30 marzo 2014 – Interferenze da rifiutare

Segreteria tecnica nazionale delle Comunità cristiane di base
c/o CdB di San Paolo     Via Ostiense, 152/B – 00155 – Roma segreteria@cdbitalia.it – www.cdbitalia.it

L’intervento del cardinale Bagnasco, che critica l’iniziativa promossa dal Ministero dell’istruzione (Miur) per sensibilizzare le scuole a promuovere un’azione informativa ed educativa per il rispetto delle diversità di genere e di orientamento sessuale e contro l’omofobia ed il conseguente bullismo, ripropone ancora una volta il problema delle interferenze del potere ecclesiastico nella vita politica italiana.

E’, infatti, legittimo in regime democratico che parlamentari e genitori cattolici contestino la diffusione dei tre volumetti destinati agli insegnanti per realizzare quell’iniziativa che, a loro parere, metterebbe in discussione la famiglia “naturale” e incoraggerebbe i ragazzi all’omosessualità.

E’, invece, inammissibile che il Miur, dopo quell’intervento, abbia rinviato «a data da destinarsi» la due giorni di corso di formazione per i docenti prevista per questa settimana mettendo al bando, di fatto, il materiale informativo ‘Educare alla diversità’ curato dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali che rientrava nel piano Strategia nazionale Lgbt 2013-2015, lanciato due anni fa dal governo Monti e confermata dal governo Letta.

È evidente che, da un lato la Cei non intende rinunciare al connubio concordatario e, dall’altro, che la nostra rappresentanza politica continui ad essere ossequiente alle prese di posizione delle gerarchie della chiesa cattolica romana, come la ampia partecipazione dei nostri parlamentari e membri del governo alla messa papale odierna sembra dare segno.

Le Comunità cristiane di base

Roma, 27 marzo 2014

30 Marzo 2014Permalink

21 marzo 2014 – Una data che non avevo dimenticato.

Nell’elenco delle date che scrivo all’inizio di ogni mese – e poi completo se altre me ne vengono alla memoria – avevo annotato: 20 marzo 1994 –  Omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Ora a quel mio appunto posso aggiungere la nota dell’Associazione Ilaria Alpi   

Il governo ha annunciato oggi in Aula alla Camera di aver avviato le procedure per la desecretazione dei documenti che riguardano il caso di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin. Lo ha annunciato il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Sesa Amici facendo riferimento alle richieste che ci sono state in questo senso nei giorni scorsi.

“Credo sia arrivato il momento dopo 20 anni di togliere la secretazione sul caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin”, ha affermto il sottosegretario Sesa Amici. “Il governo è molto impegnato ad attivare le procedure su questo fronte. Crediamo che lo si debba alla loro memoria e alla richiesta giustizia che deve tutelare sempre i propri cittadini. Abbiamo il dovere morale e politico -ha concluso – di corrispondere alla richiesta di verità e giustizia”.

Ancora non è chiaro quanti e quali documenti siano oggetto della richiesta di desecretazione. I dossier classificati sono migliaia: 1500 della commissione Alpi- Hrovatin, 750 solo dell’ultima commissione d’inchiesta sui rifiuti, cui vanno aggiunti i documenti delle commissioni ecomafia dalla XII alla XV legislatura. Martedì 19 marzo Greenpeace ha pubblicato la lista dei documenti segreti della Commissione Pecorella: tra i tanti dossier, ve ne sono alcuni che hanno riferimenti diretti alla Somalia, al caso Alpi-Hrovatin, alle navi affondate e a Giorgio Comerio, l’ingegnere che progettava di affondare le scorie radioattive con siluri penetratori. Non ci sono solo i documenti riversati negli archivi della Camera: in una audizione al processo per calunnia nei confronti di Ahmed Alì Rage “Gelle”, l’ex direttore del Sismi Sergio Siracusa ha dichiarato di aver mostrato alla Commissione Alpi-Hrovatin ottomila documenti prodotti dal servizio segreto militare attinenti al caso Alpi.

… e un mio commento
A quanto ho capito da vent’anni la madre di Ilaria Alpi, in accordo con la famiglia Hrovatin, tiene viva la memoria della figlia non nella dimensione del dolore personale ma nella memoria rispettosa della sua professionalità. La Presidente della Camera ha capito ed è stata determinante nello stimolare la decisione che ha portato il governo a decidere la desecretazione del fascicolo Alpi-Hrovatin.
Ci saranno parlamentari in grado di vigilare efficacemente perché ciò avvenga oltre l’emozione del ventesimo anniversario della morte di due professionisti coraggiosi? O ‘la ragion di stato’ sarà più forte  delle ragioni della democrazia? E ci saranno giornalisti capaci di informare con costanza un’opinione pubblica spesso scoraggiante perché dopo un po’ si annoia delle storie che non abbiano un aspetto sanguinolento o sessualmente stuzzicante?

21 Marzo 2014Permalink

18 marzo 2014 – “Quello che le donne non dicono”.

