15 luglio 2012 – Ricevo un messaggio e interrompo per oggi il diario di Santiago

Il messaggio

Il testo che trascrivo mi è stato inviato da una donna che non fa parte dell’organizzazione firmataria

Ciao a tutt*,

Da circa 10 giorni fuori dal CIE di Gradisca staziona con grande tenacia Yasemin, vent’anni, incinta di 7 mesi di Radouane, 25 anni, detenuto a Gradisca da un mese dopo aver passato due settimane al centro di Torino. Yasemin chiede l’immediata scarcerazione di Radouane, con cui è già sposata con rito islamico e con cui conviveva a Torino da due anni. Radouane è uno dei tre detenuti che da venti giorni stanno portando avanti uno sciopero della fame. Erano partiti in 48 quando le misure repressive all’interno del CIE si sono fatte ancora più insopportabili. Durante l’ultima visita di una delegazione di parlamentari, circa 20 giorni fa, un ragazzo si è gettato con forza contro il vetro anti-sfondamento delle celle, riportando una ferita alla testa e perdendo I sensi. La delegazione ha parlato con un altro ragazzo che si trova in sedia a rotelle poichè durante l’ultima grossa rivolta gli è stato sparato un lacrimogeno sulla gamba. Come sempre non possiamo sapere tutto quello che succede all’interno del CIE, date le misure di isolamento cui I detenuti sono sottoposti: tuttavia ora abbiamo delle notizie anche all’esterno, grazie a Yasemin e alla sua lotta. Crediamo sia fondamentale sostenerla non solo affinchè possa ricongiungersi a Radouane ma anche per riprendere a parlare e a mobilitarsi contro I CIE.

Alcune persone di Tenda per la Pace e i diritti e dell’UDS da giorni si alternano per non lasciare sola Yasemin, che questa notte è arrivata a rifiutare l’accoglienza che le era sempre stata offerta e ha passato la notte su un materassino davanti al CIE, con i “ci dispiace” dei poliziotti che lavorano al suo interno.

C’è da fare molto di più: abbiamo già una serie di proposte e ragionamenti da fare che ci piacerebbe condividere con voi, pertanto convochiamo una riunione presso la nostre sede a Staranzano (Piazza Dante 4) alle ore 21.00 di martedì 17 luglio. Chiediamo inoltre a chi è disponibile a passare qualche ore fuori dal CIE con Yasemin per non lasciarla sola questo weekend di farsi vivo a questo numero: 3208105362 (Marta).

A martedì!                                                   Tenda per la pace e i diritti 

La risposta che ho inviato 

Grazie per l’informazione.

Consiglio di contattare i responsabili del GrIS (livello operativo locale della società di medicina delle migrazioni www.simmweb.it)
Dovrebbero potervi spiegare i doveri dei vari livelli istituzionali – previsti in legge – nei confronti di gravide, madri e padri dei neonati che credo sia un punto di partenza ineludibile, certo e vincolante.

Il 13 dicembre scorso ho inserito nel mio blog (www.diariealtro.it) un documento del ministro Cancellieri per ciò che concerne l’accesso ai CIE (è chiaro che il Prefetto vi si deve adeguare).
Provate a mandare la notizia anche all’ASGI (Associazione Studi Giuridici Immigrazione); a mia conoscenza è referente locale silviacanciani@gmail.com.

Per ragioni personali ora non posso raggiungere Yasmine, cui faccio i miei più affettuosi auguri.
Mi spiace non esservi utile.
Augusta De Piero Udine tel.0432204274 

La risposta che avrei dovuto inviare
Cito dal Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”
Art. 35 Assistenza sanitaria per gli stranieri non iscritti al Servizio sanitario nazionale (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 33)  
<omissis>
3. Ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Sono, in particolare, garantiti:
a. la tutela sociale della gravidanza e della maternità, a parità di trattamento con le cittadine italiane, ai sensi delle leggi 29 luglio 1975, n. 405, e 22 maggio 1978, n. 194, e del decreto del Ministro della sanità 6 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 87 del 13 aprile 1995, a parità di trattamento con i cittadini

La domanda che ne segue è banale: potrebbe il comune di Gradisca ignorare la presenza di una cittadina italiana incinta ‘accampata’ fuori del CIE?
Evidentemente no.
Ma non mi sento di estendere il mio ragionamento alla situazione di cui sono stata informata trasmettendolo a chi di dovere perché ho avuto troppe esperienze negative e non vorrei che il sindaco di quel comune (persona che non conosco) considerasse questo fatto un problema di ordine pubblico e peggiorasse la condizione di quella poveretta.
Ormai so che per questo tipo di soggetti tutto è possibile e l’indifferenza delle istituzioni pressoché totale dal livello nazionale a quello locale (colore politico a prescindere).
Comunque ho inviato il messaggio che qui ho trascritto ai soggetti indicati alla mia sconosciuta interlocutrice.

Aghi nel pagliaio

Ho inviato il testo ricevuto anche al sito www.ildialogo.org che già ieri l’ha pubblicato.
So che quel sito nulla può fare direttamente ma la mia speranza è che la notizia sia letta da qualcuno che abbia la competenza e il ruolo per fare qualche cosa.
A volte con gli aghi perduti nei pagliai ci si punge.
Oggi su Repubblica c’è un articolo “Clandestini, Italia disumana. La Germania blocca i rinvii”.
Ora cerco un eventuale indirizzo email del giornalista che l’ha scritto e se non lo trovassi proverò a scrivergli presso la redazione di Repubblica.
Sarà un altro ago spuntato nel pagliaio … ma che altro posso fare?

15 Luglio 2012Permalink

18 maggio 2012 – Ma non si rendono conto di esagerare?

