31 maggio 2014 – Cento anni da una strage letti con Ho un sogno

Sul mensile Ho un sogno pubblichiamo qualche considerazione sulla prima guerra mondiale.
In aprile e in maggio ho scritto due piccoli articoli che riporto a conclusione di questo mese.

APRILE

Quali date segnano per noi, in Friuli Venezia Giulia, l’inizio della prima guerra mondiale?
Se pensiamo all’Italia quale oggi è, la risposta è semplice: l’inizio fu il 24 maggio 1915, quando  il regno d’Italia, dopo aver esplorato le diverse alleanze possibili, dichiarò guerra all’Austria-Ungheria e si inserì nel conflitto, già in atto dall’estate dell’anno precedente, a fianco della Francia, della Gran Bretagna e dell’Impero Russo
Ma se guardiamo i confini della nostra regione – e li confrontiamo con  quelli di allora –  ci è impossibile accettare senza riserve la data che abbiamo sentito e che sentiremo risuonare ancora forse come esclusiva.
Il 28 giugno 1914 – quando a Sarajevo risuonò lo sparo che avrebbe dato occasione allo scoppio di un conflitto spaventoso e imprevedibile  per l’ampiezza che avrebbe assunto e i risultati che avrebbe provocato – i confini della nostra regione erano diversi dagli attuali. A nord Pontebba segnava il confine con  l’impero austro-ungarico che ad est, seguendo grosso modo la linea dell’Isonzo,  comprendeva le terre del goriziano e del monfalconese, estendendosi a oriente ben oltre  Trieste e l’Istria.
Quindi una parte della popolazione, oggi amministrativamente unita, il 28 luglio 1914, quando l’impero austro-ungarico dichiarò guerra alla Serbia, si scoprì combattente e dovette considerare  nemici coloro che ne erano divisi solo dalla storica mobilità di un confine.
Ma non a loro si sarebbe potuta attribuire la causa di sofferenze che negli anni a seguire avrebbero reso il “cuore … il paese più straziato”,  come scrisse il poeta Ungaretti allora militare nel goriziano.
Sapremo nel centenario che si celebrerà l’anno prossimo unire il ricordo delle vittime dell’altra parte a quello  dei loro “nemici”? O le celebrazioni ufficiali sorvoleranno su questo aspetto?
Fra le tante rimozioni possibili dello strazio degli anni di guerra vogliamo ricordarne una probabile, di cui fa inconsueta memoria  la bella ricerca ‘Cantieri di guerra’ dello storico gemonese Matteo Ermacora (edizione Il Mulino. 2005).
Si tratta dei lavoratori, anche giovanissimi, impiegati in tutti i lavori necessari per l’operatività dell’esercito. Infatti l’ampiezza e la complessità delle strutture che dovevano garantire le condizioni per l’azione militare ne impegnarono un gran numero mentre  sulle donne gravò anche  il peso della produzione agricola cui gli uomini – trasformati in combattenti – erano stati sottratti.
Molti  erano lavoratori migranti, anche provenienti dal meridione,  costretti a rientrare in Italia già dall’agosto del 1914 per la nuova situazione creata dalla guerra.
L’organizzazione del lavoro a supporto dell’attività militare fu affidata a un apposito organismo, il Segretariato Generale per gli Affari Civili
Le sofferenze degli “operai  borghesi”,  sottoposti a un lavoro durissimo e pericoloso, umiliati da una disciplina di tipo militare,  non erano inferiori a quelle dei combattenti  ma al termine del conflitto le “pensioni di guerra” furono loro negate.
L’esaltazione nazionalista privilegiava la figura del combattente, raffigurato in modalità astratte che non erano quelle di chi era stato obbligato all’orrore della trincea che era stata elemento caratterizzante della “grande guerra”.
Chi era tornato dal fronte si confrontava con la desolazione delle macerie.
E sulle macerie nasceva una nuova Italia che altre macerie avrebbe prodotto.

Fratelli di G: Ungaretti

Mariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete

fratelli?

Parola tremante

nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante

involontaria rivolta

dell’uomo presente alla   sua

fragilità

Fratelli

 

San Martino del Carso
di G: Ungaretti

Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
E’ il mio cuore
Il paese più straziato

MAGGIO

La circolare 3525 del comando supremo emanata il 28 settembre 1915 a firma del gen. Cadorna affermava “deve ogni soldato essere certo di trovare, all’occorrenza nel superiore il fratello o il padre, ma deve essere convinto che il superiore ha il sacro potere di passare immediatamente per le armi i recalcitranti e i vigliacchi” (A. Monticone.  Gli italiani in uniforme Laterza 1972. pag. 224).
Nel quadro di tanta fraterna paternità i tribunali militari emisero più di 4000 sentenze di morte, pari al 2,3% della cifra globale della condanne per tutti i reati  previsti dal codice penale militare (op. cit. pag. 217)
Non sappiamo invece quante esecuzioni sommarie furono messe in atto nel corso della guerra per ‘dare il buon esempio’.
Quando la memoria é un grumo di dolore e il permanere di un’ingiustizia che non può trovare rimedio impedisce di scioglierlo, anche le voci più lontane possono farsi consonanti e riconoscersi nell’esperienza della violenza subita e giudicata.   “Quando é viva davvero la memoria non contempla la storia, ma spinge a farla. <…> Come noi… è  piena di contraddizioni … non è  nata per servirci da ancoraggio. La sua vocazione sarebbe piuttosto di farci da catapulta”. Così le parole dello scrittore uruguayano Eduardo Galeano diventano voce per significare ciò che è  accaduto e accade in un paese del Friuli.

Il paese, Cercivento, é un piccolo centro della Carnia, non lontano dal confine italo-austriaco. Dietro il cimitero, che é ben visibile dal nuovo municipio costruito dopo il terremoto del 1976, si trova un cippo collocato due anni fa a ricordo di quattro caduti in guerra. Sono caduti speciali, ignorati dal monumento che fa memoria di chi morì fra il 1915-18 e il 1940-45. Infatti, proprio nel luogo del cippo, il primo luglio del 1916 vennero fucilati quattro alpini, dopo un processo sommario istituito da un Tribunale Straordinario di guerra e tenutosi in chiesa, l’unico spazio del paese sufficientemente ampio occupato per l’occasione..

I quattro alpini uccisi, tre caporali e un soldato, facevano parte della 109a compagnia alpina (XII° Corpo d’Armata), cui era stato ordinato di muovere alla conquista di una cima, tenuta dall’esercito austriaco e considerata dal capitano di quella compagnia particolarmente interessante dal punto di vista strategico.

Si trattava di una strategia connessa a scelte militari o al desiderio di un pezzetto di gloria strettamente personale? Questo non lo sapremo mai perché dopo la fucilazione dei quattro alpini il capitano passò ad altra zona d’operazioni e mori in guerra, colpito – tale almeno é la voce popolare- dai suoi stessi soldati.

Comunque, in quel lontano giugno 1916, i soldati della compagnia 109 si rifiutarono di uscire dai propri baraccamenti, invitando invece il capitano ad assicurare una adeguata copertura all’operazione che si sarebbe dovuta svolgere su un terreno particolarmente esposto.
Non é irrilevante il fatto che fra quei militari ci fossero valligiani che già avevano dimostrato in precedenti operazioni l’utilità della loro conoscenza del terreno.

Cosi fu convocato a Cercivento, il paese più vicino alle trincee, un Tribunale Militare straordinario per giudicare 80 alpini (68 soldati e dodici graduati) a norma dell’art. 114 del Codice penale militare. L’art.114 prevedeva il reato di “rivolta”, aggravato dal riconoscimento del “concerto tra i rivoltosi”, che poteva ritenersi fondato su un’intesa, anche istantanea, di almeno quattro militari.

Oggi sappiamo che nel 1916, dopo lo sfondamento dell’esercito austro-ungarico in Trentino e il conseguente ripiegamento dell’esercito italiano, la recrudescenza dell’azione penale militare fu assai rilevante: non é un caso che gli storici parlino di “fronte interno”.