 

Alcune sere fa in un circolo culturale alla periferia di Udine si è parlato del tema della violenza  sulle donne (e, conseguentemente, sui minori che della violenza in ambiente familiare sono spettatori e spesso anche vittime). Erano impegnati alcuni gruppi particolarmente attenti a questa tematica ed era presente anche il Vicequestore di Udine Massimiliano Ortolan. Titolo dell’incontro “Quello che le donne non dicono”.
Paola Schiratti, presidente del gruppo Le donne resistenti che aveva organizzato la serata insieme al circolo Nuovi orizzonti, ha illustrato i dati elaborati dal servizio “Zero Tolerance” del Comune e il protocollo antiviolenza della Provincia.
A suo tempo Paola Schiratti si è molto spesa per la  predisposizione e per l’approvazione di quel protocollo finalizzato a prevenire e reprimere la violenza domestica e sostenere le vittime in modo coerente fra i vari soggetti che possono intervenire.
Il testo del protocollo si può leggere nel blog di Paola  e anche da qui
La stessa Paola, in un suo commento su facebook ha scritto “fa molto piacere, ascoltando il Vicequestore, cogliere molte considerazioni pienamente condivisibili, capire quanto la Polizia sia preparata e interessata ad affrontare queste situazioni, sentite come un problema culturale e sociale imprescindibile”.

Tutto vero ma io non sono soddisfatta

Infatti quando ho fatto funzionare la mia cartina al tornasole, i problemi dei minori, il Vicequestore non mi è apparso così limpido e lineare né completamente convincente l’impostazione della serata. E’ vero che, sperando di semplificare perché non volevo intervenire nel dibattito in maniera troppo invadente,  ho fatto una domanda relativa alla prostituzione minorile, e il Vicequestore ha colto abilmente l’opportunità per parlare di prostituzione e non di minori.
Stupida io che gli ho offerto la via di fuga?

L’onore
Per spiegarmi devo fare una piccola rivisitazione storica.
E’ stato sottolineato positivamente (questo sì lo riconosco) che la legge sulla violenza sessuale segna una trasformazione culturale di rilievo enorme: la violenza passa da reato contro la morale a reato contro la persona.
Non va certo ad onore dei legislatori italiani e della cultura italiana in generale se solo nel 1996 (e dopo un iter quanto mai tormentato) venne approvata la legge 66, Norme contro la violenza sessuale.
Chi aveva scosso una cultura immobile era stata Franca Viola, una ragazza intelligente,  coraggiosa, consapevole della propria dignità di persona. Fu violentata nel 1965 ma solo nel 1981 l’infamia del ‘matrimonio riparatore’ che le era stato proposto, fu cancellata dalla legge italiana (legge 442 “Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore”).
Eliminato il concetto di ‘matrimonio riparatore’ ne conseguì, almeno nella formalità legislativa, il punto fermo che l’onore della donna non risiede nella verginità biologica.

E’ bene rilevare, data l’importanza nella realtà italiana della tradizione cattolica, che nel 1950 papa Pio XII aveva fatto un gesto forte per pietrificare la dignità della donna nella presunta inflessibilità della biologia; aveva infatti santificato una povera bambina che, per essersi difesa da un’aggressione sessuale, era stata ammazzata.
Ero una ragazzina ma ricordo ancora la violenza petulante con cui quell’immagine ci fu cinicamente propinata.
Concentrato sull’imene il papa non si rendeva conto (o forse sì) che, mentre negava la dignità della persona donna, consolidava l’onore del maschio proprietario di una cosa senza parola.
Poiché si voleva la donna senza parola si manteneva inamovibile anche il significato letterale della espressione paolina: ‘le donne tacciano nell’assemblea’ (1 Cor 14, 34-35) e quindi si avviliva  con una sola mossa la dignità femminile e quella degli studi biblici che solo il Concilio Vaticano II avrebbe successivamente liberato anche nel mondo cattolico.
Senza parola la donna doveva essere  non solo nello spazio religioso ma anche in quello laico. Così voleva la tradizione per le brave ragazze da marito.

La parola e il cambiamento

Passando lentamente dallo stato di oggetti ad uso dell’onore padronale a quello di soggetti, la cui dignità è riconosciuta e affermata, anche le donne possono dire e dirsi.
I cambiamenti che derivarono da questa modifica segnarono un cambiamento epocale e incompiuto. Ma segnarono anche il riconoscimento che l’affermazione di un diritto fondamentale non appartiene alla forza del soggetto che si può imporre ma al riconoscimento sociale e alla solidarietà che si fonda sulla responsabilità collettiva per cui la Repubblica “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.).
Ricordo quanto si venne a conoscere del dibattito al processo di Franca Viola e l’evidenza che mi colpì di due situazioni inversamente proporzionali: la dignità di Franca e l’abiezione delle argomentazioni degli avvocati che difendevano lo stupratore, l’assoluta mancanza di forza della ragazza che si tentava di ribaltarle contro e l’assoluta bestialità della forza fisica legittimata dalla tradizione, componente dell’onore maschio-padrone.