Avevo trovato un bel documento che mi sembrava giusto far conoscere e lo pubblicherò, ma non ora, perché c’è una notizia che per me diventa un segnale di degrado insopportabile. Insopportabile nella società politica e civile (o meglio impolitica e incivile).
Ho sentito che la camera dei deputati o il senato (non ricordo chi, ma è irrilevante) oggi ha trascorso tre ore a esternare scandalizzati sentimenti (o moderati sentimenti … guai a dimenticare il grigiore moderato!) in merito alla supposta imposizione di una tassa sugli animali domestici.
Preciso subito che non ho nulla contro gli animali domestici, ritengo che verso di loro sia doveroso un atteggiamento di rispetto come verso ogni vivente, che la prospettiva antropocentrica che caratterizza molta della nostra cultura sia da ridiscutere senza moderazioni e senza fanatismi. Ritengo molto positivo che ci siano persone che nella compagnia con un animale possano trovare gioia o almeno conforto nella solitudine che non hanno saputo superare altrimenti.
Poi mi chiedo il perché di tanta agitazione, parlamentare o senatoriale che sia, finita con la dichiarazione del sottosegretario che aveva dichiarato la possibilità della tassa, dichiarazione definita poi (opportunisticamente, penso) una battuta.
E qui mi spavento.
Una classe politica attenta solo alla quantità del consenso che riesce a suscitare, imbottita dai sondaggi su ogni cosa (mi chiedo cosa farebbero se un sondaggio dimostrasse che la maggioranza degli italiani ama smodatamente le pantegane o le zanzare. Proporrebbero l’eliminazione delle trappole e dei prodotti che tutelano il nostro sonno?), oggi agitata (ma non credo per il rischio di abbandono di qualche animale o di sofferenza di chi al gatto o cane domestico si accompagna ma non potrebbe sostenere la relativa tassa) non ha mai voluto dir nulla sulla questione della registrazione anagrafica dei figli di sans papier.
Me ne occupo e ne scrivo da tre anni, ma ci torno sopra.
Che un padre non possa dire, con onore e con gioia, ‘questo è mio figlio’,  se non affrontando il rischio di espulsione, non ha emozionato nessuno, impolitico o incivile che sia.
A mio parere che a un neonato possa essere negata la registrazione per ragioni di appartenenza etnica è razzismo.
Concludo: le emozioni umanitarie degli italiani si fermano ai quadrupedi, quando arrivano ai bipedi distinguono a norma di razza.
E i parlamentari lo sanno e si allineano, infischiandosi – tutti insieme – della Costituzione.
Posso dirmi disgustata e sgomenta insieme?

18 Maggio 2012Permalink

10 maggio 2012 – ALBA 2

Uno spazio per dire

Il 5 maggio, nel mio primo intervento a proposito di ALBA (come si deve scrivere Maiuscolo? Minuscolo? Con un punto fra le singole lettere per sottolinearne la natura di acronimo?), intervento sollecitato dall’amico che mi aveva scritto ‘parliamone’, avevo pensato al mio blog come luogo appunto per parlarne e poi, ripensando e rileggendo, ho per l’ennesima volta pensato a quanto scrivere sia –comunque vada- importante per me.
Uno stimolo in più me lo ha dato il Senato che ha riconosciuto gli  arresti domiciliari per il sen. De Gregorio. Il sullodato – ora PdL, già IdV –  è quel tale che, con un raggiro, fece in modo che la sen Menapace non avesse la presidenza della commissione difesa. Allora, mentre mi rammaricavo che né il partito di Lidia (Rc), né l’allora partito del De Gregorio (IdV), né i movimenti di donne in cui Lidia si era tanto spesa si fossero impegnati per garantire gli accordi già presi (sembra che le vecchie Signore non omologate facciano paura a tutti) inviai un biglietto di solidarietà a Lidia. Ci fosse stato un luogo in cui dire tentando di provocare se non una modifica della situazione una piccola insorgenza di consapevolezza di cui far uso alle successive elezioni!
Chissà se ALBA saprà assumere una simile funzione raccogliendo critiche, considerazioni, pensieri da condividere!

Il comune è una ‘cosa grande’. 

Riprendo un passo del documento fondativo.
Bisogna innescare un processo opposto che destituisca, decostruisca, ceda, decentri, abbassi, distribuisca, diffonda il potere. Bisogna riaffermare la validità della dimensione territoriale locale (ma non’ localistica’), espandendo tutti quegli spazi in cui il governo e il cittadino sono vicini l’uno all’altro. Il comune è uno di questi. Carlo Cattaneo, una delle più belle ed inascoltate voci del nostro Risorgimento, nel 1864 descrisse il comune come ‘la nazione nel più intimo asilo della sua libertà’. E aggiunse, con un pizzico di amarezza: ‘pare che fuori di codesto modo di governo la nostra nazione non sappia operare cose grandi’. Ridare spazio e poteri ai comuni, e metterli in contatto tra di loro sarebbe già in sé una ‘cosa grande’. <…>
Non basta. Il comune è un’istituzione costituzionale, non un’aggregazione di una certa tendenza politica. Un soggetto politico nuovo dovrebbe impegnarsi su tanti terreni, sia dentro le istituzioni che fuori, cercando sempre di coniugare fra di loro livelli diversi della democrazia: quella rappresentativa, quella partecipativa e quella di prossimità. In prima istanza esso dovrebbe interagire con le forze e movimenti della società civile. Essi agiscono per una grande varietà di motivi …”
Concordo pienamente ma, impegnandomi da anni su un problema specifico devo concludere che i sindaci, nella migliore delle ipotesi, sono inconsapevoli della dignità del proprio ruolo, se il loro ruolo è quello cui il documento di ALBA fa riferimento. 

Sindaci che non sanno chi sono e cosa rappresentano 

Da anni cerco di dire che la legge, che afferma essere necessario per registrare gli atti ci stato civile il possesso si un permesso di soggiorno, è un’infamia razzista (per chi voglia notizie su questo non propongo riassunti. Usando i tag anagrafe, nascita, matrimonio … nel mio blog troverà molta informazione).
Qui mi limito a due domande:
La prima è relativa ai matrimoni. Nell’estate del 2012 la Corte Costituzionale ha modificato il codice civile, stravolto due anni prima dal cd pacchetto sicurezza, ripristinando la norma per cui per registrare il proprio matrimonio non è necessario esibire il permesso di soggiorno. Hanno consapevolezza i sindaci di quanti matrimoni hanno negato dal 2009 al 2011, calpestando un diritto fondamentale ora rispettato solo per il coraggio di due coppie che hanno sporto denuncia?
La seconda è relativa alle nascite. Appena approvato il pacchetto sicurezza lo stesso Maroni – allora ministro dell’interno – ha predisposto l’emanazione di una circolare che nega la legge e quindi (ragionevole paura permettendo) ha reso possibile la registrazione anagrafica dei neonati.
E’ sufficiente una circolare per sindaci che non siano piccoli, miserevolmente diligenti burocrati, stretti fra l’ignoranza e la paura che la cultura razzista dilagante sottragga loro il consenso quando abbiano il coraggio di registrare il riconoscimento di un figlio da parte di un padre che tanto voglia (la madre quando partorisce ha una qualche protezione derivante dal segreto sanitario)?

