16 luglio 2014 – I bambini obiettivi militari,

Uccidere i bambini. Oggi a Gaza, ieri in Cisgiordania e domani?

Devo alla attenzione di Marco Menin di Verona la segnalazione di un articolo pubblicato su Internazionale che riporto per intero.

L’obiettivo di Israele sono i civili  14 luglio 2014

Lo scopo dell’operazione Margine protettivo è riportare la calma. Il mezzo per raggiungerlo è uccidere civili. Lo slogan della mafia è diventato la politica ufficiale di Israele.

Israele crede davvero che, se uccide centinaia di palestinesi nella Striscia di Gaza, regnerà la calma. Distruggere i depositi di armi di Hamas, che ha dimostrato di sapersi riarmare, è inutile. Abbattere il governo di Hamas è un obiettivo irrealistico (e illegittimo) che Israele non vuole raggiungere, ben sapendo che l’alternativa potrebbe essere molto peggiore. Quindi l’unico scopo possibile di questa operazione militare è questo: morte agli arabi, con il plauso delle masse.

L’esercito israeliano ha già una “mappa del dolore”, un’invenzione diabolica che ha preso il posto della non meno diabolica “banca degli obiettivi”, e questa mappa si sta allargando a ritmi nauseanti. Basta guardare le trasmissioni di Al Jazeera in lingua inglese – una tv equilibrata e professionale, a differenza della sua versione araba – per comprendere la portata del successo. La verità non la vedrete negli studi “aperti” di Israele – aperti, come al solito, soltanto alle vittime israeliane – ma la vedrete tutta intera su Al Jazeera, e forse resterete perfino scioccati.

A Gaza si stanno ammucchiando i cadaveri. È il conteggio disperato, e incessantemente aggiornato, delle uccisioni di massa di cui Israele si vanta, e che a mezzogiorno di sabato scorso già comprendeva decine di civili, compresi 24 bambini, più centinaia di feriti che andavano a sommarsi all’orrore e alla devastazione. Sono già stati bombardati una scuola e un ospedale. Lo scopo è colpire case, e nessuna giustificazione al mondo può bastare: è un crimine di guerra, anche se le forze armate israeliane definiscono questi obiettivi “centri di comando e controllo” o “sale riunioni”.

Fin dalla prima guerra del Libano, cioè da più di trent’anni, uccidere arabi è il principale strumento strategico di Israele. L’esercito israeliano non combatte contro altri eserciti: il suo obiettivo primario sono i civili. Tutti sanno che gli arabi nascono solo per uccidere ed essere uccisi: non hanno altro scopo nella vita, e così Israele li uccide.

Naturalmente, non si può non indignarsi per il modus operandi di Hamas. Non solo punta i suoi razzi contro centri abitati da civili in Israele e si posiziona all’interno di centri abitati (forse non ha alternativa, considerato l’affollamento della Striscia di Gaza): Hamas lascia la popolazione civile di Gaza indifesa di fronte ai brutali attacchi israeliani e non predispone sirene antiaeree, rifugi o spazi protetti. È un comportamento criminale. Ma i bombardamenti dell’aviazione israeliana non sono meno criminali, negli effetti e nelle intenzioni.

Nella Striscia di Gaza non c’è un solo edificio in cui non abitino decine di donne e bambini, quindi l’esercito israeliano non può sostenere di non voler colpire civili innocenti. Se la recente demolizione della casa di un terrorista in Cisgiordania ha ancora suscitato qualche protesta, per quanto flebile, in queste ore si stanno distruggendo decine di case, e con esse i loro abitanti.

Generali a riposo e commentatori in servizio attivo fanno a gara per avanzare la proposta più mostruosa: “Se gli ammazziamo i parenti, si spaventeranno”, ha spiegato senza batter ciglio il generale Oren Shachor. “Dobbiamo creare una situazione tale per cui, quando usciranno dalle loro tane non riconosceranno più Gaza”, ha detto qualcun altro. Senza pudore e senza essere messi in discussione, almeno fino alla prossima inchiesta delle Nazioni Unite.

Le guerre senza scopo sono quelle più spregevoli. Prendere deliberatamente di mira i civili è uno dei mezzi più atroci. Ora il terrore regna anche in Israele, ma è improbabile che anche un solo israeliano possa immaginare cosa significa questa parola per il milione e 800mila abitanti di Gaza, la cui vita, già infelice, ormai è assolutamente raccapricciante. La Striscia di Gaza non è “un nido di vespe”, come è stata chiamata, ma una provincia della disperazione umana. Nonostante le sue strategie del terrore, Hamas è tutt’altro che un esercito. Se è vero, come si va dicendo, che a Gaza Hamas ha scavato una rete tanto sofisticata di tunnel, perché non costruisce anche la metropolitana leggera di Tel Aviv?

La soglia delle mille incursioni e delle mille tonnellate di bombe sganciate è stata quasi raggiunta, e Israele aspetta una “foto della vittoria” che è già stata ottenuta: morte agli arabi.

Traduzione di Marina Astrologo

Il ricordo di Kristen Saada

Quando arrivai a Betlemme nel 2003 restai sconvolta dall’immagine e dalla storia della piccola Kristen Saada (Christine). Conobbi la storia del suo omicidio da un  articolo di Gideon Levy e ne scrissi nel mio diario di allora.
Al mio ritorno a Betlemme due anni dopo  ne riparlai su Peace Reporter e più tardi ancora sul mio diariealtro.

Riporto i link.
it.peacereporter.net/articolo/2841/Cartoline+dalla+Palestina+5
diariealtro.it/?p=511

16 Luglio 2014Permalink

7 luglio 2014 – Assumersi responsabilità anche per conto d’altri: un necessario dovere

Il primo fu Willy Brandt Willy_Brandt

 

 

 

 

7 luglio 2014 –  Pedofilia, il Papa: “Chiedo perdono per peccati e gravi crimini sessuali del clero”

A Santa Marta tre ore di incontri privati con sei vittime di abusi da parte di religiosi. Padre Lombardi: “Colloqui coinvolgenti, intensi, molto impegnativi. Il Pontefice ha mostrato che l’ascolto aiuta a capire

5 luglio 2014  Scandalo pedofilia nel Parlamento Inglese
“Chi ha insabbiato l’inchiesta?”

Mi chiedo
Capiterà mai che in Italia qualcuno si assuma la responsabilità di aver creato per legge bambini privi di protezione, ridotti ad appetibile merce?
e che qualcuno decida di uscire dalla sonnolenza del silenzio?
Dopo otto mesi la petizione a Boldrini ha raggiunto 487 firme. Ridicolo!

E c’è chi sa essere responsabile.

Articolo pubblicato il: 06/07/2014

A Oppido Mamertina anche la Madonna si inchina al boss mafioso. Non è bastata infatti la scomunica del Papa alla ‘Ndrangheta per far perdere l’abitudine di chinare il capo davanti ai capimafia. Così è successo – come riportato oggi dal ‘Quotidiano della Calabria’ – che durante la processione della Madonna delle Grazie nella cittadina del Reggino, il corteo religioso si sia fermato davanti alla casa del capomafia Giuseppe Mazzagatti: trenta secondi di sosta per simboleggiare l’inchino al potente boss di 82 anni, ai domiciliari per motivi di salute.

Un gesto insopportabile per cittadini con la schiena dritta e tanto più per i carabinieri. Sdegnato, il maresciallo di Oppido, Andrea Marino, ha così deciso di abbandonare platealmente la manifestazione insieme agli altri militari.

Ma non solo. ”Il maresciallo si è scostato rispetto alla processione – spiega all’Adnkronos il comandante provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, colonnello Lorenzo Falferi – per poter filmare con una telecamera il gesto dell’inchino davanti all’abitazione del boss, e procedere all’identificazione sia dei portatori della statua sia di chi ha dato l’ordine di compiere questo gesto”.