Le parole che ancora non  si vogliono dire

E qui si pone il problema dei diritti dei bambini e dei minori in genere che non sono emersi con chiarezza, anzi non sono emersi affatto nella serata da cui ho preso le mosse.
Infatti la violenza contro i bambini è apparsa solo in relazione alla loro presenza nella vita familiare e non come offesa alla loro persona perché questa è violenza che i bambini non possono dire se non con i segni di una sofferenza che li accompagnerà per tutta la vita.
Certamente altri possono dire – e penso alle donne come altre che della negazione di parola per essere state considerate oggetti hanno avuto e hanno un’esperienza che potrebbero trasferire nella solidarietà politica e sociale di cui dice la Costituzione – ma ci  sono casi in cui non lo fanno.
Certamente provano – e manifestano – pietà per il bambino sofferente e violato ma arretrano quando si tratta di riconoscergli i diritti di persona, quelli che Franca Viola, nel silenzio imposto dalla tradizione come un macigno, aveva affermato  per sé e per tutte le donne.
Solo così io riesco a spiegare l’indifferenza diffusa alla violazione del principio di uguaglianza che imporrebbe il certificato di nascita a tutti i minori, a prescindere dallo status dei loro genitori.

Il cerchio si chiude sempre lì.
Se le donne rivisitassero un po’ la loro cultura di genere potrebbero riaprirlo, non perché madri ma forti della loro memoria storica se mai volessero averne

18 Marzo 2014Permalink

18 marzo 2014 – La Crimea, Putin e l’Europa che non c’è

Un amico mi ha segnalato l’articolo di Tommaso Di Francesco pubblicato ne Il Manifesto il 15 marzo.
L’ho letto con emozione perché mi ha riportato alla memoria molte riflessioni degli anni ’90. Ponevano questioni irrisolte che oggi di nuovo si manifestano nella crisi ucraina. Lo riporto e lo collego con un il link che ho finalmente trovato.

Crimea: il delitto internazionale.

Ci sono due sta­tue nei Bal­cani che, se potes­sero par­lare, rac­con­te­reb­bero che cos’è dav­vero il diritto inter­na­zio­nale. Le sta­tue erette a furor di popolo sono, in Croa­zia, quella del fu mini­stro degli esteri della Ger­ma­nia Die­trich Gen­sher, del quale tro­neg­gia dal 1994 un busto sull’isola di Brac, e a Pri­stina in Kosovo quella in bronzo dell’ex pre­si­dente sta­tu­ni­tense Bill Clin­ton. Il primo, Gen­sher, in aperta vio­la­zione del diritto inter­na­zio­nale, fomentò, sostenne e finan­ziò la nascita del nuovo Stato croato che, come la Slo­ve­nia, dopo refe­ren­dum si era auto­pro­cla­mato indi­pen­dente su base etnica, (la Slo­ve­nia era «la patria degli slo­veni» e la Croa­zia quella «dei croati», in poche parole, l’inizio della puli­zia etnica).

La Ger­ma­nia e con lei, subito, il Vati­cano non si cura­rono del fatto che esi­steva ancora la Fede­ra­zione jugo­slava, con seg­gio all’Onu, con un governo e la pre­si­denza Mar­ko­vic che inu­til­mente cor­reva nelle capi­tali euro­pee per farsi soste­nere nel ten­ta­tivo di sal­vare l’istituzione fede­rale men­tre la guerra era già scop­piata. Non solo, la Ger­ma­nia sostenne le nuove pic­cole patrie e le mili­zie nazio­na­li­ste, incu­rante della vora­gine san­gui­nosa che si sarebbe aperta nella Bosnia Erze­go­vina dove tutte le etnie, reli­gioni e lin­gue erano rap­pre­sen­tate. Certo, la Jugo­sla­via si distrusse in gran parte da sé gra­zie ai suoi nazio­na­li­smi armati, ma non senza il fat­tivo «con­tri­buto» dell’Occidente (allora gli Usa erano restii, ma la pre­oc­cu­pa­zione durò poco e pre­valse la real­po­li­tik e la rin­corsa alla diplo­ma­zia cri­mi­nale della nascente Unione euro­pea che pure aveva deciso che, dopo l’89, non si sareb­bero dovuti rico­no­scere stati pro­cla­mati con l’uso della vio­lenza, in modo anti­de­mo­cra­tico e con l’esclusione delle mino­ranze). Così L’Europa legit­ti­mando i nuovi stati etnici, aprì il vaso di Pan­dora della tra­sfor­ma­zione dei vec­chi con­fini ammi­ni­stra­tivi jugo­slavi in nuovi con­fini nazionali.

Fu la prima mano­mis­sione delle fron­tiere nel Vec­chio con­ti­nente dalla fine della Seconda guerra mon­diale e dopo il crollo del Muro di Ber­lino. Poi c’è il monu­mento bron­zeo di quasi tre metri ad un ridente Bill Clin­ton che tro­neg­gia nel cen­tro della capi­tale della nuova nazione del Kosovo, da lui stesso inau­gu­rato nel 2009. Una nazione auto­pro­cla­mata nel 2008 e subito soste­nuta e appog­giata dagli Stati uniti e dalla Nato.

