoguerra in Europa gli alieni eravamo noi: Portoghesi, Italiani, Greci, Spagnoli.

Se all’ingresso di un ristorante svizzero o tedesco ci si poteva imbattere in divieti ≪ai cani e agli Italiani≫ – gli Inglesi ai quadrupedi avrebbero sommato gli Irlandesi – oggi lo stesso spirito e, talvolta, le stesse parole investono gli extracomunitari che, ad occhi xenofobi, o semplicemente impauriti, turbano il panorama umano delle nostre città. Stando agli etologi, che postulano l’origine genetica dell’imperativo territoriale, il conflitto fra uomini di dentro e forestieri e inestirpabile, immune dalla storia e dall’ambiente.

Sicché stabiliscono, con Robert Ardrey, che ≪l’uomo è animale territoriale quanto un tordo ripetitore che canta in una chiara notte californiana≫. E ≪quando ognuno di noi difende con tenacia l’appartenenza alla sua terra o la sovranità del proprio Paese lo fa per motivi non meno innati (…) delle più basse specie di animali≫.

Eccesso di determinismo, probabilmente. Resta il dramma del migrante, che subisce e incarna nella propria persona il conflitto fra le necessita dei ricchi Paesi europei – nei quali e chiamato a riempire i vuoti prodotti dalla declinante demografia e dall’indisponibilità dei cittadini ≪di ceppo≫ a svolgere mansioni faticose, pericolose, sporche – e le loro pulsioni razziste. Il termine ≪razzismo≫ puo infastidire. Sicché tendiamo a circumnavigarlo consapevolmente, surrogando con il meno impegnativo ≪xenofobia≫, o inconsapevolmente, discettando di ≪multiculturalismo≫ (in Italiano: ogni razza al suo posto).

Ma dopo l’11 settembre, e in coincidenza con gli attentati jihadisti che continuano a scuotere il continente e le sue periferie, le avanguardie dell’apartheid mietono successi elettorali e d’immagine in quasi tutti i Paesi europei. A decretare il fallimento delle velleità di integrazione, se non di assimilazione, che correvano sotto la pelle dell’Europa occidentale al tempo della guerra fredda. Quando l’idea di Europa – pur nella vaghezza o, forse, grazie ad essa – aveva libero corso. Grazie, appunto, al carattere occidentale di quella formazione geopolitica.

Pigmento culturale ormai disperso. Eravamo il continente del Muro, oggi lo siamo dei muri fisici e mentali che dividono questo spazio frastagliato dai cinquanta e più Stati, staterelli e terrae nullius che i geografici russi avevano ragione di appellare Asia Anteriore. E se prima dell’’89 la radice della partizione poteva parere ideologica, le molte fratture attuali sono figlie della paura dell’altro. Del migrante.

Contro di loro si ergono barriere vigenti – tra Grecia e Turchia, tra Bulgaria e Turchia, tra Spagna africana (Ceuta e Melilla) e Marocco – o in costruzione, come l’annunciato muro tra Ungheria (il Paese che per primo apri uno squarcio nella cortina di ferro) e Serbia. La nostra ipocrisia cognitiva, per cui ci rappresentavamo svettanti al di sopra della mischia universale in quanto spazio civile, segnacolo di pace, Democrazia, progresso, modello di convivenza e di tolleranza, e stata smascherata nel termine di una generazione da due treni di paura: lo spettro dell’invasione slavo/albanese, nei primi anni ‘90, e il timore della penetrazione arabo/islamica, degli inizi del secolo.

Per fedeltà alla retorica europeista, rispondemmo con gli accordi di Schengen, entrati in vigore nel 1995, che ormai includono quasi l’intero ambito comunitario e oltre. Li servimmo al pubblico sotto specie di apertura delle frontiere interne, mentre si trattava di chiudere quelle esterne, affidandone la guardia (a titolo gratuito, s’intende) ai Paesi di frontiera, tra cui il nostro. Equivoco che ha contribuito ad eccitare la reazione alla corrente crisi, spacciata per invasione di orde migratorie che minaccerebbero la nostra civiltà e obbligherebbero a rintanarci nella Fortezza Europa, opportunamente decurtata d’ogni ponte levatoio. E siccome le invasioni esistono per il solo fatto che le crediamo tali, sarà opportuno indagarne origini, profili, conseguenze.

A partire, per quanto possibile, dai dati di realtà.

  1. Allarghiamo lo sguardo al mondo. Con un’avvertenza: ogni tentativo di incasellare i flussi migratori in ordinate tabelle e in tipologie perfette è alquanto approssimativo, quando non arbitrario. Masse umane che si muovono sotto i radar delle polizie (e dei demografi) non possono essere identificate con qualche certezza. E le categorie giuridico-scientifiche che intendono fermare i gia incerti dati in contenitori statistici lasciano il tempo che trovano. Sia perché le definizioni variano di Paese in Paese – il mio ≪irregolare≫ può essere il tuo ≪regolare≫ – sia, soprattutto, per la difficolta di discernere le motivazioni che spingono gli individui a muoversi.

Tracciare una linea per distinguere il profugo dal migrante economico e operazione spesso abusiva.