Allora però non era il momento dei giudizi storici, ma solo quello dell’orrore e del dolore e il fatto che il processo di Cercivento avvenisse vicino alla residenza degli imputati non consenti di nascondere e mistificare la realtà del dramma e perciò coinvolse, nel suo svolgersi, anche la popolazione, spettatrice e insieme protagonista di quanto si andava consumando.

Così se da una parte tutti gli arrestati, continuando forse a non rendersi ben conto della gravità della situazione, vivevano in un’attesa che era contrassegnata da un pesante mutismo, le loro madri e spose stavano cercando, piangendo, di mettersi in contatto con loro per capire cosa era successo e per dare loro quanto poteva necessitare.

E mentre altre donne, nello stesso momento, stavano dando origine a reazioni di protesta sempre più difficoltosamente tenute a freno dalle truppe in armi, alcuni anziani, in questo clima di confusione generale, manifestavano urlando e minacciando sotto l’edificio dove era imprigionata buona parte degli arrestati.

Il processo avvenne nell’unico locale adeguatamente spazioso, la chiesa del paese, fra il 29 e il 30 giugno e si concluse con pesanti pene per tutti gli imputati e, per quattro di loro, con la condanna a morte, eseguita precipitosamente all’alba del primo luglio, poco dopo la lettura della sentenza e che fu cosi registrata: “Oggi primo luglio 1916 alle ore 4 e minuti 58 in Cercivento di sopra, presente la truppa sotto le armi, é stata eseguita, in conformità ai regolamenti, la sentenza capitale emanata dal Tribunale Straordinario di guerra… per mezzo di fucilazione al petto”.

La memoria mai spenta di quell’evento é stata stimolo per un intero paese a conoscere e a capire e a tale desiderio ha dato risposta e ancora voce la pubblicazione di un volumetto, accurata e insieme appassionata raccolta di documenti e memorie. Il titolo “Sembravano anime del purgatorio” (Sameavin animes dal purgatori) viene da una testimonianza straordinaria, quella di Anna che, ormai vecchia, nel 1989 ricordava il suo incontro con chi aveva eseguito la sentenza:   «Erano circa le cinque del mattino: mi stavo recando al lavoro. In quel periodo ero una ragazza e aiutavo … a preparare i pasti ai militari che erano acquartierati presso il Lazzaretto … D’improvviso ho sentito una scarica …Mi sono spaventata … Non sapevo se andare avanti o ritornare a casa … Mi sono fatta coraggio e ho proseguito … Lungo il cammino verso il Lazzaretto ho incontrato il plotone che era stato incaricato di sparare …. Sembravano anime del purgatorio (Sameavin animes dal purgatori) …Li avevano ammazzati solo per dare il “buon esempio!” »

Quella ragazza, per dare un nome al tormento di chi non si era saputo sottrarre all’obbligo di farsi massacratore, aveva rievocato il fondo oscuro di antiche leggende! Il medioevo aveva associato alla guerra la “peste e la fame” e cosi era ancora nel 1916 e cosi ancora é oggi.

Se ne accorsero persino, sempre nel 1916 e pur senza raggiungere la profondità di penetrazione psicologica e politica dimostrata da Anna, i giudici del Tribunale militare della Carnia illustrando le motivazioni dell’assoluzione di un imputato di diserzione: “Scarno e macilento di aspetto con lo sguardo spaventato ed incerto, col volto attraversato di continuo da contrazioni dei muscoli facciali, egli non é stato nemmeno in grado di rendere il suo interrogatorio, rispondendo a malapena ed a monosillabi alle domande che gli si rivolgevano, e mantenendosi come estraneo e indifferente a quanto intorno a lui accadeva”.

La memoria, quando diventa catapulta, può rovesciare le convinzioni consolidate, ricostruire valori originari, uscire da quel conformismo che nel suo squallore riesce a rendersi ridicolo persino nelle tragedie. E la memoria dei morti di Cercivento viene oggi celebrata riconoscendo nella violenza che aveva distrutto i quattro alpini l’offesa ancora dolente a una intera comunità (che si é giovata anche della collaborazione di una autorità comunale singolarmente responsabile e consapevole).

Di recente, nel contesto di un’iniziativa cui ha presenziato il presidente della Repubblica per onorare le portatrici carniche (le donne che la necessità costrinse a farsi eroiche e che con le loro gerle non solo assicurarono i vettovagliamenti della prima linea, ma provvidero talvolta anche al trasporto di munizioni), é stata ripetuta la richiesta di formale riabilitazione dei quattro alpini, inutilmente perché‚ vi si oppone la morte degli interessati (sic!). Solo loro infatti – secondo il Tribunale Militare di Sorveglianza- avrebbero legittimo titolo a presentare l’istanza per cui, come recita un’ordinanza del novembre 1990, “difettano manifestamente le condizioni”: le condizioni per la riabilitazione o le condizioni per l’esercizio della ragione?      

1 Giugno 2014Permalink

25 maggio 2014 – Lettera all’on. Kyenge

 

Ho inviato questa lettera aperta alla destinataria e la pubblicherò su facebook.
Servirà a qualche cosa?
Vista la mia esperienza temo di no ma non mi sento di lasciar perdere.

Gentile on. Cécile Kyenge,

Le scrivo a elezioni concluse per spiegarle le ragioni per cui ho dato il mio voto solo a lei, ragioni che non ho scritto prima perché non volevo entrare nel bailamme della propaganda elettorale secondo me malissimo giocata negli argomenti e nei modi.
Per essere comprensibile devo inserire le storie che mi hanno condotto alla scelta che ho dichiarato.

Prima storia
Delusa dall’atteggiamento del Pd su molte questioni e in particolare su un problema di cui dirò più avanti (le poche persone che so essere state capaci di una propria ragionata consapevolezza non hanno riscattato l’atteggiamento omissivo del Pd in quanto tale) avevo pensato a un voto per Tsipras, attratta dalla presenza di due persone che vorrei vedere nel Parlamento europeo, l’una – Barbara Spinelli – per la sua eccezionale competenza nella istituzione europee e nei Trattati firmati nel corso degli anni, l’altro – Adriano Prosperi – come storico di cui ho grande stima e soprattutto lo ritengo persona cui avrei affidato la mia speranza di poter leggere, nei fondamenti dell’agire del Parlamento Europeo, la consapevolezza delle  speranze di pace che, nell’immediato secondo dopoguerra – e se pensiamo al Manifesto di Ventotene – anche durante, avevano acceso l’idea dell’unità del vecchio continente.
Quella unità era sperata in un fondamento politico nato dalla lettura consapevole e responsabile di una storia drammatica e porterebbe fino al significato di scelte politiche quotidiane che non vogliano (e dalle proposte che ho sentito mi sembra invece lo vogliano) affidarsi all’occasionalità, eventualmente sostenuta da brandelli di ideologie più o meno metabolizzate.
Adriano Prosperi è candidato nella mia circoscrizione e mi sarebbe piaciuto votarlo affiancandolo a una candidata locale di cui ho stima.
E invece è arrivato lo schiaffo: Spinelli e Prosperi hanno dichiarato che, se eletti, si ritireranno per dar posto ad altri.
Vogliono ridursi a specchietti per le allodole? Non sono affari miei, non sono un’allodola.
E così, caduta la speranza Tsipras, sono tornata alla mia originaria ipotesi di scheda bianca.
Poi le cose sono cambiate.
Ma, per spigargliene la ragione devo passare alla

Seconda storia

Cinque anni fa l’allora ministro Maroni (era in carica il quarto governo di un tale già cav., già on. già molte altre cose) impose il voto di fiducia sulla legge che prese il numero 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Ora la Corte Costituzionale la sta facendo a pezzi ma non si è occupata dell’aspetto che mi sta a cuore e su cui cerco di documentarmi: la lettera g) del comma 22 dell’art. 1 che impone la presentazione del permesso di soggiorno ai non comunitari che vogliano assicurare ai figli un certificato di nascita, come la legge di ratifica della Convenzione  di New York impone invece per ogni bambino (legge 176/1991).
La Corte non se ne è occupata perché nessuno ne ha messo in moto il meccanismo nelle forme dovute ma tanto non servirebbe se fosse discussa e approvata una semplice modifica già formulata in proposta di legge n.740, affidata alla commissione Affari Costituzionali e di cui non sembrano occuparsi più nemmeno i 104 proponenti.