L’Alleanza atlan­tica è stata pro­ta­go­ni­sta nel 1999 di una guerra di bom­bar­da­menti aerei «a scopo uma­ni­ta­rio» che dura­rono 78 giorni e pro­vo­ca­rono 3.500 vit­time civili tra i koso­vari i serbi. Fu una guerra senza alcuna appro­va­zione dell’Onu, in aperto disprezzo del diritto inter­na­zio­nale. Lo Stato del Kosovo, il cui rico­no­sci­mento ancora divide l’Onu e l’Ue, è soste­nuto a spada tratta da Washing­ton e gra­zie alla guerra atlan­tica non esi­ste­rebbe. Dov’è il diritto inter­na­zio­nale? È strac­ciato, cal­pe­stato mac­chiato di san­gue: è diven­tato un delitto inter­na­zio­nale. Allora, com’è pos­si­bile che l’opinione pub­blica e la stampa libera (ma esi­ste ancora?) non resti alli­bita dalle dichia­ra­zioni indi­gnate ame­ri­cane sul fatto che il refe­ren­dum in Cri­mea vio­le­rebbe «il diritto internazionale»?

Gli Usa hanno sca­te­nato guerre inva­dendo l’Iraq e l’Afghanistan che sono a decine di migliaia di chi­lo­me­tri dalle fron­tiere ame­ri­cane. Men­tre la «per­fida» Rus­sia, alla quale pro­ba­bil­mente si rim­pro­vera di non essere morta dopo l’implosione dell’Urss e di essersi in qual­che modo rico­struita come potenza eco­no­mica, difende la sua sicu­rezza ai pro­pri con­fini e le popo­la­zioni a tutti gli effetti russe, di fronte anche alla peri­co­losa stra­te­gia dell’allargamento della Nato a Est che già ha cono­sciuto nella crisi in Geor­gia del 2008. Putin non è un modello per nes­suno, omo­fobo e impe­gnato a negare diritti, demo­cra­zia e libera infor­ma­zione e que­sto arroc­ca­mento anti­de­mo­cra­tico nel per­du­rare della crisi ucraina è desti­nato a peg­gio­rare. Ma sono forse un modello gli Usa, anche quelli di Obama, che hanno truppe che occu­pano altri paesi (ancora in Iraq e sem­pre in Afgha­ni­stan), che non chiu­dono Guan­ta­namo, che hanno com­messo cri­mini di guerra e mas­sa­cri per i quali appro­fit­tano di una glo­bale impu­nità oltre che dei silenzi di una infor­ma­zione main­stream. Men­tre Washing­ton dichiara la ridu­zione delle spese uffi­ciali mili­tari ma aumenta l’impegno finan­zia­rio per le «guerre coperte», vale a dire le tante desta­bi­liz­za­zioni in corso nel mondo e delle quali hanno tanto par­lato Sno­w­den e Assange (vedi il Venezuela).

Oggi la Cri­mea, a stra­grande mag­gio­ranza russa, vota il refe­ren­dum per l’indipendenza e/o l’adesione alla Rus­sia. L’indignazione sul pro­nun­cia­mento non può non tenere conto del fatto che que­sto accade dopo la rivolta vio­lenta di Maj­dan che si è carat­te­riz­zata pro­prio per l’ultranazionalismo ucraino con­trap­po­sto alla Rus­sia e anche per la gestione interna, vio­lenta e a volte anche armata, di forze d’estrema destra neo­fa­sci­sta. Una rivolta che ha rea­liz­zato la sua prova di forza con la cac­ciata del cor­rotto pre­mier Yanu­ko­vich, che però era stato eletto demo­cra­ti­ca­mente nel 2010 secondo Ue, Onu e Osce, votato soprat­tutto dalle regioni ucraine dell’est che, ora, per tutto que­sto non si rico­no­scono nel nuovo potere auto­pro­cla­mato a Kiev.

Ma chi ha eletto il neo-premier Yatse­nyuk che viene rice­vuto e legit­ti­mato nella Sala ovale della Casa bianca da Obama? E soprat­tutto chi rap­pre­senta? Non certo le regioni dell’est ucraino. Allora che dovreb­bero fare in Cri­mea, in assenza di media­zioni inter­na­zio­nali che impe­di­scano que­sta rot­tura inne­scata a Kiev, se non riven­di­care la loro «alte­rità»? Manca in asso­luto il ruolo dell’Ue, la cui inca­pa­cità a rispon­dere con­cre­ta­mente con finan­zia­menti alle prime richie­ste di ade­sione di Yanu­ko­vich è all’origine della pre­ci­pi­ta­zione degli eventi, con la scelta dell’ex pre­si­dente ucraino di rivol­gersi allora a Mosca, subito pronta ad un masto­don­tico soste­gno cash e per una cifra che solo ora pro­mette quel Fmi che ha già deva­stato l’Ucraina con i suoi dik­tat sociali.