 

7 Luglio 2014Permalink

4 luglio 2014 – Chi vuole rappresentarmi paga il prezzo!

Il 25 maggio avevo scritto alla on. Kyenge in merito alla questione della registrazione anagrafica negata ai figli delle persone prive di permesso di soggiorno lettera leggibile anche da qui ).
Il primo luglio avevo contattato (e riportato la lettera sul blog) l’on. Maltese e di nuovo l’on. Kyenge nella sua veste ‘ufficializzata’ di Parlamentare europea
(lettera leggibile anche da qui) .

Così mi ha risposto:

Cara Augusta,
Grazie per la tua lettera e le tue parole. Ho promosso in campagna elettorale che avrei. Seguito il caso e lo farò. Ti ringrazio per l’umanità che sprigioni nelle tue parole e per la perseveranza. Insieme si vince o si perde e sarò sempre affianco chi con passione porta avanti battaglie di civiltà per riportare alla ragione e al senso della vita! A presto. 

E così le do riscontro del prezzo ‘pagatomi’ in quanto ‘cittadina rappresentata’

Gentile onorevole,
ti ringrazio per la lusinghiera risposta e soprattutto per la volontà che esprimi di volere ‘mantenere la promessa’.
E’ importante.
Quanto alla perseveranza … chiamiamola testardaggine che forse termine più consono alle mie non  troppo elette virtù:
Quella che tu chiami umanità è un atto di solidarietà dovuto che si è affinato e fatto passione durante gli ormai lontani anni di insegnamento quando comunicavo ai miei studenti (come in  altro modo ai miei figli) la faticosa e ondivaga crescita della democrazia in Europa (insegnavo storia e filosofia).
Ora attendo con speranza e fiducia.
Con i più cordiali auguri di buon lavoro.

E adesso vediamo se i parlamentari italiani coglieranno l’invito alla ‘battaglia di civiltà’ che ci riporti alla ‘ragione e al senso della vita’ come dice l’on. Kyenge, rimediando allo strappo perpetrato nel 2009.
L’ultima che ho contattato è la sen. Fasiolo, di recente nomina, dopo aver più volte scritto ai deputati firmatari della pdl 740 (leggibile da qui)  che si giace da un anno alla Commissione Affari Costituzionali.

4 Luglio 2014Permalink

3 luglio 2014 – Un’altra prima guerra mondiale

Sul mensile Ho un sogno abbiamo deciso di pubblicare qualche nota sulla prima guerra mondiale avendo come punto di riferimento le vittime civili – in sostanza la popolazione tutta – per cui non sembra esserci molto spazio nelle celebrazioni ufficiali.
Mentre mi predisponevo a trascrivere quanto pubblicato in giugno sul mensile Ho un sogno (i due testi precedenti sono stati inseriti in questo diario il 31 maggio e si possono leggere anche da qui)  ci è giunta un’intervista anche questa leggibile nel quadro di un punto di vista diverso da quello celebrativo. La trascrivo di seguito, rappresenta un altro punto di vista non troppo diffuso  in un clima celebrativo-militare

Ho un sogno – giugno

A PESTE, FAME ET BELLO LIBERA NOS DOMINE

Il 4 novembre 1918, mentre il generale Diaz ci racconta che “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza” un povero curato di Cleulis (Paluzza), ferito e derubato chiede giustizia. La lunga lettera di cui riportiamo alcuni tratti, ritrovata dentro il registro dell’archivio parrocchiale dal parroco del paese dei genitori del sacerdote mittente, nel 1972 venne trascritta nel mensile ‘Quattrogatti’, una pubblicazione friulana che per quattro anni provò a dar voce alle speranza suscitate nel mondo cattolico e non solo dal Concilio Vaticano secondo.
Terza puntata della rassegna sulle “Storie senza vittoria” in occasione del centenario della I guerra mondiale.
Le immagini sono tratte dal sito www.donneincarnia.it/ieri/cleulis.htm.

Genitori carissimi,
lettera lunga, cosa insolita … ma sono insolite anche le cose che sto per narrarvi.
[… ]Tutto andò bene fino agli ultimi di ottobre, quando s’incominciò a scorgere dei grandi gruppi di soldati che venivano su da Paluzza…. Si parla di una grande ritirata, si dice che gli Austroungarici si ritirano per far luogo agli Italiani […]
Le cose si fanno serie: saccheggi e ruberie, accompagnati da minacce. Intanto sono partiti anche i gendarmi e noi tutti, mille e più abitanti, restiamo a discrezione del più forte.
Il 3 novembre sera due, tre soldati, appartenenti al 39o Reggimento di Fanteria Austro Ungarica e si fanno vedere per Cleulis a chiedere informazioni di questo e di quello, penetrare anche in chiesa a chiedere dell’abitazione del Curato.
Verso le ore 8 andiamo a dormire e ci addormentiamo. A un certo punto sento battere al muro: è la Caterina che mi chiama dalla camera attigua; e contemporaneamente sento un rumore di vetri infranti.
« Queste – pensai – sono granate da 75 che gli Italiani mandano da Paluzza» e in quella sento un altro colpo simile al primo ed insieme sentii anche delle voci.
Senza vestirmi, in camicia, corsi alla scala, aprii e mi trovai innanzi a 4 o 5 soldati dei quali uno o due con baionetta innestata […]
Qui cominciò la “Via Crucis”. In mezzo a continue minacce di morte a me e alla serva, si posero a saccheggiarmi. Prima di tutto posero mano a due orologi d’argento che aveva a prestito perché il mio si era rotto. Poi mi portarono via il taccuino con circa 300 lire, la legitimazione ed altre carte, due maglie di lana con collo alto, due tovaglie da mensa, un lenzuolo fino, 5 tovagliuoli, mezzo chilo di zucchero, tutto il formaggio, 2 forchette, 2 coltelli e 3 cucchiai avuti a prestito, la mia catena d’argento, 2 paia di calzette, 1 camicia di lana, il rasoio, 2 pezzi di sapone, mezzo chilo di carte, una scatola di tabacco, tutti i pennini e tutti i lapis e perfino un pettine.
Frattanto mi domandarono vino. Aveva litri 1 e mezzo per messa; me lo trovarono, poi se lo tracannarono tutto […] e vollero andare in cantina per cercarne altro. Quando videro che non c’erano che patate e cavoli voltarono: mi presero per forza, mi ricacciarono in cantina e mi chiusero a chiave. Capii tutto. Diffatti poco più d’un minuto dopo sentii gridare di sopra: «Aiuto! aiuto! aiuto!». Erano le grida della mia povera Caterina che rompevano gli orrori di quella notte e che penetrarono nelle più intime fibbre del mio povero cuore.
Che fare? Tastai le pareti della mia prigione e trovai una finestra che metteva nella piazza. Volli aprirla; ma una voce infernale dal di fuori mi fece voltare indietro colla minaccia di una fucilata. Picchiai alla porta chiedendo per pietà che mi aprissero. Pietà, sì, in quelle anime d’inferno! Dal di sopra non più una voce. […]
Attesi ancora un momento , poi tentai di nuovo di aprire la finestra. La apersi. Guardai nella piazza: nessuno. Entrai per la porta lasciata semiaperta e precipitai su per la scala chiamando Caterina. […]
Ma, oh Dio, quale spettacolo! Essa tutta grondate di sangue dalla testa, giù pel petto e perfin sulla gonnella. Ha essa una ferita sulla testa e una sul collo del naso. Mi racconta che dopo tornati sopra uno di quei ribaldi, il capo, la trascinò in camera mia e le chiese cose innominabili, che essa chiamò subito aiuto e che piuttosto che cedere, si lasciò ferire sulla testa e sul naso colla baionetta, percuotere sulla testa colla impugnatura del revolver, pestare di pugni e di schiaffi; che dopo averla insanguinata quel demonio la lasciò…
[…] Se non l’ho mai provato, quella mattina certo provai il bisogno di una persona che ci confortasse. Ne trovai non una, ma cento, ma tutti! E siano vere grazie ai buoni Cleuliani. Più di uno si sarebbe messo in mio aiuto, ma appena qualcuno metteva fuori la testa da una porta o da una finestra o da una contrada, c’era un soldato che puntava il fucile.
Ah misericordia, che nottataccia! Dio solo e la Vergine benedetta mi ha salvato da peggiori mali; e li ringrazio di tutto e vero cuore. […]
Quel dì (il 4 novembre) lo persi in ricerche. Se fosse stato mezz’ora prima avrei potuto far metter mano sul capo briganti; ma pur nel pomeriggio ottenni che uno fosse colto con addosso la mia roba […]
Deposi al capitano della sua compagnia un protocollo lungo lungo… e buona notte.
Se c’è ancora giustizia a questo mondo qualcosa rinascerà di sicuro.
Il capitano mi disse che il minimo della pena sarà di 10 anni di galera. Poco, poco e poco!
Eppure ciononostante la mia parola, dopo tanto dolore e dopo tanto spavento, è stata quella del perdono. Grazie a Dio!
Così come vedete, dopo tal fatto, sono diventato anche più povero e più bisognoso del vostro aiuto.
Vostro affez.mo figlio.

