16 maggio 2011 – Una scrittrice albanese ha scritto al Presidente del consiglio.

 Oggetto: Lettera aperta della scrittrice albanese Elvira Dones      NATA FEMMINA  – febbraio 2010

“Egregio Signor Presidente del Consiglio, le scrivo su un giornale che lei  non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humor ha toccato persone a  me molto care: “lebelle  ragazze albanesi”. Mentre il premier del mio paese d’origine, Sali Berisha,  confermava l’impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha  puntualizzato che “per chi porta belle ragazze possiamo fare  un’eccezione. ”
Io quelle “belle ragazze” le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di  notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate.
 A “Stella” i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola:  puttana.
Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata  in  Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di  stupri  collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e  chissà quanti altri. E’ solo allora tre anni più tardi – che le incisero  la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio.
Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società,  non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e  nonna. Quel puttana  sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di  speranza e di fiducia nell’uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l’utero.
Sulle “belle ragazze” scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo  Sole bruciato.
Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera:  andai in cerca di un’altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo  padre mi  aveva pregato in lacrime di indagare su di lei.  Era un padre come tanti  altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate,  appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un  padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di  Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare,  sogna il  miracolo.
E’ una storia lunga, Presidente.. .
Ma se sapessi di poter contare  sulla sua  attenzione, le invierei  una copia del mio libro, o le spedirei il  documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l’avviso,  signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio. In nome di  ogni  Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe
 gliele  dovevo.
In questi vent’anni di difficile transizione  l’Albania s’è inflitta  molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo  albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a  spalle  dritte e testa alta. L’Albania non ha più pazienza né comprensione   per le  umiliazioni gratuite.
Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come  materiale  per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.
Questa  “battuta” mi sembra sia passata sottotono in questi giorni in cui infuriano  varie polemiche , ma si lega profondamente al pensiero e alle azioni di  uomini come Berlusconi e company, pensieri e azioni in cui il  rispetto per  le donne é messo sotto i piedi ogni giorno, azioni che non sono meno  criminali di quelli che sfruttano le ragazze albanesi, sono solo  camuffate  sotto gesti galanti o regali costosi mi vergogno profondamente e  chiedo  scusa anch’io a tutte le donne albanesi.
 Merid Elvira Dones     

Per chi volesse meglio conoscere la scrittrice, ecco un elenco di opere di E. Dones
Piccola guerra perfetta, Einaudi, 2011
I mari ovunque, Interlinea, Novara, 2007
Vergine giurata, Feltrinelli, Milano 2007
Bianco giorno offeso, Interlinea, Novara, 2004 (da cui è stato tratto il film tv Roulette, di Mohammed Soudani)
Sole bruciato, Feltrinelli (I Narratori), Milano, 2001
Senza bagagli, BESA, Lecce, 1998
Per la TSI ha creato i due documentari Cercando Brunilda e I ngujuar (Inchiodato, 2004

16 Maggio 2011Permalink

14 maggio 2011 – Trieste – Elezioni amministrative o arcivescovili?

Da Ufficio Stampa della Diocesi di Trieste, 10 maggio 2011 NOTIZIE

Le elezioni, siano esse politiche che amministrative, sono sempre un momento importante per una comunità. Sono infatti l’occasione per pensare a se stessa e al proprio futuro e per indicare programmi e nomi che possano interpretare questa idea di se stessa e del proprio futuro. E’ vero che nella nostra società i momenti decisionali della politica si sono moltiplicati e, si potrebbe dire, sono usciti dai tradizionali palazzi. C’è oggi una politica “diffusa” nella società e nel territorio. Ciononostante, il momento elettorale conserva una sua indubbia importanza perché in esso il cittadino riflette non solo sui propri bisogni e interessi, ma sul “nostro” bene, il bene di tutti, il bene della comunità percepita come un tutto. E’ così anche per la comunità di Trieste. E’ così anche per le prossime elezioni amministrative.

Il mio compito, come vescovo di questa Chiesa, è di confermare che la comunità cristiana e la fede cristiana non sono estranee a questi momenti importanti della vita della comunità, anzi, dato che esse hanno a cuore l’uomo “via della Chiesa”, come scriveva nella sua prima enciclica, la Redemptor hominis, il Beato Giovanni Paolo II, non possono ritenersi estranee ai momenti in cui l’uomo decide di se stesso e del proprio futuro. Non perché la fede cristiana fornisca ricette politiche o amministrative, ma perché ritiene di aver qualcosa da dire – e di fondamentale importanza – sul senso comunitario della vita umana e sul nostro destino. E’ propriamente qui, sul tema dell’uomo e del suo destino – il suo “cos’è” e il suo “cosa deve essere” – che la fede cristiana scende nella pubblica piazza e fa la sua proposta a tutti gli uomini che cercano la verità.