Col­piva in que­sti giorni nel disac­cordo espresso a Lon­dra tra Lavrov e Kerry una grande cau­tela ame­ri­cana, dimo­strata anche di fronte alla irre­spon­sa­bile richie­sta di «aiuto mili­tare» venuto pro­prio da Yatse­nyuk, con l’insistenza, «per ora», sulla solu­zione diplo­ma­tica. È ancora così, c’è ancora spa­zio. Il refe­ren­dum di oggi infatti non è l’ultima spiag­gia, non siamo ancora ai fuo­chi accesi di «Guerra e pace» di Tol­stoi che nel 1854 fu testi­mone della guerra in Cri­mea. C’è ancora la pos­si­bi­lità per una solu­zione diplo­ma­tica, per­ché il risul­tato scon­tato del refe­ren­dum possa venire usato, in una trat­ta­tiva che sal­va­guardi l’integrità ter­ri­to­riale dell’Ucraina e sia solo una sua nuova rap­pre­sen­ta­zione fede­rale, per un’Ucraina neu­trale e fuori dalla Nato. Altri­menti la fredda guerra diven­terà calda, subito con embar­ghi e san­zioni eco­no­mi­che con­trap­po­ste sul ter­reno deci­sivo delle for­ni­ture d’energia. E allora addio anche alla nostrana sedi­cente «svolta buona».

18 Marzo 2014Permalink

16 marzo 2014 – La perplessa lettura di una buona notizia.

Leggo su La Repubblica del 14 marzo – cronaca di Torino – in un articolo di Fabio Tanzilli che il comune di Torre Pellice ha ritirato il riconoscimento di ‘cittadino onorario’ del Comune concesso nel 1924 all’allora capo del governo Benito Mussolini. Si rinnova la vecchia immagine dei consiglieri d’epoca, in piedi e plaudenti, immagine che l’assessore in carica ritiene improponibile insieme a quella di coloro che «hanno sacrificato la vita per la Resistenza».mussolini onorario
E’ una scelta di cui potrei comprendere e condividere il significato se non ci fosse una espressione che per me suona contraddizione difficile da sostenere. Dice ancora l’articolo de La Repubblica che “il Comune darà la cittadinanza onoraria a tutti i 50 stranieri nati in Italia, dagli 0 ai 18 anni, residenti a Torre Pellice” e continua, citando sempre il medesimo assessore: «La proposta è sostenuta anche dall’opposizione. Sarebbe incoerente promuovere da un lato l’integrazione e dall’altro onorare chi ha sancito in Italia le leggi razziali».
Ho bisogno di affermare ancora coerenza, almeno la mia e provo perché la sordità (o è cecità? o sono entrambe?) degli italiani di fronte al risorgente razzismo normativo mi preoccupa sempre di più.

Cittadinanza onoraria per chi c’è e per chi non c’è?
Vediamo prima di tutto il significato delle parole ‘cittadinanza onoraria’. Si tratta di un titolo attribuito a un cittadino che, per nascita e importanti testimonianza di sé culturali o d’altro tipo, onora un comune di cui viene dichiarato cittadino anche se non residente.
Non credo ne conseguano possibilità positive se non, ma non sono sicura, la possibilità di elettorato attivo, che non  appartiene certamente ai bambini e ai ragazzi cittadini onorari di Torre Pellice, al presente per la loro età, al futuro perché la legge non prevede il voto degli stranieri.
In sostanza è il comune che – in prima persona – ‘si onora’ e non viceversa.
Ricordo con emozione la cittadinanza onoraria attribuita dal comune di Montereale Valcellina (PN) a Carlo Ginzburg, l’autore de ‘Il formaggio e i vermi’ che ci regalò la storia di Menocchio, mugnaio di quel comune ucciso per decisione dell’Inquisizione.
E in ogni caso potrebbe il comune di Torre Pellice riconoscere la cittadinanza onoraria a bambini giuridicamente  inesistenti? 
Infatti, ed ecco il mio turbamento, l’espressione usata dall’assessore e che di nuovo ricopio, segnalando una pagina buia del nostro passato, evoca, sia pur inconsapevolmente, una pagina oscura del nostro presente. Dice l’assessore: «Sarebbe incoerente promuovere da un lato l’integrazione e dall’altro onorare chi ha sancito in Italia le leggi razziali».
Ma c’è certezza al comune di Torre Pellice che i  50 stranieri nati in Italia, dagli 0 ai 18 anni, residenti a Torre Pellice,  e di cui ha certamente notizia, siano rappresentativi di una tipologia che esaurisce  l’universo dei bambini  da zero a 18 anni nati in Italia da genitori stranieri?

La normale infamia del ‘pacchetto sicurezza’
Credo che una risposta onesta non possa essere che negativa.
La legge italiana infatti non garantisce che tutti i bambini figli di stranieri nati in Italia abbiano il certificato di nascita loro dovuto e possano essere quindi registrati fra i residenti, muniti del loro codice fiscale che assicura prima di tutto l’assistenza sanitaria.  
Il cosiddetto ‘pacchetto sicurezza’ (legge 94/2009 art 1 comma 22 lettera g) ha stabilito che, per riconoscere la nascita di un figlio, assicurandogli quindi il certificato di nascita,  sia necessario presentare il permesso di soggiorno, cosa evidentemente impossibile a chi quel permesso non abbia. 
Io immagino il comune di Torre Pellice diligentemente attento alla circolare che, approvata nel 2009 pochi giorni dopo la promulgazione della nuova legge razziale, dice essere possibile registrare la nascita di tutti i bambini, escludendo la necessità della presentazione del permesso di soggiorno per i genitori ‘irregolari’ che, se si svelassero tali, verrebbero espulsi. Lasciamo perdere la valutazione di un sistema in cui gli atti amministrativi contraddicono le leggi e andiamo avanti.