E simili soggetti soddisfano la società civile? (ma sulla società -in-civile tornerò perché per me è un punto particolarmente dolente)

Un documento su cui riflettere

Pochi giorni fa si è ucciso un consigliere regionale bolognese che nel 2010 aveva rinunciato a concorrere alle elezioni primarie per la carica di sindaco per malattia.
Poco tempo prima, accettando con profonda convinzione di partecipare, aveva scritto:
Voglio riprendere un cammino con voi: quello dell’orgoglio di Bologna. E di tutta la comunità che in questa città vive e risiede, nessuno escluso. Insieme, con la massima trasparenza e collaborazione, proveremo a costruire la Bologna della buona occupazione e del buon vivere, della buona mobilità e della buona aria, la città della buona convivenza, dell’integrazione, delle pari opportunità, della giustizia sociale e della bellezza. Una città metropolitana solidale, accogliente e sicura. … Forse, infatti, la mia campagna elettorale potrà deludere qualcuno, perché sarà priva di offese e di parole gridate. A partire da queste primarie, dove corro per vincere, pur avendo una convinzione ben salda: se, come è già successo in precedenza, arrivassi secondo, non chiederò nulla. Anzi, lavorerò al fianco del vincitore, se possibile ancor più motivato”.
Quanti dei sindaci (e sindachesse) che non riescono a sentirsi offesi da una legge che nega una loro funzione primaria-  quella di farsi carico di chi nasce e vive sul loro territorio – potrebbero ripetere parole come quelle che ho voluto scrivere?
                                                             (continua 2 – precedente puntata 5 maggio)

10 Maggio 2012Permalink

19 aprile 2012 – Fatti e misfatti

Ieri scrivevo, a proposito dell’inchiesta di El Pais, ripresa da Time, la storia dei massicci rapimenti di bambini, seguiti da vendite, considerandolo una testimonianza che aiuta a costruire il quadro per inserire il problema dei ‘bambini fantasma’ di cui mi occupo da anni.

Il quadro di riferimento come io lo vedo
Gli esperimenti di Mengele non risparmiavano i bambini, soprattutto se gemelli.
I colonnelli argentini distrussero una generazione cui sottrassero i figli per darli in adozione a persone ‘affidabili’. Le ‘nonne di piazza di maggio’ ancora li cercano.
Le suore spagnole hanno fatto più o meno lo stesso, senza bisogno di ammazzare le madri.
Ora spero che quelle sciagurate non diventino un alibi per demonizzare il cattolicesimo in nome di una cultura laica più evoluta e rispettosa dell’integrità della persona.
Purtroppo non è così e seguire questa strada di conflitto ideologico consente ad alcuni di scansare le proprie responsabilità con una copertura cui organizzazioni cattoliche hanno più volte dato credibilità.
La penalizzazione dei figli di sans papier, la cui esistenza non è riconosciuta come loro diritto ma affidata alla transitoria labilità di uno strumento burocratico (la circolare!), unisce religiosi e laici, credenti e atei nella stessa volontà di devastazione, almeno in Italia.
Da parte di esponenti di associazioni e organizzazioni che dicono occuparsi di diritti umani in genere e di migranti in particolare mi è stato detto essere impossibile un intervento perché non ci sono denunce di fatti.
Forse che la negazione della registrazione anagrafica messa in legge non è un fatto?

Fatti che forse susciteranno un provvisorio, labile clamore
Il primo: L’occasionale presenza di un regista a bordo di un aereo che trasportava persone espulse ha documentato la presenza di mani legate e di nastro adesivo sulla bocca.
Chi è responsabile di un simile trattamento? Le vittime in questione erano state informate del diritto a chiedere asilo?
Il secondo: Una cittadina moldava è morta in circostanze non ancora chiarite e trapelate a due giorni dai fatti nel Commissariato di Villa Opicina(Trieste).
Adesso le anime buone, capaci di vedere i fatti solo nei macelli, hanno di che guazzare prima di passare ad altro.

Walter Benjamin: quando è impossibile liberarsi dalla memoria che si affolla di nomi.
So che verrò considerata fanatica ed esagerata più di quanto non capiti normalmente ma mi è venuto in mente il filosofo Walter Benjamin quando, fermato dalla polizia  al confine franco-spagnolo,la notte fra il 26 e il 27 settembre 1940 si uccise, rifiutando la possibilità di cadere in mano ai nazisti.

Klee - Angelus novus. 1920

 Benjamin aveva scritto: “C’è un quadro di Klee che s’intitola ‘Angelus Novus’. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, al bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. ” (Tesi di filosofia della storia).

20 Aprile 2012Permalink

18 aprile 2012 – Spagna – Lo scandalo dei bambini rapiti: tombe vuote e una monaca zitta.

Il 15 aprile, durante la trasmissione Radio3 mondo, ho ascoltato la presentazione di un articolo di Time che ho ritrovato e tradotto (ringrazio Laura per la revisione).
Qui ne riporto il titolo originale: Spain’s Stolen-Babies Scandal: Empty Graves and a Silent Nun By Lisa Abend / Madrid Friday, Apr. 13, 2012.
Più sotto ho inserito il link che porta a Time.
Per ora mi limito a pubblicarne il testo ma a giorni proporrò il mio commento sperando che altri intervengano.
Infatti è una testimonianza che aiuta a costruire il quadro per inserire il problema dei ‘bambini fantasma’ di cui mi occupo da anni.