Massimo Livi Bacci fissa proprio nella mutazione e nella mescolanza dei fattori di spinta e di attrazione dei popoli in movimento la tendenza della ≪quarta globalizzazione≫ in corso. Nel pianeta dai sette miliardi di anime, che le proiezioni immaginano diventare almeno nove di qui alla meta del secolo, il fenomeno migratorio ostenta globalmente quattro tendenze.

  1. A) Cresce l’universo degli umani che vivono in un Paese diverso da quello di nascita: erano 154 milioni nel 1990, mentre nel 2013 se ne contavano 232 milioni. Anno nel quale i migranti rappresentavano il 3,2% della popolazione mondiale (contro il 2.9% di tredici anni prima). Due Paesi da soli ricevevano, nel 2013, un quarto dei migranti internazionali: Stati Uniti d’America e Federazione Russa. Seguiti dalla Germania, con l’Italia all’undicesimo posto.
  2. B) Si espande la famiglia di coloro i quali sono stati costretti a fuggire dalla terra d’origine in cerca di salvezza altrove. I profughi erano quasi 60 milioni nel 2014, in teoria la ventiquattresima Nazione al mondo: 8,3 milioni più dell’anno precedente, aumento mai registrato prima (carte 1 e 2). Il loro numero si aggirava intorno ai 40 milioni nei primi dieci anni del secolo, salvo impennarsi nell’ultimo quadriennio soprattutto a causa dei nuovi conflitti nel Levante siriano, in Ucraina, in Nordafrica e nel Sahel. Gli apolidi sono stimati intorno ai dieci milioni.
  3. C) Se le direttrici di flusso Sud-Nord e Sud-Sud rappresentano ciascuna poco più di un terzo delle migrazioni globali, a ricevere la massa dei rifugiati sono all’86% Paesi ≪in via di sviluppo≫ (leggi: poveri), tra cui i ≪meno sviluppati≫ (leggi: poverissimi) ne accolgono il 25%. Il principale Paese di ricezione delle persone in fuga dalla guerra e dall’oppressione e la Turchia (1,59 milioni), seguita da Pakistan, Libano, Iran, Etiopia e Giordania. I tre massimi produttori di profughi sono Siria (3,88 milioni), Afghanistan e Somalia. L’Africa e, dopo l’Oceania, il continente che produce meno emigrazione, non perché scarseggiano i candidati alla fuga da guerra e miseria, ma per carenza del denaro necessario.

L’invasione dei profughi e, anzitutto, un dramma interno al Sud del mondo, alla Caoslandia nella quale si concentrano miseria, conflitti armati, traffici clandestini, epidemie e carestie (carta a colori 1). Gli ingredienti per le guerre fra poveri ci sono tutti. Da dove i migranti sono doppiamente vittime: perché fuggono dagli incendi bellici e perché maltrattati o respinti dai Paesi nei quali cercano scampo.

  1. D) L’esplosione delle migrazioni forzate ha una primaria radice geopolitica: la decomposizione degli Stati post-coloniali fra Medio Oriente, Africa ed Europa sud-orientale. Fenomeno recente, rivelato dalle ≪primavere arabe≫ e dalle controrivoluzioni in partenza dal Golfo (Arabia Saudita e dintorni), con epicentri nel Siraq (carta 3) – cio che residua della partizione franco-britannica del Levante e della Mesopotamia ottomana – nel Sahel, cuore dell’ex impero africano di Parigi, e nell’Ucraina, dove sono in gioco le sorti della Russia e della sparsa famiglia euro-atlantica. Secondo la discutibile classificazione degli ≪Stati fragili≫ compilata dal Fund for Peace, i Paesi il cui indice d’instabilità è maggiormente peggiorato tra 2014 e 2015 sono, infatti, tutti pertinenti ai tre citati ambiti: nell’ordine, Ucraina, Libia, Siria, Russia e Mali (carta a colori 2).
  2. In questo contesto possiamo meglio intendere i flussi verso l’Europa.
    Il nostro continente si e trasformato, nel giro di un secolo, da soggetto colonizzatore in obiettivo privilegiato di rilevanti quote dei suoi ex colonizzati. In particolare, dal fatidico 1990, discrimine fra l’ordine della guerra fredda e il non troppo creativo disordine seguente, lo stock migratorio (stranieri piu persone nate fuori del Paese di residenza) e cresciuta della meta, sicché oggi comprende un abitante ogni dieci Europei (Tabella 1).
    Quota certamente digeribile altrove, dove la mobilità è un valore, meno nella pancia ricca del Vecchio Continente, dove si onora la stanzialità e i pregiudizi razzisti, radicati nella storia, sono acutizzati ad ogni emergenza. Specie se lo straniero e Musulmano o, comunque, proveniente da culture che noi facilmente associamo all’alterità, alla minaccia. Vige tuttora il paradigma mentale fissato dopo la Seconda Guerra Mondiale dalla britannica Royal Commission on Population: ≪L’immigrazione su larga scala in una società pienamente stabilita come la nostra sarà benvenuta senza riserva solo se gli immigrati sono di buon ceppo umano e non impediti dalla loro religione o razza da contrarre matrimoni con la popolazione locale e mescolarsi ad essa≫.

