25 luglio 2011 – Una storia da cui non riesco a staccarmi.

Il 15 marzo 2011 scorso avevo trascritto un mio articolo pubblicato dal periodico genovese  Il Gallo (leggibile per chi volesse anche da qui) in cui facevo il punto sulla questione dei sans papier e della registrazione degli atti di stato civile, soffermandomi –e forse sbagliavo metodo– soprattutto sul problema della iscrizione anagrafica alla nascita, quello che mi sembrava l’aspetto più crudele di una norma dissennata.

Qualche mese prima avevo scritto al Presidente della Repubblica ricevendo dalla sua segreteria, dopo pochi giorni, la risposta che trascrivo (chi  volesse può leggere qui anche la mia lettera al Presidente): In relazione alla Sua lettera, indirizzata al Capo dello Stato, la informo che questo Ufficio ha sottoposto quanto da Lei rappresentato all’attenzione del Ministero dell’interno, per l’esame di competenza”.Pochi giorni fa ho ricevuto dal Ministero dell’interno la lettera firmata Il Vice Prefetto Lattarulo la lettera che trascrivo:

MINISTERO DELL’INTERNO   Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali
OGGETTO. Esposto al presidente della Repubblica in merito all’iscrizione anagrafica di minori stranieri privi del permesso di soggiorno
.

Gentile sig.ra Augusta De Piero,
Con riferimento alla Sua nota del 27.12.2010, inviata al Presidente della Repubblica, si informa che la legge n. 94/2009 non ha modificato la disciplina relativa alla iscrizione anagrafica dei cittadini stranieri, che in base all’art. 6, c. 7 del lgs n. 286/1998, subordina l’iscrizione stessa alla condizione della regolarità del soggiorno.
                              [Nota 1]
La stessa legge n. 94/2009 non ha peraltro neanche inciso sulla disciplina che regola la dichiarazione di nascita dei figli di cittadini stranieri privi del permesso di soggiorno.
Infatti, come previsto nella circolare n. 19/2009, né per la dichiarazione di nascita, né per il riconoscimento di filiazione è necessario esibire il permesso di soggiorno.  
               Il VICE PREFETTO  (Lattarulo)
              [Nota 2]

Non mi è stato facile resistere alla tentazione di rispondere  “Egregio Vice Prefetto io avevo sottolineato le problematiche che sono sorte dalla modifica del comma 2 dell’art. 6 del dlgd 286/1998, che parla di persone prive di permesso di soggiorno, Lei mi ha risposto parlando del comma 7  del medesimo decreto che tratta  dello straniero regolarmente soggiornante. Quindi la sua risposta nulla ha a che fare con la mia domanda”.

Ho scelto un’altra strada, quella di dirle il mio rifiuto sulla modifica del dlsl 286 che impone la presentazione del premesso di soggiorno per la registrazione degli atti di stato civile.
Non so se leggerà la mia lettera e, se lo farà, non so se si accorgerà della reciproca estraneità delle due lettere.
Non riporto il mio testo, contiene concetti detti e ridetti in questo blog.
Trascrivo solo la citazione che ho riportato da un testo di Kant, fondamento della  civiltà europea che di questi tempi – e particolarmente in questi giorni – sembra meno significativa degli indirizzi a suo tempo indicati dal nazismo.
“Non posso tacere (proprio a seguito del mio inefficace senso di responsabilità) il mio rifiuto di tutto questo. Come diceva Kant “… non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi” (1784).
E’ quello che mi resta”.
Per chi ne avesse interesse trascrivo i miei commenti  (costruiti per me, è il mio modo di capire)alla lettera del Vice Prefetto Lattarulo che qui riporto in forma di note:

Nota 1
Ribadisco quindi che la risposta ricevuta non è connessa alla mia domanda, dato che il comma 2 del citato articolo 6 del dlgs 286/1998  recita, con indiscutibile riferimento non ai ‘regolarmente soggiornanti’ ma alle situazioni in cui non deve essere presentato il permesso di soggiorno, evidentemente riferibili in via primaria a chi tale permesso (o titolo equipollente) non ha.
In quel contesto vengono escluse dalla presentazione del permesso di soggiorno anche le richieste “inerenti gli atti di stato civile”:

“2. Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati.”

Non a caso la legge n.94/2009 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica a sua volta recita: 
“g) all’articolo 6, comma 2, le parole: «e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi» sono sostituite dalle seguenti: «, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie;”

Mi sembra ovvio che ogni sostituzione implica la soppressione di ciò che viene sostituito – e quindi, nel caso specifico,  delle richieste “inerenti gli atti di stato civile”, cancellate dalla lettera g) del comma 22 della l. 94 , in modifica della norma prevista dal citato dlgs 286/1998.

Se ci fossero dubbi, valga quale interpretazione della norma quanto scrive –rispondendo a un’interrogazione dell’on. Olando-  il sottosegretario Davico (integralmente riportata nell’articolo de Il Gallo, citato sopra) :
Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 19 del 7 agosto 2009, ha inteso fornire indicazioni mirate a tutti gli operatori dello stato civile e di anagrafe, che quotidianamente si trovano a dover intervenire riguardo ai casi concreti, alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 94/09 (entrata in vigore in data 8 agosto 2009), volta a consentire la verifica della regolarità del soggiorno dello straniero che intende sposarsi e ad arginare il noto fenomeno dei matrimoni “fittizi” o di “comodo”.

Nota 2:
La legge – a differenza di quanto afferma la lettera del Vice Prefetto  – avrebbe inciso se non ci fosse stata la circolare 19 sulla dichiarazione di nascita dei figli di migranti irregolari, che la circolare – e non la legge – rende possibile senza la presentazione del permesso di soggiorno.
‘Salvate’ così le procedure concernenti la registrazione della nascita e dei rapporti di filiazione, resta aperto il problema per i matrimoni e le dichiarazioni di morte, che per sé implicano l’espulsione del ‘non regolare’ che ne richieda la registrazione.