Traduzione dal Time

La donna anziana che lunedì mattina ha lasciato il tribunale di Madrid era curva e spettrale, ma né l’ovvia debolezza né il semplice abito blu che indossava hanno impedito alla piccola folla di spettatori di  contestarla clamorosamente. Una donna gridava ”Vergogna! Come hai potuto causare tanto dolore?”
Si pensava che lunedì sarebbe stato il giorno che avrebbe dato una risposta a coloro che si ritengono vittime di decenni di rapimenti di bambini in Spagna. La religiosa chiamata a testimoniare, suor María Gómez Valbuena, é la prima persona formalmente accusata per il suo presunto coinvolgimento in un piano che si dice abbia sottratto migliaia di neonati alle loro madri per venderli a genitori adottivi.
Ma una volta davanti al giudice Gómez ha esercitato il suo diritto a non parlare.
E più tardi quello stesso giorno in un incontro con i rappresentanti delle associazioni delle vittime esponenti ufficiali del governo spagnolo hanno ammesso che, sebbene volessero impegnare mezzi dell’amministrazione per cercar di riunire i neonati alle loro madri, le probabilità di assicurare alla giustizia chi aveva diviso   famiglie erano deboli.
Qualcosa come 1500 accuse di rapimento di bambini, collocabili dai tardi anni ’50 alla metà degli anni ’80, sono state presentate in Spagna negli ultimi due anni. La maggior parte segue lo stesso agghiacciante racconto: una madre sola o una donna sposata che avesse giù parecchi bambini partoriva un piccolo in evidente buona salute ma subito le veniva detto – spesso da una suora che lavorava come infermiera- che il piccolo era morto. Sebbene i genitori adottivi avessero spesso pagato consistenti somme di denaro per i loro bambini, l’ideologia più che l’avidità sembra essere stata il movente dei ladri. “Quelli sono suore e preti che credevano fermamente che il bambino sarebbe stato meglio   con una famiglia più tradizionale o più ‘morale’”, spiega la giornalista Natalia Junquera che ha condotto l’investigazione sui rapimenti per conto del giornale El Pais. “Pensavano onestamente di fare la cosa giusta”.
Da quando, più di un anno fa, i primi casi cominciarono ad attrarre l’attenzione, i test del DNA hanno riunito sei madri con i loro bambini che credevano morti. Dozzine di genitori hanno scoperto che le tombe in cui credevano di aver sepolto i loro bambini di fatto erano vuote, o che i registri dello stato civile non contenevano i certificati di morte dei bambini che loro pensavano fossero morti alla nascita.
E fino a suor Maria nessuno era stato realmente incriminato. I tribunali avevano chiuso molti casi per mancanza di prove.
 “Gli accusatori sono frustrati” dice Junquera. “Hanno evidenziato qualche cosa di sbagliato – cosa può esserci di più chiaro di una tomba vuota? – ma nulla che possa essere dimostrato in tribunale”.
Le vittime avevano sperato che le accuse contro Suor Maria avrebbero cambiato tutto questo. La suora era stata imputata dopo che i test del DNA avevano riunito Maria Luisa Torres a sua figlia Pilar che lei non aveva più visto dalla nascita.
Secondo quanto da lei testimoniato in tribunale, nel 1982 Torres aveva 24 anni e si era separata dal marito quando era rimasta incinta di un altro uomo. Aveva sentito di una suora della clinica Santa Cristina che aiutava le donne nella sua situazione e si era incontrata con suor Maria, e poi, entrata in clinica, una volta iniziato il travaglio, l’aveva avvicinata di nuovo. “Dopo il parto mi disse che mia figlia era morta” ha spiegato Torres alla stampa. “Poi mi disse che la piccola era stata data a un’altra famiglia. E mi minacciò che se me ne fossi ancora occupata  avrebbe detto alle autorità che ero un’adultera e loro mi avrebbero strappato anche l’altro mio bambino”.
Venerdì il padre adottivo della figlia che Torres aveva perduto testimoniò che lui e sua moglie avevano pagato la loro figlia a suor Maria, sebbene allora ritenessero di sostenere le spese di una giovane donna in difficoltà. “Suor Maria era una donna molto forte. Ora la vedo e non la riconosco.  Era una donna terribilmente fredda, ma io le ero immensamente grato perché mi aveva dato una figlia”.
Negando tutto, lo stesso giorno in cui era comparsa in tribunale suor Maria rese nota una pubblica lettera affermando che l’idea di separare una bambina dalla sua madre biologica per lei era “ripugnante”. Sebbene rimanga sotto investigazione giudiziaria, senza prove che confermino che aveva esercitato una coercizione nei confronti di Torres per farsi dare la sua piccola, la possibilità che lei – o qualcuno degli altri dottori, infermiere, suore e preti a quanto si dice coinvolti in questo caso – vengano giudicati, è minima.
Richiesta di cosa provi a proposito del procedimento di lunedì Inés Madrigal ha risposto con una sola parola: ‘indignazione’. La 42enne lavoratrice delle ferrovie aveva capito che c’era qualche cosa di sbagliato nella sua adozione quando ne aveva visto la documentazione che le era risultata falsificata. Il medico che aveva assistito alla sua nascita al Santa Caterina era evidentemente uno con cui suor Maria lavorava spesso ed è offesa da quello che chiama ‘il tremendo cinismo’ della suora.
Come molti altri spagnoli che ora sospettano di essere stati bambini venduti si è sottoposta al test del DNA e sta facendo il possibile per identificare la sua madre biologica.
“Abbiamo dovuto diventare detectives” dice Madrigal, “confrontare i registri di stato civile, riportare alla luce tombe. Sapevo che c’era qualche cosa di sbagliato nella mia adozione perché me lo sentivo. Ma la legge è indifferente ai sentimenti.”

Chi volesse risalire alla trasmissione Radio3 mondo può farlo da qui.

20 Aprile 2012Permalink

27 marzo 2012 – Cittadinanza o anagrafe?

Due fratelli bosniaci – trattenuti in un Centro di Iden tificazione ed Espulsione –ne sono usciti a seguito della sentenza di un giudice di Modena.
Trascrivo da Il resto del Carlino che, fra le varie fonti che ho cercato di raccogliere, mi è sembrato equilibrato nell’esposizione:
“Modena, 22 marzo 2012 – Andrea e Senad, i due fratelli di origine bosniaca trattenuti al Cie e finiti al centro di una lunga polemica, sono stati rilasciati. Il giudice di pace ha infatti accolto il ricorso dei due fratelli ed ha annullato il decreto di espulsione emesso dal questore di Modena. L’avvocato Luca Lugari ha dichiarato che si tratta di una sentenza storica, perché sancisce l’impossibilità di espellere chi è nato in Italia da genitori stranieri. E’ la prima volta in Italia che questo principio viene affermato da un magistrato”.