Una preghiera al comune di Torre Pellice
Il comune di Torre Pellice fa parte del territorio italiano, sconciato dal rinascere del razzismo per via amministrativa, i suoi amministratori sono cittadini italiani membri di una chiesa che ha sofferto una storia di oppressione scegliendo anche ad alti prezzi una storia di libertà.  Vorrei si impegnassero a chiedere che almeno quello sconcio del pacchetto sicurezza sia superato con la certezza di una legge e non affidato alla labilità di una circolare.
Ho provato a rivolgermi a persone appartenenti e attive nell’universo della chiesa cattolica senza ricavarne nulla, salvo qualche inefficace personale consenso.
Parlo per esperienza più volte vissuta.
Mi resta qualche speranza nel mondo laico: esiste una proposta di legge, che risolverebbe il problema senza onere di spesa se qualcuno si impegnasse a farla approvare ma impegno a sollecitarne l’approvazione non c’è. Ne ho ricopiato il testo in questo blog il 17 giugno del 2013.
Poiché invierò questo testo ad amici valdesi ricordo qui anche l’impegno di due giornalisti che hanno pubblicato, con insolita pertinenza di argomenti e ottima informazione,  l’articolo che ho trascritto sempre in questo blog il 21 dicembre dello scorso anno e di cui riporto ancora il link

16 Marzo 2014Permalink

14 marzo – Sesso, genere e pari diritti

Dopo un periodo di abbandono del mio blog riprendo i contatti e pubblico una lettera di Giancarla Codrignani che fa chiarezza su alcuni concetti spesso confusamente utilizzati.

11 marzo Da Giancarla Codrignani

Amiche sempre care,

possiamo essere desolate, ma i presupposti dei femminicidi sono complessi. Pur essendone consapevoli, crediamo ancora che il fidanzato che ci ha dato uno schiaffo sarà un buon marito.

Lo scarto da 335 “no” a 344 (e da 227 “sì” a 214) nel respingere due emendamenti a beneficio del genere segnala che gli uomini non hanno paura della nostra emancipazione ma dell’attentato al loro potere, che incomincia nella coppia e finisce nel diritto. Purtroppo anche molte giuriste (tutte studiamo sugli stessi libri e applichiamo le stesse leggi) sono d’accordo con la condanna delle “quote rosa”, termine orrendo, non inventato da noi. Prima o poi dovremo fare i conti con l’interpretazione della Costituzione e rivendicare che il “sesso” dell’art. 3 deve essere giuridicamente inteso come “genere” (e i generi sono fondanti di tutte le differenze sociali, non possono esserlo delle discriminazioni attualmente riconosciute in diritto). Bisognerà affrontare una contraddizione consapevolmente voluta da parlamentari donne e uomini di tutte le parti nel riformare l’art.51, il 7 marzo 2002, quando un voto plebiscitario convalidò l’omaggio alle donne del governo Berlusconi autore della riforma: “la Repubblica favorisce le pari opportunità” per l’accesso alle cariche elettive. Eh no, mie care: la Repubblica non doveva favorire ma “garantire”, non le pari opportunità, ma i “pari diritti”. Perché, tra l’altro, siamo il 52 % dell’elettorato e la maternità (o la non-maternità) non è ancora un diritto e, anche se la legge ci eroga benefici, siamo percepite come cattivi lavoratori se restiamo incinte. Disgraziatamente gran parte del mondo femminile si riconosce negli stereotipi familisti e mediatici, ignara di essere un “genere” e non una variante biologica.

L’ emendamento respinto con lo scarto aumentato (poi nuovamente abbassato per il terzo emendamento che si accontentava del 60 %) era relativo alle quote per i capilista. Era “il” punto nodale. Infatti il 50/50 di governo non sposta quasi nulla: se una di noi va a Bruxelles a discutere la situazione ucraina, importa poco che sia un ministro o una ministra. Ma è dal basso che si può eliminare il pregiudizio che le donne non votano le donne e incominciare la risalita. E non partendo dalle preferenze (che possono diventare clientelari, mentre poche donne hanno i mezzi e perfino la voglia delle pratiche mercantili), ma su chi è in testa alle liste. Sarebbero accontentati anche i meritocratici: le donne sono più affidabili per capacità e dedizione. Finora, tuttavia, le grandi città, le regioni, le segreterie di partito sono o maschili o affidate a donne scelte perché stanno dentro il modello neutro.

Quindi brutta giornata quella di ieri. Ma illuminante. Speriamo che il femminicidio cessi, almeno quello istituzionale; per rispetto dello spirito di una Costituzione che deve viaggiare nel tempo accrescendo la democrazia.