Domande conclusive:
Poiché anche il Vice Prefetto fa  riferimento – per la ‘salvezza’ dei neonati figli di ‘irregolari’ alla circolare 19/2009 e non alla legge 94 – come mai non si chiede che bisogno c’era della circolare se la procedura relativa agli ‘irregolari’ fosse stata la medesima prevista per i ‘regolari’, menzionati dal comma 7  del dlgs 286/1998 da lui stesso citato e che senso avesse il ragionamento della risposta del sottosegretario Davico?
E infine perché non cita il comma 2 dell’art. 6 del dlgs? Dimenticanza, trascuratezza, imbarazzo (nella speranza di poter rifilare un dictat alla vecchietta  petulante?).

25 Luglio 2011Permalink

18 luglio 2011 – Nelson Mandela ha 93 anni

67 anni
Non ho ancora comperato i quotidiani cartacei ma ho guardato quelli on line.
Con grande fatica ho reperito qualche fotografia relativa alla notizia che pensavo avrebbe avuto uno spazio significativo: il 93mo compleanno di Nelson Mandela il primo presidente del Sud Africa dopo l’eliminazione dell’apartheid, eliminazione  che si deve proprio a lui, il nostro ‘tesoro nazionale’ come l’ha definito una giovane sudafricana che ho conosciuto di recente.
Il link che collego rinvia alla BBC dove ho trovato i servizi più completi. Per avere qualche cosa in italiano basta digitare il nome di Madiba,  il nome della tribù di Mandela, diventato l’appellativo affettuoso che lo identifica.
Nulla si dice da nessuna parte della ‘Commissione per la verità e la riconciliazione’ da Mandela voluta e condotta dal vescovo anglicano Desmond Tutu,  l’uomo che fu collaboratore di Mandela in questa altissima opera di pace, oltre ogni ideologia e ogni differenza che avrebbe potuto renderli estranei l’uno all’altro. Insieme ebbero il Nobel per la pace.
Allego il link del sito ufficiale in inglese e in italiano.
Mandela stesso ha ricordato il suo lungo impegno politico, 67 anni vissuti prima da oppositore, poi, per 27 anni, da carcerato e infine da presidente (ha lasciato la vita politica pubblica  nel 2004  anche per motivi di salute).

67 minuti
Oggi in Sud Africa le scuole e gli orfanotrofi apriranno le porte ai volontari che vorranno fare lavori di pulizia, mentre le banche dl sangue faranno gli straordinari. Infatti Mandela stesso ha chiesto di impegnare oggi 67 simbolici minuti del proprio tempo per fare del bene alla propria comunità, come ripulire dalla spazzatura il proprio quartiere o fare il test dell’Hiv, uno dei disastri dell’Africa, a seguito del quale  Mandela, che si è molto impegnato per promuovere l’accessibilità dei farmaci  specifici,  ha perso un figlio..
In suo onore 12,4 milioni di bambini intoneranno uno speciale ‘buon compleanno’, africanizzato per l’occasione, un’opportunità che ai bambini italiani non potrebbe capitare.
A quale modello infatti potrebbero dedicare un loro canto?

18 Luglio 2011Permalink

6 luglio 2011 – L’Italia sono anch’io. Una campagna per una diversa cittadinanza.

Riporto alcuni stralci dai molti documenti che illustrano la campagna di cui i promotori hanno dato notizia il 22 giugno.
A titolo di esempio collego il sito del centro Astalli e della CGIL.

Scopo della campagna è riportare all’attenzione dell’opinione pubblica e del dibattito politico il tema dei diritti di cittadinanza e la possibilità per chiunque nasca o viva in Italia di partecipare alle scelte della comunità di cui fa parte.
Oggi nel nostro Paese vivono oltre 5 milioni di persone di origine straniera. Molti di loro sono bambini e ragazzi nati o cresciuti qui, che tuttavia solo al compimento del 18° anno di età si vedono riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, iniziando nella maggior parte dei casi un lungo percorso burocratico. Questo genera disuguaglianze e ingiustizie, limita la possibilità di una piena integrazione, disattende il dettato costituzionale (art. 3) che stabilisce l’uguaglianza tra le persone e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno raggiungimento.

I promotori della campagna si propongono di contribuire a rimuovere questi ostacoli, attraverso un’azione di sensibilizzazione che inizia ora, ma soprattutto attraverso la modifica dell’attuale legislazione che codifica le disuguaglianze.
Per questo, dall’autunno 2011 promuoveranno la raccolta di firme per due leggi di iniziativa popolare, una di riforma dell’attuale normativa sulla cittadinanza, l’altra sul diritto di voto alle elezioni amministrative.
Alla conferenza stampa di presentazione della Campagna partecipano: il sindaco di Reggio Emilia e presidente del Comitato promotore Graziano Delrio, l’editore Carlo Feltrinelli, Vera Lamonica, della segreteria nazionale della Cgil, Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci, il presidente delle Acli Andrea Olivero, Lorenzo Trucco dell’Asgi.

Attualmente l’unica possibilità di acquisto della cittadinanza per questa fascia della popolazione immigrata è quella che riconosce allo straniero nato in Italia, solo al raggiungimento della maggiore età ed entro un anno da questa data, la facoltà di chiedere la cittadinanza italiana, a condizione che vi “abbia risieduto legalmente senza interruzione”. L’applicazione della normativa, però, ha confermato il carattere del tutto residuale di questa disposizione, in quanto la necessità di residenza (non solo la regolare presenza, come invece sarebbe auspicabile), anagraficamente registrata ed ininterrotta per l’intero arco della minore età, costituisce, nella maggioranza dei casi, ragione ostativa alla richiesta.
In condizioni ancora più difficili si trovano i minori che arrivano in Italia piccoli o piccolissimi con i genitori o per i ricongiungimenti famigliari: vivono e crescono in Italia, frequentano le scuole italiane, ma per diventare cittadini italiani dovranno seguire, a partire dai 18 anni, lo stesso percorso burocratico degli immigrati stranieri adulti

La proposta di legge della campagna L’ITALIA SONO ANCH’IO riconosce un diritto per i tantissimi minori che crescono e vivono in Italia da italiani : i bambini e le bambine che, nati in Italia da genitori privi di titolo di soggiorno, o entrati in Italia entro il 10° anno di età, vi abbiano soggiornato legalmente, possono diventare italiani con la maggiore età se ne fanno richiesta entro due anni. Un percorso che dà una certezza ai bambini e alle bambine di poter diventare cittadini una volta maggiorenni. Inoltre, su richiesta dei genitori, diventano cittadini italiani i minori che hanno frequentato un corso di istruzione. 