Quel che capisco io

I due fratelli stavano in un centro di identificazione: perché?.
Evidentemente  qualcuno aveva dubitato della loro identificazione ma, nati in Italia più di vent’anni fa – quindi precedentemente al pacchetto sicurezza –, la loro identificazione, garantita dalla registrazione anagrafica, non era e non è soggetta a dubbio.

Quel che mi aspetto

Strilli di coloro che, singoli, associati o organizzati in rete si proclamano difensori dei diritti dei migranti, per sostenere (come fa la Lega per trarne opposte conclusioni) che è stata loro riconosciuta la cittadinanza italiana (cosa manifestamente impossibile, a mio parere).
D’altra parte ho ampia casistica di persone (anche con responsabilità istituzionale) che confondono cittadinanza e registrazione anagrafica).

Quel che non mi aspetto

1 -Un sussulto di decenza parlamentare per togliere quel residuo del pacchetto sicurezza che vuole non registrabili i figli di immigrati irregolari  (ho scritto decine di volte che – a mio parere – la circolare emanata in contraddizione con la legge non è misura adeguata e sufficiente anche se funziona);
2 – un’assunzione di responsabilità da parte dei sindaci per rivendicare, anche su questo problema, la loro dignità di Ufficiali di stato civile in uno stato democratico;
3 – un sussulto di decenza da parte della società civile variamente organizzata perché la smetta di usare i proclami di presunta solidarietà per finalità esclusiva di opposizione politica e pre elettorale.

27 Marzo 2012Permalink

19 marzo 2012 – Apolidi e UNHCR

L’ UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha recentemente reso pubblico un documento che l’Associazione Studi Giuridici Emigrazione (ASGI) ha riportato nel suo sito, corredato dallo studio (in inglese) su cui il testo  si fonda.
Il documento è limpido.
Si apre con un’affermazione che, in un paese che si considera civile, dovrebbe dar luogo a conseguenze che non interessano né i cittadini italiani, né i legislatori: “Un bambino che nasce apolide oggi affronterà un futuro incerto ed insicuro” e precisa che “A livello globale, gli apolidi, ovvero le persone che non posseggono la nazionalità di alcuno stato, sono circa 12 milioni, di cui addirittura la metà potrebbero essere bambini”
Poi ci propone la seguente considerazione: “Gli apolidi sono tra le persone più povere ed emarginate al mondo, spesso sono popolazioni invisibili che risultano difficili da censire”.
In Italia tale difficoltà – che il documento UNHRC riferisce all’impossibilità delle madri in alcuni paesi dell’Africa, dell’Asia e anche americani ad attribuire ai figli la propria cittadinanza anche autonomamente dal marito e comunque dal padre del bambino – permane in legge, limitatamente ai figli di coloro che, privi di permesso di soggiorno, dovrebbero esibirlo all’atto dell’iscrizione dei nuovi nati, esponendosi così al rischio di espulsione.
A fronte della vergogna di questa norma l’allora Ministro dell’Interno Maroni ‘rimediò’ con una circolare che dice essere obbligo iscrivere in ogni caso il neonato nei registri dello stato civile del comune al fine di garantirgli il certificato di nascita (Non credo di dover chiarire ulteriormente dato che da tre anni scrivo nel mio blog di questo problema e non mi faccio scrupolo a diffondere gli scritti. Mi collego comunque al più dettagliato mio intervento in merito come pubblicato dal mensile genovese Il Gallo).
Se da allora è possibile riconoscere i propri figli a seguito di una circolare permane però in legge la negazione della genitorialità che sarebbe possibile cancellare senza nessun passaggio parlamentare.
Credevo che i cittadini italiani si sarebbero sentiti offesi dalla presenza in  legge di una norma di sapore razzista (come altro definire la discriminante burocratica identificata da rappresentanti delle istituzioni proni alla cultura della Lega Nord?).
Credevo ma sbagliavo perché la questione non interessa neppure – fatte salve  pochissime eccezioni fra cui ricordo il GrIS– le organizzazioni che si dichiarano interessate ai diritti dei migranti, comprese quelle che –per meglio tutelarli – si sono messe in rete.
A questo punto mi sento finalmente di dichiarare un mio sospetto.
I neonati, di cui mi sono interessata, non votano, non chiedono di votare, non manifestano in piazza, non si aggregano per onorare con la loro presenza gli autoproclamati tutori di diritti (o almeno di alcuni diritti).
Non offrono fama e onore, o almeno visibilità, a chi eventualmente li protegga.
Ora, a seguito del documento dell’UNHRC potrebbe esserci qualche progetto finanziato a promuovere una legislazione intesa ad evitare l’apolidia nei paesi in cui vi sono difficoltà (almeno quelle di genere) a riconoscere i propri figli e garantire loro il godimento della cittadinanza nello stato in cui sono nati o almeno quella dei loro genitori (fosse pure uno solo di essi).
E allora associazioni (e anche chiese? Perché no? L’ipocrisia è ben diffusa) andranno, forti della loro civile provenienza, a spartirsi il bottino o almeno offriranno il loro consenso a chi può spartirselo. Sarà un bottino miserello? Meglio che nulla:  siamo in crisi! E, in ogni caso, un impegno per sollecitare una modifica della legge non assicurerebbe guadagno alcuno.
Ricordo che una proposta di modifica c’è, è all’attenzione del parlamento, ma viene ampiamente ignorata.

19 Marzo 2012Permalink

12 gennaio 2012 – Il futile ci può annientare (seconda e ultima puntata)

Futilità diffuse

Avevo concluso la prima puntata con una citazione di Saba: “Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli!”.
Saba  scriveva durante il regime  fascista, forse durante una guerra coloniale o la seconda guerra mondiale. e la parola ‘uccidere’ gli veniva diretta e spontanea. Oggi la situazione è più viscosa, ma non meno drammatica perché, se qualcuno può permettersi di riferire a una sorta di cupo folclore squadre securitarie padane e organizzazioni neonaziste (ma almeno gli omicidi di Firenze dovrebbero insegnarci qualche cosa!) , stiamo uccidendo, soffocandoli nel ‘futile’, i fondamenti della nostra democrazia che è base per una nostra decente convivenza.
Certamente sarà importante una modifica della legge elettorale (ma ci sarà? Saprà il parlamento, dopo la bocciatura della consulta, trovare un guizzo di dignità e approvare un’altra legge?)  che ci consenta di votare scegliendo persone competenti e responsabili, che non siano il frutto di giochi di segreterie di partito che sono riuscite a selezionare (qualche eccezione a parte) il peggio del peggio.
Le persone  ‘futili’ evidentemente galleggiano meglio di chi si assume il peso del pensiero articolato e della conseguente responsabilità.
E le persone futili abbondano ovunque.