14 Marzo 2014Permalink

26 febbraio 2014 – Ancora la memoria del 27 gennaio

Una memoria che non è celebrazione

                        “Disumanizzare l’altro significa inevitabilmente disumanizzare se stessi”  (Nelson Mandela)

Quest’anno il ricordo del 27 gennaio è stato assicurato da un maggior numero di celebrazioni che negli scorsi anni. Forse comincia a radicarsi il riconoscimento di quella giornata voluta nel 2000, in cui però sembra essere ancora significativa la cultura della celebrazione piuttosto che quella della memoria, di quella memoria che può farsi analoga al monumento di cui Primo Levi scrisse (e lo abbiamo citato nell’editoriale del numero scorso)  “Deve essere un monumento-ammonimento che l’umanità dedica a se stessa, perché porti testimonianza, perché ripeta un messaggio non nuovo nella storia ma troppo spesso dimenticato: che l’uomo è, deve essere, sacro all’uomo, dovunque e sempre”.
Fra le storie raccontate, fra gli avvenimenti ricordati, due ci sono sembrati particolarmente significativi.
Il primo è il racconto che il giornalista Massimo Gramellini ha proposto parlando dai sotterranei della stazione centrale di Milano, vicino all’Ufficio postale, prossimo al binario 21 su cui passavano i treni per il trasporto della posta. Da lì durante gli anni della Repubblica di Salò partirono 600 persone e ne tornarono 23.
Era un luogo nascosto al pubblico che affollava la stazione per altri viaggi, testimonianza della banalità del male che non solo trasforma un meschino burocrate come Eichmann in un protagonista, ma può servirsi, per il suo esercizio, dei più quotidiani degli oggetti il cui uso viene distorto fino a fare di uno strumento di trasporto e comunicazione uno strumento di distruzione.
Il secondo è il racconto di  una vecchia signora, Vera Vigevani Jarach. Nel 1938, dopo che  era stata cacciata da scuola perché ebrea, i suoi genitori erano fuggiti con lei in Argentina. Il nonno no. Non credeva sarebbe potuto accadere ‘qualche cosa’. Morì ad Auschswitz. Anni dopo, durante la dittatura di Videla (e la signora precisa: ‘dittatura civico/militare, non solo militare’), sua figlia Franca (18 anni) fu gettata da un aereo nell’oceano dopo un mese di prigione e torture. Era una ragazzina dall’intelligenza vivace che partecipava a manifestazioni studentesche.
La mamma conobbe la fine della figlia dopo 20 anni (nel frattempo il papà era morto).
Durante il mese in carcere certamente nulla le fu risparmiato ma la brevità del tempo le risparmiò almeno quello che tante altre donne conobbero: il parto di chi avevano concepito in carcere o prima di entrarvi, la sottrazione del neonato che –senza nome – veniva assegnato a coppie che avevano fatto domanda di adozione ed erano gradite al regime.
Nei lager tedeschi le donne erano sottoposte alla sterilizzazione forzate e i bambini erano loro strappati anche per essere adoperati in esperimenti che qualcuno osa ancora definire scientifici.
Dovette cadere Videla perché le ‘nonne di piazza di maggio’ (le loro figlie, le mamme, non c’erano più) potessero porre la questione delle adozioni conseguenti i rapimenti fino ad allora indiscusse nella loro ‘regolarità’.
Se il razzismo, collegato alla violenza militare, è un elemento abbastanza noto che ci permette di entrare nei sotterranei di ogni sterminio, dovremmo cominciare a considerare con più attenzione  lo strumento della burocrazia, utile per costruire la quotidianità che distrugge in una apparenza di ordine e tranquillità (che qualcuno forse riesce a chiamare pace).
(dal n.225 di Ho un sogno  – febbraio 2014)

26 Febbraio 2014Permalink

22 febbraio 2014 – Due donne: una viene e una va. E poi?

Probabilmente stanno andando al Quirinale

Il neo governo Renzi giurerà più tardi. Al Quirinale non ci saranno sorprese: la cerimonia si svolgerà in tutta la sua solennità un po’ cordiale un po’ da routine. Io posso sperare che, se la prossima settimana avranno la fiducia in parlamento, siano all’altezza della Costituzione su cui hanno giurato. Non mi verranno certo a dire con sincerità se risponderanno a un serio convincimento o se sarà una furbata.
Per ora mi impongo una difficile speranza e spero che il disprezzo per l’art. 67 della Costituzione appartenga solo alla confusa corte del sovrano extraparlamentare che dispone di una corona a cinque stelle.
Dice l’articolo: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
C’è stata, in una attribuzione di vincolo di proprietà interno a correnti (Civati vs Renzi), una critica all’attribuzione di un Ministero alla dr. Lanzetta. Mi si dice che all’interno del Pd avrebbe votato contro l’ipotesi di governo Renzi, conformemente alle indicazioni di Civati.
Poi ha accettato l’incarico che deve ancora formalizzarsi.
Provo a chiedermi: quando le è stato proposto quell’incarico ha pensato al contributo che poteva dare, considerata la sua esperienza di sindaco antimafia, in obbedienza all’art. 67 che ho trascritto prima? O è stata solleticata da un impulso di potere?
Io non lo so. Quello che so è che l’art. 67 non prevede i vincoli correntizi tanto cari, nella forma del movimento di cui è/si considera carismatico leader , al capo dei pentastellati.
E purtroppo non solo a costui.
Personalmente spero che la dr. Lanzetta, e non soltanto lei, assuma la responsabilità imposta dall’art. 67 anche se non è deputata.
Mi è capitato di ascoltarla e l’ho trovata consapevole e capace di parole di responsabilità. Vedremo