Credo che non sia corretto interpretare la frase evangelica “date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” come se la politica avesse da provvedere ai bisogni “materiali” della persona e la fede a quelli “spirituali”. Sia la politica, sia la fede cristiana guardano alla persona tutta intera. La persona non ha due chiamate diverse: una materiale e una spirituale; non persegue due destini diversi: uno terreno e l’altro eterno; non risponde a due bisogni diversi: il benessere qui e la salvezza di là. La persona è un tutt’uno e cerca semplicemente di essere, di crescere, di maturare in tutte le sue dimensioni; sente che qualsiasi singola dimensione le sta stretta e cerca di respirare al massimo, con i polmoni e con l’anima. La politica, compresa quella amministrativa, non riguarda solo un aspetto della persona, perché nella persona nessun aspetto è pienamente comprensibile se viene staccato dagli altri. La politica riguarda, quindi, tutta la persona, come pure la fede riguarda tutta la persona: la vedono da angolature diverse ma non contrapposte.
Può risultare strana questa mia affermazione. La politica nelle amministrazioni locali – si dice talvolta – riguarda l’organizzazione pratica della vita della comunità: il lavoro, il traffico, l’occupazione, il tempo libero … ; la fede, invece, riguarda altre cose: la preghiera, i sacramenti, lo spirito … Certamente questa visione ha molti aspetti di verità, però se nella persona si vede – come insegna la fede cristiana – la creatura del Padre, l’immagine di Dio, un fratello in Gesù Cristo, una realtà unica ed eminente che non ha eguali nel creato, anche l’organizzazione del lavoro, del traffico, dell’occupazione, del tempo libero … troverà altre e superiori motivazioni e indicazioni operative. Non pensiamo che ci siano da un lato le questioni operative e materiali e dall’altro quelle morali e spirituali. L’uomo è un tutt’uno e la vita è sempre una sintesi. Quando noi compiamo una qualsiasi azione ci mettiamo tutta la nostra realtà di persone umane.
E’ per questo che le elezioni amministrative non devono essere considerate come estranee ai grandi valori umani, che la fede cristiana ci ha insegnato e continua ad insegnarci. L’amministrazione di una città è senz’altro indipendente dal piano ecclesiastico della religione, ma non lo è dall’etica, ossia dai principi morali legati al bene della persona e della comunità e che la fede cristiana ha contribuito a far scoprire e contribuisce oggi a conservare, a difendere e a far respirare.. I grandi valori umani della persona sono per esempio il diritto alla vita, l’integrità della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, la libertà per le famiglie di educare i propri figli secondo la propria responsabilità, l’aiuto solidale ai poveri condotto in modo sussidiario, ossia evitando sprechi ed assistenzialismo e favorendo, invece, la creatività e l’assunzione di responsabilità di persone e corpi intermedi.
Davanti alla scheda elettorale, l’elettore sa bene che dovrà decidere non solo del piano urbanistico o della viabilità, ma anche di questi grandi valori. Ed è per questo che la Chiesa ha sempre insegnato che non è lecito al cristiano appoggiare partiti che «su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della Chiesa» (Nota della Congregazione della Dottrina della Fede del 2002). Questo sia per un dovere di coerenza, sia perché, facendo diversamente, si farebbe un danno alla persona e alla società. Ci sono, infatti, questioni che possono essere affrontate e risolte in molti modi, ed altre che, invece, sono sicuramente
sbagliate e contrarie al bene umano.

Oggi gli enti territoriali hanno sempre maggiori competenze anche su queste questioni di fondamentale importanza. Essi possono danneggiare o aiutare la famiglia, possono o meno aprire il riconoscimento pubblico a “nuove forme di famiglia”, possono o meno mettere in atto aiuti concreti contro l’aborto, possono o meno promuovere forme di pubblicità offensive del diritto alla vita, possono soffocare la libertà di educazione delle famiglie oppure fare passi concreti per permettere il suo esercizio, possono sistematicamente combattere la presenza pubblica del cristianesimo o aprirsi ad una collaborazione nel reciproco rispetto. E tutto questo si amplierà ulteriormente in futuro, perché le autonomie si stanno diffondendo e le stesse competenze legislative degli enti locali aumentano.
Anche in occasione di elezioni amministrative, il cristiano che voglia essere fedele agli insegnamenti della Chiesa distinguerà nei programmi le questioni su cui sono lecite molte opinioni da quelle che invece obbligano la sua coscienza. E non darà il suo appoggio a partiti che le prevedano. Cercherà l’onestà personale dei candidati, ma non solo. Cercherà anche l’accettabilità dei loro programmi dal punto di vista dei valori fondamentali che ho elencato sopra e valuterà la storia e il retroterra culturale dei partiti dentro cui i candidati operano.

S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo-vescovo di Trieste

14 Maggio 2011Permalink

13 maggio 2011 – Nel sonno della ragione spunta un vescovo sfrontato …

Un’amica mi segnala-  tramite facebook – un passaggio di un articolo di un quotidiano locale in cui si legge:

“ Ma se le critiche di D’Alema parevano prevedibili, la vera notizia della giornata è l’ingresso nell’arena elettorale di monsignor Crepaldi, un vescovo sempre attento alla politica – ha anche scritto il manuale del buon politico cattolico – e criticato da alcuni proprio per questa attitudine. Oggi Crepaldi ha invitato i cristiani a votare per chi appoggia i valori della Chiesa perché “non è lecito al cristiano appoggiare partiti che su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie” al Vaticano. Il vescovo ha reclamato la giustezza della presenza della Chiesa in momenti delicati come quelli elettorali: “La comunità cristiana e la fede cristiana – ha sottolineato nell’intervento pubblicato sul sito della Diocesi – non sono estranee a questi momenti importanti della vita della comunità”.

Oltre l’indignazione per le espressioni sciagurate del vescovo, che non mi meravigliano (diritto che negli anni ho perso) ma mi indignano (diritto che mantengo con determinazione), non posso che segnalare il crollo di quel fondamento della democrazia che è la capacità di pensiero – e di pensiero pubblicamente espresso – dei cittadini, ormai volontariamente scivolati al rango di sudditi.
Le reazioni più comuni sono: il mugugno, l’avvoltolamento nella curiosità per le sbavature senili del presidente del consiglio, il rifugio nel ‘sono tutti uguali’ che si nutre di dibattiti televisivi spesso sguaiati che hanno funzioni più catartiche che informativa. Uno sta davanti al televisore, si disgusta e ritiene di aver esaurito la sua capacità propositiva.
Così muore una democrazia….

Se è cattolico, e se si adegua anche come tale alla sciagurata propaganda vescovile che può avvalersi del vantaggio aggiunto della assenza di par condicio, umilia la sua coscienza in una sonnolenta obbedienza che può garantirgli paciose convivenze negli incontri parrocchiali e simili.
Scriveva Kant nel 1784 in “Che cos’è l’illuminismo?: “Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro.  <…> Ed è così comodo essere minorenni! Se io ho un libro che pensa per me, se ho un direttore spirituale che ha coscienza per me, se ho un medico che decide per me il regime che mi conviene ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero di me. Non ho più bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione”.

 

13 Maggio 2011Permalink

8 maggio 2011 – Passaparola

Mi è arrivato da più parti un messaggio che trascrivo come l’ho ricevuto:

Da: katerina di fant katefelice@yahoo.it
Data: 06 maggio 2011 11.25.11 GMT+02.00
Oggetto: passaparola

Ciao a tutti, 
confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti .
Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.

Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio.
Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell’acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.

E’ arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l’argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.

Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui “il servizio pubblico” viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre  riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.  Il referendum è evidentemente anche questo!