Il testo che precede si può leggere anche da qui.

INTERVISTA  A  ZLATKO  DIZDAREVIĆ*

 Le iniziative per commemorare il centenario dell’attentato a Francesco Ferdinando e la situazione in Bosnia Erzegovina oggi. 

In giugno l’Europa ricorderà i 100 anni dall’inizio della Prima guerra mondiale con un fitto programma di iniziative qui a Sarajevo. Cosa pensa di queste celebrazioni?

Si tratta di un’espressione di cinismo. Sono iniziative che certamente non vanno a vantaggio di Sarajevo, né dei sarajevesi, e hanno riaperto una battaglia tra di noi, su Gavrilo Princip. Adesso per una metà dei bosniaci Princip è un terrorista, per l’altra metà è un eroe. Che bisogno avevamo ora di discutere di queste cose? Abbiamo un paese, la Bosnia Erzegovina, completamente distrutto. Non funziona, non esiste. E i politici europei verranno qui per una settimana sorridenti, con i palloncini colorati, grandi dichiarazioni, “Mai più”, a ricordare l’amore dell’Europa per Sarajevo, i princìpi europei. Si tratta di un incredibile cinismo. Se c’è un luogo dove i princìpi europei vengono abbandonati, questo è Sarajevo.

Allora perché queste celebrazioni?

È un’occasione meravigliosa per lavarsi la coscienza, per organizzare qualcosa di positivo, una grande festa, in un momento in cui la situazione europea e mondiale è drammatica, con la guerra sempre più presente, l’estrema destra sempre più forte, il progressivo abbandono degli ideali di libertà e cosmopolitismo.

Eppure la morte di Francesco Ferdinando ha segnato la fine di un’epoca, e l’inizio della grande guerra civile europea. Non è importante riflettere su quegli eventi?

Anzitutto io non penso che quella guerra sia iniziata a Sarajevo, le grandi potenze erano già preparate per la guerra. Sarajevo non è responsabile per la guerra.

L’attentato è stato solo un pretesto?

Sarajevo è stata una vittima delle relazioni internazionali esistenti. Anche nell’ultima guerra il suo destino è stato questo. La colpa non era di Sarajevo. Nel 1992, quando la guerra è iniziata, nessuno di noi pensava che fosse possibile. L’atmosfera, le relazioni tra le persone, non consentivano di pensarlo. Dopo il primo sangue, naturalmente, la situazione è cambiata.

Dunque non era necessario riaprire il dibattito su questi temi?

Non penso fosse necessario adesso, né tanto meno a Sarajevo. Il nazionalismo, la storia degli ultimi 20 anni, tutti i problemi ancora irrisolti… Sarajevo non è il posto dove fare queste celebrazioni. Nelle nostre scuole elementari abbiamo manuali di storia che presentano tre versioni diverse dello stesso episodio, come possiamo discutere di queste cose? Perché queste celebrazioni non le hanno fatte a Parigi, a Londra, a New York? Io non sarei contrario a una piccola manifestazione, a una commemorazione, una mostra, è ovvio, non si possono chiudere gli occhi di fronte a questo anniversario. Ma quanto sta accadendo è semplicemente isterico.

Cioè?

Tutte le espressioni della vita culturale, dal cinema al teatro, alla letteratura, alle manifestazioni sportive, avverranno nel quadro del centenario della Prima guerra mondiale. L’Ambasciata francese ha proposto che il Tour de France inizi a Sarajevo, nel nome del centenario. Tutto questo è cinico. Viene fatto per dimenticare quella che è la realtà della Bosnia Erzegovina oggi, una realtà che nessuno vuole affrontare. C’è una grande retorica, e falsità, in queste celebrazioni. Alla gente di Sarajevo non interessano, questa non è la nostra festa.

Il tema del 28 giugno ha quindi già prodotto divisioni?

In realtà i cittadini sono semplicemente stanchi di questi dibattiti, pensano a come trovare qualcosa da mangiare, un posto di lavoro. Sarajevo è stanca di queste promesse europee, che qui vengono regolarmente disattese. Venti anni fa ho scritto un libro con l’amico Gigi Riva dal titolo “L’Onu è morta a Sarajevo”. Oggi, venti anni dopo, penso che sia l’Europa ad essere morta a Sarajevo.

Perché le istituzioni culturali e politiche locali non hanno impedito questa operazione, se gli effetti sono così negativi?

Perché sono sottoposti alle pressioni delle diverse istituzioni internazionali e dei diversi uffici europei, delle organizzazioni non governative… Sono tutti esaltati per questo evento, sono in estasi. La realtà però è che anche oggi l’Europa è divisa, in Est e Ovest, nell’Europa slava e quella degli austro ungarici.

Quindi la situazione non è molto diversa da quella di 100 anni fa?

Assolutamente no. Guardate all’Ucraina, alla Siria. Sono il risultato di sogni imperiali, di ambizioni neocoloniali.

E la Bosnia Erzegovina?

Se non vengono presentati segnali assolutamente chiari sul futuro europeo della Bosnia, lo spazio vuoto verrà occupato da altri, dalla Turchia, dalla Russia o dai paesi arabi del Golfo.