NOTA: Ho evidenziato in grassetto, oltre l’intitolazione dei due oggetti della campagna anche la frase che riprendo qui:
“La proposta di legge della campagna L’ITALIA SONO ANCH’IO riconosce un diritto per i tantissimi minori che crescono e vivono in Italia da italiani : i bambini e le bambine che, nati in Italia da genitori privi di titolo di soggiorno, o entrati in Italia entro il 10° anno di età, vi abbiano soggiornato legalmente
E’ la questione di cui mi occupo da più di due anni e per cui ora, a livello locale, non ero riuscita a suscitare alcun interesse  se non da parte di alcune singole  persone.
Fra i miei molti scritti sull’argomento voglio ricordare la lettera al Presidente della Repubblica che ho inviato alla fine dello scorso anno.

Ora spero che l’autorevolezza dei proponenti la campagna e la pluralità delle loro appartenenze suscitino interesse anche nelle soporifere realtà politiche, istituzionali e associative del Friuli Venezia Giulia.
Certamente non vi vorrà molto a un così ampio e variegato schieramento di forze a raccogliere le firme necessarie alle proposte di legge; sarà soprattutto importante il lavoro di informazione e formazione (non uso la parola sensibilizzazione: troppo labile e inconsistente si è finora dimostrata–almeno nelle realtà che conosco – la consapevolezza delle problematiche connesse alla presenza straniera suscitata, appunto, sensibilizzando).
Per fortuna i regolamenti della camera e del senato prevedono, rispettivamente al comma 4 dell’art. 107 e al comma 2 dell’art. 74, che le proposte di legge a iniziativa popolare non decadano con al fine delle legislatura in cui sono state presentate.
Quindi se questo parlamento non se ne occuperò –o non lo farà rapidamente – il dibattito è aperto anche alla prossima legislatura.

Per me, dato che il mio interesse si è mosso a partire dall’esame che ho condotto sulla lettera g) del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) restano aperti alcuni problemi su cui voglio riflettere e di cui certamente scriverò, come al solito a mia futura memoria.
Per ora mi limito a far riferimento al mio articolo pubblicato dal mensile Il Gallo che è raggiungibile nel mio blog in data 15 marzo e anche da qui.

6 Luglio 2011Permalink

28 giugno 2011 – Centri di identificazione e di espulsione.

Dichiarazione.

 Notizie di stampa informano che la permanenza dei cosiddetti clandestini nei centri di identificazione e di espulsione, già portata da 2 a 6 mesi, è stata ulteriormente protratta a 18 mesi (un anno e mezzo!). Le giustificazioni addotte appaiono del  tutto risibili: non si vede infatti come procedimenti di identificazione che non si riescono a fare con una certa rapidità diventino possibili in un lasso di tempo incredibilmente lungo. Ma non è questo il punto principale. La misura assunta si presenta infatti con un carattere pesantemente punitivo: la clamorosa conferma della volontà di rendere la vita degli immigrati nel nostro paese, soprattutto se provenienti dall’Africa, la peggiore possibile. Le caratteristiche dei centri e le durissime condizioni di vita cui  coloro che vi sono detenuti sono costretti li configurano ormai come veri e propri campi di concentramento. Non è un caso che i controlli esterni vi siano normalmente impediti. Il nostro paese ha così la straordinaria prerogativa di introdurre nuovamente in Europa una realtà che si poteva sperare cancellata per sempre dopo le truci esperienze del secolo scorso.

Mancano le parole per esprimere l’indignazione e il disgusto che una situazione del genere provoca. Si cerca di ritrovare il consenso sociale che vacilla facendo dei più deboli e indifesi il capro espiatorio di paure e insicurezze che hanno in ben altri fattori le loro ragioni. Le più elementari nozioni di comune umanità e di solidarietà vengono così infrante e calpestate. I più bassi ed egoistici istinti trovano in tal modo incentivo e conferma da chi governa e orienta il costume pubblico.

Abbiamo tuttavia fiducia che una coscienza civile ancora esista nel nostro paese. Sollecitiamo perciò i nostri concittadini a far sentire la propria voce di protesta per situazioni e metodi che disonorano l’Italia e smentiscono ancora una volta le sue tradizioni di civiltà, troppo spesso vantate solo a parole.

28 Giugno 2011Permalink

14 giugno 2011 – Dal ‘se non ora, quando?’ a quattro ‘sì’

Dalle piazze di febbraio ai referendum di  giugno la speranza ha trovato il coraggio di manifestarsi … ma ora ci serve qualcuno che la raccolga, oltre la gioia di dire e dirsi pubblicamente.
Ho scritto a commento di un articolo (VITTORIA – Abbiamo scelto la democrazia) di Giancarla Codrignani:  

“Condivido l’analisi e la gioia che viene dal constatare episodi in cui si manifesta l’assunzione della responsabilità personale. Nello stesso tempo però provo una pena grande: un popolo ha affidato la propria speranza di futuro a istituzioni dove spesso ritrovo persone incapaci di cogliere il significato del loro ruolo, adattate a una politica intenta solo al successo comunque raggiunto, incapaci di pensare un progetto e di proporlo con consapevolezza, determinazione. trasparenza, responsabilità. E questo purtroppo da ogni parte politica. Sarò influenzata da ciò che vedo e conosco a livello locale ma oggi riesco a vivere la speranza solo come un difficile dovere”.