Mariachiara Alberton 

RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM… perché il Governo non farà passare gli spot ne’ in Rai ne’ a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i cittadini italiani:

Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E’ necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone

Il referendum non sarà  pubblicizzato in TV.
I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il 12 giugno.
QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.
Vuoi che le cose non vadano a finire cosi ? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.  Passaparola!

Ai referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno 2011 vota SI per dire NO.
1– Vota SI per dire NO AL NUCLEARE.
2 – Vota   2 SI per dire NO ALLA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA.
3 – Vota SI per dire NO AL LEGITTIMO IMPEDIMENTO

Una piccola nota di Diariealtro

Di questo problema avevo fatto cenno anche nel mio articolo del 28 aprile.
Sono lieta di riprenderlo segnalando un forte interesse di altri.

Non dimentichiamo che  l’uso consapevole del referendum ci ha permesseo di salvare la legge sul divorzio nel 1974 e, nel 1981, la legge 194 del 1978: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.

Ne ho ricopiato il titolo per intero perché l’abitudine a chiamarla ‘legge sull’aborto’ non ne richiama la complessità e offre uno strumento formidabile ai detrattori della tutela della maternità e dell’istituto referendario che quella tutela salvò.

Voglio ricordare l’ultimo caso in cui  un referendum non ha raggiunto il quorum.
Nel 2005 il card. Ruini, allora Segretario di stato vaticano, invitò a non andare a votare per l’abrogazione di parti  della legge sulla fecondazione assistita e fu ‘obbedito’.
Attenzione quindi!
E’ necessario documentarsi e assumere tutta la dignità possibile che appartiene alla nostra responsabilità che non può essere delegata.

 

8 Maggio 2011Permalink

28 aprile 2011 – Dire e disdire. Fra furbizie repellenti e paure indotte

Quando surrettizie  precisazioni trasformano il Presidente del Consiglio in un saltimbanco mentale.

Il solito Presidente del Consiglio ha dichiarato: “Siamo assolutamente convinti che l’energia nucleare sia il futuro per tutto il mondo – e aggiunto a titolo di spiegazione – l’accadimento giapponese ha spaventato ulteriormente i nostri cittadini. Se fossimo andati oggi al referendum, non avremmo avuto il nucleare in Italia per tanti anni. Per questo abbiamo deciso di adottare la moratoria, per chiarire la situazione giapponese e tornare tra due anni a un’opinione pubblica conscia della necessità nucleare”.

E il 27 aprile il giurista Stefano Rodotà ha commentato su Repubblica:
“Sia lode al presidente del Consiglio. Con la disinvoltura istituzionale che lo contraddistingue ha svelato le vere carte del governo sul nucleare, carte peraltro niente affatto coperte. La frode legislativa, già evidente, diviene ora conclamata. Berlusconi è stato chiaro. Un tema tanto importante come il nucleare non può essere affidato a cittadini “spaventati” da quanto è avvenuto in Giappone, che debbono “tranquillizzarsi”. Meglio, dunque, non far votare un popolo emotivo, disinformato. Gli abbiamo scippato con uno stratagemma un referendum che avrebbe reso impossibile per anni il nucleare, e ora abbiamo le mani libere per tornare in pista già tra dodici mesi”.

Prendo atto, ma non sono fra quelli che si meravigliano: giocare con il populismo offerto come rimedio alle paure, spesso artatamente indotte, non è un caso, ma un costume.
Riporto dal mio diario del 15 marzo:
“Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 19 del 7 agosto 2009, ha inteso fornire indicazioni mirate a tutti gli operatori dello stato civile e di anagrafe, che quotidianamente si trovano a dover intervenire riguardo ai casi concreti, alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 94/09 (entrata in vigore in data 8 agosto 2009), volta a consentire la verifica della regolarità del soggiorno dello straniero che intende sposarsi e ad arginare il noto fenomeno dei matrimoni “fittizi” o di “comodo”.
E’ stato chiarito che l’eventuale situazione di irregolarità riguarda il genitore e non può andare ad incidere sul minore, il quale ha diritto al riconoscimento del suo status di figlio, legittimo o naturale, indipendentemente dalla situazione di irregolarità di uno o di entrambi i genitori stessi. La mancata iscrizione nei registri dello stato civile, pertanto, andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio, che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di colui che lo ha generato. Se dovesse mancare l’atto di nascita, infatti, il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico. ….”  

Dal testo del Sottosegretario di stato Miche1ino Davico (Lega Nord) apprendiamo che:
1.  La Lega Nord ha proposto norme che –approvate con la ripugnante complicità degli alleati di governo sarebbero diventate legge (n.94/2009) –  prevedono la presentazione del permesso di soggiorno per la registrazione degli atti di stato civile (nascita, morte, matrimonio), in deroga alle norme precedenti che nemmeno la legge Bossi-Fini aveva soppresso.
2.  L’enormità derivante dalla impossibilità a fornire un neonato di certificato di nascita, condannandolo ad essere apolide, è stata compresa persino dal governo Berlusconi che ha ‘rimediato’ con una circolare (citata dal sullodato sottosegretario) che, così come è stata emanata, potrebbe essere revocata senza alcun passaggio parlamentare.
E non dimentichiamo la scorrettezza che vuole una circolare non subordinata alla legge che pretende di interpretare.
3  Da notare poi che la precisazione Davico nasceva da una richiesta dell’on. Orlando e non dall’esigenza autonomamente considerata del rispetto dei diritti umani, presenti nella Costituzione e definiti da norme internazionali.

Ciò che mi scandalizza
Quindi fra un colpo al cerchio (soddisfare cli appetiti del populismo leghista al fine di tener vicino un governo che non ha obiettivi politici oltre la propria permanenza comunque sia) e uno alla botte (esagerare con le matte bestialità potrebbe suscitare qualche protesta) si porta avanti il degrado.
Ma non è la vincente inettitudine dei lego-pidielli che mi sconvolge quanto l’acquiescenza dei sindaci (che non capiscono essere stato leso un loro diritto fondamentale: quello di farsi garanti della popolazione esistente sul loro territorio) e delle organizzazioni per lo più a ispirazione cattolica (ma ormai la chiesa cattolica nelle sue espressioni gerarchiche, e non solo, è disposta a tutto barattare in cambio di un qualche finanziamento e privilegio).
Certamente queste organizzazioni parlano o meglio strillano per proclamare principi ma non usano la loro forza (nemmeno quando ne dispongono) per farsi garanti di un sistema di cittadinanza conforme ai diritti civili e umani. Per far questo dovrebbero porsi come coscienza critica delle (e nelle) istituzioni cui amano invece rivolgersi per averne finanziamenti e riconoscimenti. Non sempre arrivano al voto di scambio, però…
La linea del degrado programmatico non nasce oggi: io la seguo dagli anni ’90, quando l’orrore delle crisi balcanica permise l’emergere di altri –e apparentemente sopiti – orrori.
Ho deciso che farò una specie di resoconto die miei ricordi, ma non ora, rinvio a maggio.