La refrattarietà al migrante esaspera le conseguenze della massima pressione migratoria che abbia mai investito l’Unione Europea. Questa si concentra sui crocevia fra Africa/Asia ed Europa, dallo Stretto di Gibilterra al Canale di Sicilia al fiume Evros, munita frontiera tra Turchia e Grecia (carta 4).

Il Mediterraneo è lo spartiterre, l’Italia la principale passerella fra i migranti e il loro obiettivo privilegiato, l’Europa centro-settentrionale. Attraversando acque e terre euro-mediterranee, dal 2000 ad oggi almeno 1.200.000 ≪irregolari≫ hanno bussato alle porte dell’Europa. Nel 2014 furono 280.000, quest’anno, forse, di più. I profeti di sciagura annunciano che presto si metteranno in movimento anche le 6-700.000 anime concentrate nei campi della Tripolitania. Nelle traversate arrischiate su barche e gommoni di fortuna gestiti dai trafficanti di esseri umani – spesso con la complicità delle autorità locali, ma anche di mafie e imprenditori di casa nostra a caccia di

braccia da sfruttare – sono morte, nell’ultimo quindicennio, almeno 25.000 persone: il Mediterraneo è la più grande fossa comune del pianeta. Il transito avviene attraverso i corridoi sud-nord già sperimentati dai mercanti di droga, armi, sigarette o pietre preziose. Si tratta, quasi sempre, delle antiche carovaniere, a spezzare le quali le potenze coloniali si dedicarono nell’’8-900, tracciando con squadra e righello confini insensati, intenibili. Qui trafficanti e Jihadisti si mescolano volentieri, quando non coincidono. Il viaggio può durare anni e implica l’investimento di migliaia di dollari da centellinare tappa dopo tappa tra passeurs, poliziotti e miliziani che si frappongono fra migrante e meta. Un affare complessivo da svariati miliardi che lega economie informali e circuiti legali, criminali africani ed aziende europee che investono in lucrose meraviglie dell’ingegneria elettronica e militare per filtrare i flussi, tra cui nasi artificiali (sniffers) dotati di selettivo olfatto in grado di snidare i ≪clandestini≫ compressi nei camion dei contrabbandieri.

Tre sono i percorsi più battuti dai migranti transmediterranei: l’occidente, il centrale e l’orientale (carte a colori 3 e 4). Cinghie di trasmissione estese per migliaia di chilometri che trasportano uomini, donne e bambini (molti non accompagnati) dal cuore dell’Africa nera e dall’Asia occidentale fino a Berlino, Parigi, Stoccolma o verso rifugi improvvisati e provvisori ovunque possibile.

I tre corridoi meridionali attingono ai rispettivi bacini privilegiati: Africa occidentale, Centrafrica e Corno d’Africa, Levante siriano. Il primo afferisce ai territori compresi fra Senegal, Guinea, Mali, attraversa Mauritania e Marocco per sfociare in Spagna. Nel secondo incrociamo genti in marcia da Camerun, Nigeria, Repubblica Centrafricana miranti alla piattaforma dei porti tripolitani (Zuwāra, Zāwiya, Tripoli, Sabrata) o cirenaici (Bengasi) da dove affrontano la traversata verso l’Italia. Anche il terzo fronte investe gli sbocchi libici, muovendo, pero, da Uganda, Kenya, Somalia, Eritrea, Etiopia, Sud Sudan e Sudan, avendo raccolto anche parte dei profughi sfuggiti alla mattanza siro-irachena – dei quali un’altra, montante quota bussa, invece, al confine turco-greco per investirei Balcani puntando, via Serbia, all’Ungheria.

Speciale attenzione merita l’asse sud-nord che collega, via Niger, la Nigeria settentrionale, terra d’elezione della guerriglia di Boko Haram, al Fezzan libico, deserto di nessuno dove, dopo la caduta di Gheddafi, spadroneggiano milizie claniche, narcojihadisti e altri gestori del mercato delle migrazioni. Siamo in pieno Sahel, baricentro continentale semiarido tra Sahara e savane meridionali, esteso dal Senegal al Sudan. La fascia forse più misera del continente, sconvolta da ricorrenti siccità. Ricca, pero, di minerali strategici, come l’uranio, cui attingono soprattutto Francia e Cina. Povera di strutture statali funzionanti, surrogate da precarie forme di autogoverno comunitario e/o per bande, nel contesto di un’economia predatoria fondata sul contrabbando d’ogni genere e merce, per il cui controllo infuriano conflitti locali e regionali nei quali prolifera il jihadismo. Strabordante di gioventù senza orizzonti: la maggioranza della popolazione ha meno di 18 anni. Serbatoio inesauribile di potenziali ed effettivi migranti, molti dei quali confluiscono verso lo hub nigeriano di Agadez, capitale informale dei traffici nordafricani, porta d’ingresso verso il Fezzan e i porti mediterranei dell’ex Libia. Qui si gioca molto del nostro futuro di Italiani ed Europei.