Di Giancarla ho pubblicato un testo dal lei giratomi il 6 giugno e ora inserisco il link al suo articolo del 13, uno scritto importante ma inviterei chi fa politica nelle istituzioni, e in particolare i rappresentanti del Pd, a leggere con disponibile attenzione alcuni amari, pesanti commenti.
Voci dissonanti nel momento in cui si vorrebbe gioire tutti  insieme?
Certamente, ma proprio per questo importanti perché ci ricordano lo scollamento fra la partecipazione sincera di molti (talvolta non esente da un sommario fanatismo) e la percezione di estraneità suscitata dalle forme della democrazia rappresentativa come oggi si manifesta.
Scollamento inevitabile? A mio parere no, ma reso possibile da un pessimo governo e da una pessima opposizione, incapace di vivere il proprio ruolo con rispetto di sé e degli altri.
Ne ho scritto tante volte ma ora –nel mio impegno quasi personale – penso ai sindaci che non hanno capito come l’aver accettato passivamente l’impossibilità di registrare gli atti di stato civile sia non solo una disumana barbarie ma un vulnus del loro ruolo, di cui non si occupano perché gli interessi di qualche neonato non incidono sulla quantità di consensi di cui si appropriano spesso senza meritarli.

 Fra sindaci silenti e vescovi parlanti (per interposta persona)

Il 2 giugno ho riportato la frase di un editoriale del settimanale diocesano di Trieste– “molti pensano che il privato sia il babau”, il culmine più volgare di una proposta che si collocava nella linea del card. Ruini quando –nel 2005, con il sostegno della organizzazione Scienza e Vita – riuscì a far fallire, con il mancato raggiungimento del quorum, il referendum abrogativo delle “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” (Legge 19 febbraio 2004, n. 40).
Oggi non è stato così non solo per la dignitosa reazione dei cittadini ma anche perché le posizioni ufficiali della chiesa cattolica (di cui è inutile negare l’influenza) sono state diverse.
Quanto ha influito in tutto questo l’emotività sollevata dal timore di vedere un bene comune quale l’acqua soggetto a ‘padroni’ (so che l’espressione non è esatta ma l’emozione non funziona sull’esattezza)? Quanto ha influito la paura sollevata dall’evento di Fukushima? Quanto il disgusto per il comportamento del cav. Berlusconi nel voto sul ‘legittimo impedimento?
Certo sono tutte emozioni legittime ma ora si apre lo spazio delle responsabilità della politica che si identifica con lo spazio della mia paura.
Non ci salveranno né il populismo né l’incompetente irresponsabilità di troppi rappresentanti nelle istituzioni, ad ogni livello, dallo stato al comune.
E, nella mia scoraggiata attenzione per ciò che avviene a livello locale e alla diffusione –ovunque- di una cultura lega-dipendente non so a chi rivolgermi per poter ragionevolmente sperare.

Per chi voglia verificare
i dati dei referendum  comune per comune segnalo l’apposito sito de la Stampa:
http://www.lastampa.it/_web/_SERVIZI/Elezioni2011/referendum/referendum.asp?ente=italia&lvl=1

14 Giugno 2011Permalink

6 giugno 2011 — Un’amica mi segnala quello che non vorrei pubblicare

  2 giugno 2011, festa della Repubblica. Sono a Roma con il mio compagno. Un amico della mia città che lavora a Roma ci ha lasciato la sua casa vicino al Campidoglio. Verso le 10 ci avviamo verso piazza Venezia. È tutto bloccato per la parata del primo maggio, riusciamo comunque ad arrivare alla scalinata dell’Ara Coeli mentre viene intonato l’Inno di Mameli. Mi emoziona particolarmente sentir cantare  g… l’Italia s’è destah sarà il clima post ballottaggio! 
        Il sole picchia forte, la sfilata tarda, raggiungiamo l’Ara Coeli e attendiamo ancora un poco in cima alla scalinata  all’ombra. Visto che i Musei Capitolini sono aperti decidiamo di approfittarne e, dall’uscita laterale della chiesa raggiungiamo la piazza del Campidoglio ed entriamo al Museo.         Un incanto, pochissimi visitatori, dalle finestre aperte si riesce anche a vedere la sfilata. 
Arrivo sino al terrazzo del bar, che da Monte Caprino ha una bella vista dell’ultimo tratto della sfilata, da lì guardo i diversi corpi che sfilano. Non ho mai amato molto le parate militari, ma questa volta sento una strana emozione, sarà il centocinquantenario, dell’unità, saranno le divise storiche presenti nel corteo … 
         Ad un tratto si sente un coro: “…  Se non ci conoscete guardateci sul viso / veniamo dall’inferno e andiamo in paradiso. / Bombe a mano e carezze col pugnal!”. Un po’ truce ma mi ricorda una canzone che si cantava quando ero bambino. 
         Improvvisamente l’incanto finisce con la strofa successiva, proprio sulla curva di Monte Caprino il plotone, che incede marziale, continua: “Se non ci conoscete guardateci negli occhi / noi siamo fucilieri non siamo dei finocchi. / Bombe a mano e carezze col pugnal!”. 
        Improvvisamente capisco perché la legge sull’omofobia si è arenata in parlamento: anche durante la sfilata per la Festa della Repubblica, festa di TUTTI GLI TALIANI, alla presenza delle più alte carico dello Stato, davanti a delegazioni di tutti i Paesi del mondo, c’è ancora qualcuno che, proprio sotto Monte Caprino – luogo di tante aggressioni omofobiche –, imbracciando strumenti di morte, vuole e può  cantare a squarciagola la propria malata virilità. 
        Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa la ministra Carfagna.

Rispondo: lo vorrei anch’io.
Trasmetterò il messaggio a persone che so interessate se lo vorranno diffondere.
Io non lo inserirò su facebook perché mi ripugnerebbe trovare la scritta predeterminata ‘mi piace’

Per favore guardate anche la segnalazione in data di oggi.

6 Giugno 2011Permalink

2 giugno 2011 – Un esempio di non dialogo e una precisazione del giorno dopo.