Ciò che mi preoccupa
Ciò che mi preoccupa è il silenzio dell’opinione pubblica, non più difesa democratica ma paciosa massa forse ammiccante, felice di essere succube al capo.
Non ci posso far nulla, nemmeno Dio ci provò, se è vero quel che ci racconta il profeta Samuele di cui scelgo di riportare il racconto che mi sembra facilmente adattabile alla situazione attuale senza citare persone che non è simpatico nemmeno nominare.

Primo libro di Samuele, cap 8
Quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici d’Israele i suoi figli. 2Il primogenito si chiamava Gioele, il secondogenito Abia; erano giudici a Bersabea. 3I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto. 4Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. 5Gli dissero: “Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli”.
6Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque, perché avevano detto: “Dacci un re che sia nostro giudice”. Perciò Samuele pregò il Signore. 7Il Signore disse a Samuele: “Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. 8Come hanno fatto dal giorno in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te. 9Ascolta pure la loro richiesta, però ammoniscili chiaramente e annuncia loro il diritto del re che regnerà su di loro”.
10Samuele riferì tutte le parole del Signore al popolo che gli aveva chiesto un re. 11Disse: “Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli, li farà correre davanti al suo cocchio, 12li farà capi di migliaia e capi di cinquantine, li costringerà ad arare i suoi campi, mietere le sue messi e apprestargli armi per le sue battaglie e attrezzature per i suoi carri. 13Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. 14Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. 15Sulle vostre sementi e sulle vostre vigne prenderà le decime e le darà ai suoi cortigiani e ai suoi ministri. 16Vi prenderà i servi e le serve, i vostri armenti migliori e i vostri asini e li adopererà nei suoi lavori. 17Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. 18Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà”. 19Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: “No! Ci sia un re su di noi. 20Saremo anche noi come tutti i popoli; il nostro re ci farà da giudice, uscirà alla nostra testa e combatterà le nostre battaglie”. 21Samuele ascoltò tutti i discorsi del popolo e li riferì all’orecchio del Signore. 22Il Signore disse a Samuele: “Ascoltali: lascia regnare un re su di loro”. Samuele disse agli Israeliti: “Ciascuno torni alla sua città!”.

27 Aprile 2011Permalink

18-aprile 2011 – “Restiamo umani, anche quando intorno a noi l’umanità pare si perda”

In ricordo di Vittorio Arrigoni.

Il titolo è la citazione di una espressione che ci viene detto sia stata cara a Vittorio Arrigoni, il volontario italiano ucciso pochi giorni fa a Gaza da –sembra- un gruppo di salafiti.
E’ un invito che Vittorio Arrigoni ha diritto di proporci per come è vissuto e per come è morto.
Ma poiché sono convinta che l’ipocrisia della celebrazione non faccia onore a nessuno voglio dire che condivido solo a metà un’altra citazione che gli appartiene: ”Non temo le urla dei  violenti, ma temo il silenzio degli onesti”.
E’ vero, del silenzio degli onesti, ammesso che ci siano situazioni in cui il silenzio è ‘onesto’, anch’io ho paura, anzi mi ripugna, ma mi ripugnano anche le urla dei violenti.
Violenza genera violenza e in Italia ben dovremmo saperlo, dove proprio urla e volgari sghignazzi-hanno convinto molti che il razzismo è cosa buona, che l’arroganza e l’assenza di qualsiasi etica caratterizzano chi ‘possiede’ il potere, che ciò che conta è costruire un nemico e ridurre le nostre scelte alla sua distruzione.  
E proprio perché neppure immobilizzarsi in un presente senza memoria è cosa umanamente buona voglio associare alla memoria recente di Arrigoni quella dei frati trappisti uccisi in Algeria probabilmente il 21 maggio 1996, della giovane Rachel Corrie, massacrata il 16 marzo del 2003 a Rafah (il valico fra Gaza e l’Egitto da un carro armato da cui passeranno i resti di Arrigoni quando saranno portati in Italia), del giornalista Enzo Baldoni, ucciso in Iraq il 26 agosto 2004 ai cui resti è stata concessa sepoltura solo il 27 novembre dello scorso anno, di Nicola Calipari ucciso il 4 marzo 2005 a Bagdad mentre riportava in Italia la giornalista Giuliana Sgrena, liberata dai suoi sequestratori.
La ricerca della pace non ha un’unica strada, secondo me esclude soltanto la guerra e la violenza perché la pace non è solo un obiettivo ma anche un metodo.
Qualcuno vorrà ricordare altri nomi: io ho scritto i primi che mi sono venuti in mente, lo spazio dei commenti del blog è a disposizione di chi voglia aggiungerne altri. 

La rivoluzione dei gelsomini

Il 15 aprile il giornalista Roberto Zichitella ha dedicato la trasmissione Radio 3 mondo delle 11.30 alla rivolta della Tunisia contro il presidente Ben Ali.
Ha detto: “Nel futuro della Tunisia ci sono incognite politiche Il 24 luglio ci saranno le elezioni per eleggere l’assemblea costituente. Dopo gli anni soffocanti del partito unico ora nascono decine di formazioni politiche. I partiti già registrati sono una cinquantina ma altri sono in lista di attesa. Ci sono partiti di ogni tendenza: liberali socialisti, ambientalisti perfino maoisti. Ci sono naturalmente anche i partiti islamici fra i quali Hennada messo fuori legge da Ben Ali”. Infine ha espresso il suo timore per una possibile deriva islamista in Tunisia, timore condiviso – in forma molto equilibrata e senza l’espressione di alcun fanatismo- dal vescovo di Tunisi, Maroun Lahham (di origine palestinese) che Zichitella ha intervistato.
Mi piace riportare una frase del vescovo che mi è sembrata di particolare interesse: “Io spero che la gioventù tunisina –  che è abbastanza colta abbastanza aperta – e che la donna tunisina –che è una delle donne più libere del mondo arabo- sia cosciente di questa ambiguità“. Così mons. Lahham descrive l’ambiguità che suscita la sua preoccupazione: “Un partito islamista politico anche se comincia con un linguaggio moderato ha una meta alla quale deve arrivare, la sharia islamica perché lo stato islamico fa parte del credo di un islamista non di un mussulmano”.
Una distinzione interessante e un importante riferimento alle donne su cui la gerarchia cattolica, a mio parere, dovrebbe riflettere anche in Europa.