Il mio microcosmo regionale

Continuo ad osservare la deriva nel mio  microcosmo perché ritengo che non si debba sottovalutare l’importanza delle realtà istituzionali locali e delle manifestazioni locali della società non sempre civile.
Avvicinandomi alla conclusione della precedente puntata avevo detto che avrei ripreso il mio esame della proposta di legge regionale n. 62:  <<Politiche della pace, non violenza attiva e salvaguardia dei diritti umani nella regione Friuli Venezia Giulia>> (Presentata il 14 aprile 2009).
E’ firmata da 10 consiglieri così suddivisi nei gruppi di appartenenza: PD (5), La Sinistra L’Arcobaleno  (3),  Cittadini  – Libertà civica (1), Italia dei Valori – Lista Di Pietro (1).
Ho seguito l’iter della proposta già durante la legislatura precedente (quando, con diversa maggioranza, era un disegno di giunta) e mi ha lasciato più che perplessa, sgomenta.
Infatti durante la procedura iniziale venivano convocate associazioni e organizzazioni interessate che erano inviate a dire i propri desideri su obiettivi da introdurre in legge senza che vi fosse un quadro delle funzioni proprie della regione in materia. 
Mai ho sentito una ben articolata valutazione  dell’art. 117 della Costituzione (come modificato nel 2001 e mai citato neppure nella relazione introduttiva alla proposta) che – dopo una lunga e puntuale elencazione delle materie legislative di competenza esclusiva dello stato, recita:  “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni” (e via nuovamente elencando). 
Per mia esperienza non c’è stata mai risposta articolata a considerazioni e critiche pur espresse finché alla fine di quella strana procedura si è manifestato il consenso di chi aveva titolo a rappresentare le associazioni più interessate alla materia, certamente con parole alte e nobili, ma che si limitavano all’esegesi dei termini del titolo della proposta di legge.
Non avendo ricevuto spiegazioni in proposito mi attengo alla mia interpretazione che tutte le indicazioni in materia di ‘Politiche della pace, non violenza attiva e salvaguardia dei diritti umani’  sono sottratte alla competenza del consiglio regionale e, affidate a uno strano organismo (Agorà della pace) funzionale più a una delega che alla partecipazione, verranno attuate dall’Amministrazione regionale in un clima – a mio parere- più di clientela che di buon governo.
Chi volesse leggere la proposta di legge n. 62 potrà farlo anche da qui.
Io non posso che considerare provvidenziale –in un quadro certamente riferibile a un principio di eterogeneità dei fini – il fatto che l’attuale giunta regionale mai farà passare una simile norma, per motivi evidentemente opposti a quelli che hanno ispirato le mie valutazioni.

Il mio microcosmo comunale

Se una sedicente sinistra in regione è all’opposizione, nel comune di Udine invece governa ma, per i problemi di cui mi sto occupando, è altrettanto sconsolante.
Quando mi resi conto che nel pacchetto sicurezza c’era una norma, criptica ma ineludibile, che impediva la registrazione degli atti di stato civile per chi non disponesse del permesso di soggiorno pensai che chi ha l’onore e l’onere di registrarli (cioè il sindaco nella sua funzione di ufficiale di stato civile) dovesse sentirsene turbato e reagire.
Reazioni del sindaco non ne ho viste  ma un componente della sua giunta, cui avevo ingenuamente scritto, mi ha fatto sapere che io sono una persona che quando sbaglia non si corregge.
Mai rampogna fu così illuminante: infatti mi accompagnerà al momento del voto, quando starò ben attenta a non sbagliare,  dato che ho appreso da rimprovero autorevole che non potrei poi correggermi.
E’ un altro interessante esempio di eterogeneità dei fini.
Ora la strada dell’errore che avevo descritto (per ciò che concerne le nascite) nel mio articolo pubblicato il 15 marzo scorso (raggiungibile da qui) ha due fermi paletti che mi sembrano interessanti (anche se forse infastidiranno il sullodato assessore): uno riguarda i matrimoni la cui celebrazione non richiede più – e lo dice la Corte costituzionale- la presentazione del permesso di soggiorno (si veda il mio articolo del 2 luglio   scorso, raggiungibile da qui), l’altro è la presentazione della proposta di legge Orlando (si veda il mio articolo del 5 dicembre scorso, raggiungibile anche da qui).
Speriamo che il parlamento la discuta.   

E adesso?

Adesso il peso di quella negazione della registrazione delle nascite personalmente mi turba meno: il fatto che vi sia una proposta di legge (opportunamente affidata non ad organismi che si occupano di assistenza ma alla commissione Affari Costituzionali) mi rassicura.
Continuo però a chiedermi perché nessun parlamentare abbia sentito prima d’ora il dovere di reagire pur constatando come la Corte Costituzionale, via via interpellata, faccia a pezzi il pacchetto sicurezza e ciò che ne consegue anche nelle leggi regionali.
Non dimentico che la sollecitazione all’on. Orlando è venuta da una consigliera provinciale donna, anche se l’esperienza degli ultimi anni mi ha tolto ogni speranza nella determinazione di una ragionevolezza di genere che sembra dissipata, salvo casi personali.
E continuo a chiedermi quanti matrimoni siano stati negati –da sindaci umiliati a podestà- a chi non possedeva il permesso di soggiorno nei due anni trascorsi fra l’approvazione della legge e la sentenza della Consulta.
Adesso mi dedicherò ad aggiornare e rinnovare i modi di comunicazione del mio blog che negli ultimi anni aveva doverosamente scelto di essere quasi monotematico.

12 Gennaio 2012Permalink

22 dicembre 2011 – Donne sotto traccia 8

Rosi e i  diritti dei bambini.