Il pezzo che ho pubblicato il 21 maggio conteneva alla fine una lettera aperta, destinata al Vescovo di Trieste, in risposta alla Sua scritta pochi giorni prima delle elezioni amministrative e, dato il ruolo di monsignore, ponevo alcune domande . L’ho spedita doverosamente al Vescovo, a un quotidiano locale che l’ha pubblicata il 22 maggio e al direttore del settimanale diocesano di Trieste, ‘Vita Nuova”, che l’ha pubblicata nel numero del 27 maggio 2011.
Al testo integrale della mia lettera ha fatto seguito una risposta che integralmente trascrivo: “Per evitare i suoi turbamenti chiederò al vescovo di emanare in vista del ballottaggio un nuovo Comunicato per dire che in politica tutti possono fare quello che vogliono e che non c’è questione di bene e di male.
Poi, però, non sarebbe né bene né male anche quello che lei denuncia:  impedire il ricongiungimento familiare, questione su cui in mille occasione la Chiesa è intervenuta per ricordare il diritto ad una famiglia unita anche per gli immigrati.  Quando si difende la vita e la famiglia si difendono anche le situazioni che lei segnala. Il vescovo non poteva fare l’inventario di tutti i problemi, ha indicato i criteri fondamentali. Spero che lei possa seguire anche Vita Nuova oltre ai Comunicati della Diocesi”.

Meravigliata dal sovvertimento di ruoli che il direttore sembra dichiarare nell’ultima riga (io pensavo che un comunicato firmato di un vescovo fosse più autorevole delle posizioni del settimanale diocesano) mi soffermo solo su due punti:

  1. L’oscurità dell’espressione ‘in politica tutti possono fare quello che vogliono e che non c’è questione di bene e di male’. Chi sono quei ‘tutti’?
    Io avevo scritto di libera coscienza cui, in politica, mi sembrava ovvio il riferimento alla Costituzione, il contratto che tutti ci lega, mentre così non è per l’espressione –pur autorevole – di un qualsiasi credo religioso.
  2. Il richiamo al ricongiungimento familiare in cui il direttore fa rientrare anche il riconoscimento delle registrazioni degli atti di stato civile.
    Non conosce l’argomento? Non ha capito? Tutto è possibile.

Non gli risponderò; se lo facessi rischierei, come è già avvenuto, di aprire uno di quei dialoghi surreali in cui ciò che lega i dialoganti è solo la contemporaneità delle battute sconnesse una dall’altra nel loro significato.
Ricordate la pubblicità del Parmacotto? Cliente: ‘Mi dia due etti di Parmacotto’.
Salumiere: ‘L’ho finito’. Cliente: ‘Allora me ne dia due etti’. Un dialogo così può proseguire all’infinito senza che domande e risposte si connettano

Se scrivessi al direttore

Se però scrivessi a quel direttore gli chiederei:
a) Come può esservi ricongiungimento familiare per una famiglia che non c’é perché le è negata esistenza a norma di legge (e delle conseguenze sul matrimonio concordatario di questa imposizione incivile ho scritto il 21 maggio, mentre per la negazione del matrimonio ai sans papier si possono vedere i miei pezzo del 15 marzo e del 21 maggio);
b) Come sia possibile tutelare tutti i diritti che si connettono alla vita di un bambino (a partire da quelli inerenti la salute) se quel bambino non esiste oltre la sua presenza fisica.
Ma queste domande se le dovrebbero porre anche le organizzazioni cattoliche e non solo (per restare a presenze cristiane, penso alle chiese protestanti, il cui silenzio può essere giustificato forse in Italia dalla loro debolezza numerica).
Però non lo fanno confortate forse dal silenzio della società civile, della politica e delle istituzioni..
Purtroppo su questi temi nulla hanno detto nemmeno gli eletti sindaci che, evidentemente, subiranno legalmente passivi l’imposizione a non celebrare matrimoni di sans papier.
Sindaci meritevoli di fiducia? Non della mia.

L’acqua secondo Vita Nuova

Ora, proprio l’editoriale del numero del settimanale diocesano in cui è stata pubblicata la mia lettera con la relativa non-risposta lascia prevedere un altro rischio: il suggerimento a disertare i referendum da parte di esponenti della gerarchia cattolica.
Si riconosce che ‘Uno dei temi del prossimo referendum del 12 giugno è quello dell’acqua’.
E si conclude ‘Ha un bel dire la Dottrina sociale della Chiesa che bisogna costruire un sistema a tre: privato, Stato e società civile.  Poi, invece, molti ancora pensano che il privato sia il babau e la municipalizzata sia il tutore del bene comune. Non riusciremo a garantire l’acqua ai nostri figli se non supereremo questi moralismi, che con «sor’Aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta» di San Francesco non hanno niente a che fare’.

Mi riservo di trascrivere l’intero editoriale più avanti e, mentre prevedo la condivisione dell’elegante riferimento a ‘molti che pensano che il privato sia il babau’ o il silenzio obbediente del mondo cattolico istituzionale (immemore del fatto che nel 2005 il card. Ruini riuscì a far mancare il quorum nel referendum di allora),   inserisco un logo   che ho scaricato da Repubblica.

3 giugno  – PRECISAZIONE

Mi sveglio e vado al sito del settimanale della diocesi di Trieste. So che oggi esce il nuovo numero e sono curiosa di vedere come procede la questione di cui mi sono occupata.
Non ne scriverei  se non fosse per un’intervista che trascrivo nel mio archivio. Un avvocato di Trieste parla del referendum sull’ acqua in termini abbastanza articolati e diversi da quelli dell’editoriale della settimana precedente.
E scopro anche un’altra faccenda: i vecchi articoli non sono visibili in rete. E’ inutile quindi che io pubblichi l’indirizzo dell’editoriale del 27 maggio. 
Si può leggere invece l’intervista all’avvocato triestino, al momento raggiungibile dall’indirizzo:  http://www.vitanuovatrieste.it/content/view/5582/1/.
Chi volesse il testo completo dell’editoriale del 27 maggio potrà scrivermi a augdep@alice.it fornendomi l’indirizzo cui spedire il testo richiesto.
Il mio blog è piccola cosa ma alla correttezza dell’informazione ci tengo 