Se ai giovani di questa vasta regione in rapida crescita demografica (+3% all’anno) – analogamente al complesso dei Paesi africani, che dovrebbe superare il miliardo e mezzo di abitanti entro il 2030 e toccare i due miliardi attorno al 2050 – non sarà offerto un ambiente sociale, economico e politico consono alle loro crescenti aspettative, nemmeno asserragliandoci dietro chissà quali fortificazioni potremo fermarne la pressione. Valga il monito di un ragazzo di Kano, nella Nigeria del Nord: ≪Non ho soldi, ne lavoro, ne istruzione. Non posso avere una casa, ne formare una famiglia, non credo nello Stato, non credo in niente e nessuno. Prego Dio di lasciarmi andar via o di darmi un’arma per combattere≫.

  1. Angela Merkel non ama l’enfasi. Quando stabilisce che ≪la questione migratoria e la sfida piu grande per l’Unione Europea che io abbia mai visto da quando sono in carica≫ va presa sul serio. Ma seria non e la risposta europea. Siamo un continente, non uno Stato. Di fronte alla crisi migratoria, ognuno difende il suo particulare. I Ventotto rinnegano gli ideali umanitari ricamati nelle Convenzioni internazionali, nelle Costituzioni e nelle Leggi che li declinano. Di questi tempi, i visti regolari per lo spazio Schengen sono rari come i quadrifogli nel Sahara. E, anziché assicurare protezione ai richiedenti asilo che ne avrebbero diritto, offrendo loro mezzi decenti per raggiungerci e integrarsi, li rigettiamo nell’indefinita mischia degli ≪irregolari≫, esponendoli all’arbitrio di sommarie selezioni. Ognuno con metodi e procedure differenti. I profughi non nascono illegali, siamo noi a renderli tali. Attraverso un meccanismo perverso, nel quale siamo tutti perdenti (tabella 2). Il principio e quello del beggar-thy-neighbor. Volgarmente: scaricabarile.

In politica economica si configura come svalutazione competitiva per conquistare quote di mercato nel commercio internazionale. Nella geopolitica delle migrazioni diventa scaricamigrante. Le regole di questo sport sono iscritte nel Regolamento europeo di Dublino, in base al quale la richiesta d’asilo dev’essere valutata dal primo Paese dell’Unione Europea in cui il fuggiasco mette piede. Incrociando la norma con la geografia, poiché i flussi procedono dalle latitudini inferiori alle superiori, gli Stati comunitari dotati di confini con lo spazio mediterraneo, in primo luogo Italia, Grecia e Spagna, sono esposti all’onere di soccorrere e gestire i migranti. E ad accollarsi l’arduo compito di selezionare coloro i quali, in quanto rifugiati, potranno insediarsi a casa loro. Salvo espellere gli altri verso il Paese di origine, se identificato – in diversi casi, l’equivalente della condanna a morte – o lanciarli nell’orbita della fuga infinita da una terra all’altra, inchiodandoli alla clandestinità permanente.

Risultato: procedendo da nord a sud, ogni socio comunitario, Schengen o non Schengen, cerca di costringere il vicino meridionale a custodire nei suoi centri di detenzione – eufemisticamente battezzati d’accoglienza – i richiedenti asilo e, con essi, il maggior numero possibile di irregolari. Siccome le armi della persuasione non funzionano, si mette mano al ventaglio di rappresaglie. Ad esempio, noi Italiani riduciamo al minimo la sorveglianza nei centri di contenimento dei richiedenti asilo, noti in gergo come hot spots, spingendoli verso l’agognato Nord, dove possono sperare in un welfare invidiabile. Oppure, i settentrionali offrono soldi ai vicini meridionali: tot milioni per tot migranti riportati a casa tua. Ci hanno provato i Francesi con noi, offrendoci fino a cinquecento milioni di euro, rifiutati, dopo qualche incertezza, in un impeto di orgoglio cisalpino. Partecipano al torneo anche le regioni italiane, con Veneti, Lombardi, financo Valdostani, a determinare che la loro barca e piena, restassero quindi gli sgraditi ospiti aggrappati al tacco dello Stivale.

La partita ha i suoi ambiti esoterici fra le mura dell’eurocrazia brussellese, nelle risse verbali dei Consigli europei e nella diplomazia bilaterale segreta fra scaricanti, attenti agli umori del proprio pubblico, meno al destino degli scaricati. E ha la sua poco commendevole messa in scena da Calais alla Sicilia via Ventimiglia.