Ora dobbiamo collegarci alla storia europea.
Ho scritto sopra di storia drammatica. Appunto
Il nazismo voleva che certe persone, interi popoli fossero Untermenschen, sotto uomini e dovessero scomparire dopo che tutta la loro capacità lavorativa, i loro corpi stessi fossero stati messi a disposizione del grande reich.
La burocrazia tedesca creò le condizioni perché i lager potessero esistere e prosperare e sappiamo cosa furono.
Non vennero calati dal cielo compiuti e prefabbricati nella soluzione finale: crebbero un po’ alla volta, nel diffuso consenso popolare.
Il fascismo rivendicò orgogliosamente la stessa dottrina e il popolo italiano aderì.
Si faccia predisporre, on. Kyenge,  una rassegna stampa dei giornali italiani del 1938.
Cominci dal discorso a Trieste di Mussolini (cav. pure lui e pure lui capo dell’allora governo). Era il 1938, se non erro il mese di ottobre … ma non le sarà difficile trovare la registrazione di quell’infame discorso. Lo ascolti.
E nessuno o quasi (e molto dovremmo ragionare su quel ‘quasi’) protestò, anzi ..
Legga (io l’ho fatto) gli articoletti dei giornali locali di allora con cui direttori didattici, preside, insegnanti  plaudono ufficialmente alla scomparsa dei loro colleghi e dei loro studenti cacciati da scuola perché ebrei.
Oggi il popolo italiano subisce una legge che caccia neonati dal consorzio civile negando loro il certificato di nascita e tutti – o quasi – stanno buoni e zitti. Tacciono anche i parlamentari e io non mi sento rappresentata da chi digerisce tranquillo un’infamia del genere. E’ una norma che mi offende per il fatto di essere stata scritta e votata a prescindere dai danni che può provocare.
Certo i neonati che la legge vuole fantasmi sono probabilmente pochi ma, fermo restando che il diritto ad esistere non si pesa né a quintali né a chili, ci sono.
Ce lo dice un complesso di 80 associazioni che fanno parte del Gruppo Convention on the Rights of the Child (che ha il compito di monitorare la Convenzione di New York):
«Il timore, quindi, di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori».

«Pur non esistendo dati certi sull’entità del fenomeno, le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno. Questo può far supporre che vi sia un numero significativo di gestanti in situazione irregolare»..

Ho parlato con  parecchi rappresentati del Pd (e salvo un consenso di alcuni a titolo personale e la predisposizione della negletta proposta di legge 740) ho capito che l’estraneità del problema per il Pd (e anche per Tsipras) è totale.
Ci si intestardisce ad affermare che la cittadinanza jus soli quando sarà sanerà tutto e a trasformare quel pur condivisibile obiettivo in un alibi per tacere sulla realtà che – solo in parte – le ho esposto.
Nel consenso diffuso (condito di finta inconsapevolezza intenzionalmente giustificante) abbiamo cominciato a creare i sotto bambini come il nazismo aveva creato i sotto uomini.

E allora perché le ho dato il mio voto?

Quando la settimana scorsa ci siamo incontrate a Udine in piazza San Giacomo io, a seguito del suo discorso per molti aspetti condivisibile ma non accettabile nell’omissione, sono intervenuta  e so che poi è stata avvicinata da due esponenti del Pd che hanno capito il problema.
Così il giorno successivo ho avuto la convincente sorpresa.
Sul più diffuso quotidiano locale ho letto, a seguito della proposta dei tre punti forti del suo programma in caso di elezione, «Giovani, donne, lavoro e integrazione», una precisazione che trascrivo: «La registrazione all’anagrafe italiana  per tutti i nuovi nati sul territorio in modo che a scuola non ci siano distinzioni, perché quella è la prima pietra di integrazione»
Aveva ascoltato, aveva capito, aveva superato l’omissione.
Io non so, on Kyenge, se sarà eletta al Parlamento Europe (spero di sì e che anche a Bruxelles resti capace di ascoltare, capire, rafforzare la sua determinazione e, se il caso, correggersi).
Lei è comunque parlamentare italiana. Quindi le faccio, con attenzione alla responsabilità che le spetta in entrambi i ruoli, quello che riveste e quello che forse rivestirà

due modeste proposte

Il 23 aprile nel corso della trasmissione di radio 3 (RAI – Tutta la città ne parla ore 10) un avvocato componente dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione  dichiarò (trascrivo dalla trasmissione ascoltabile in podcast):
«c’è un problema relativo a una questione  molto più grave.  Cioè la possibilità da parte di due persone che senza permesso di soggiorno, ma anche senza un documento di identità (la donna che è priva di un passaporto) di poter riconoscere il proprio figlio. Nel senso che sicuramente la normativa nazionale e internazionale le  riconosce questo diritto. Però questo diritto è stato posto in discussione più volte».
E ancora:
«  non è raro – purtroppo non è raro – il fatto che al momento del parto venga negata alla persona, alla donna che ha partorito in ospedale, la possibilità di riconoscere il figlio senza documento di identità, per cui una serie di strutture mediche trovano escamotage tipo per esempio la richiesta di testimoni che possano testimoniare che quella donna ha partorito quel figlio o anche altri stratagemmi assolutamente stravaganti»
Quindi i nostri sotto bambini non resterebbero, se ciò che ha detto l’avvocato dell’ASGI è vero, privi solo di certificato di nascita ma sarebbe negato persino il diritto naturale della madre che precede ogni burocrazia.
La mia proposta? Inviti il ministro della salute a verificare il fondamento di questa negazione della maternità  che a me sembra un crimine.

E ancora l’ASGI afferma (e sostiene tale affermazione con una lettera al MIUR del suo stesso presidente):
«Nelle indicazioni operative contenute nel testo del Ministero si trovano le indicazioni dirette alle segreterie scolastiche di richiedere ai genitori degli alunni stranieri, ai fini dell’iscrizione dei figli, l’allegazione alla domanda di copia del proprio permesso di soggiorno.»
Come nel caso precedente le chiedo di promuovere una verifica di questa procedura che paradossalmente contraddice addirittura la legge 94 che ho citato.

Cordiali saluti e auguri di buon lavoro ovunque si troverà ad operare.

Augusta De Piero  –  Udine

25 Maggio 2014Permalink

23 maggio 2014 – Condividere un ricordo

 

Interrompo, ma non lascio l’argomento che sto trattando a puntate , per inserire un articolo che mi è stato segnalato da un amico che vive in Italia da quando la guerra lo ha costretto a lasciare la Bosnia e proprio una delle città che ora subiscono gli effetti dell’alluvionese.

I Balcani sepolti dal fango ora nelle strade dell’odio i vecchi nemici si aiutano