Rosi, o meglio la pediatra neonatologa Rosalia Maria Da Riol, lavora all’ospedale di Udine ma ha fatto esperienze professionali anche  all’estero, sia nell’ambito di Organizzazioni non Governative che dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. E’ stata in Mozambico, Sudan, Gaza, Albania, Brasile e viene naturale chiederle quali indicazioni tragga per la sua attività professionale da queste esperienze. “In ogni caso il pediatra – ci dice – deve assicurare un’attenzione forte e costante al bambino come soggetto di diritti e non come oggetto di cure e ciò comporta una visione globale della sua salute. Inoltre l’approccio più clinico che strumentale che l’organizzazione dei servizi sanitari in paesi poveri impone,  si rivela utile risorsa al ritorno”.
Se da noi la Convenzione di New York sui diritti dei minori (che l’Italia ha ratificato e che nel nostro paese è legge) è arrivata come un documento  di cui fingiamo l’ovvietà rifiutandoci di considerarne le contraddizioni con la realtà,  nei paesi in via di sviluppo offre indicazioni che si fanno obiettivi  da raggiungere anche nella difesa del diritto primario alla vita tutt’altro che scontato.
I bambini infatti non sono minacciati ‘solo’ dalla fame, dalle malattie ma anche dalle distruzioni provocate da guerre che a volte li vogliono soldati e persino da politiche demografiche dagli effetti devastanti. In Cina, dove è possibile avere un solo figlio, le bambine  possono essere selettivamente eliminate  da chi voglia un maschio.
E, a questo punto, il colloquio con Rosi si sposta naturalmente sulla nostra realtà per considerare la situazione del bambino ‘straniero’ che nasce in Italia.
E’ dimostrato – ci informa- che  il rischio  di basso peso, prematurità, malformazioni congenite, asfissia perinatale è più alto per i figli di immigrati e che le condizioni di vita, determinate da  precari processi di integrazione, risultano fattori significativamente peggiorativi. E’ azzardato pensare a uno  ‘stress da razzismo’?
La nostra pediatra sottolinea che un approccio efficace in un percorso diagnostico-terapeutico è possibile solo se si giova di una relazione certa e significativa con i genitori  e insiste sulla figura paterna. E’ forse un elemento più difficile da mettere in gioco?
Lo è per tante ragioni e si declina in tante diverse situazioni non ultima quella dell’immigrato irregolare che, denunciando la nascita del figlio, e riconoscendolo se non è sposato con la mamma del piccolo, si espone al rischio di espulsione.
L’appartenenza familiare, e quindi il corretto inserimento nella vita sociale, sono radicalmente compromessi dalla mancanza di un certificato di nascita.
E’ paradossale che Rosi nei paesi in via di sviluppo si sia incontrata con organizzazioni non governative che promuovono campagne per la registrazione anagrafica del neonato e che in Italia non si reagisca al vulnus che nega ad alcuni questa certezza.
Nel primissimo approccio con la vita nascente l’assenza di un certificato di nascita impedisce l’inserimento nel  sistema sanitario nazionale, che non è solo garanzia di cure in stato di emergenza e necessità, ma ingresso nei percorsi base di salute e prevenzione a partire dalle vaccinazioni.
Nel clima di insicurezza che da tutto questo deriva può capitare che si offrano percorsi sanitari e assistenziali paralleli, realizzati da privati che non sono per sé garanzia di legalità e di intervento corretto. E a volte è proprio l’immigrato-vittima che, sostenendoli per necessità, se ne fa complice. 
Come sempre tutelare i diritti dei più deboli (e non sostituirli sistematicamente con scelte benefiche) assicura dignità anche alle nostre presunte sicurezze.
Da Ho un sogno – dicembre 2011  

22 Dicembre 2011Permalink

12 dicembre 2012 – I custodi dell’imene

La prima vittima: fra apparenza e realtà 

Una ragazzina denuncia uno stupro, discinta e insanguinata (almeno così la descrivono i giornali) risulta credibile e… ma sui risultati di questa credibilità tornerò dopo.
Ora voglio soffermarmi su di lei, per cui provo una grande pena.
Quando si rende conto dei risultati della sua denuncia, confessa: aveva inventato tutto.
Si trattava di una bugia difensiva perché la famiglia la voleva –povero oggetto che la compravendita tribale pretendeva integro alla prevista consegna– vergine fino al matrimonio.
Se la storia finisse qui potremmo pensare al normale sacrificio della dignità e della decenza altrui in nome di un arcaico, ma non concluso, mercato matrimoniale, in onore della famiglia patriarcale dove, se il patriarca è padrone, trova sempre complici servili quale che ne sia il genere e quale che ne sia la religione, se in una religione il clan si riconosce.
Ma la storia non finisce qui perché la ragazzina, istintivamente, capisce (o almeno io capisco così) che deve stornare l’interesse dei sui familiari-custodi dal suo imene e rivolgerlo ad altri.
Gli altri sono lì, pronti all’uso, pubblicamente pubblicizzati senza riserve di consapevolezza.
Così aveva affermato un deputato della Lega Nord: “Ora che la pioggia è riuscita nell’impresa in cui aveva fallito il sindaco Piero Fassino, ossia lo sgombero del campo nomadi abusivo sul Lungo Stura Lazio, mi auguro che il comune provvederà all’identificazione di tutti gli irregolari che vivevano in quel campo”.
E’ un’affermazione che a suo  tempo avevo letto da varie parti e che ora ho ritrovato e rendo leggibile da qui, riportando alla fine anche l’indirizzo della fonte * per esteso. 

E che i ‘colpevoli’ fossero pronti all’uso quella poveretta lo sapeva, probabilmente glielo avevano detto in casa se si è sentita in dovere di precisare che i suoi stupratori erano zingari e alla sua dichiarazione (che saranno i carabinieri a verificare non i familiari) questa famiglia, evidentemente ben organizzata,  riesce a promuovere immediatamente una crociata contro i campi rom, ripercorrendo l’antica lezione dei crociati storici che, strada facendo, non si facevano scrupolo di devastare le comunità di ebrei che la chiesa aveva indicato come deicidi.
Ognuno ha il suo dio e ognuno i suoi nemici da combattere!
C’è da sperare che ora la povera ragazzetta non sia mutilata per sempre della gioia di un fondamentale rapporto umano ma che qualcuno l’aiuti, nel far pace con se stessa (ma sarà mai possibile?), a farsi forte di quel senso di responsabilità e rispetto di sé di cui finora è stata derubata (e questa sì è violenza e di questo furto quella poveretta è stata ed è veramente vittima). 