*Zlatko Dizdarević, giornalista e scrittore sarajevese, è stato ambasciatore della Bosnia Erzegovina in Croazia e Medio Oriente
FONTE: OBC Rovereto

testo  inglese integrale: http://www.balcanicaucaso.org/eng/Regions-and-countries/Bosnia-Herzegovina/Sarajevo-One-Hundred-Years-151730

3 Luglio 2014Permalink

1 luglio 2014 – Lettera all’on. Curzio Maltese

Nel sito del parlamento europeo tutti i deputati hanno una casella di posta elettronica.
Ho trovato quella dell’on. Curzio Maltese e gli ho scritto il messaggio che segue.
All’on. Kyenge avevo già scritto il 25 maggio, approfittando della sua casella di parlamentare italiana. Quella lettera è leggibile anche da qui

Egregio onorevole Curzio Maltese,

Mi rivolgo a lei come parlamentare neo eletto al Parlamento europeo e come giornalista attento alla realtà su cui possiamo intervenire, se qualcuno ce la rende nota.
Capisco che gli oggetti che in questo momento possono attrarre il prevalente interesse dell’opinione pubblica siano riferibili alla flessibilità dei vincoli finanziari e, per ciò che riguarda le migrazioni, all’accoglienza dei migranti in fuga per cui l’Italia è, geograficamente, paese di approdo.
Ma per chi si rivolge a un parlamentare europeo, avendo consapevolezza delle ragioni per cui è nata l’idea di Unione Europea (già nella tragedia in cui fu steso il documento di Ventotene), l’Europa è anche altro e anche su altro dovrebbe costruirsi un virtuoso necessario rapporto fra l’Unione europea e gli stati che la compongono, di cui gli europei sono cittadini.
Questo messaggio sarà molto lungo perciò non mi soffermo su tanti aspetti che pur mi coinvolgono e la cui conoscenza cerco di approfondire.
Mi limito a un solo problema, ricordando che, ancora nel giugno1999, il Consiglio europeo ritenne che fosse opportuno riunire in una Carta i diritti fondamentali riconosciuti a livello dell’Unione europea (UE) e che quindi assicurano nella legislazione dell’UE stessa diritti personali, civili, politici, economici e sociali dei cittadini e dei residenti dell’UE.

Per giungere al problema specifico che le porrò, ricordo, citando dal testo della Carta:

–> l’articolo 21  Non discriminazione

1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.
2. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità.

–> l’articolo 24  Diritti del minore
1 I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. [omissis]
2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.
3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.

In vari documenti inoltre si può leggere un esplicito riferimento alla Convenzione di New York sui diritti dei minori, approvata dalle Nazioni Unite nel 1989, ratificata da tutti gli stati dell’Unione Europea. In Italia è legge n. 176 dal 1991 e afferma:

–> Articolo 7
1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi.
2. Gli Stati parti vigilano affinché’ questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.

Dal 2009 (quarto governo Berlusconi, ministro dell’interno Maroni) questa norma in Italia è esplicitamente violata, negando quindi anche l’indirizzo delle politiche fondanti l’Unione Europea cui sopra ho fatto breve riferimento.
Infatti con un criptico emendamento (lettera g, comma 22, art. 1 legge 94/2009) è stata imposta per legge la presentazione del permesso di soggiorno per la registrazione della nascita – in Italia – di un figlio.
Ciò ha creato ostacoli a che un nuovo nato possa avere – in Italia – il certificato di nascita se figlio di migranti non regolari.
Così il vicedirettore esecutivo dell’Unicef definisce quel certificato: «La registrazione delle nascite è di vitale importanza. E’ la chiave per garantire che i bambini non vengano dimenticati e che non vengano negati i loro diritti».
Sia detto per inciso che l’Unicef si impegna in campagne promozionali (rivolte a paesi del terzo mondo e comunque non appartenenti all’Unione Europea) perché sia assicurata la registrazione anagrafica di coloro che in quei paesi nascono.
In Italia invece esiste una proposta di legge per rimediare allo sfregio di civiltà introdotto cinque anni fa, proposta n. 740 che è da una anno alla attenzione della commissione Affari Costituzionali senza che nessuno si impegni ad assicurane l’approvazione (che, tra l’altro, non comporta oneri di spesa).

Lo scorso anno la Convention on the Rights of the Child (gruppo CRC) nel suo sesto rapporto ci aveva ricordato che
«Sebbene non vi siano dati certi sull’entità del fenomeno le stime più recenti sulla presenza di immigrati in situazione irregolare fanno supporre che vi possa essere un numero significativo di gestanti in situazione irregolare che potrebbero, per paura di essere identificate, non accedere alle cure ospedaliere ed alla registrazione anagrafica del figlio».

Quest’anno – nel suo settimo rapporto – il Gruppo CRC ci richiama le raccomandazioni del Comitato ONU nella forma che integralmente trascrivo:
«28. Il Comitato ONU è preoccupato per le restrizioni legali e pratiche al diritto dei minorenni di origine straniera di essere registrati alla nascita. In particolare, il Comitato esprime preoccupazione per come la L. 94/2009 sulla pubblica sicurezza renda obbligatorio per i non cittadini mostrare il permesso di soggiorno per gli atti inerenti il registro civile.
29. Il Comitato, richiamando l’accettazione da parte dello Stato Italiano della Raccomandazione n. 40 durante l’Universal Periodic Review, al fine di attuare la L. 91/1992 sulla cittadinanza italiana, in modo da preservare i diritti di tutti i minorenni che vivono in Italia, raccomanda all’Italia:
a) di assicurare che l’impegno sia onorato tramite la legge e facilitarlo nella pratica in relazione alla registrazione alla nascita di tutti i bambini nati e cresciuti in Italia;
b) di intraprendere una campagna di sensibilizzazione sul diritto di tutti i bambini a essere registrati alla nascita, indipendentemente dall’estrazione sociale ed etnica e dallo status soggiornante dei genitori;
c) di facilitare l’accesso alla cittadinanza per i bambini che potrebbero altrimenti essere apolidi».

Le chiedo quindi un impegno forte di Parlamentare europeo per attivare ogni strumento che assicuri anche in Italia un rimedio a questo sfregio che da cinque anni ci disonora come esseri umani, come cittadini italiani e come europei che aspirano a veder realizzata un’Unione fondata sulla giustizia che non può prescindere dal rispetto dei diritti umani fondamentali,

Insieme ai miei cordiali saluti le porgo vivissimi auguri di buon lavoro

Augusta De Piero

1 Luglio 2014Permalink

1 luglio 2014 – Calendario luglio

2 luglio 1969 –Allunaggio
3 luglio 1995 –Morte di Alexander Langer
5 luglio1962 – L ’Algeria indipendente dalla Francia
6 luglio 1415 – Morte sul rogo di Jan Hus
7 luglio 1535 – Morte di Tommaso Moro
7 luglio 1960 – Morti di Reggio Emilia
8 luglio 1978 – Sandro Pertini Presidente della Repubblica
9 luglio 2002 –Nasce l’Unione Africana
10 luglio 1940– Nascita del governo collaborazionista di Vichy
11 luglio 1979 – Assassinio Ambrosoli –Milano
12 luglio 1973 – Giovanni Franzoni si dimette da abate di San Paolo
13 luglio1936  – inizio della guerra civile spagnola
14 luglio 1789 – Parigi – presa della Bastiglia
18 luglio 1546 – Morte di Martin Lutero
18 luglio 2013–  Nelson Mandela compie 95 anni
19 luglio 1943 – Primo bombardamento anglo-americano su Roma
19 luglio 1992 – Strage del giudice Borsellino e della scorta
20 luglio 1944 –  Attentato militare fallito vs Hitler (Bonhoeffer)
20 luglio 1969 –  Allunaggio Apollo 11
20 luglio 2002 – Genova – durante il G8 viene ucciso Carlo Giuliani
22 luglio 2011 – Norvegia(Utoeya). Il neonazista Breivik uccide 76 persone
23 luglio 1929 – Il fascismo bandisce l’uso delle parole straniere
24 luglio  20\4 –  Gaza – bombardamento e strage scuola Unrwa
25 luglio 1943 – Governo Badoglio
27 luglio 1968 – Paolo VI pubblica l’enciclica Humanae vitae
27 luglio 2014 –  Fine del mese di Ramadan
28 luglio 1914 – l’Austria dichiara guerra alla Serbia
28 luglio 1993 – Esplodono due autobombe a Milano e una a Roma
29 luglio 1976 –  Tina Anselmi diventa ministro del lavoro. Prima donna in Italia ad assumere un incarico di governo.
29 luglio 1983 – Omicidio del giudice Rocco Chinnici – Palermo
31 luglio 1941 –  Hermann Göring inizia a pianificare la ‘soluzione finale’

 

1 Luglio 2014Permalink

30 giugno 2014 – ERNESTO BUONAIUTI: un appello per la riabilitazione

Ricopio da Adista Notizie n. 25 

37711. ROMA-ADISTA. Un appello alle gerarchie ecclesiastiche, ma anche al mondo laico, per la riabilitazione di Ernesto Buonaiuti, importante esponente del modernismo cattolico, teologo e storico della Chiesa di grande valore, innovatore ed anticipatore di molti temi e sensibilità che sarebbero maturati negli anni del Concilio. È l’appello promosso da Vittorio Bellavite, portavoce della sezione Italiana di Noi Siamo Chiesa, e Gian Franco Monaca, redattore di Tempi di Fraternità, che ha raggiunto già circa 200 firme di preti e laici, associazioni e movimenti, riviste, storici, teologi e intellettuali, giornalisti, esponenti del mondo cattolico e no.