DOBOJ (BOSNIA) ADELNICE , ancora boschi stremati, persino tralicci piegati dal gelicidio. È lo stesso posto dove vent’anni fa vedevi i primi segni di guerra, le case dinamitate o sforacchiate dai kalashnikov. E poi via, oltre una cordigliera desertica, dove penetrarono le avanguardie del Turco, e dove la Bosnia col suo labirinto di acque spinge come un cuneo verso la valle della Kupa, ultimo fiume delle Alpi. Lassù sembra che Mediterraneo e Centro Europa si diano battaglia a colpi di vento. Oltre, pensi, andrà meglio. E invece no. Dopo Gradiska, quando la Sava sembra raddoppiare di portata per l’immissione dei primi affluenti di destra — l’Una e il Vrbas — proprio lì le prime colline di Bosnia sono inghiottite da uno strato di nubi grasse color topo. L’aria è ferma, in bilico fra i monti e la Pannonia. Ma il peggio arriva col fiume Bosna, lo stesso che sfiora Sarajevo. Fra Derventa, Modrica e Doboj il traffico si interrompe, i ponti sulle montagne son venuti giù, la precedenza è tutta per i mezzi di soccorso. Ora esce il sole, il paesaggio luccica di rivoli, mostra plasticamente la dimensione della catastrofe. Maglaj è sotto quattro metri d’acqua. A Doboj si parla di settanta vittime e di numerosi dispersi. A Srebrenica, fa sapere Azra Ibrahimovic, si arriva solo per la strada alta delle miniere; Bratunac e Potocari sono isolate. Travnik, la città di Ivo Andric, è andata sotto, e così anche Prijedor e Zenica. Fra Modrica e Zepce il fiume si è mangiato 200 metri di ferrovia e chilometri di asfalto stradale. Ma il peggio è il seminato perduto: granturco spazzato via, alberi di prugne e ciliegie che hanno perso i frutti. Dopo l’alluvione, la paura della carestia. C’è una colonna croata che sale da Slavosnski Brod, la catena della solidarietà è partita alla grande, anche fra ex nemici, sulle stesse strade della pulizia etnica. Serbi, croati, musulmani, cartelli in cirillico, in alfabeto latino, ora nessuno guarda la differenza. E’ saltato tutto, l’emergenza ridicolizza le spartizioni di Dayton. «Dite che mandino aiuti dall’Italia, ma non al governo che si mangerebbe tutto. Portate direttamente a noi. Cibo, vestiario, materassi, coperte, badili». Ma italiani non si vedono, gli aiuti governativi sono a quota zero. Dalla Serbia, dove il disastro prosegue oltre la frontiera della Drina, arriva notizia di colonne slovene, ungheresi e anche russe. Mosca è già al lavoro con squadre a Obrenovac, cuore del disastro a Sudovest di Belgrado. Annunciano aiuti gli Emirati. Manca solo l’Europa. La gente non la vede, in Serbia come a Sarajevo. All’Unione, ti fanno capire, i Balcani interessano per i giochi della geopolitica, e chi se ne frega se «stavolta è quasi peggio della guerra», se i fiumi si portano via villaggi e fabbriche, se “le colline si muovono” e sommergono quel poco che due Paesi in ginocchio sono riusciti a ricostruire. Alcune strade si stanno già riaprendo, ma il rischio è sulle montagne dove i campi minati ancora non bonificati smottano in alcuni punti. Una situazione afgana. Il territorio abraso dall’incuria e dalla guerra è diventato un acceleratore di piene, e così non tanto i grandi fiumi, ma i piccoli “potok” si trasformano in killer, centuplicano la portata in poche ore. A Dobrinja, periferia di Sarajevo, un rigagnolo ha trascinato via un uomo. A Modrica e a Zvornik c’è chi ha visto corpi portati dalla Drina come nei giorni della pulizia etnica, quando le bande trasformarono i ponti in scannatoi. La gente si è ritirata sui piani alti o sui tetti, e aspetta soccorso. Vecchi, adulti e bambini dormono all’aperto, sulle colline. Per via degli ospedali tagliati fuori molte donne hanno partorito in casa o in ambulatorio. Le facce. Indescrivibili. Molto oltre la rassegnazione. Ti guardano per dire: che può succederci di peggio? Cosa ancora, dopo gli scannamenti, il silenzio dell’Occidente, il genocidio impunito, la criminalità al governo e una grande alluvione? Eppure non c’è fatalismo. Nessuno aspetta la protezione civile, come da noi. Qui sono vent’anni che non c’è. Quelli che possono, sono a spalare. E sarebbero tanti di più, se li si rifornisse di stivali di gomma. Stivali che, ovviamente, non ci sono. Capacità di scherzare, anche col fango alle cintola: «Va male, malissimo. Ma intanto facciamoci un cicchetto». Frase già sentita, vent’anni fa, a Sarajevo assediata. Quattro giorni fa, quando la Miljacka si è improvvisamente gonfiata nella capitale, qualcuno aveva sparato l’immagine dell’onda con sopra, in fotoshop, un surfista. “Grazie Tito”, ghigna Emina Bruha Brkovic, alludendo alla diga di Lukavac piena fino all’orlo. Il senso è: meno male che fu Tito a farla costruire. Se l’avessero appaltata quelli di oggi, sarebbe già venuta giù. La note stonate, come sempre, dalla politica. «Sabac non deve cadere» proclamano i giornali serbi, gonfi di Dio-Patria-Famiglia. E fanno il verso alla Grande Guerra, quando proprio Sabac, sulla Sava, fu nucleo della resistenza contro l’austro-ungarico invasore. «Mobilitazione generale!», volano parole così. Ma funzionano: in diecimila hanno accumulato sacchi di sabbia attorno alla città, e ora il top della piena è passato, scende su Belgrado. E intanto partono appelli al mondo: “È una delle peggiori emergenze climatiche del secolo. Gli sfollati fra Bosnia e Serbia solo almeno settantamila». La Drina dalle parti di Bijeljina è inavvicinabile: la confluenza con la Sava è diventata un lago dove solo le cicogne sembrano a loro agio. Ci sono già stato un mese fa, sul fiume cantato da Ivo Andric attraverso la storia di un ponte. Le colline a Sud di Loznica, specialmente, mi sono parse un piccolo Eden. Sterminati frutteti, le prugne più buone del mondo, cespugli di more e mirtilli e, ai crocicchi, piccoli chioschi “turchi” profumati di grigliata. Ma soprattutto acqua, un reticolo luccicante di acqua benedetta tra i boschi, villaggi e mille piccoli ponti. Nessuno avrebbe detto, un mese fa, che quei rigagnoli avrebbero mosso le montagne

Paolo Rumiz

da la Repubblica.it20140519

23 Maggio 2014Permalink

16 maggio 2014 – Quando la burocrazia diventa violenta [Terza puntata]

 

L’ASGI fra il 5 maggio (quando ha pubblicato lo scritto che ho commentato con il titolo Calcio negato ai minori stranieri se i genitori non hanno il permesso) e il 13 maggio  si è ancora occupata di minori stranieri rendendo nota una lettera inviata il 7 maggio al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, a un sottosegretario e ad alcuni dirigenti del ministero stesso.

Ne riporto quasi integralmente quanto riferito nel sito dell’Associazione:

«13.05.2014  ASGI al MIUR : le linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri vanno modificate

Nel febbraio 2014  il MIUR ( Ministero per l’istruzione, Università e ricerca) ha reso noto le nuove “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri” .

Nelle indicazioni operative contenute nel testo il Ministero  si trovano le indicazioni dirette alle segreterie scolastiche di richiedere ai genitori degli alunni stranieri, ai fini dell’iscrizione dei figli, l’allegazione alla domanda di copia del proprio permesso di soggiorno.

Seppur in più parti delle Linee guida si ribadisce, doverosamente, come l’irregolarità dei genitori non possa compromettere in alcun modo il diritto degli alunni all’iscrizione scolastica, la richiesta di esibizione ed allegazione del permesso di soggiorno ai genitori degli stessi appare tuttavia, secondo l’ASGI :

illegittima, per manifesta violazione dell’art.6, co.2, D.Lgs. 286/1998 che, nel sancire l’obbligo dei cittadini stranieri all’esibizione del permesso di soggiorno agli uffici delle pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta, fa salvo proprio il caso in cui il cittadino straniero vi si rivolga per provvedimenti “attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie”. Il cittadino straniero che chiede l’iscrizione del figlio a scuola non può pertanto essere tenuto ad esibire il permesso di soggiorno;

discriminatoria, ostacolando (illegittimamente per quanto sopra) l’iscrizione scolastica dei cittadini stranieri;

irragionevole, imponendo ai fini dell’iscrizione stessa l’allegazione di un documento del tutto inutile (la titolarità o meno da parte dei genitori dell’alunno del permesso di soggiorno infatti, come correttamente rilevato nelle stesse Linee guida, è del tutto irrilevante ai fini del perfezionamento della procedura);

dannosa, potendo ottenere l’effetto di scoraggiare i genitori privi di permesso di soggiorno dall’iscrivere i figli a scuola (legittimamente possono infatti ritenere che se a tal scopo viene richiesta l’allegazione di un documento, la sua indisponibilità possa ostacolare l’accoglimento della domanda).