Nella realtà, le altre vittime

Mentre la marcia proseguiva il fratello della ragazzina veniva a conoscenza della verità e –sempre che i giornali non mentano – si precipitava a fermare l’avanzata dei neo crociati, ma era troppo tardi. Chi risarcirà ora i rom cui è stata risparmiata solo la vita?

 

Ma i rom non sono le sole vittime del pregiudizio e del bisogno del capro espiatorio .
Non posso non pensare a tutti i ‘no’ che mi sono stati detti quando cercavo di sostenere la necessità di modificare la legge che pretende la presentazione del permesso di soggiorno per la registrazione della nascita, negando quindi – ai figli di sans papier e ai sans papier stessi – il diritto alla genitorialità.
E’ chiaro che dalla negazione di questo diritto discendono una serie di danni che non sto qui a ricordare (ne ho scritto per tre anni nel mio blog, chi volesse farne memoria può attivare i tag anagrafe e bambini).
Ora c’è una proposta di legge che vuole dare dignità al nostro patto sociale superando  la ferita profonda che nega il riconoscimento dell’esistenza per ragioni burocratiche (ne ho scritto nel mio blog il 2 e il 5 dicembre). Sarà sostenuta? Non lo so. 

Resta per me la ferita provocata da una politica che, a parte la scelta di mezzi cartacei e non fisici, ritengo perfettamente parallela e consona alla marcia dei neocrociati torinesi e, soprattutto, permane l’orrore che mi ha provocato l’indifferenza dei sindaci a fronte del ruolo di garanti del  territorio che dovrebbero governare, ruolo loro negato in legge a danno dei più deboli. Ed estendo questo orrore alle chiese (metto in primo luogo quella cattolica per il potere sulle coscienze e politico che le è riconosciuto) nei riguardi di questo problema. 

Nota che vorrei inutile, ma so che non lo è:  So bene che una circolare, precipitosamente emanata dall’allora ministro dell’interno Maroni, ha ‘concesso’ la registrazione anagrafica per i figli dei sans papier, ma una circolare non è legge e in legge il divieto permane.
Anche di questo ho scritto in questo mio blog e voglio segnalare che l’unica realtà associativa che, a mia conoscenza,  abbia colto il significato di questo problema (prima della proposta di legge di cui ho riferito) è stato il GrIS (Gruppo immigrazione e salute del Friuli Venezia Giulia) di cui riporto per esteso il comunicato emesso il 28 ottobre scorso (leggibile alla fonte da qui). 

Un segno di civiltà – il comunicato del GrIS

Il Gruppo Immigrazione e Salute (GrIS) Friuli Venezia Giulia (della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni – SIMM) ha aderito alla campagna ‘L’Italia sono anch’io’ che promuove due proposte di legge a iniziativa popolare relative ai diritti dei migranti.
In particolare il GrIS del FVG ritiene che la proposta di Nuove norme sulla Cittadinanza, riconoscendo ad ogni nuovo nato in Italia il diritto ad esserne cittadino, attengano direttamente ai propri obiettivi di promozione della salute come diritto umano al completo benessere fisico, mentale e sociale, come ribadito, nel maggio di quest’anno, dalle “Raccomandazioni finali dell’XI Congresso della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni”
Poiché è chiaro che un diritto è tale solo se si declina in termini di uguaglianza, il GrIS del FVG non può non guardare con preoccupazione alla legislazione in vigore che – dal 2009- impone ai migranti irregolari che vogliano registrare la nascita del proprio figlio la presentazione del permesso di soggiorno, documento che – per definizione – non possiedono.
Qui non si tratta di attribuzione di cittadinanza ma di garantire ad ogni bambina e ad ogni bambino sin dalla nascita, un nome e una nazionalità, come vuole la Convenzione di New York del 1989 che in Italia è legge (n.176/1991) evitandone la discriminazione in nome di un cavillo burocratico.
L’assenza di un certificato di nascita comporta gravi conseguenze per la tutela della salute.
Siamo al corrente che è stata precipitosamente emanata dal governo, a pochi giorni dall’approvazione del ‘pacchetto sicurezza’ una circolare interpretativa che apre una procedura che rende possibile la registrazione anagrafica delle nascite.
Ma ciò non basta.
La Corte Costituzionale ci ha recentemente ricordato che i diritti inviolabili dell’uomo, di cui leggiamo negli artt. 2 e 3 della Costituzione, appartengono “ai singoli, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”. Non possiamo perciò accettare che il diritto alla salute, di cui anche come operatori del settore siamo garanti, e ogni altro diritto inviolabile che appartiene ad ogni essere umano, sia affidato per alcuni bambini alla labilità di una circolare e non a una norma di legge che regoli la nostra convivenza civile.
Chiediamo perciò al Parlamento italiano di modificare con la necessaria urgenza la lettera g) del comma 22 dell’art. 1 della legge 94 del 2009 (cd. pacchetto sicurezza).

 

NOta finale: 

Al riferimento  della fonte * relativa alle dichiarazioni pro alluvione di un deputato leghista aggiungo anche alcuni riferimenti ad articoli di giornali che descrivono la vicenda della efficace crociata torinese 

* http://www.polisblog.it/post/12287/per-la-lega-lalluvione-a-torino-sgombera-i-campi-rom-dato-di-fatto-o-razzismo  

http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/12/12/news/santini_ovunque_e_tapparelle_chiuse_sandra_piange_ora_come_ne_esco-26452967/?ref=HREC1-4 

http://torino.repubblica.it/cronaca/2011/12/11/news/torino_ultr_bruciano_il_campo_ro
m_terrore_per_uno_stupro_inventato-26420781/?ref=HREC1-1  

http://www.corriere.it/cronache/11_dicembre_10/torino-caccia-stupratori_46a32a40-2341-11e1-bcb9-01ae5ba751a6.shtml  

http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/433883/

12 Dicembre 2011Permalink