18 Aprile 2011Permalink

18 aprile 2011 – Donne sotto traccia 3

NABILA, PONTE TRA CULTURE

Nabila – una cittadina marocchina poco più che ventenne  – mi accoglie nella sede pordenonese dell’associazione onlus Circolo Aperto, Lavorando Per Tutti (LPT).
E’ sabato, la ‘casetta del volontariato’ di Pordenone, che ospita varie associazioni non è attiva e l’ambiente è tranquillo. Nabila ha portato con sé i due fratellini minori: Soumia di otto anni e Bilal di sei con cui faccio una simpatica chiacchierata mentre lei si occupa di due mediatrici impegnate nel suo stesso progetto, una proveniente dall’Albania e l’altra dal Burkina Faso.
Complessivamente le mediatrici impegnate nell’associazione appartengono a quattordici nazionalità e l’italiano non rappresenta solo la lingua di mediazione con gli autoctoni, ma anche fra loro.
Il mio incontro con i due piccoli è importante e dice molto di più di tante parole che gli adulti possano pronunciare sul loro conto. Sono due bambini estremamente socievoli, in grado di esprimere tranquillamente i loro pensieri, testimonianza significativa di una crescita in ambiente sereno, segno –anche nelle ottime capacità di comunicazione linguistica in italiano- di una avvenuta integrazione.
Rivelano subito un grande amore per la sorella maggiore, mi raccontano emozionati di un’altra sorella più grande che aspetta un bambino. Eccitatissima Soumia (“sarò zia a otto anni!”), più riservato Bilal, unico maschio con quattro sorelle (“io veramente volevo un fratellino per giocare”). Mi parlano positivamente della scuola (frequentano rispettivamente la terza e la prima elementare) di cui a Soumia “piace tutto” e a Bilal soprattutto gli amichetti. Li distingue dai coetanei, e ne provano disagio, la mancanza della cittadinanza italiana. La domenica al centro islamico imparano l’arabo e hanno una formazione religiosa “compatibile con la loro età”, mi spiega Nabila rientrando.
Nabila indossa il velo come la sua mamma e ne parliamo. Chiarisce subito che si tratta di una sua scelta personale, come personale è quella delle due sorelle che non lo indossano. In famiglia questo significativo pluralismo di atteggiamenti è accettato con tranquillità. A nessuna di loro è stato richiesto di giustificare le ragioni della scelta compiuta. Nabila mi spiega che il velo (le copre i capelli e il collo, nulla nasconde del volto) è una protezione della ‘modestia’ suggerita dalla tradizione religiosa islamica.
Vissuta in Marocco –paese islamico quasi al cento per cento- l’identità in cui si riconosce appartiene a quella realtà, senza che ciò la faccia sentire a disagio nell’occidente in cui è immersa.
“Sono una privilegiata –precisa – quando, a dodici anni, sono venuta in Italia con un ricongiungimento familiare. Il mio papà, che viveva e lavorava qui già da vent’anni, aveva preparato un terreno in cui possiamo essere noi stessi senza disagi”. Nabila si è voluta garantire anche il sogno del ritorno. In Italia ha conseguito la maturità come geometra ma si è assicurata anche la maturità liceale del Marocco e sembra destreggiarsi fra le due realtà con estrema disinvoltura, affrontando anche i problemi burocratici che le sono imposti dalla realizzazione dei progetti di cui si fa carico nell’ambito dell’associazione.
E’ una realtà complessa che offe molte occasioni di approfondimento. Ne parleremo in seguito.

18 Aprile 2011Permalink

22 marzo 2011 – Donne sotto traccia 2

Dopo aver rinnovato l’incontro con due donne straniere. già intervistate dieci anni fa, decido di ascoltarne altre e comincio dalle ‘mediatrici di comunità’.

La prima è Awa, senegalese, vive in Italia con la sua famiglia da dodici anni, i suoi tre figli sono nati qui, vanno a scuola qui  e insieme ai genitori formerebbero una normale famiglia italiana  se non mancasse loro la cittadinanza.
I genitori lavorano entrambi e Awa svolge la sua particolare attività da dieci anni. da quando la mediazione di comunità si è realizzata a Udine a seguito del buon uso dei finanziamenti del progetto europeo ‘Etnos e Demos’.
Il corso di formazione che il progetto ha allora assicurato è stato particolarmente impegnativo (500 ore di lezione e 200 di stage anche all’estero), finalizzato alla formazione di figure di livello professionale,  capaci di farsi tramite fra i servizi sanitari e sociali e gli utenti stranieri.
Awa a questo punto interrompe la nostra tranquilla chiacchierata per precisare con forza che non di interpreti linguistici si tratta ma di mediatori culturali con competenze particolari, capaci di ‘decifrare i comportamenti dei migranti e di trasmettere messaggi che consentano di formulare una risposta coerente’.
E’ pienamente consapevole che i problemi della salute (soprattutto quelli che le donne pongono, collegati alla nascita e a tutto ciò che l’accompagna) sono connessi alla cultura e non possono essere meccanicisticamente  affrontati nella trasposizione di un termine da una lingua all’altra.
In questi dieci anni l’operatività dei mediatori si è ampliata, le convenzioni con Aziende Sanitarie e comuni si sono moltiplicate sul territorio regionale, tanto che si sono costituiti in associazione per provvedere anche alla formazione dei nuovi operatori e all’aggiornamento dei ‘vecchi’.
Anche a questo punto le indicazioni di Awa si fanno importanti: le loro attività sono mirate alla realizzazione di consapevoli obiettivi e vanno dalla diffusione dei documenti che vengono proposti dalla Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) a vere e proprie lezioni tenute da esperti qualificati, loro consulenti di fiducia.
La precisazione è essenziale. Può capitare infatti che vengano millantati per formazione corsi coatti, a livello uniforme per tutti i partecipanti quale che ne siano il livello di preparazione e le esigenze che nascono dalla quotidianità del lavoro di ognuno, inutili, se non umilianti, per chi è costretto a presenziarvi per poter essere formalmente riconosciuto mediatore.
Ora i mediatori di comunità gestiscono anche una trasmissione radiofonica, assicurato loro da Radio Onde Furlane. Infatti la loro attività è poco conosciuta in particolare dai medici di base (che possono giovarsi anche di veloci contatti telefonici).
Continueremo a scriverne.
Comunque chi volesse contattarli può trovare le necessarie informazioni nel sito: <http://www.ciaopronto.com/d-124182159.htm>.