Con file di poliziotti schierate lungo i famosi confini aperti dell’Unione Europea a proteggerli dagli irregolari che cercano di penetrarli. In attesa che almeno parte di questa massa umana possa essere ripartita, pro-quota, tra i soci umanitari. Ma l’idea della Commissione Europea, sostenuta dall’Italia, sembra essere destinata ad arenarsi di fronte alla resistenza di Francesi e nordici, che non vogliono sentir parlare di obbligatorietà di un onere per loro intollerabile. Ai Paesi euro-mediterranei non resta che rivalersi sui vicini extracomunitari. Lo scaricamigrante procede allora verso la quarta sponda. Il migrante va rispedito, accompagnato, se necessario, da congruo indennizzo monetario. Tornerà, cosi, al mittente verso le piattaforme di lancio: Libia, Tunisia, Egitto… Le quali sono, pero, in tale stato di disordine da rinunciare volentieri all’indennizzo pur di non essere sopraffatte dai migranti di ritorno. Nessuno ama ridursi a Stato cuscinetto del vicino. Il destino di centinaia di migliaia di «irregolari» in attesa di giudizio sembra inchiodarli in fatiscenti strutture prossime ai punti di sbarco. Universo concentrazionario che richiama tristi memorie. L’ultima cartuccia europea si configura come spedizione navale contro i trafficanti. Sotto la burocratica sigla Eunavfor Med e partita la missione – oggi aeronavale, domani, forse, estesa a forze speciali – per colpire le reti dei sensali di carne umana che infestano il Mediterraneo. A guidarla, l’orgoglio della nostra Marina, la portaerei Cavour. Dopo aver girato il mondo come una fiera galleggiante, ad esibire primizie e meraviglie del Belpaese, la nostra ammiraglia assume il comando di un’operazione che si propone di mettere fuori combattimento ferrivecchi e gommoni gonfiabili adibiti dai trafficanti al traghettamento dei loro bagagli umani dal Nordafrica al vecchio Continente. Gli stessi ideatori dell’impresa ammettono di non saper bene come procedere, forte essendo il rischio di affondare il naviglio nemico con il suo carico di innocenti. Siamo finiti dentro un ingranaggio distruttivo. Per fermarlo sarebbe necessario un soprassalto di solidarietà europea. La UE non diventerà Stato, certo, ma vorrà almeno concordare un approccio comune, ripartendo non troppo iniquamente sulle spalle degli uni e degli altri un carico comunque sopportabile.

Ma chi, oggi, si sente di scommettere sullo spirito europeo?

  1. Jacques Delors, presidente della Commissione Europea quando questa contava qualcosa, sosteneva che l’Europa avanza mascherata. Vero il contrario. Dopo aver indossato ogni possibile mascheratura – verso l’esterno, nell’illusione di apparire agli altri migliori di quanto siamo, ma anche per impedire a noi stessi di capire qualche ≪mostro buono≫ avessimo allestito in nome dell’Europa – scopriamo di stare rapidamente arretrando. Non nella direzione di irriproducibili passati, ma verso l’ignoto. Per ora sappiamo solo che non sarà l’unificazione politica sognata dai padri fondatori. Semmai, qualcosa di simile al suo opposto: la riproduzione di barriere culturali, economiche, financo fisiche, fra gli Stati esistenti e le loro eventuali gemmazioni (Catalogna, Fiandre, Scozia). Forse, ancora per conto della mitica Europa, a salvare i ≪veri≫ Europei dal contagio dei ≪falsi≫. La geopolitica continentale corre su un piano inclinato. Chi e troppo prossimo alla frontiera di Caoslandia minaccia di precipitarvi. Italia compresa. Chi si considera paradigma di virtù difende con unghie e denti i privilegi che si e conquistato per restare nell’emisfero della pace e del relativo benessere. A cominciare dalla Germania. Alcuni pensano o temono l’avvento dell’Europa tedesca. Pensieri e timori impropri. Il metro di Berlino non è, né sarà mai, il paradigma dell’Europa. Perché di Europe, nel pur modesto spazio di questa penisola asiatica, ve ne

sono sempre state molte, e altre se ne stanno (ri)formando. E perché la geopolitica tedesca, figlia irriflessa della sua ideologia economica, si nutre dell’ambiente nel quale vive e prospera, assorbendone le risorse senza ripartirne i profitti fra i soci. Esporta deflazione mentre assorbe liquidità.

Per restare stabile, produce e riproduce instabilità. Almeno finche questa non la toccherà. Allora si scoprirà circondata da vicini in tempesta. E domarli, per salvarsi, sarà molto più difficile. Meccanismo semiautomatico, del quale gli stessi leader tedeschi non sono pienamente consapevoli. Il dramma dei migranti e l’eurotragedia greca sono (anche) figlie di questa compulsione. Il rifiuto nordico della ripartizione dei profughi per quote calibrate equivale all’orrore di quegli stessi attori per la Transferunion, ovvero l’unico modo in cui una sana unione monetaria può funzionare: per trasferimenti solidali e intelligenti, nell’interesse del sistema, non della sua pur dominante parte.

Altrimenti, dall’euro scaturirà il Neuro, divisa riservata alla sfera geoeconomica germanica. E il rifiuto del migrante, declassato a clandestino, dara nuovo slancio all’edilizia muraria – settore che s’immaginava in crisi dopo l’’89 – ulteriormente selezionando il corpo del Vecchio Continente. Amavamo discettare di ≪Europa gentile≫. Scopriamo che la nostra gentilezza e carica di aggressività, del genere prodotto dai temperamenti ossessionati dall’ordine. Forse l’Unione Europea sopravvivrà a noi stessi, scheletro senz’anima. Avremo la delicatezza di smettere di chiamarla Europa?

Lucio Caracciolo, direttore di Limes

 

7 Marzo 2016Permalink

2 marzo 2016 – I bambini si possono abusare senza stupri.