Ordinato prete nel 1903, Buonaiuti fondò a soli 24 anni la Rivista storico-critica delle scienze teologiche e successivamente diresse la rivista Ricerche religiose. Entrambe vennero poste all’Indice e il 25 gennaio 1925 Buonaiuti venne colpito da scomunica, soprattutto a causa del suo sostegno alle tesi moderniste.

Ordinario di Storia del cristianesimo alla Sapienza di Roma, poté, nonostante la scomunica, esercitare comunque la libera docenza universitaria. Ma le sue posizioni anticoncordatarie resero impossibile, dopo il 1929, la prosecuzione della carriera universitaria: il regime fascista lo esonerò dall’insegnamento assegnandolo a compiti extra-accademici. Finché nel 1931 la cattedra universitaria gli fu tolta definitivamente, per aver rifiutato di prestare il giuramento di fedeltà al regime.

Dopo la fine della guerra, nel 1945, Buonaiuti – che viveva la non facile condizione di intellettuale sgradito sia ai cattolici, perché scomunicato, che ai socialcomunisti, perché prete e intellettuale difficilmente inquadrabile – non fu reintegrato nel ruolo di professore ordinario come accaduto invece a molti altri suoi colleghi perseguitati dal fascismo. Per Buonaiuti valse l’applicazione retroattiva (il concorso lo aveva infatti vinto nel 1915) di una norma dei Patti Lateranensi che prevedeva il divieto, per un sacerdote scomunicato, di occupare una cattedra in una università statale. Stanco e malato, si spense a Roma il 20 aprile 1946.

Di seguito, il testo dell’appello con i primi firmatari. Per adesioni: astensis@promotus.it; vi.bel@iol.it.
Ernesto Buonaiuti era nato a Roma nel 1881; allievo del Collegio Romano, ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1903. Intelligenza acuta e indagatrice, incaricato dell’insegnamento nello stesso Pontificio Collegio Romano, assunse posizioni non gradite e fu scomunicato per aver condiviso e propagandato idee moderniste.

Scomunicato dalla gerarchia vaticana, fu privato dell’insegnamento nelle università ecclesiastiche per cui passò all’insegnamento universitario statale. Professandosi cattolico convinto, fu tra gli ecclesiastici più contrari al Concordato, e mantenne una posizione radicalmente critica nei confronti della politica vaticana in questo ambito, per cui era considerato un elemento di disturbo sia da parte ecclesiastica che da parte governativa. Nel 1931 fu rimosso dal proprio ruolo di docente anche presso l’Università di Roma avendo rifiutato il giuramento di fedeltà al regime fascista che furono invitati a prestare i circa 1.500 professori delle Università italiane. Soltanto dodici rifiutarono: Ernesto Buonaiuti era tra questi. Il Vaticano, che aveva chiuso nel 1929 la “questione romana” con i Patti del Laterano, pur ritenendo abusiva la richiesta di giuramento, non volle urtarsi con il regime e consigliò i professori di area cattolica di giurare “con riserva mentale” cioè ponendo come condizione, nel segreto della propria coscienza, che si sarebbero attenuti a tale giuramento solo se ciò non avesse loro imposto doveri contrari alla fede cattolica.

Perdette in tal modo ogni sostegno economico e si affidò unicamente all’appoggio di amici ed estimatori. Dopo la caduta del fascismo fu reintegrato nei ruoli del magistero universitario, ma privato dell’insegnamento: nel Concordato era stata inserita una norma ad personam (art. 5, terzo comma) che impediva agli scomunicati di adire a posti statali che comportassero contatto con il pubblico. Sgradito, come cattolico, ai partiti di sinistra e, come scomunicato, ai politici di obbedienza vaticana, non fu mai riabilitato ufficialmente, anche se molte delle sue posizioni riecheggiarono nei dibattiti conciliari del Vaticano II e furono riprese nei documenti ufficiali.

È nota la stima che aveva per lui Angelo Roncalli, al tempo degli studi romani. Buonaiuti morì a Roma nel 1946, e fu privato della sepoltura ecclesiastica, essendosi rifiutato di ritrattare le proprie posizioni. La sua memoria restò nell’ombra per decenni, dal momento che, pur trattandosi di una figura di testimone eticamente e giuridicamente superiore a ogni motivo di critica, Buonaiuti fu considerato scomodo da tutti i centri di potere, data la sua irriducibile fedeltà alla propria coscienza e alla propria onestà intellettuale e morale, al di sopra di ogni altra considerazione.

Riteniamo che l’evoluzione delle sensibilità politico-sociali e religiose, che ha condotto a rivedere numerose manifestazioni di intolleranza del passato, costituiscano un clima favorevole alla rivalutazione pubblica delle sue virtù civiche e religiose, soprattutto in un tempo come il nostro, in cui da ogni parte si fa giustamente appello alla capacità personale di resistenza critica al conformismo intellettuale e al relativismo morale.

Nell’ambito di queste considerazioni promuoviamo un “Comitato per una migliore conoscenza e per la riabilitazione di Ernesto Buonaiuti nella Chiesa e nella società”, la cui adesione proponiamo a esponenti della cultura cristiana e laica, a movimenti, riviste, associazioni, centri studi e a tutti. L’apertura di un sito internet e la divulgazione dei testi di Ernesto Buonaiuti sono i primi concreti obiettivi.
Roma, 25 giugno 2014
Associazioni: Agire politicamente-coordinamento di cattolici democratici, Centro Studi “Romolo Murri” di Urbino, Coordinamento delle Comunità cristiane di Base, Coordinamento delle teologhe italiane, Fine settimana (Verbania), Il Guado-omosessuali credenti, Movimento per la società di giustizia (Lecce), Noi Siamo Chiesa, Consulta torinese per la laicità delle istituzioni.

Riviste: Confronti, Adista, Koinonia, Il Tetto, Il foglio (Torino), Il Gallo, Tempi di fraternità, Viator.