2 Giugno 2011Permalink

31 maggio 2011 – Vite triturate, generazioni tradite e scuola massacrata

Lascio la data del 31 anche se pubblico a qualche giorno di distanza  per uno dei soliti episodi in cui una difficoltà creata dal computer mi blocca. Sono spaventata dall’entusiasmo con cui è stato accolto sia il risultato dei ballottaggi, e successivamente la decisione della Consulta in merito ai referendum. Infatti quell’entusiasmo spesso non entra nel merito: è semplicemente caratterizzato dal neo populismo antiberlusconiano.
Non è garanzia che assicuri la capacità dei vincitori di costruire una diversa politica e, quando l’ignoranza prevale fra vincitori e sostenitori e l’incompetenza caratterizza le decisioni politiche, non riesco a partecipare a un entusiasmo che forse è solo consolatorio. Abbiamo bisogno di consolazione ma non basta

Lunedì 30 Maggio 2011     Tristezza e rabbia fra gli insegnanti, ma ad avere più (amaro) entusiasmo sono i precari

Sono arrivata in tempo: ce l’ho fatta a consegnare la domanda di rinnovo iscrizione alle graduatorie ad esaurimento! Nel 2003, con due bambine (la più piccola aveva allora un anno) iniziai un corso abilitante pomeridiano di due anni, che sostituiva i concorsi precedentemente banditi. La classe di concorso in cui mi sarei abilitata era la A546 (tedesco alle superiori), poi fortunatamente mi ritrovai abilitata pure nella A545 (tedesco alle medie).

Quest’odissea di viaggi pomeridiani a Udine, studio, tesine e tirocini durata due anni, si concluse nel maggio 2005, dandomi 40 punti alle superiori e solo 15 alle medie. L’insegnamento alle superiori mi avrebbe dato più soddisfazioni, ma data la scarsa disponibilità di cattedre e spezzoni seguii il consiglio di una collega di prendere le supplenze annuali alle medie. Da allora ho lavorato presso le scuole secondarie di primo grado di Gemona, Tavagnacco, Tricesimo, Majano, Forgaria e Udine. Nel 2006/07 decisi di prendere, oltre a 15 ore settimanali a Tricesimo, 3 ore al liceo scientifico di Gemona, spinta dalla speranza che avrei potuto inserire 6 punti (la metà del punteggio che si acquisisce in un anno) anche nella graduatoria delle superiori.

Solo al rinnovo dell’iscrizione in graduatoria ad esaurimento (Gae) mi resi conto che la regola su cui avevo basato questa scelta era valida prima dell’abilitazione, ma non dopo, e che pertanto il punteggio lo potevo far valere solo sulla graduatoria delle medie. Per un anno ebbi un orario scomodo, spostandomi nella stessa mattinata da una sede scolastica all’altra, e alla fine dell’anno mi resi conto che le mie speranze venivano in parte disattese, perché non ero sufficientemente informata sulle regole. In parole più semplici, chi non è abilitato può insegnare la sua materia e poi usufruire sia del punteggio maturato in quella graduatoria, che del punteggio non specifico nelle altre graduatorie delle materie che potrebbe potenzialmente insegnare, mentre quando si acquisisce il prestigioso status di insegnante abilitato, questo privilegio viene meno.

Dal 2005 ad oggi ho sempre insegnato in due scuole contemporaneamente, con supplenze annuali, l’estate scorsa ero molto preoccupata a causa della riduzione del numero di ore di tedesco, ma poi ho avuto comunque 15 ore settimanali fra Tolmezzo e Forgaria. Ora, con l’apertura delle Gae, nuovamente sbloccate, anche ad insegnanti di altre province, temo che si vanifichino le mie speranze di tornare a Tolmezzo l’anno prossimo, ma potrebbero addirittura vanificarsi le mie speranze di lavorare! Ciò che mi sostiene è avere imparato, con gli anni, a vedere il bicchiere mezzo pieno, e ad attaccarmi alle piccole cose positive per non perdere la speranza. Non certo col mio magro stipendio sono riuscita ad acquistare una casa, ma vedo intorno a me molti altri colleghi precari meno fortunati, che magari il prossimo anno non sapranno come pagare il mutuo, o rimanderanno ancora una volta la decisione di avere dei figli.

Vedo molta tristezza, rabbia, depressione. Il rischio è che, se noi insegnanti ammettiamo di essere depressi, i genitori si preoccuperanno per la sorte dei loro figli, affidatici con fiducia. Eppure sappiatelo, genitori: il Ministero della Pubblica (D)Istruzione ci cambia le carte in tavola in continuo, ci dà speranze in base a certe normative che poi cambiano, ci ha fatto iperspecializzare per poi permetterci di insegnare una minima parte di tutto quel bagaglio faticosamente messo assieme.

Quando scendo da Tolmezzo in autostrada, prima della galleria ammiro sempre, estasiata, il celeste del lago di Cavazzo, incorniciato dalle montagne e dal cielo. Mi viene in mente quel collega che fermò lì la macchina e si buttò nel lago. Eppure era di ruolo. Pensateci, cari genitori, e sosteneteci. Protestate anche voi contro i tagli, ricordatevi che l’istruzione è importante e che esistono mille tipi di insegnanti (già l’età dei discenti condiziona la disponibilità verso di loro e le soddisfazioni che si possono trarre dall’insegnamento), ma solo una ben piccola percentuale fra loro è fannullona.

Probabilmente sono proprio i precari ad insegnare con maggior entusiasmo, perché non sanno cosa vuol dire abitudine, routine; hanno però un sapore amaro in bocca, in quanto non possono investire energie in un rapporto continuativo con i loro allievi e progettare serenamente il futuro e le scelte di vita personali e familiari.