Copio di seguito da La Repubblica (1 marzo) l’articolo di Conchita De Gregorio che totalmente condivido.
Girando per fb ho trovato appelli a firmare contro la maternità surrogata che in questi casi viene chiamata con la più popolare espressione di utero in affitto. Per quanto io abbia molte perplessità su questa pratica oggi mi sento di appoggiare solo ciò che cerca di fondare il diritto del bambino alla sicurezza della continuità affettiva. Infatti non  posso ignorare il cinismo con cui sono state stralciate dal testo della legge sulle Unioni Civili le adozioni coparentali o del figliastro o stepchild adoption, come le si voglia chiamare. Il bambino è il soggetto più debole, non può difendersi da sé e i danni irrimediabili che gli vengono fatti, negandogli la possibilità della continuità di una relazione fondante –ove scompaia il soggetto adulto che a tale relazione ha legalmente diritto – sono sventolati cinicamente come una minaccia contro chi voglia far uso della pratica della maternità surrogata. Qualcuno, soprattutto nell’ambito cattolico, ha artatamente confuso – e fatto confondere – la pratica della maternità surrogata con la sottrazione di un bambino alla madre. La pessima fede di tutti costoro ha una verifica per me certa: il totale disinteresse – esteso dalla politica alla società civile -nei confronti dei bambini cui dal 2009 è negata la registrazione della nascita e quindi la stessa esistenza dei genitori (cfr. in questo blog il tag anagrafe).

1 marzo 2016 –  I diritti dell’amore e quelli dei bambini.
Conchita  De Gregorio

DIPENDE. Vorrei vivere in un mondo dove fosse ancora possibile rispondere così a chi ti chiede – continuamente qualcuno ti chiede – cosa pensi della medicina naturale della riforma del Senato dell’accesso ai tracciati telefonici di un morto, delle donne che portano in grembo un bambino che sarà poi figlio di altri. Dipende, vorrei poter rispondere e invece non si può perché non c’è tempo, non c’è voglia di capire e di ascoltare, di distinguere: puoi solo votare adesso, mettere un mi piace, un pollice verso, scrivere un wow – oppure tacere. Finché un Salvini non dice “disgustoso egoismo” del fatto che Nichi Vendola e il suo compagno Ed Testa hanno avuto un figlio.

E allora cosa pensate dell’opinione di Salvini, su quale spalto sedete, in quale tifoseria vi iscrivete. Avanti, votate. No, non voto, vorrei poter dire. E poi non essere obbligata a tacere, il silenzio unico riparo superstite dal circo osceno delle opinioni sempre nette, sempre urlate, sempre senza dubbio e quasi sempre ignoranti delle ragioni ultime delle cose – ma domandare e ascoltare, piuttosto. Perché dipende. La complessità e la delicatezza delle scelte che riguardano la vita merita ascolto, prima di tutto, e uno sforzo grande di comprensione. Ciascuno di noi si è trovato almeno una volta a dover decidere se mettere al mondo o no un figlio, se mettere fine o no alla vita di un malato terminale, se rivelare o no un segreto, un tradimento, una passione. Ciascuno fa i conti con la legge certo, ma prima e soprattutto con la sua coscienza. Allora vorrei – lo vorrei per me, poi per gli altri – che ci fosse la capacità di provare a capire, conoscere, mettersi nei panni. Il giudizio, se proprio è necessario, dopo. Che poi non sempre è necessario. Il tribunale permanente delle coscienze altrui potrebbe ogni tanto anche prendersi un turno di riposo e considerare magari, nel silenzio del foro interiore, la propria.

“Ognuno dal proprio cuor l’altro misura”, ha detto Nichi Vendola di fronte al rigurgito del web. Ha ragione. Vi piace? Mettete un like. Se proprio è indispensabile dare un’opinione prima di esaminare i fatti dirò che sono sempre felice della felicità altrui. Per una ragione egoista e non altruista, aggiungo: perché mi rallegra, mi contagia. Sono dunque davvero e semplicemente felice di sapere che due persone che si amano abbiano il figlio che desideravano. Sono contenta di sapere che sia nato Tobia, e che la sua famiglia viva ore di meraviglia.

I fatti poi, finalmente: l’ex governatore della Puglia ha avuto un figlio in California da una donna che lo ha generato nel rispetto della legge. Il padre biologico del bambino è il suo compagno, Ed Testa. “La donna che lo ha portato in grembo e la sua famiglia sono parte della nostra vita”, ha detto Vendola. In America, Paese che continuamente e a buon diritto portiamo ad esempio di libertà e democrazia, esistono delle regole in base alle quali una coppia dello stesso sesso può non solo sposarsi ma avere un figlio. Se sono due uomini, naturalmente da una donna. La quale deve avere alcune caratteristiche che riassumo brutalmente, me ne scuso, così: deve essere benestante e volontaria. Non in condizioni di necessità, non costretta. Una libera scelta. Lo schiavismo, la tratta delle donne, la sopraffazione, lo sfruttamento non hanno casa in questa storia. Siete dunque favorevoli o contrari all’utero in affitto, come lo abbiamo chiamato con orrenda formula? Dipende. Se la donna è prigioniera, indigente, schiava, costretta dalle condizioni di vita o dal sopruso di altri a vendere il tempo della sua gravidanza e poi suo figlio: sicuramente contrari. Se è una sua libera scelta, regolata dalla legge del Paese in cui vive, seguita e controllata da cento e cento occhi che vigilano su di lei sulla sua decisione chi sono io, chi siamo noi per giudicare?