Studiosi ed esponenti del mondo laico e cattolico: Giovanni Avena, Franco Barbero, Daniele Barbieri, Marcelo Barros, Ugo Francesco Basso, Vittorio Bellavite, Luigi Berzano, Luigi Bettazzi, Alfonso Botti, Frei Betto, Emanuele Bruzzone, Carla Busato Barbaglio, Remo Cacitti, Gabriella Caramore, Carlo Carlevaris, Rocco Cerrato, Fabrizio Chiappetti, Giancarla Codrignani, Pasquale Colella, Arrigo Colombo, Daniele Gallo, Paolo De Benedetti, Fulvio De Giorgi, Gigi De Paoli, Filippo Gentiloni, Gianni Geraci, Marilena Terzuolo Giaccone, Paolo Farinella, Giovanni Filoramo, Roberto Fiorini, Giovanni Franzoni, Silvia Giacomoni, Raniero La Valle, Piergiorgio Maiardi, Vito Mancuso, Dora Marucco, Giancarlo Martini, Ettore Masina, Clementina Mazzucco, Lidia Menapace, Daniele Menozzi, Giovanni Meriana, Giovanni Miccoli, Cesare Milaneschi, Cettina Militello, Carlo Molari, Gian Franco Monaca, Arnaldo Nesti, Gianni Novelli, Primarosa Pia, Marco Marzano, Tullio Monti, Raul Mordenti, Samuele Nicoli, Ercole Ongaro, Flavio Pajer, Antonio Parisella, Marinella Perroni, Mauro Pesce, Enrico Peyretti, Lino Prenna, Adriano Prosperi, Anna Raybaudi, Paolo Ricca, Armido Rizzi, Stefano Rodotà, Giuseppe Ruggieri, Domenico Rosati, Brunetto Salvarani, Luigi Sandri, Daniela Saresella, Felice Scalia, Cristina Simonelli, Alberto Simoni, Ortensio da Spinetoli, Piero Stefani, Stefano Toppi, Fabrizio Truini, Antonio Vermigli, Giangabriele Vertova, Marcello Vigli, Aldo Visco Gilardi, Adriana Valerio, Giorgio Vecchio, Gianmaria Zamagni, Francesco Zanchini.

 

 

30 Giugno 2014Permalink

26 giugno 2014 – Vorrei tirare le somme [Settima puntata]

Vorrei concludere questa serie ma la recentissima scoperta dell’impegno internazionale dell’Unicef per la garanzia del certificato anagrafico ai neonati del paesi del terzo mondo mi ha sconvolto per la sua grossolana contraddizione con ciò che avviene in Italia dove la legge che vuole i figli dei sans papier privi di certificato di nascita trova il suo punto di forza nei silenzi della società civile, comprese le locali sezioni dell’Unicef.
Il 22 corrente ho pubblicato ampia documentazione scrivendo un post la mattina e uno la sera e rinvio ai collegamenti .
Per darmi una spiegazione di questa situazione non so immaginare altro che un retropensiero del tipo: «I certificati di nascita? Ora lo spieghiamo al Terzo Mondo!
Noi … noi siamo i padroni e abbiamo ripreso l’antica tradizione euro-americana per cui la nascita degli schiavi non si registrava».
E così, per non restare invischiata nel neo colonialismo di cui non avevo immaginato l’esistenza e per capire …

… torno alle origini

Nel 2010 (l’anno precedente era stata approvata la legge 94/2009) anche l’allora deputato Leoluca Olando voleva capire (poi divenne sindaco di Palermo e non manifestò ulteriori curiosità) e il 2 agosto presentò al Ministro dell’Interno Maroni l’interrogazione che trascrivo limitatamente all’aspetto concernente le nascite di figli dei sans papier.

L’on Orlando chiede

«in data 7 agosto 2009 è stata emanata, dal dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’interno, una circolare (prot. 0008899) con oggetto: «Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante »Disposizioni in materia di sicurezza pubblica«. Indicazioni in materia di anagrafe e stato civile», ed è stata inviata a tutti i prefetti della Repubblica italiana;

con questa circolare il Ministero dell’interno andava a sanare una situazione di interpretazione dubbia della suddetta legge, su alcuni temi, tra cui quello importantissimo delle dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione;

al punto 3 della predetta circolare si chiariva che «Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita-stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto. L’atto di stato civile ha natura diversa e non assimilabile a quella dei provvedimenti menzionati nel citato articolo 6»;

a parere dell’interrogante, molti punti della circolare stessa sono fondamentali per la struttura e per la funzionale applicazione della legge n. 94 del 2009, ma il metodo applicato dell’uso della circolare stessa appare di indicazione troppo lieve e sicuramente meno impegnativa dell’uso di una legge nell’applicazione della stessa –

se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative che attribuiscano valore normativo alla circolare del 7 agosto 2009 prot. 0008899 fornendo così strumenti sicuramente più incisivi a chi la stessa debba applicare».

e il Ministro risponde

Il 31 gennaio dell’anno successivo ricevette una risposta scritta

 « All’Interrogazione 4-08314 presentata da LEOLUCA ORLANDO
Risposta.

Il ministero dell’interno, con la circolare n. 19 del 7 agosto 2009, ha inteso fornire indicazioni mirate a tutti gli operatori dello stato civile e di anagrafe, che quotidianamente si trovano a dover intervenire riguardo ai casi concreti, alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 94 del 2009 (entrata in vigore in data 8 agosto 2009), volta a consentire la verifica della regolarità del soggiorno dello straniero che intende sposarsi e ad arginare il noto fenomeno dei matrimoni fittizi o di comodo.

È stato chiarito che l’eventuale situazione di irregolarità riguarda il genitore e non può andare ad incidere sul minore, il quale ha diritto al riconoscimento del suo status di figlio, legittimo o naturale, indipendentemente dalla situazione di irregolarità di uno o di entrambi i genitori stessi. La mancata iscrizione nei registri dello stato civile, pertanto, andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio, che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di colui che lo ha generato. Se dovesse mancare l’atto di nascita, infatti, il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico.

Il principio della inviolabilità del diritto del nato è coerente con i diritti garantiti dalla Costituzione italiana a tutti i soggetti, senza alcuna distinzione di sorta (articoli 2, 3, 30 eccetera), nonché con la tutela del minore sancita dalla convenzione di New York del 20 novembre 1989 (Legge di ratifica n. 176 del 27 maggio 1991), in particolare agli articoli 1 e 7 della stessa, e da diverse norme comunitarie.
Considerato che a un anno dall’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 non risultano essere pervenute segnalazioni e/o richieste di ulteriori chiarimenti, si ritiene che le deposizioni contenute nella predetta circolare siano state chiare ed esaustive, per cui non si è ravvisata sinora la necessità di prospettare interventi normativi in materia.
Il Sottosegretario di Stato per l’interno: Michelino Davico».

Identità di pensiero

L’identità di pensiero fra l’allora sottosegretario Davico (appartenenza Lega Nord) e l’Unicef inteso come agenzia della Nazioni Unite (United Nations Children’s Fund)  è perfetta.
Il vicedirettore esecutivo dell’Unicef stessa ha dichiarato: «La registrazione delle nascite è di vitale importanza. E’ la chiave per garantire che i bambini non vengano dimenticati e che non vengano negati i loro diritti. Il certificato di nascita è il passaporto di un bambino».
E allora per quale ragione non c’è impegno a far sì che in Italia sia garantito a tutti i nuovi nati il certificato di nascita su cui verrà scritta la cittadinanza qualche che sia, anche oggi a norma jus sanguinis e domani, se il nuovo principio passerà, a norma jus soli?