L’ASGI,  in una lettera inviata al MIUR lo scorso 7 maggio 2014, chiede che le Linee guida vengano pubblicate in nuova edizione con la cancellazione, al paragrafo 2.2, della voce “permesso di soggiorno e documenti anagrafici”, da sostituirsi eventualmente con una voce “documenti anagrafici”.

In mancanza di sollecito riscontro, l’ASGI si attiverà in sede giudiziale al fine di ottenere per via giudiziale la rimozione dalle Linee guida della richiesta del permesso di soggiorno ai fini dell’iscrizione scolastica».

Prevenire, denunciare, lamentarsi, tacere?

Trovo questo documento non solo importante ma di singolare rilievo perché non si richiama a episodi specifici di danno già provocato ma analizza una disposizione risalente allo scorso febbraio (contro cui è l’ASGI si dichiara disposta ad attivarsi in sede giudiziale) allo scopo evidente di impedire che norme inaccettabili producano danni.

Spero che l’Asgi trovi una voce altrettanto apprezzabile e autorevole per segnalare la questione di cui scrivo da cinque anni: la legge (e non l’arbitrio dei singoli) che nega l’esistenza, prima ancora che la scuola, ai figli di  chi non abbia il permesso di soggiorno.
Oggi l’avvocato loro iscritto che ha parlato il 23 aprile a Radio3-RAI potrebbe, se ho correttamente interpretato ciò che ha detto, raccontare casi (ovviamente nelle sedi in cui questo non sia violazione del segreto professionale)  anche se –secondo me – la scelta irrinunciabile deve essere quella di opporsi alla legge che crea i tanto richiesti e variegati ‘casi’.        Pro memoria: ne ho scritto il 6 maggio  

Legalità e furbizia
Giustamente l’ASGI segnala la «manifesta violazione dell’art.6, co.2, D.Lgs. 286/1998 che, nel sancire l’obbligo dei cittadini stranieri all’esibizione del permesso di soggiorno agli uffici delle pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta, fa salvo proprio il caso in cui il cittadino straniero vi si rivolga per provvedimenti “attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie”. Il cittadino straniero che chiede l’iscrizione del figlio a scuola non può pertanto essere tenuto ad esibire il permesso di soggiorno».
Da parte mia ricordo benissimo che la precisazione che si riferisce alla “prestazioni scolastiche obbligatorie” fu suggerita dall’on. Fini (allora Presidente della Camera) e presentata con un emendamento dell’on Mussolini,  inserito nel testo imposto nel 2009 con voto di fiducia.
L’azione che lascerebbe trasparire una positiva intenzione da parte dei due era però caratterizzata da una particolare furba sciatteria: infatti il percorso educativo di un bambino inizia dal nido, si sviluppa nella scuola materna, prosegue nella scuola dell’obbligo e oltre.
Nido e materna in particolare sono i luoghi in cui il bambino può sviluppare naturalmente quella competenza linguistica che viene richiesta per l’integrazione.
La conoscenza del meccanismo della legge impone domande precise  «Come iscrivere al nido un bambino cui è stata affidata la funzione di spia dei genitori privi di permesso di soggiorno? come iscriverlo se non esiste? »
Negargli questa precoce opportunità appare anche scelta logicamente sconnessa ma il richiamo alla logica è forse eccessivo in questa vicenda evidentemente repellente anche sul piano etico e politico. Qui si gioca non di logica ma di pretesti per ottenere consenso a leghista benedizione.

Le organizzazioni della società (in)civile
Io però continuo ad essere preoccupata dal silenzio in materia di associazioni che si dicono finalizzate alla tutela dei diritti dei migranti (che, in questo caso almeno, se violati mettono in discussione i nostri di cittadini costretti a subire norme in dirompente odore di razzismo).
Ricordo che opporsi con competenza non  costa nulla e che si possono ottenere risultati anche a seguito di un impegno personale.
Si vedano i miei scritti relativi alla correzione operata dall’Ospedale di Udine nel dépliant che conteneva un richiamo alla discriminazione di neonati attraverso il permesso di soggiorno. Per ottenerla bastò uno scritto a firma personale.
Riferimenti in diariealtro.it: 28 luglio 2013  e 5 gennaio 2014.

 3. forse continua

16 Maggio 2014Permalink

8 maggio 2014 – In conclusione il nemico è svelato [Seconda puntata]

Riprendo le considerazioni conclusive del sei maggio, riportando anche il testo che allora avevo trascritto. .

Un pezzo, datato 5 maggio che ricopio per intero,  dimostra l’attenzione civile e professionale che  l’Associazione Studi Giuridici Immigrazione riserva all’attualità.
E’ chiaro che con legalitaria diligenza l’Asgi si occupa di minori che esistono, la cui esistenza è comprovata da un certificato di nascita, concesso da una pietosa circolare non dalla legge,  ma non possono realizzare il loro desiderio di prendere a calci un pallone all’interno delle organizzazioni a quegli specifici calci deputate  perché, pur se sono nati e risiedono in Italia, sono stati caricati del peccato dei loro genitori di essere privi del permesso di soggiorno.

-5 maggio  Calcio negato ai minori stranieri se i genitori non hanno il permesso

Sono ragazzini e vorrebbero giocare a calcio. Vorrebbero partecipare ai tornei ufficiali in cui gareggiano molti loro coetanei. Ma devono rinunciare perché la legge del calcio lo vieta. Sono i tantissimi adolescenti tagliati fuori dalle competizioni della Figc (Federazione italiana gioco calcio) perché i loro genitori non hanno il permesso di soggiorno 
1 Centinaia in tutta Italia, alcuni nati nel nostro Paese.
. Il permesso di soggiorno a cui si fa riferimento è quello dei genitori, visto che la regolarità in suolo italiano del minore straniero dipende dalla posizione giuridica della madre e del padre
. 2
Una norma che ricalca il regolamento internazionale della Fifa eimmigrazione irregolare, ma che spesso finisce per condannare i bambini, tutti quei bambini che avrebbero diritto allo sport ma che non possono giocare a causa della situazione legale dei genitori. Una norma che è finita al centro del mirino di numerose società calcistiche, spesso costrette a rifiutare tesseramenti di adolescenti stranieri ma perfettamente integrati in Italia, e di varie associazioni tra cui l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), la quale parla esplicitamente di “discriminazione”.
Secondo Alberto Guariso dell’Asgi, “la Figc nega il diritto allo sport dei minori, violando la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, secondo la quale nessun minore può essere trattato diversamente in relazione allo status giuridico dei genitori”  2.
Secondo Guariso “la Figc dovrebbe adeguarsi agli altri settori della società italiana come la scuola e la sanità, dove qualsiasi minore ha diritto allo studio e alle cure mediche, indipendentemente dalla regolarità dei genitori in territorio italiano”  3.

Tanto più che, aggiunge Guariso, “i minorenni non possono essere espulsi dall’Italia in base all’articolo 19 del Testo Unico. Un paradosso – precisa l’avvocato – visto che il minore può restare in Italia ma contestualmente non può praticare sport”.
Un principio su cui sostanzialmente si è espressa anche la magistratura. Nello specifico il altro affermato come il diritto alla pratica sportiva costituisca un diritto fondamentale perché attraverso di essa trova espressione la personalità dell’individuo e l’attività sportiva costituisce certamente uno strumento di integrazione sociale così come una possibilità di fonte di reddito e di accesso al lavoro.
E proprio in base a questi principi, risulterebbero esclusi dai tornei ufficiali anche i minori non accompagnati, quelli cioè presenti in Italia senza genitori e non ancora adottati 2. Anche in questo caso, esiste una sentenza del tribunale di Pescara datata giugno 2011 che giudica discriminatorio il rifiuto del tesseramento a una società calcistica del minore straniero non accompagnato affidato in Italia. In questo caso si trattava di un minore senegalese in affido ad una coppia di italiani in attesa di regolarizzarsi. (js)

A seguito di alcuni dei tratti in rosso ho scritto dei numerini cui corrispondono i tre passi che seguono con cui propongo le citazioni di norme corrispondenti ai tratti evidenziati/colorati  sopra.