22 Marzo 2011Permalink

15 marzo 2011 – quaderni de Il Gallo, periodico genovese

quaderni de IL GALLO   – Marzo 2011  – Anno XXXV  (LXV) N. 710   NORME DI LEGGE LESIVE DI UMANITÀ (pag. 12) 

La paradossalità della situazione, così complessa da essere ignorata anche dagli organi di informazione, ci ha indotto a chiedere alla competenza dell’amica Augusta De Piero precise indicazioni – purtroppo un po’ complesse – sulle norme vigenti relative all’iscrizione anagrafica si nascite, matrimoni, morti da parte di stranieri presenti in Italia in situazioni di clandestinità. 

Sono ormai trascorsi due anni dall’approvazione della legge ‘Disposizioni in materia di sicurezza pubblica’ ( Legge 15 luglio 2009, n. 94  pubblicata nella  Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 2009) e se non è facile, né forse possibile, trarne un bilancio, sembra però necessario farsi consapevoli del contenuto della norma, anche esaminandola punto per punto.
Qui ci soffermeremo soltanto su un aspetto che identifica i casi in cui il migrante deve presentare il permesso di soggiorno per ottenere determinati documenti (art. 1, la lettera g,  comma 22) .Leggere il testo e decriptarlo è necessario per capire. Così dice la legge in vigore (94/09):

g) all’articolo 6, comma 2, le parole: «e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi» sono sostituite dalle seguenti: «per quelli inerenti all’accesso  alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie»;

Ed ecco il testo della norma precedente (Legge 6 marzo 1998, n. 40; r.d. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 144, comma 2 e 148):

2. Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi, i documenti inerenti al soggiorno <…>  devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati.

Nel 2009 quindi l’eccezione, precedentemente prevista per gli atti di stato civile, è deliberatamente soppressa e quindi la presentazione del permesso di soggiorno diventa necessaria anche per registrare nascite, matrimoni, morti. E’ importante sottolineare che la condanna a diventare apolidi, a non sposarsi, ad avere nel corpo di un estinto, per quanto caro, un ostacolo alla propria vita resa altrimenti possibile dall’essere migranti, non consegue ad una espressione esplicitamente e chiaramente discriminatoria, ma a un gioco linguistico di addizioni e sottrazioni di parole.
Naturalmente se una persona priva di permesso di soggiorno per qualsivoglia motivo (si tratti anche di un migrante che sia diventato irregolare per la perdita del lavoro) viene identificata come tale (e quale luogo più appropriato di un pubblico ufficio!) ne segue l’espulsione. La clandestinità, identificata surrettiziamente con l’irregolarità, è reato!
Queste disposizioni inducono quindi di fatto i genitori che si trovino in questa situazione a non iscrivere il neonato all’anagrafe, facendone un apolide privo di ogni diritto.

Lo Stato si fa creatore di apolidi

Persino il governo in carica deve essersi accorto della enormità per cui uno stato democratico si fa creatore di apolidi se, a pochi giorni dalla approvazione della legge, il Ministero dell’interno  ha emanato una circolare  (Circolare n. 19 del 7 Agosto 2009, concernente indicazioni operative in materia di anagrafe e   stato civile in applicazione della legge n.94,)  che dice essere possibile la registrazione anagrafica, anche in assenza del fatale permesso.
Al di là della stravaganza di una circolare che supera la legge (e che, come è stata emanata, così può essere cancellata senza interventi del parlamento), qualcuno ha finalmente cominciato ad accorgersi della intollerabilità di questa norma. Di recente il Giudice di Pace di Trento ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale di un provvedimento di espulsione conseguente le pubblicazioni di matrimonio di una cittadina cilena (priva appunto del permesso) con un italiano.
In attesa della pronuncia della Corte il provvedimento di espulsione é stato sospeso , mentre il giudice ricordava che il diritto a contrarre matrimonio ha carattere di universalità e può essere esercitato quindi indipendentemente dalla regolarità del soggiorno e dalla cittadinanza [1].
Torniamo ora alle dichiarazioni di nascita per cui non sembra esserci stato il tipo di interesse meritato dalle pubblicazioni di matrimonio, ma è chiaro che i genitori di un neonato, costretti a vedere in lui una minaccia alla loro permanenza in Italia, privi di mezzi per avvicinare un legale che ne sostenga la causa, non possono che agire in conseguenza della propria paura.
Certamente la mamma che partorisca in ospedale e riconosca il proprio bambino è protetta dall’obbligo al segreto sanitario (fermamente difeso dalle categorie professionali interessate) che in un primo tempo la Lega N0rd avrebbe voluto cancellare, con il complice consenso dei partiti di maggioranza e che è stato mantenuto nell’elenco delle eccezioni alla presentazione del permesso di soggiorno, confermando la permanenza dell’articolo già presente nella normativa precedente la legge 94 e non cancellato:

 5, L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul     soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia     obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano.