Le astuzie della ragione e le ragioni del pregiudizio

Poiché siamo europei possiamo permetterci un riferimento a un illustre figlio dell’Europa quale fu Georg Wilhelm Friedrich Hegel e quindi faccio uso di una sua espressione che perfettamente si collega alla grottesca situazione che vado srotolando.
Leggendo con un po’ di attenzione la ridondante dichiarazione del già sottosegretario Davico emerge il diritto del bambino, in termini tanto solenni quanto inadatti ad essere rappresentati da una circolare e non essere invece fondati su una legge.
Ma un’attenzione che non sia beota aiuta a leggere in controluce lo squallore sotteso a quelle proclamazioni.
Certamente si volevano impedire i matrimoni di comodo ma la strada scelta di impedire la celebrazione dei matrimoni tout court sembra incongrua e contorta, tanto più considerando la folle associazione ai matrimoni degli atti di nascita.
Poi … la ragione ha le sue astuzie e capitò che il  ‘lui’, di una coppia mista, a seguito della richiesta di pubblicazione dell’atto di matrimonio, ricevesse il decreto di espulsione essendo risultato privo di permesso di soggiorno. Evidentemente si trattava di adulti avveduti, cui evidentemente non  mancavano le relazioni e i mezzi intellettuali e finanziari per premetterselo, e fecero risorse al decreto arrivando fino alla Corte Costituzionale.
Con sentenza n. 245 dd. 25 luglio 2011.L Corte dichiarò «l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano».
Ne avevo scritto in questo blog il 31 luglio 2011 (e comunque la sentenza è facilmente raggiungibile per una lettura integrale anche da qui) esprimendo la speranza che quella lettura sostenesse l’ipotesi di una modifica della legge.
Da un anno l’ipotesi è diventata progetto ma l’astuzia del pregiudizio fa sì che, probabilmente in ossequio al consenso di un’opinione pubblica che si presume asservita alla diffusa lego cultura e quindi disposta fare la guerra anche ai neonati ‘diversi’, neppure i deputati proponenti della pdl 740 che risolverebbe la questione si prendano cura di farla approvare.

Segnalazione puntate precedenti (tutte contengono documenti)
6 maggio 2014 –https://diariealtro.it/?p=3051    (petizioni Boldrini)
8 maggio 2014 –https://diariealtro.it/?p=3056   (calcio negato ai minori stranieri)
16 maggio 2014 – https://diariealtro.it/?p=3070 (Asgi – Miur)
11 giugno 2014  –  https://diariealtro.it/?p=3110  (congresso SIMM)
13 giugno 2104    https://diariealtro.it/?p=3128   (Asgi – MCE)
21 giugno 2014  https://diariealtro.it/?p=3139 (ASGI pubblica 7 mo rapporto CRC)

A questo elenco aggiungo, oltre i documenti citati nel testo, quelli pubblicati

24 giugno 2014  -documento di lettera 22
22 giugno 2014 documenti dell’Unicef e del MoVi
—————— https://diariealtro.it/?p=3145  https://diariealtro.it/?p=3148
9 giugno 2014      articolo Paolo Citran – CIDI  https://diariealtro.it/?p=3100
7 giugno  2014    Cittadinanza ai figli dei rifugiati   https://diariealtro.it/?p=3090 .
25 maggio 2014  Lettera Kyenge   https://diariealtro.it/?p=3081
21 dicembre 2013 – Figlio di clandestini  https://diariealtro.it/?p=2852
—————-Il primo articolo scritto da altri, Tommaso Canetta e Pietro Pruneddu
15 marzo 2011 Il gallo – Il mio primo articolo oltre il blog  https://diariealtro.it/?p=673

FINE della serie o almeno provvisoria conclusione

26 Giugno 2014Permalink

24 giugno 2014 – I fantasmi sono tutti uguali?

Avevo avuto notizia della vicenda descritta dall’articolo che segue, pubblicato il 4 giugno da ‘Ferrara Italia”. Non mi erano stati dati indizi per trovarne la fonte e l’ho cercata, rabbiosamente, per ore.
Per me, per l’impegno che mi sono prefissa, è un testo molto importante.
Ma ora lo trascrivo. I commenti alla fine

Il dramma di Giuba rinchiusa al Cie di Fiumicino. Cinque figli l’attendono nella sua casa di Berra

E’ rinchiusa nel centro di identificazione ed espulsione di Fiumicino da una settimana. Ha chiesto asilo politico, ma dovrà aspettare una trentina di giorni per avere una risposta. Tutto è incerto.
A cominciare dalla sua identità ufficiale, non ha un documento, non esiste né Italia né in Macedonia, dove è nata senza che i genitori l’abbiano denunciata all’anagrafe.

Ulfindana, per gli amici Giuba, rom di 34 anni, moglie di Afrim Bejzaku, cinque figli di cui quattro minorenni, abita in Italia da un ventennio e da qualche anno vive con la famiglia in una casa di proprietà a Berra. “Non sono mai stata rinchiusa, sono incensurata, mi mancano i miei figli, non sopporto questa lontananza”, racconta al telefono. “Mi hanno fermata a Goro mentre chiedevo l’elemosina, mi hanno domandato i documenti e quando ho detto di non averli è cominciata una trafila tra una caserma e l’altra fino a che mi sono ritrovata a Roma”, spiega con voce agitata.
“Il giudice ha confermato il decreto di espulsione, non ha voluto tener conto della situazione, i nostri figli sono nati in Italia, vanno a scuola qui e qui c’è la mia famiglia, siamo in 13”, spiega il marito, 32 anni, tre volte nonno e insieme alla moglie docente di danza rom insegnata in differenti teatri e scuole soprattutto a Bologna dove entrambi, spiega, vantano un passato da mediatori culturali nelle scuole. Afrim è agli arresti domiciliari e quando li avrà scontati anche per lui si profila l’espulsione. “Io posso andare in Kosovo, vengo da lì, ma Giuba non può raggiungermi”, dice.
E’ un problema politico, è un problema di etnie, è un problema comunque, che si riversa sulle vite dei bambini: dove metterà radici il loro futuro? Per sempre in viaggio? Afrim e Giuba, una storia di nomadismo stanziale, complicata e impensabile per chi ha in tasca una normale carta d’identità. Siamo di fronte a un’altra cultura, avversata e difesa da fronti politicamente opposti. C’è chi giustifica e chi accusa. Chi non li vuole e chi ne considera i differenti valori un arricchimento. La sostanza non cambia: dove devono vivere queste persone? Dove hanno casa, sostiene l’avvocato Salvatore Fachile, che si sta occupando del caso. “Tenuto conto che la signora è un apolide di fatto, ha una vita radicata in Italia, quattro figli minorenni, mi sembra ci siano ragioni fondate, perché possa essere accettata la richiesta d’asilo che abbiamo presentato – spiega – tra 28 giorni ci sarà la prossima udienza, speriamo venga attivata la protezione umanitaria”.
Al giudice di pace, racconta il legale, è stata fatta presente la situazione, ma “ha dichiarato di disinteressarsene a discapito dell’interesse familiare. C’è una certa superficialità”. Sicché l’espulsione è stata convalidata, ma la Macedonia, dove Giuba non esiste, respingerà con tutta probabilità quella richiesta d’ingresso e lei rischia così di restare prigioniera del Cie, lontano dai suoi, a spese dello Stato per essere, “dopo 18 mesi, rilasciata in Italia”. Perché l’Italia non è né dei diritti né dei doveri. Ha leggi “così così” e soluzioni ancora meno di “così così”.
Monica Forti

Un’altra storia di mancata registrazione anagrafica

Non posso togliermi dall’orecchio la voce di una sciocca giornalista, impegnata in un quotidiano tanto  di sinistra, di quella sinistra topografica che per riconoscersi vuole spostarsi sempre un po’ più in là, che, quando tentai (stupida e testarda) di spiegarle la questione della mancata registrazione anagrafica, si mise  a squittire: “Mi dica una storia”, negandosi a qualsiasi riflessione sull’infamia di una norma.
Quando le dissi che se avessi conosciuto una storia non gliel’avrei raccontata perché chi diventa genitore senza permesso di soggiorno si nasconde e nasconde i propri figli per prolungare al limite del possibile l’illusione di assicurare protezione a quei piccoli che, per esistere, non devono essere, continuò a squittire.
Chiusi il telefono che le avrei volentieri ficcato in bocca per far tacere tante stupidaggini così di buon senso.
Avvicino questo caso a un altro di una ragazza – Monnalisa- cui fu negata la cittadinanza italiana al compimento del 18mo anno perché per tre anni non era esistita, priva di certificato di nascita e il suo periodo da fantasma non poteva esserle attribuito per assicurarne la continuità di vita nei suoi primi 18 anni.
Ne avevo scritto il 22 marzo 2013 e ne ho registrato la positiva conclusione il 18 gennaio 2014.   
Giuba come Monnalisa?
I fantasmi sono tutti uguali o no?