Un saluto alla ministra Kyenge
Mi stupisce (ma temo sia per una mia irredimibile ingenuità) il silenzio dei movimenti delle donne per l’accantonamento della ministra Kyenge.
E’ stata insultata con blasfemie razziste e perché donna (non a caso i due ostacoli sono appaiati nell’art. 3 della Costituzione: eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, ecc. ecc.). A Udine, quando ha partecipato ufficialmente a un convegno dimostrando quella attenzione e diligenza che viene dall’assunzione di consapevole responsabilità, presidente della regione, sindaco con fascia tricolore a tracolla, prefetto e questore se ne sono andati dopo i saluti di rito. E’ stato brutto e poco civile. e spero che l’inciviltà non si estenda alle politiche che la Kyenge sosteneva lasciando all’ampia misura femminile nel prossimo governo Renzi la sola qualità della quantità.

Chissà perché mi ricordo di Lidia
Non voglio trascurare il ricordo dei modi in cui da ‘amici’ e avversari fu accantonata la senatrice Menapace.
Si veda il mio diario del 9 febbraio

22 Febbraio 2014Permalink

16 febbraio 2014 – La presentazione di un libro e molto di più

Giovedì 20 febbraio, ore 20,30 – Biblioteca Guarneriana, San Daniele del Friuli
Il MoVI Federazione Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di San Daniele del Friuli, organizza una serata di presentazione del libro “Bambini Proibiti” di Marina Frigerio Martina.

Così dice un invito che mi è arrivato poche ore fa. Ne sono felice perché considero molto importante il libro che sarà presentato e di cui ho già scritto in questo blog
il 25 aprile 2012, e il  9 marzo 2013.
E’ un testo cui ho fatto riferimento anche di recente – e precisamente il 10 febbraio – per commentare  lo xenofobo referendum svizzero.
Le analogie con l’attuale situazione italiana dei fatti che l’autrice illustra  sono molto significative.

Poiché temo che non mi sarà possibile andare a San Daniele ho scritto al Sindaco la LETTERA APERTA che trascrivo

Egregio sindaco di San Daniele del Friuli,
sono venuta a sapere della bella iniziativa di presentare, in una sede prestigiosa come la Guarneriana, il lavoro di Marina Frigerio Martina  “Bambini proibiti”, di cui voglio ricordare anche l’importante postfazione del giornalista e scrittore friulano Max Mauro.
Purtroppo mi sarà quasi impossibile essere a San Daniele giovedì prossimo e me ne dolgo perché ritengo che quel libro sia testimonianza della sofferenza che nasce dalla violenza intesa a privare – con l’aggravante di farlo tramite norme accettate in un paese civile – un bambino del legame con la famiglia.
Non si tratta perciò solo di una terribile vicenda accaduta non troppi anni fa in Svizzera. Quel libro infatti è importante perché ci introduce a un problema che le è certamente noto, anche se l’informazione dovuta ai cittadini spesso ne sfugge.
Dal 2009 una legge (n.94 – art. 1  comma 22 lettera g), sovvertendo l’ordinamento precedente, ha stabilito che per registrate la nascita di un nuovo nato in Italia debba essere presentato il permesso di soggiorno.
E’ chiaro che i migranti irregolari così possono essere catalogati proprio perché non possiedono quel documento e se, chiedendo di registrare la nascita del proprio figlio ne segnalano la mancanza, si pongono a rischio di espulsione e comunque il loro figlio tale non sarà per legge.
E’ ragionevole quindi pensare che vi siano bambini nascosti anche in Italia e ne danno testimonianza il quinto e sesto rapporto della Convention on the Rights of the Child.
E’ chiaro che non avere un certificato di nascita significa non avere un’esistenza giuridicamente riconosciuta e che il legame familiare potrà essere certamente vissuto nell’amore per il proprio nato ma spogliato di ogni significato per ciò che implica in altrimenti riconosciuti legami sociali.
Mi è noto che, a pochi giorni dall’approvazione della legge, ciò che la legge nega è stato concesso con circolare (n.19 del 7 Agosto 2009)
Ma, e non entro in ovvie valutazioni sulla precarietà dello strumento amministrativo rispetto a quello legislativo, le chiedo se ritiene rispettoso affidare a una circolare un compito che dovrebbe essere onore di ogni sindaco, quello di avere l’evidenza della popolazione che nasce sul suo territorio e se ritiene che questa situazione sia corretto riferimento al diritto prevalente e prioritario del minore nel momento della sua massima fragilità, quello in cui viene al mondo.
Mi auguro perciò che proprio per la situazione di responsabilità e autorevolezza che attiene al suo ruolo istituzionale voglia sostenere la necessità di modifica della legge 94/2009. Già esiste una proposta di legge (n.740 – primo firmatario on. Rosato) sostenuta da 104 firme di parlamentari alcuni dei quali rappresentanti della nostra regione che, con un semplice articolo e senza oneri finanziari, ci riporterebbe, almeno per questo problema, alla più degna situazione anteriore al 2009..

16 Febbraio 2014Permalink