Sull’adozione del figlio dell’altro ho letto e ascoltato parole sensatissime, competenti, chiare. Dal magistrato Melita Cavallo, per esempio, una vita spesa al servizio delle adozioni e dei bambini. Da Stefano Rodotà, giurista e uomo integro. Ma il bene del bambino?, sento però chiedere. È giusto che un bambino nato dal ventre di una donna debba essere separato dalla madre, non allattato da lei, portato a vivere in un altro Paese per assecondare il desiderio di una coppia che vuole un figlio? Istintivamente no, viene da dire. È qualcosa che ci mette a disagio, che crea malessere. Però dipende. Da un’infinità di variabili: chi sono quelle persone, che relazione avranno tra loro, se manterranno o meno il legame con le origini. Di che natura sarà quel legame. Dipende da quanto amore ci sarà, in definitiva. Viviamo in un Paese dove i tribunali dei minori tolgono i figli alle madri per darli in affido in numero triplo rispetto ad altri Paesi europei. Un racket dell’affido, hanno mostrato alcune inchieste. Conviene toglierli, qualcuno si arricchisce. È dunque sempre il bene del bambino, quello che orienta le decisioni? È sempre vero che per un bambino stare con sua madre è meglio che stare con una coppia di genitori che lo accoglie e lo ama diversamente da come il suo destino avrebbe deciso? Dipende. Caso per caso, bisogna andare a vedere. Avere testa e cuore. Tobia Antonio è un bambino strappato a sua madre? Tecnicamente, giuridicamente no. È un bambino nato in un cerchio di amore di cui la madre farà parte? Una vita ricca e complessa e difficile come quella di tutti, la sua vita? È possibile. Probabilmente sì.

In altre circostanze – moltissime altre – questo su Tobia non sarebbe un dibattito pubblico. Le coppie eterosessuali vanno a fare l’eterologa all’estero, le donne sole li concepiscono dove possono. Decine di bambini nascono così ogni mese da quelli che hanno soldi per farlo, questa sì è la vera discriminazione. Solo chi ha denaro può farlo, in Italia. In altri Paesi le donne e gli uomini soli – star, attrici, cantanti celebri – adottano e concepiscono in un batter di ciglia, poi occupano le copertine dei rotocalchi. Altri mentono: è il figlio naturale di mio marito, la madre lo ha abbandonato. Ci sono casi celebri, tutto lo sanno ma nessuno lo dice.

La nascita del figlio di Nichi Vendola è un fatto pubblico perché lui è un uomo pubblico. Il suo gesto e quello di Ed, all’indomani dell’approvazione della legge sulle unioni civili orfana dell’adozione del figlio dell’altro (stepchild adoption, lo abbiamo detto in inglese) è un gesto anche politico. È un modo per incarnare una battaglia. Per dire: eccomi, io sono qui. Quello che penso sia giusto è questo, faccio della mia vita un manifesto. È perciò legittimo il dibattito. Certo per chi lo patisce faticoso, ma legittimo. Se e quando l’Italia arriverà a scrivere una legge che prende atto della realtà è qualcosa che non sappiamo. Difficile, in questo clima, adesso. Ciascuno continuerà a fare come crede, e come può.

Secondo coscienza. E se sia giusto o sbagliato non possiamo davvero dirlo al posto di altri, è già molto difficile decidere per sé. Certo non possiamo farlo al posto di Tobia, che è senz’altro benvenuto al mondo. Potremmo chiederglielo quando sarà grande, se avremo la pazienza di aspettare. Pensa che sorpresa se fra vent’anni, con un sorriso, rispondesse: mah, dipende.

Fonte: http://www.repubblica.it/politica/2016/03/01/news/i_diritti_dell_amore_e_quelli_dei_bambini-134590656/

Fonti precedenti + altre reperibili con i tag anagrafe, bambini, nascita:

21 gennaio 2016- un articolo di S. Rodotà. Il Parlamento si volterà dall’altra parte?                https://diariealtro.it/?p=4194

14 gennaio 2016 – appello di giuristi: Il parlamento non si volti dall’altra parte                               https://diariealtro.it/?p=4186

24 ottobre 2014 – proposta di legge Lo Giudice n. 1562    –   https://diariealtro.it/?p=3401