1.F.I.G.C. – Settore Giovanile e Scolastico -Carta dei diritti dei bambini e dei doveri degli adulti                                           http://www.figc.it/other/Carta_diritti_06.pdf
La Carta della FIGC si giova del marchio del Ministero del lavoro e Politiche sociali e dell’UNICEF, allineati in questo contesto alle formulazioni della F.I.G.C. e meno interessati al diritto di garantire ai nuovi nati un’esistenza giuridicamente riconosciuta quale è assicurata dalla registrazione anagrafica di cui non sembrano occuparsi. Proclamano invece ‘diritti’ la cui formulazione non si trova nella Legge 27 maggio 1991, n. 176  (si veda il punto successivo) ma interessano evidentemente l’organizzazione calcistica limitatamente ai ragazzini che, per il fatto di essere riconosciuti giuridicamente esistenti, hanno chi assicura loro voce e possono quindi essere utilmente allevati per le funzioni attinenti il calcio.
Se parla anche, nello stesso quadro di indifferenza per chi è privato della registrazione anagrafica, in un articolo reperibile in rete  

2.  Legge 27 maggio 1991, n. 176  Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989

Art. 7  – Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi.
– Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.

Art. 8 –. Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali.
-. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile.

Art. 31 –. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
-. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

3. Leggo nella comunicazione dell’ASGI: “la Figc dovrebbe adeguarsi agli altri settori della società italiana come la scuola e la sanità, dove qualsiasi minore ha diritto allo studio e alle cure mediche, indipendentemente dalla regolarità dei genitori in territorio italiano”.
Qui segnalo due punti che non posso condividere:
–  lo studio – nel pacchetto sicurezza per i minori figli di persone senza permesso di soggiorno lo studio è assicurato solo per le ‘prestazioni scolastiche obbligatorie’, quindi per far assicurare al  proprio figlio la possibilità di frequenza della scuola per l’infanzia e del percorso scolastico successivo alla scuola dell’obbligo occorre il permesso di soggiorno. E tale permesso occorre anche per l’iscrizione al nido così importante per l’apprendimento della lingua italiana che in chiacchiere diffuse viene beffardamente dichiarato fondamentale strumento di integrazione.
– cure mediche. “Sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio […]. Sono, in particolare, garantiti: a) la tutela sociale della gravidanza e della maternità, […] b)la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176;  c)  le vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni” (legge 94/2009 art. 1 comma 22 lettera g)”.
(Si veda Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 33)
Per altre modalità di cura, assicurate ai minori, si vedano i riferimenti all’accordo stato-regioni nel sito della Società di Medicina delle Migrazioni (www.simmweb.it )

CONCLUDO PER ORA:
Nei documenti che ho citato il diritto dei bambini al gioco  come affermato dalla Convenzione di New York  viene intrappolato dentro le maglie dei regolamenti FIGC che a me non sembrano del tutto conformi alla Convenzione stessa
Ripeto il testo dell’art. 31 della Convenzione di New York:
Art. 31 1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
2. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

L’Italia è stato parte o no?

Ma soprattutto non voglio dimenticare che i bambini senza certificato di nascita in ogni caso sono tagliati fuori dall’esistenza giuridicamente riconosciuta assicurando così alla società (in)civile il loro ruolo di capro espiatorio.

2 continua

NOTA: Oggi 7 maggio il sito dell’Asgi riporta nella colonna di sinistra il testo che ho trascritto e a destra, nella colonna notizie, si ferma al 29 aprile                            http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=3228&l=it


 

8 Maggio 2014Permalink

6 maggio 2014 – Piano piano il nemico si svela [Prima puntata]

Una storia fastidiosa per molti

Il 30 aprile scorso pubblicavo una petizione destinata alla presidente Boldrini con cui le chiedevo di adoperarsi per promuovere il dibattito sulla proposta di legge 740 che si giace in parlamento da più di un anno, affidata alla Commissione Affari Costituzionali dallo scorso mese di giugno  (pure silente). Ne ho trascritto l’iter lo scorso 21 dicembre.
Quella petizione – a riprova del successo della cultura ampiamente diffusa oltre i propri limiti dalla Lega Nord – ha meritato meno di 400 firme e perciò ho inserito nello spazio concesso da  change un aggiornamento, di nuovo riferendomi alla presidente Boldrini.
Eccone il testo:

Gentile Presidente Boldrini
se la mia conoscenza del funzionamento del sito  change.org è corretta dovrebbe  esserle arrivato il testo di una petizione, pubblicata in quel sito nel mese di novembre 2013 (e di cui le allego la trascrizione, mentre le invierò per posta l’elenco delle firme raccolte dal 19 novembre 2013 e il 30 aprile 2014).
Con quella petizione Le viene chiesto di fare quanto nelle sue possibilità personali e competenze istituzionali per promuovere il dibattito in merito alla proposta di legge 740 (presentata il 13 aprile 2013 e assegnata alla I Commissione Affari Costituzionali in sede Referente il 21 giugno 2013), finalizzata alla modifica dell’articolo 6 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, per il punto che impone la presentazione del permesso di soggiorno per registrare gli atti di nascita,  come stabilito dall’art 1, comma 22, lettera g  della legge 94/2009.
Sebbene a pochi giorni dall’approvazione della legge 94  sia stata emanata la circolare 19 che afferma essere possibile la registrazione delle nascite dei propri figli anche per i migranti irregolari (e perciò privi di documento di soggiorno) il gruppo Convention on the Rights of the Child, che ha il compito di monitorare la Convenzione di New York sui diritti del minore (ratificata con legge 176/1991), ci informa, nella sua relazione 2012, che “Il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori”.

A conoscenza del fatto che le norme sulla tutela della maternità consentono alle partorienti una protezione di sei mesi che si estende anche al loro bambino, sembrava che negare a un padre – o alla madre eventualmente sola – il diritto di dichiarare in comune la nascita del proprio figlio fosse l’aspetto dirimente della vicenda che poteva essere sanata con una corretta informazione fino alla approvazione della proposta di legge 740 che tutti i firmatari della petizione auspicano.
Ora sappiamo che non è così.
Il 23 aprile, nel corso della trasmissione RAI  ‘Tutta la città ne parla’ (ore 10, Radio3, trasmissione ascoltabile in podcast), un avvocato che ha declinato le proprie generalità e si è dichiarato membro dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione (associazione che gode di ottima fama) ha affermato, tra l’altro, quanto letteralmente trascrivo:

“C’è un problema relativo a una questione  molto più grave (ndr: della registrazione anagrafica).  Cioè la possibilità da parte di due persone che senza permesso di soggiorno, ma anche senza un documento di identità (la donna che è priva di un passaporto) di poter riconoscere il proprio figlio. Nel senso che sicuramente la normativa nazionale e internazionale le  riconosce questo diritto. Però questo diritto è stato posto in discussione più volte. […] Per cui non è raro – purtroppo non è raro – il fatto che al momento del parto venga negata alla donna che ha partorito in ospedale, la possibilità di riconoscere il figlio senza documento di identità, per cui una serie di strutture mediche trovano escamotage tipo per esempio la richiesta di testimoni che possano testimoniare che quella donna ha partorito quel figlio o anche altri stratagemmi assolutamente stravaganti”.

Apprendiamo così che ci sono in Italia ospedali del sistema sanitario pubblico dove una donna non può riconoscere come suo (con un atto che precede la registrazione anagrafica che si fa in comune) il suo bambino e sarebbe quindi costretta a ridurlo in uno stato di abbandono che può renderlo adottabile o, peggio, vittima dei mercati più turpi che sappiamo esistere ed essere operanti.