Luisa Rivoira

Buja (Udine)

Per chi vuole andare alla fonte: http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=151038

2 Giugno 2011Permalink

25 maggio 2011 – Donne sotto traccia 4

DONNE DI TANTI PAESI IN UN CIRCOLO APERTO   –  maggio 2011

Nello scorso numero abbiamo raccontato della vita di una giovane donna che abbiamo considerato  ‘ponte tra culture’.  L’incontro con persone provenienti da altri paesi ci conforta sempre più nell’ipotesi che la vera mediazione avvenga naturalmente nella quotidianità, dove curiosità e capacità di relazione non sono intaccate dalla paura che si è voluta costruire e che inquina i nostri mezzi di comunicazione e che purtroppo crea quel pregiudizio che fa presa anche su parte dell’opinione pubblica.
E le donne che abbiamo incontrato non solo hanno realizzato una buona integrazione ma ne hanno fatto una risorsa per favorire quella di altri, così come Nabila a Pordenone con la sua associazione onlus Circolo Aperto, Lavorando Per Tutti (LPT).
Le  sue colleghe provengono da quattordici paesi diversi  che ci piace ricordare: Albania, Algeria, Argentina, Bangladesh, Brasile, Burkina Faso, Eritrea, Ghana, India, Moldavia, Repubblica Ceca, Romania, Senegal, Ucraina. La loro attività è stata fondata nel 2004 da una cittadina equadoregna che è tornata al suo paese con il marito italiano.
Le differenze sono tante e importanti: la provenienza geografica, la cultura, la religione, l’aspetto fisico che le caratterizza rivelandone l’appartenenza etnica, ma, come strumento di comunicazione fra loro, usano tutte la lingua italiana. Attorno al gruppo delle donne ci sono anche mediatori maschi, che vengono chiamati al bisogno. 
Le nostre mediatrici non hanno lasciato spegnere la curiosità libera dal pregiudizio.
Perciò, con il progetto operativo dal 2007 ’Spazio aperto donna’, hanno deciso di ‘conoscere il mondo senza uscire da Pordenone’. A tal fine organizzano incontri a cadenza mensile dove (anche con la collaborazione di cittadine  italiane) hanno l’opportunità di conoscere i rispettivi paesi e di assicurarsi, nel dialogo e nel confronto, una formazione specifica  sui temi che si intrecciano alla loro vita (contraccezione, gravidanza, svezzamento, crescita dei figli, ecc.)
Il  circolo aperto assicura un’attività di mediazione culturale e linguistica (anche corsi specifici)  soprattutto in ambito sanitario e a tal fine ha sviluppato, dal 2005, una rete di progetti con l’Azienda sanitaria.
Ha istituito perciò un punto informativo socio sanitario che offre attività di informazione e orientamento sui servizi socio sanitari  a tutti i cittadini presenti sul territorio.
Fra i problemi che maggiormente impegnano le mediatrici ci son o quelli relativi alla salute in  generale e in particolar modo alla gravidanza e alla maternità, questioni che non possono essere affrontate con burocratica uniformità per la valenza profonda che assumono relativamente alla cultura del paese d’origine delle migranti.
I rapporti di amicizia e di confidenza che si realizzano con le utenti dei servizi consentono di conoscere problemi delicatissimi che coinvolgono, quando emergono anche in forma drammatica, consultori familiari e servizi sociali.
Nabila appare particolarmente turbata  dalle difficoltà nell’educazione dei figli dei migranti, in particolare se si sono allontanati molto presto dal paese d’origine o se sono addirittura nati in Italia. La mancanza di un’esperienza significativa di vita nel paese d’origine li rende diversi dai genitori e, soprattutto nella fase adolescenziale, ciò suscita un disagio che , se inopportunamente affrontato, può manifestarsi  anche con la fuga da casa. Secondo la nostra interlocutrice solo le famiglie aperte con regole non rigide riescono ad affrontare serenamente questo problema.
Il circolo aperto ha sperimentato anche l’attività del ‘Centro gioco multicolore’ un luogo dove le mamme, italiane e straniere, possono lasciare durante la mattina e per un tempo definito bambini da un anno e mezzo ai tre anni, assicurandosi così la possibilità di fare un corso di formazione per donne in cerca di lavoro oppure una visita medica, di sbrigare una pratica, fare la spesa senza che i piccoli debbano essere costretti fra uffici e sale d’attesa o issati sui carrelli dei supermercati insieme a cavoli e detersivi.  Ora attendono il finanziamento del progetto.
Per chi volesse saperne di più: http://www.circoloaperto.it/

25 Maggio 2011Permalink

21 MAGGIO 2011 — VESCOVI, MATRIMONI E BATTESIMI

Nel parlare, come da anni faccio, della questione del diritto degli immigrati privi di permesso di soggiorno ad accedere la registrazione degli atti di stato civile, non ero entrata nelle questione interne ai comportamenti della chiesa cattolica perché ritengo che i nostri doveri di solidarietà verso gli altri, quelli che la Costituzione della Repubblica prevede,  siano prima di tutto da affermarsi sul piano civile (laici siamo tutti, atei e credenti di qualsivoglia religione) e poi perché la chiesa come istituzione non ha detto nulla sul diritto a sposarsi dei sans papier e sui diritti dei loro figli.
Ma ora mons. Arcivescovo di Trieste mi ci ha trascinata dentro e non riesco a tacere anche perché il problema della registrazione anagrafica di nascite e matrimoni mi sembra strettamente connesso con la celebrazione di due sacramenti, il battesimo e il matrimonio.
Certamente questa è questione che riguarda i cattolici, che però sono cittadini italiani e non vedo come possano svincolarsi dai loro precisi diritti/doveri che anche il monsignore in questione richiama con una evidente attenzione al momento presente. Afferma:
“ … il momento elettorale conserva una sua indubbia importanza perché in esso il cittadino riflette non solo sui propri bisogni e interessi, ma sul “nostro” bene, il bene di tutti, il bene della comunità percepita come un tutto. E’ così anche per la comunità di Trieste. E’ così anche per le prossime elezioni amministrative”

Non rispetto l’ordine cronologico e comincio dal matrimonio.