2 Marzo 2016Permalink

1 marzo 2016 – Calendario di marzo

1 marzo 1968  –  Battaglia di Valle Giulia dà inizio al ’68 italiano
2 marzo 1956  –  Il Marocco dichiara l’indipendenza dalla Francia
4 marzo 2005  –  Iraq. Soldati Usa uccidono Nicola Calipari
6 marzo 1975  —  Italia: La maggiore età viene abbassata da 21 a 18 anni
6 marzo 2012 –    Giornata europea dei Giusti istituita dal Parlamento Europeo
6 marzo 2016 –    Muore Ray Tomlinson. Ideò l’e mail e creò @
7 marzo 1991 –    Arrivo a Brindisi degli albanesi
8 marzo –             Giornata mondiale della donna
10 marzo 1946  – Primo voto in Italia alle donne (Nota 1)
10 marzo 1987 –  L’ONU riconosce il diritto di obiezione di coscienza alle armi
10 marzo 2004 –  Attentato di Atocha, Spagna
11  marzo 2011 – Fukushima, Giappone. Terremoto e incidente alla centrale nucleare.
12 marzo 2013 –  Morte di Teresa Mattei
13 marzo 1983  – Assassinio di Marianella Garcia Villas in Salvador
13 marzo 2013 –  Elezione papa Francesco
14 marzo 1879  –  Nascita di Albert Einstein
14 marzo 1883  –   Morte di Karl Marx
15 marzo 1545 –  Apertura del Concilio di Trento
15 marzo 1976  –  Nasce la trasmissione Prima Pagina. Il primo giornalista che la condusse fu Ruggero Orlando
15 marzo 1990 –   Michail Gorbačëv viene eletto presidente dell’Unione Sovietica
15 marzo 2011 –   Primi segnali del conflitto siriano
16 marzo 1978 –  Rapimento di Aldo Moro
16 marzo 2003 –   Morte di Rachel Corrie, schiacciata da una ruspa israeliana a Rafah, striscia di Gaza.
17 marzo 1981 –  Ritrovamento del la lista dei membri della P2 [2]
18 marzo 1871 –  Inizia la Comune di Parigi
18 marzo 1962 –  Termina la guerra d’Algeria
18 marzo 2015  –  Attentato al museo del Bardo – Tunisi
18 marzo 2016  –  Bruxelles – Arresto di Salah Abdeslam
19 marzo 1994 –  Assassinio don Peppino Diana
19 marzo 2002 –   Assassinio di Marco Biagi
20 marzo 1930 – Gandhi inizia la “marcia del sale”
20 marzo 1994 –  Omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin
21 marzo             Nowruz – Capodanno persiano
21 marzo –           Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie.
21 marzo –            Giornata contro la discriminazioni razziale
21 marzo 1960 –   Massacro di Sharpeville – Sud Africa
21 marzo 2014 –   Putin firma l’annessione della Crimea alla Russia
22 marzo-             Giornata mondiale dell’acqua
22 marzo 2015 –   Strage di Bruxelles
24 marzo 1944 –  Strage delle fosse ardeatine
24 marzo 2016 –   Festa di Purim
24 marzo 1976 –  Golpe in Argentina
24 marzo 1980 –  Assassino di mons. Oscar Romero in Salvador
25 marzo 1957 –  Firma del Trattato di Roma che istituì la Cee
25 marzo 1970 –   Radio libera di Danilo Dolci (fu chiusa dopo 20 ore)
26 marzo 1996 –   notte 26/27 marzo 1996, rapimento monaci trappisti di Tibhirine [3]
27 marzo 1958  –  Nikita Kruscev diventa primo ministro dell’URSS
27 marzo 1985 –  Assassinio di Ezio Tarantelli
28 marzo 1958 –  La Cina scioglie il governo del Tibet
29 marzo 1973 –  Fuga dei soldati americani dal Vietnam
29 marzo 2013 –  Morte di Enzo Jannacci

decreto del 29 marzo 1516, stabilì che questi dovessero abitare tutti in una sola zona
30 marzo 2016 –   Il male del mondo. Conferenza stampa dei genitori di Giulio Regeni nella Aula Nassiriya del Senato [4]
31 marzo 2005 –   USA morte di Terry Schiavo, in coma vegetativo da 15 anni
31 marzo 2015  –   Morte di Franz JoseF Mǖller, ultimo superstite del gruppo de La Rosa Bianca

NOTE:

[1]  Era il 10 marzo del 1946 e alle elezioni amministrative per rinnovare 436 comuni anche le italiane che avevano compiuto i 21 anni poterono esprimere il loro voto. Si trattò delle prime elezioni amministrative libere dopo il Fascismo. In quello stesso giorno un decreto introduceva anche il diritto all’elettorato passivo e un gruppo di donne veniva eletto all’Assemblea Costituente. Il 2 giugno dello stesso anno le donne furono chiamate al voto per il referendum che avrebbe sancito la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica. Un percorso tortuoso che trova un momento significativo nel 1877, quando Anna Maria Mozzoni, pioniera del nostro femminismo, presenta al Parlamento la prima petizione a favore del voto femminile. Ad approvare – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Settant-anni-fa-le-donne-italiane-votavano-per-la-prima-volta-51c8853c-490a-41f1-9484-d6df51888eea.html

[2] . 17 marzo 1981 nella villa di Gelli viene ritrovata la lista dei membri della P2 Della questione si occuperà l’on. Tina Anselmi a partire dal 1981nella sua veste di presidente della Commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, che terminò i lavori nel 1985. La relazione finale fu approvata dalla stessa commissione il 3 luglio

[3]  http://www.pietroichino.it/?p=11286

[4]  http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2016/03/29/regeni-parlano-i-genitori.-conferenza-stampa-al-senato-con-luigi-manconi_6b442870-6ad0-4a8d-b065-a573e5cc8e02.html

 

29 Febbraio 2016Permalink