24 Giugno 2014Permalink

22 giugno 2013 — E’ sera ma sono sempre più esterrefatta

Dopo aver pubblicato questa mattina la nota che devo alla documentazione degli amici del MoVi di Gemona ho continuato a cercare e ho trovato molte cose in proposito.
In particolare non voglio dimenticare un articolo di Lettera 22 che riporto integralmente.
Risale al 12 dicembre scorso e mi chiedo perché non l’avessi visto.
La ragione sta proprio nella data. Verso Natale c’è un sommovimento pro infanzia così chi compera pupazzi, portamatite, bigliettini festevoli col logo di qualche associazione per l’occasione pietosa può trascorrere la festa natalizia tutta calda di bontà, un sentimento così buono e gradevole che non deve essere mescolato con la freddezza dei diritti e delle politiche conseguenti.
Così ho lasciato perdere e ho fatto male perché l’articolo è ottimo.
Rimedio pubblicandolo e segnalando però il buco dell’Italia.
Da noi è previsto che alcuni bambini non possano avere il certificato di nascita per legge (vedasi tag anagrafe).
Ai loro genitori infatti viene chiesto il permesso di soggiorno che non hanno e si riducono a proteggere i figli nascondendoli.
Ha scritto in uno dei suoi rapporti annuali il Gruppo CRC che ha il compito di monitorare l’applicazione della  Convenzione di New York sui diritti del minore

Il timore, di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori.
Pur non esistendo dati certi sull’entità del fenomeno, le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno  Questo può far supporre che vi sia un numero significativo di gestanti in situazione irregolare”.
Qualcuno se ne occuperà in occasione del prossimo Natale? O anche prima?

Lettera 22    –   IL DRAMMA DEI BAMBINI “INVISIBILI”

L’Unicef lancia l’allarme,230 milioni di bambini non hanno un certificato di nascita
Gianna Pontecorboli

Giovedi’ 12 Dicembre 2013
A prima vista, potrebbe apparire un problema da poco. Il bimbo e’ nato, e’ bello e sano, la mamma sta bene, si pensa a festeggiare il nuovo arrivato. Nessuno si preoccupa troppo di quel piccolo passo formale che serve a segnalare la sua nascita e che può essere scomodo, costoso, qualche volta anche percepito come pericoloso.
I guai, però, cominciano qualche anno dopo , quando la mamma cerca inutilmente di iscrivere il figlio a scuola e di fargli avere l’assistenza medica . La sua crescita è piena di rischi. Il passaporto è un miraggio impossibile.

In occasione del suo sessantasettesimo ‘’ compleanno’’, l’Unicef ha voluto quest’anno dedicare la sua attenzione a un problema tanto drammatico quanto spesso sottovalutato, quello dei bambini ”invisibili”, che un compleanno, almeno ufficiale e riconosciuto, non lo avranno mai.

Nel mondo, ha fatto sapere l’organizzazione dell’Onu che si occupa dell’infanzia in un rapporto intitolato ‘’I diritti natali di ogni bambino’’ ci sono oggi 230 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni che non sono mai stati registrati e che non hanno un certificate di nascita. Più o meno, si tratta di un bimbo su tre.

‘’Essere registrato alla nascita è più che un semplice diritto’’, spiega Geeta Rao Gupta, vice direttore esecutivo dell’Unicef,’’ la registrazione è la garanzia che il nuovo nato non può essere dimenticato, che non possono essere negati i suoi diritti e che non gli possono essere nascosti i progressi del suo paese’’.

Il problema è più complesso di quanto possa apparire a prima vista. Quella semplice comunicazione di una nuova nascita , che viene ormai da tanti anni considerata un dovere e un diritto in gran parte dei paesi , può incontrare molti ostacoli, a cominciare dalla povertà di tanti paesi in via di sviluppo. Non a caso, i paesi che hanno il piu’ basso tasso di registrazione delle nascite sono la Somalia, con il 3 per cento, la Liberia, con il 4, l’Etiopia con il 7.In alcune parti dell’Africa , la metà dei bambini registrati alla nascita non e’ in grado di ottenere un regolare certificato di nascita, perché’ le spese per averli sono troppo alte per le famiglie con un reddito più modesto, o perché i governi non li rilasciano.
Povertà, mancanza di organizzazione e arretratezza delle strutture pubbliche, tuttavia, non bastano a spiegare l’ampiezza del fenomeno.
Nell’elenco degli stati che ancora incontrano molte difficoltà, ci sono anche il Pakistan e l’India, che ha delle grosse differenze tra le varie regioni , e perfino alcune delle ruggenti economie del sud-est asiatico. .
Spesso, a ostacolare il processo sono gli stessi genitori, e per una serie di ragioni diverse.
Per le popolazioni più isolate o che vivono nelle zone rurali, per esempio, il viaggio verso il più vicino ufficio pubblico può essere lungo, troppo scomodo e costoso da affrontare per un compito di cui non si percepisce fino in fondo l’importanza.

Per altri, entra in gioco la paura di dover rivelare delle informazioni che potrebbero mettere in pericolo la sicurezza della famiglia, come la religione o l’appartenenza etnica . In altri casi, infine, sono le leggi a creare degli ostacoli. In Nicaragua, per esempio, i figli di un’unione consensuale vengono registrati solo temporaneamente se il padre non mette la sua firma , in Buthan non possono essere registrati i figli di un padre sconosciuto, in Libano hanno diritto alla registrazione per i palestinesi solo i bambini che hanno uno stato ufficiale di rifugiati .

Insieme alla povertà insomma, influiscono anche la geografia, l’educazione e spesso la politica.

Le conseguenze però sono disastrose. I bambini ‘’inesistenti’’, infatti, non rischiano soltanto di non poter andare a scuola e di non poter chiedere un regolare passaporto. Il loro stato li mette in pericolo in ogni momento, possono essere venduti o adottati illegalmente quando sono piccoli. E quando crescono possono facilmente essere utilizzati come soldati bambini senza che nessuno possa difenderli, sono facili prede di ogni ambiguo sfruttatore. Senza un certificate di nascita e’ difficile proteggere legalmente una sposa- bambina o un dodicenne armato di mitra.

Per aiutare i paesi piu’ a rischio e soprattutto le famiglie, l’Unicef ha studiato alcuni programmi tecnologici di facile utilizzazione. In Nigeria , per esempio , si utilizzano adesso i messaggini dei telefoni cellulari per registrare le nuove nascite. In altri paesi, come l’Albania, l’agenzia dell’Onu ha chiesto l’aiuto delle organizzazioni non governative per compilare moduli e raggiungere le popolazioni nomadi o altri gruppi marginalizzati.

Qualche passo avanti, negli ultimi anni, e’ stato fatto. Il lavoro da fare, tuttavia, è ancora moltissimo. ‘’La registrazione e il certificato di nascita sono vitali per sviluppare le potenzialità di un bimbo’’, dice Geeta Rao Gupta.,’’tutti bambini nascono con un enorme potenziale. Ma se le società mancano di contarli e non riconoscono neppure che ci sono, i piccoli diventano vulnerabili a ogni abuso. E inevitabilmente il loro potenziale ne risulta enormemente diminuito.”

Gianna Pontecorboli

La questione nello stesso periodo è stata ripresa anche dall’Ansa

 

22 Giugno 2014Permalink