Secondo la dottrina cattolica i celebranti del matrimonio sono gli sposi stessi, ma la loro volontà non si manifesta nel rifugio del privato bensì in una situazione del cui ordinato proporsi è garante un sacerdote (appunto se si tratta di cattolici) e dal 1929 il sacerdote, all’atto della celebrazione, è anche ufficiale di stato civile.
Quindi il matrimonio concordatario viene celebrato dopo che, anche negli idonei locali della chiesa, sono state esposte le pubblicazioni, la cui eventuale assenza non consente la celebrazione del matrimonio stesso. Ed è chiaro che, se entrambi o uno dei due sposi sono immigrati senza permesso di soggiorno, non ci saranno pubblicazioni poiché la chiesa deve attenersi alla decisione del Comune che agisce a norma della lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009.
Della questione ho fatto cenno l’8 dicembre 2010, per un interessante intervento del giudice di Trento, alla fine del mio pezzo di allora.
Che fare a questo punto? Se gli sposi vogliono essere i celebranti del sacramento della loro unione possono chiedere un matrimonio che abbia significato solo religioso.
A questo punto il parroco che raccogliesse la loro richiesta dovrebbe rivolgersi al vescovo ed esibire motivazioni forti perché così gli è stato raccomandato dalle autorità canoniche. Se il permesso arriverà potrà farsi garante di questa celebrazione ‘segreta’. Infatti, se lo sposalizio fosse esibito alla pubblica attenzione, potrebbe esserci la ‘spiata’ già messa in atto persino a fronte di un medico costretto a intervenire pubblicamente a seguito di un malore di un sans papier(si veda il mio ‘quaderni del Gallo’ – 15 marzo).
Mi si è detto che così quel parroco darebbe soddisfazione alla sua coscienza di sacerdote ma, come dice mons. Vescovo, è valore umano “l’aiuto solidale ai poveri condotto in modo sussidiario, ossia evitando sprechi ed assistenzialismo e favorendo, invece, la creatività e l’assunzione di responsabilità di persone e corpi intermedi”.
Il matrimonio solo religioso agli effetti civili non esiste e quindi priva gli sposi di tutti i diritti che la legge loro altrimenti riconoscerebbe, a partire dalla reversibilità della pensione, e soprattutto li lascerebbe in balia della situazione di cui più volte ho scritto per ciò che riguarda il riconoscimento dei figli (si consultino i tag anagrafe, bambini, nascita).
Come la mettiamo qui con la creatività della solidarietà di cui al documento di monsignore?
Mi si è detto anche che la stessa situazione vale per qualsiasi coppia non sposata: vero solo in parte perché per molte coppie è possibile il matrimonio civile e per altre la discussione è aperta (penso alle unioni degli omosessuali) mentre nel caso dei sans papier il silenzio –laico e religioso che sia – è totale.
E inoltre i sans papier vengono discriminati non per una scelta di vita che le leggi dello stato o della chiesa cattolica non riconoscono ma perché stranieri con burocratiche difficoltà artatamente costruite e io continuo a pensare che questo sia razzismo.

Il battesimo e l’accoglienza della comunità
Riporto la lettera aperta che ho scritto al vescovo di Trieste. Se mi risponderà ne darò notizia.

Egregio monsignore,
pur non risiedendo nella diocesi di cui Lei è vescovo non posso non dichiararmi turbata, anche come cattolica, dal comunicato stampa emesso dai Suoi uffici il 10 maggio.
Inizio soffermandomi sulla frase finale che invita il cattolico a cercare  l’accettabilità dei programmi dei candidati “dal punto di vista dei valori fondamentali …” e a valutare “ la storia e il retroterra culturale dei partiti dentro cui i candidati operano”.
Non posso analizzare tutti i valori che Lei elenca –me lo impedisce la necessaria brevità dello scritto – per cui mi limito ad augurarmi che La sua proposta voglia essere una autorevole indicazione per la libera coscienza dei cattolici e non pretenda di farsi – sollecitando l’adesione di forze politiche in quanto tali – vincolo politico per chiunque, anche non cattolico.
Mi permetto però di richiamare la Sua attenzione su un punto che non c’è nel Suo comunicato.
La legge che, con uno sprezzante ossimoro, è stata chiamata “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” prevede che, per registrare gli atti di stato civile (nascita, morte, matrimonio), lo straniero non regolare debba presentare il permesso di soggiorno, esponendosi quindi, nel momento in cui cerca di avvalersi del godimento di diritti umani fondamentali al rischio dell’espulsione (il riferimento è alla lettera g) del comma 22 dell’art.1 della legge 94/2009).
Potrei dire molte cose ma, rivolgendomi a un Vescovo, Le chiedo come vi comporterete quando nelle chiese italiane si celebrerà il battesimo di un bambino senza famiglia per disposizione di legge, essendo i genitori impediti a riconoscere il piccolo dalla ragionevole paura dell’espulsione. Quel battesimo non potrà essere celebrato sottolineando, come si usa, l’atteggiamento di accoglienza della comunità al nuovo nato ma solo in forma che, per essere protettiva, dovrà essere catacombale, umiliando l’immagine gioiosa della celebrazione di un sacramento a quella oscura di un’attività scaramantica.
Non mi risponda che c’è una circolare che rende possibile la registrazione anagrafica delle nascite. La conosco bene ma non posso accettare che la difesa contro un principio di legge che discrimina i cittadini più deboli proprio per ciò che sono, sia affidata alla volatilità di un atto burocratico che comunque non garantirebbe sicurezza alla pubblica presenza dei genitori del battezzando in chiesa.
Certamente quando mi sono rivolta (inutilmente) ad esponenti politici il mio discorso non si basava sulla contraddizione fra la celebrazione del sacramento e la violazione dei diritti di un neonato che, crescendo apolide, non solo sarebbe privato a priori di ogni diritto ma diventerebbe, per l’oscurità cui sarebbe condannato, vittima privilegiata di ogni crimine a partire dalla pedofilia. La mia interrogazione teneva conto di un quadro ben più ampio e ora mi piacerebbe sapere come prevedono di comportarsi gli eletti sindaci e i candidati ai diversi ballottaggi (oltre naturalmente a quello triestino) quando la legge imporrà loro di farsi complici – nell’esercizio legittimo del loro ruolo di sindaci– della negazione di una registrazione di nascita, matrimonio, morte.
Ma non lo posso sapere perché nessuno glielo ha chiesto con quella autorevolezza che merita risposta né questo argomento mi risulta essere presente in alcun programma elettorale.
Ringraziandola per l’attenzione porgo distinti saluti.
(Augusta De Piero)

21 Maggio 2011Permalink