Però la registrazioni anagrafica non si ferma qui: la nascita e l’eventuale paternità deve essere dichiarata anche in Comune.
In virtù della circolare ricordata sopra l’immigrato irregolare non deve esibire il permesso di soggiorno, ma, presentandosi pubblicamente,  può rendersi visibile ad un anonimo denunciante. Il meccanismo che crea tale situazione e attraversa subdolamente leggi e burocrazie è stato svelato da un fatto preciso [2]. Il 28 novembre 2010 la questura di Milano ha denunciato un medico  per  favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I soccorsi erano stati prestati a un egiziano irregolare che si era sentito male durante la protesta alla ex Carlo Erba a Milano. Il silenzio dovuto del medico era stato aggirato da una denuncia che, anche se anonima, aveva determinato la reazione dei pubblici uffici garanti della sicurezza.
E’ chiaro che il problema della registrazione anagrafica  potrebbe essere risolto assicurando la cittadinanza italiana a chi nasce in Italia, soluzione certamente auspicabile ma di lungo percorso cui non sarebbe di ostacolo la soluzione del piccolo problema della registrazione anagrafica di cui il governo è a piena conoscenza. Ne fa fede la risposta ad una recente interrogazione parlamentare:

Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 19 del 7 agosto 2009, ha inteso fornire indicazioni mirate a tutti gli operatori dello stato civile e di anagrafe, che quotidianamente si trovano a dover intervenire riguardo ai casi concreti, alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 94/09 (entrata in vigore in data 8 agosto 2009), volta a consentire la verifica della regolarità del soggiorno dello straniero che intende sposarsi e ad arginare il noto fenomeno dei matrimoni “fittizi” o di “comodo”.
E’ stato chiarito che l’eventuale situazione di irregolarità riguarda il genitore e non può andare ad incidere sul minore, il quale ha diritto al riconoscimento del suo status di figlio, legittimo o naturale, indipendentemente dalla situazione di irregolarità di uno o di entrambi i genitori stessi. La mancata iscrizione nei registri dello stato civile, pertanto, andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio, che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di colui che lo ha generato. Se dovesse mancare l’atto di nascita, infatti, il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico.
Il principio della inviolabilità del diritto del nato è coerente con i diritti garantiti dalla Costituzione italiana a tutti i soggetti, senza alcuna distinzione di sorta (artt. 2,3,30 ecc .), nonché con la tutela del minore sancita dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (Legge di ratifica n. 176 del 27/05/1991), in particolare agli artt. 1 e 7 della stessa, e da diverse norme comunitarie.
Considerato che a un anno dall’entrata in vigore della legge 94/09 non risultano essere pervenute segnalazioni e/o richieste di ulteriori chiarimenti, si ritiene che le disposizioni contenute nella predetta circolare siano state chiare ed esaustive, per cui non si è ravvisata sinora la necessita di prospettare interventi normativi in materia.
IL SOTTOSEGRETARIO DI STATO   (Miche1ino Davico)”

Il Ministero è quindi consapevole che la situazione di irregolarità dei genitori non deve negare i diritti del bambino, ma il problema non si risolve finché permane l’obbligo di presentazione dei documenti di soggiorno che pubblicano la condizione di chi si presenta con el conseguenze di cui si è detto. Finora istituzioni e società civile non hanno dimostrato interesse al problema.
Ma .. non è mai troppo tardi! 


[1] Il provvedimento trentino è stato segnalato dal prezioso sito dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione e la relativa ordinanza può essere letta all’indirizzo: http://www.asgi.it/public/parser_download/save/giudice_pace_tn_
ord_680_2010.pdf

[2] All’indirizzo  http://www.simmweb.it(sito della Società Italiana di medicina delle Migrazioni) la notizia in questione si trova in data 30 novembre, mentre in data 10  gennaio 2011. è riportata la dichiarazione dell’ordine dei medici della provincia interessata.

15 Marzo 2011Permalink

13 marzo 2011 – Una lettera da Trento

Faccio parte di un’associazione che si chiama BIBLIA (per chi volesse informazioni  biblia.org) e ho ricevuto da uno dei partecipanti a un incontro che si è svolto a Bressanone la scorsa estate una lettera che trascrivo, facendo seguire la mia risposta.
(Per correttezza, dato che se ne riferisce una frase pronunciata in una situazione privata, a meno che non venga a sapere che l’interessata preferisce il contrario, metto al posto di un nominativo le iniziali A.C.)

                 150° dell’Unità d’Italia Da Firenze a Bressanone (passando per Trento)    di Silvano Bert

L’episodio è di vita quotidiana. A. C. è una signora di Firenze presidente di “Biblia”, l’associazione laica di cultura biblica. E’ lei che organizza l’estate scorsa a Bressanone un seminario sulla Lettera di Paolo ai Romani. Siamo in trenta persone, da Bolzano a Napoli, da Udine ad Asti.  Quella di Roma è una comunità nata da poco, alla metà del primo secolo, punta estrema in occidente del movimento di Gesù di Galilea, già diffuso in Palestina, Siria, Asia Minore. La comunità è piccola, di qualche decina di persone, fiduciosa, in crescita. E tuttavia al proprio interno è divisa. Sono uomini e donne, liberi e schiavi, fratelli uniti dalla fede in Cristo, ma diversi per culture di appartenenza. I “giudei” e i “greci” (noi diremmo gli ebrei e i pagani) sono divisi a proposito della legge, cioè sulla circoncisione, i giorni festivi, le regole alimentari, il rapporto con l’autorità politica. La lettera è un arrovellarsi di Paolo attorno a quell’acuto conflitto d’identità. Al rapporto fra “noi” e “loro”.

A.C., a tavola, all’Accademia Nicolò Cusano che ci ospita, un giorno sbotta: “Com’è che io a Trento mi sento italiana, mentre qui a Bressanone, in Alto Adige, mi sento straniera?” Il conflitto di identità in questo caso si rivela interno alla stessa persona. Una fiorentina, di raffinata cultura, si sente italiana e straniera in una stessa regione d’Italia. I trentini sanno forse interagire con i fiorentini meglio dei brissinesi? O la presidente, nel salire da Firenze verso le Alpi, aveva in mente una Bolzano uguale a Trento? O si aspettava, piuttosto, che Trento assomigliasse a Bolzano? Dove sta la sorpresa, l’attesa non corrisposta?

Io le racconto un poco la storia di un Alto Adige che chiamiamo sempre più Sudtirolo, anche in Trentino. Le faccio notare che nel giorno più drammatico della storia d’Italia del Novecento, l’8 settembre 1943, lei a Firenze, erede di Cavour, è spaventata dall’occupazione, mentre a Bolzano i soldati tedeschi, la Wehrmacht di Hitler, e più indietro di Bismarck, sono accolti come liberatori, con entusiasmo.