La verità è che la normativa non è chiarissima”, ha aggiunto l’avvocato intervistato, sottolineando conseguentemente la necessità di approvare una norma che faccia chiarezza – e di cui sia data adeguata informazione – quale è la proposta 740 citata sopra.
Come cittadina europea, italiana e come donna e madre conto sul contributo che Le sarà possibile assicurare per modificare una situazione che giudico sconvolgente e umiliante per tutti noi nel momento in cui esclude alcuni neonati dalla possibilità di un’esistenza giuridicamente riconosciuta, e nega loro il certificato di nascita che assicurerebbe la tutela dei genitori, rischiando di arrecare contemporaneamente anche un grave danno alla salute della madre.
Ringrazio per l’attenzione e porgo distinti saluti.
Augusta De Piero

Inviato questo testo alla Presidente il primo maggio ricevevo il 5 la risposta che trascrivo.

La Presidenza della Camera dei deputati ha ricevuto la sua e-mail.
Al riguardo, desideriamo comunicarle che è stato disposto che anche copia della sua nuova nota sia trasmessa alla Commissione parlamentare competente, affinché i deputati che ne fanno parte possano prenderne visione.
Cordiali saluti.
La Segreteria della Presidente della Camera dei deputati

Chi ha paura dei neonati?

Sono andata subito nel sito dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici immigrazione) ritenendo di poter trovare qualche cosa sulla terribile rivelazione fatta da un avvocato loro associato sulla impossibilità per madri prive di documento di identità di riconoscere il proprio nato (ho riportato il passaggio dell’intervista in questione nella lettera di aggiornamento inviata alla presidente Boldrini e pubblicata su change – si veda passaggio in grassetto) e nulla ho trovato in proposito.
Un pezzo, datato 5 maggio che riporto per intero,  dimostra l’attenzione civile e professionale dell’associazione in questione all’attualità.
E’ chiaro che con legalitaria diligenza l’Asgi si occupa di minori che esistono, la cui esistenza è comprovata da un certificato di nascita, concesso da una pietosa circolare non garantito dalla legge,  ma non possono realizzare il loro desiderio di prendere a calci un pallone all’interno delle organizzazioni a quegli specifici calci deputate  perché, pur se sono nati e risiedono in Italia, sono stati caricati del peccato dei loro genitori di essere privi del permesso si soggiorno..

05.05.2014  – Calcio negato ai minori stranieri se i genitori non hanno il permesso

Sono ragazzini e vorrebbero giocare a calcio. Vorrebbero partecipare ai tornei ufficiali in cui gareggiano molti loro coetanei. Ma devono rinunciare perché la legge del calcio lo vieta. Sono i tantissimi adolescenti tagliati fuori dalle competizioni della Figc (Federazione italiana gioco calcio) perché i loro genitori non hanno il permesso di soggiorno. Centinaia in tutta Italia, alcuni nati nel nostro Paese. Su questo punto le regole della Federcalcio sono chiare: i calciatori stranieri minorenni che richiedono il tesseramento per una società della Lega Nazionale Dilettanti, devono presentare “il certificato di residenza anagrafica attestante la residenza in Italia e il permesso di soggiorno che dovrà avere scadenza non anteriore al 31 gennaio dell’anno in cui termina la stagione sportiva per la quale il calciatore richiede il tesseramento”. Il permesso di soggiorno a cui si fa riferimento è quello dei genitori, visto che la regolarità in suolo italiano del minore straniero dipende dalla posizione giuridica della madre e del padre.

Una norma che ricalca il regolamento internazionale della Fifa e che intende essere fedele alle leggi statali sull’immigrazione irregolare, ma che spesso finisce per condannare i bambini, tutti quei bambini che avrebbero diritto allo sport ma che non possono giocare a causa della situazione legale dei genitori. Una norma che è finita al centro del mirino di numerose società calcistiche, spesso costrette a rifiutare tesseramenti di adolescenti stranieri ma perfettamente integrati in Italia, e di varie associazioni tra cui l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), la quale parla esplicitamente di “discriminazione”.

Secondo Alberto Guariso dell’Asgi, “la Figc nega il diritto allo sport dei minori, violando la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, secondo la quale nessun minore può essere trattato diversamente in relazione allo status giuridico dei genitori”. Secondo Guariso “la Figc dovrebbe adeguarsi agli altri settori della società italiana come la scuola e la sanità, dove qualsiasi minore ha diritto allo studio e alle cure mediche, indipendentemente dalla regolarità dei genitori in territorio italiano”. Tanto più che, aggiunge Guariso, “i minorenni non possono essere espulsi dall’Italia in base all’articolo 19 del Testo Unico. Un paradosso – precisa l’avvocato – visto che il minore può restare in Italia ma contestualmente non può praticare sport”.

Un principio su cui sostanzialmente si è espressa anche la magistratura. Nello specifico il tribunale di Lodi, che nel 2010 aveva accolto il ricorso presentato da un calciatore togolese richiedente asilo in Italia. In questo caso la magistratura ha dichiarato discriminatorie le norme della Figc che impongono ai cittadini stranieri che richiedono il tesseramento il possesso di un permesso di soggiorno valido fino al termine della stagione sportiva corrente. Il tribunale di Lodi aveva tra l’altro affermato come il diritto alla pratica sportiva costituisca un diritto fondamentale perché attraverso di essa trova espressione la personalità dell’individuo e l’attività sportiva costituisce certamente uno strumento di integrazione sociale così come una possibilità di fonte di reddito e di accesso al lavoro.

E proprio in base a questi principi, risulterebbero esclusi dai tornei ufficiali anche i minori non accompagnati, quelli cioè presenti in Italia senza genitori e non ancora adottati. Anche in questo caso, esiste una sentenza del tribunale di Pescara datata giugno 2011 che giudica discriminatorio il rifiuto del tesseramento a una società calcistica del minore straniero non accompagnato affidato in Italia. In questo caso si trattava di un minore senegalese in affido ad una coppia di italiani in attesa di regolarizzarsi. (js)
Fonte : Redattore Sociale
1 continua

 NOTA: Oggi 6 maggio la trasmissione Tutta la città ne parla del 23 aprile  (di cui ho scaricato la registrazione) è sempre presente nel podcast
Il sito dell’Asgi riporta nella colonna di sinistra il testo che ho trascritto e, a destra nella colonna notizie, si ferma al 29 aprile

Rinvio i miei commenti alla prossima puntata

6 Maggio 2014Permalink

30 aprile 2014 – diariealtro trascurato

Un appello inutile, ma lo propongo lo stesso.

Nessun giornalista, nessun telecronista, nessun fotografo, nessun operatore di qualsiasi mezzo di informazione, nessun curioso si avvicini alla struttura in cui opererà Silvio Berlusconi, quando inizierà la sua attività.
Sarà volontario coatto accanto ai malati di Alzheimer.
Già mi sembra inopportuno che persone malate e i loro familiari diventino i capri espiatori di una presenza ingombrante: cerchiamo, se esiste una società civile, di risparmiare chi soffre per quanto possibile.

Ho pubblicato su facebook, ricevendo molte risposte tutte (finora) di consenso.

Una petizione a Laura Boldrini

Parecchi mesi fa ho pubblicato su change org una petizione per la presidente Laura Boldrini di cui riporto il testo già segnalato su facebook e inviato per la firma a parecchie persone

Mai più bambini invisibili agli occhi dello Stato Italiano.

Gentile Presidente Boldrini,

Le scrivo quale cittadina italiana per chiedere il suo impegno affinché sia garantita per legge la registrazione anagrafica di tutti i bambini che nascono in Italia.
Oggi purtroppo non e cosi: la Legge 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica – art. 1, comma 22, lettera g – prevede che gli stranieri debbano esibire agli uffici della pubblica amministrazione “i documenti inerenti al soggiorno” per una serie di obiettivi fra cui la registrazione degli atti di stato civile.
E’ evidente che i cittadini extracomunitari in situazione di irregolarità non dispongono del permesso di soggiorno e se tale documento fosse loro richiesto, per evitare il rischio di espulsione, potrebbero privare il nuovo nato del certificato di nascita, un documento indispensabile per la vita e per la dignità di ogni persona.
In mancanza del certificato di nascita il bambino non risulta esistere quale persona e quale individuo destinatario delle regole dell’ordinamento giuridico.
In mancanza del certificato di nascita, che testimonia l’identità della madre e del padre, al bambino non viene assicurata la tutela da parte dei genitori.
In mancanza del certificato di nascita il bambino e condannato ad essere un apolide: e privato di qualunque cittadinanza ed e invisibile agli occhi dello Stato.
Recentemente e stata presentata al Parlamento una proposta di legge (n. 740, primo firmatario On. Rosato) che, se approvata, risolverebbe il problema senza alcun onere di spesa pubblica, ma non vorremmo che nel momento di difficoltà che l’Italia attraversa e il parlamento rispecchia, si ritenesse opportuno rinviarne l’approvazione a un indefinito futuro.
I bambini per nascere non attendono l’approvazione di leggi e norme che li tutelino.

Le firme ottenute  (veramente poche, meno di 400)  sono state apposte a ‘ondate’, via via che si proponeva un sollecito.

Chi volesse firmare la petizione potrà raggiungerla da qui
http://www.change.org/it/petizioni/laura-boldrini-mai-pi%C3%B9-bambini-invisibili-agli-occhi-dello-stato-italiano

30 Aprile 2014Permalink

14 aprile 2014 – Da Ovasta (frazione di Ovaro) alla Casa Bianca.

Una lettera al presidente degli Stati Uniti

La ragione per cui trascrivo questa lettera  – che ho ricopiato dal Messaggero Veneto del 14 aprile – si evince dalla lettera stessa.
Cercherò di saperne di più
Per ora mi limito a sottolineare un fatto importante: è stata inviata a Barack Obama con le firme direttamente apposte dai cittadini di Ovasta di Ovaro

Caro Signor Presidente

La popolazione di Ovasta – paese di 130 abitanti sito nelle Alpi Carniche, Regione Friuli Venezia Giulia – ha ricevuto i cittadini americani professor Charles Bryan e signora Donna Hennessee Bryan, per ricordare e onorare il loro parente capitano Roderick Steve Hall.

Il Capitano Hall, nell’agosto del 1944, è stato paracadutato con la Missione OSS “Mercury Eagle” sulle nostre montagne con altri giovani soldati americani per collaborare – supportandoli – con i patrioti italiani nella guerra di Liberazione dal nazifascismo. Catturato, torturato e ucciso dalle S.S. germaniche, ha sacrificato la sua giovinezza per la libertà e la pace.

Al Popolo americano e a Lei l’augurio di pace, giustizia sociale e prosperità nel rispetto dei valori di libertà e democrazia che devono, ancora e sempre, unire l’umanità.

Sinceramente

La popolazione di Ovasta

 

14 Aprile 2014Permalink

31 marzo 2014 – Suore Usa e salute sessuale a carico del sistema sanitario

Ho trovato la notizia che ricopio su La Stampa.  L’avevo letta su Adista Notizia n. 12 ma da lì non era trasferibile. Così l’ho cercata e la inserisco pro memoria.

La Ncan, che sostiene di rappresentare circa 2mila religiose, ha annunciato il suo appoggio all’”Affordable Care Act”, che prevede l’obbligo per le istituzioni di garantire procedure di contraccezione                             Marco Tosatti

È in pieno svolgimento la battaglia legale che oppone numerose istituzioni cattoliche degli Stati Uniti all’amministrazione Obama, in tema di aborto e contraccezione. E ancora una volta un gruppo particolarmente agguerrito di religiose statunitensi non manca di schierarsi contro la posizione adottata dalla Chiesa del Paese. La “National Coalition of American Nuns” (Ncan) che sostiene di rappresentare circa duemila religiose americane ha annunciato il suo appoggio all’”Affordable Care Act”, un provvedimento che fra l’altro prevede l’obbligo per le diverse istituzioni, anche religiose, di garantire  procedure di contraccezione, sterilizzazione e distribuzione di medicinali abortivi.

Nei prossimi giorni la Corte suprema dovrà decidere se ha ragione il governo, o due organizzazioni, la “Hobby Lobby” e la “Conestoga”, rispettivamente mennonita e cristiano-evangelica, che si oppongono a questa imposizione motivandola su base religiosa. La battaglia legale in questo senso è condivisa e alimentata da molti vescovi e diocesi cattoliche. Parecchie organizzazioni non-profit cattoliche hanno fatto ricorso a vari livelli di giudizio (fra di esse le Piccole Sorelle dei Poveri) e sicuramente anche i loro ricorsi giungeranno nel corso del tempo alla Suprema Corte.

Le religiose della National Coalition hanno pubblicato una lettera aperta. “La Ncan – scrivono – è costernata perché le Piccole Sorelle dei Poveri, l’Università di Notre Dame e altre organizzazioni cattoliche stanno battendosi contro l’Affordable Care Act. Queste organizzazioni, spronate dalla Conferenza episcopale statunitense stanno cercando di prendere in ostaggio tutte le donne rifiutando di garantire loro i contraccettivi”.

È opportuno ricordare che la Chiesa, dal tempo di Paolo VI, con la sua enciclica “Humanae Vitae”, accetta solo i metodi naturali per regolare la fecondità, escludendo quelli meccanici o chimici. Donna Quinn, leader della Ncan ha protestato contro la posizione assunta dalla Chiesa americana. “Ora abbiamo anche altre confessioni Cristiane che vedono quello che stanno facendo i vescovi cattolici e dicono: facciamo anche noi così. Non c’è libertà quando una donna può essere presa in ostaggio dal padrone di un’impresa”. Donna Quinn è una suora di Chicago che partecipa alle manifestazioni con una felpa bianca che ha la scritta “Suore pro-Choice”, ha accompagnato donne ad abortire ed è stata molto critica con l’investigazione sulle religiose Usa iniziata nel 2012. Durante il Sinodo dei Vescovi sulla “Vita Religiosa” del 1994 la Ncan partecipò a una sorta di “Contro Sinodo” al femminile.

Queste suore hanno trovato l’appoggio di Debra Haffner, una sessuologa e pastora della Chiesa unitaria universalista, presidente e fondatrice di un ente il “Religious Institute” specializzato nei rapporti fra fede e sessualità. Haffner ha lanciato una campagna sui social media per sostenere l’iniziativa della National Coalition.

Nel frattempo è ancora in corso la visita apostolica avviata dalla Congregazione per i Religiosi e la Vita consacrata, per  studiare la situazione degli istituti religiosi femminili degli Stati Uniti, che nel corso degli anni hanno creato non pochi problemi di dottrina e di disciplina. Il segretario della Congregazione, l’arcivescovo José Rodrigio Carballo, una delle prime nomine di papa Francesco, ha dichiarato recentemente che la visita apostolica terminerà prima dell’inizio dell’Anno dedicato alla Vita consacrata e che avrà inizio nell’ottobre 2014, senza sovrapporsi al Sinodo sulla Famiglia.

 

 

31 Marzo 2014Permalink

30 marzo 2014 – Friuli come Corea. Il ‘caro leader’ ha fatto scuola

Copio da L’Huffington Post:

Grasso è un presidente di garanzia ma credo anche che, essendo stato eletto nel Pd, debba accettarne le indicazioni”. È consegnato alle telecamere di RaiNews il duro attacco del vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani della proposta di Grasso di lasciare come elettiva la Camera Alta. “Il Pd ha assolutamente rispettato il patto con i cittadini. Abbiamo fatto ciò che abbiamo promesso di fare agli italiani”.

Parole che stanno aprendo una discussione nel partito. “Il Pd rispetta le istituzioni e le cariche istituzionali, non le occupa né le pressa, né le indirizza. Per questo non siamo la destra!!!”, le ha risposto su Twitter Beppe Fioroni.

Commento mio.
Secondo questa signora l’iscrizione a un partito limita la libertà di parola in una fase che, per sé, è di discussione? O chi è parte del Pd non deve avere opinioni proprie e, se le ha, deve tacerle?
Se può permettersi di smentire lo faccia.
Io intanto decido se essere inorridita o disgustata
Comunque se il pensiero per costei significa imitazione da pappagalli addestrati … mala tempora currunt e peggiori si prospettano.
Spero ci sia almeno una corale protesta.

30 Marzo 2014Permalink