Ma non può bastare. Chiedo al prof. Martin Lintner, dello Studio teologico di Bressanone, l’intervento tenuto a Trento al convegno internazionale dei teologi morali, come “contributo per la convivenza pacifica dei gruppi etnici in Alto Adige-Sudtirol”. Per A.C., quella relazione sull’identità che muta, ispirata a Levinas, è pubblicata da l’Invito (n.221). Mi colpisce una differenza. Nella mia paginetta di storia la svolta inizia con la Costituzione italiana che nel 1948, sulla scia dell’accordo fra De Gasperi e Gruber, riconosce alla regione l’autonomia. Per Lintner, allievo di vescovi come Gargitter, Egger, Golser, per la svolta devono passare altri vent’anni, fino al cosiddetto “pacchetto” di autonomia a favore della popolazione sudtirolese.

Quando Luis Durnwalder, sommerso di soldi, dichiara di sentirsi in Italia un “austriaco”, alzano in tanti la voce, i professori Rusconi e Pombeni, su fino a Dellai e al Presidente della Repubblica. Che hanno da dire, che abbiamo da dire però, se A. C., fiorentina, dichiara nel 2010 di sentirsi “straniera” in una porzione di stato italiano? Io non avevo mai sentito parlare di Trento così.

Paolo, a suo tempo, al conflitto d’identità esploso nella comunità cristiana di Roma fra giudei e greci, non trovò soluzione. Come trascendere le diversità senza annullarle, e come conservarle senza assolutizzarle? L’apostolo dei popoli, tradizionalmente pensato come il fondatore della “grande chiesa”,  fu in realtà un grande sconfitto. Il nodo sarà tagliato da una guerra romana che distruggerà prima il tempio e poi la stessa città di Gerusalemme. Gli ebrei, dispersi nel mondo, con la loro Bibbia dimezzata, eppure completa, diverranno il prototipo dello straniero. Lo straniero, un fuori luogo, avrà sempre poco da festeggiare. Anzi, costringerà anche quelli del luogo a pensare, a non ubriacarsi, nemmeno nei giorni di festa. E’ Piero Stefani a concludere a Bressanone il seminario frequentato da soli italiani. La relazione più avvincente è di Martin Buergenmeister, pastore tedesco nella comunità luterana di Merano. Letta in presenza di A.C., maestra di cerimonia, che si sente, non so a nome di quanti, italiana e straniera.
[lettera pubblicata nel quotidiano  L’Adige, 10.3.2011]

La mia risposta:

Caro Silvano,

Non voglio entrare in un possibile dibattito sull’identità riferendomi alla battuta di A.C.. Non ero a quel tavolo quindi mi sfuggono il contesto, i modi, gli sguardi: tutto ciò che in una situazione conviviale è presente e darebbe ‘sapore’ alla battuta che hai riferito e che così non so e non posso capire.

Però in questo momento in cui si riparla di identità italiana, cercando di sfuggire al nazionalismo che –almeno per i più vecchi di noi – rappresentava il veicolo con cui ci era stata imposta e ce l’aveva resa difficile se non da accettare, da affermare, voglio provare a mettermici anch’io, estendendo la tua lettera e la mia risposta anche ad altri presenti a Bressanone.

A Bressanone mi sentivo italiana o straniera? Non mi sono posta il problema e allora lo riformulo.

La mia situazione (vedi che non mi è riuscito di scrivere ‘ identità’ !) di cittadina italiana quando e dove si fa consapevolezza identitaria?

Se non ho mal di denti non mi pongo il problema della loro, pur residua, presenza in bocca e così non mi sento dotata di una schiena  finché svolge la sua funzione senza farsi sentire (il che capita quando fa male) … e per l’italianità è lo stesso. Sono nata in Italia, vissuta in Italia (salvo il periodo di occupazione tedesca nel ’43 quando dalle mie parti  diventammo Adriatische Küstenland” , Litorale Adriatico del Reich) e l’avrei detta cosa ovvia finché i fondamenti della Costituzione non sono stati messi in discussione a livello politico ma, soprattutto, di coscienza comune in cui la cultura abilmente promossa dalla Lega Nord ha saputo far lievitare il peggio del peggio del fondo oscuro di cui evidentemente non ci eravamo liberati nel 1948 e la cittadinanza è diventata privilegio.

Io credevo (e credo ancora)  fosse una condizione per affermare, nella chiarezza della continuità –non dell’opposizione-la coscienza dei diritti e dei doveri e invece è diventata occasione per affermarsi come privilegio e mezzo per rifiutare culture altre e diverse che –invece di eccitare la nostra umana curiosità e stimolare la nostra intelligenza-  diventano istigazione all’affermazione del pregiudizio.

E l’esercizio dell’intelligenza si umilia da piacere libero, anche se di faticoso esercizio,  a disciplina governata dal cattivo-buon senso.

E così la questione dell’identità italiana per me è uscita dal silenzio dell’ovvietà e si è fatta consapevolezza per impormi il carico del disagio di un ritorno a una specie di rinnovato feudalesimo, dove la cittadinanza sta trasformandosi in una sorta  di corporazione sempre più chiusa in un palazzo che, per essere fortificato e impenetrabile dal ‘nemico’, chiude anche le vie di fuga proprie dei sistemi di sicurezza.

E qui io mi sento soffocare….

La vie di fuga che assicurano la sicurezza della libertà reciprocamente riconosciuta e fondata sull’uguaglianza sono più praticabili a Trento che a Bolzano (per restare alle collocazioni geografiche che tu proponi )?

Questo non lo so; io so che una delle ragioni che mi rendono ostico un richiamo al periodo risorgimentale, oggi richiamato come valore riferibile all’essere italiani, è che allora io –donna- non esistevo e la mia identità di genere mi impediva la partecipazione alla vita politica sia nell’esercizio attivo dell’eleggere che passivo dell’essere eletta. E questa impossibilità a dirmi, a subire una collocazione di subordinazione a priori –che è rimasta presente come valore  in molti anche dopo il 1948- mi ha turbata fin da bambina, quando famiglia e scuola mi avevano insegnato una regola di prudenza, quella del non far domande (secondo una mia pestifera –presto spenta- abitudine)  perché, per mia sfortuna quando ne ponevo, simile al bambino che diceva  ‘il re è nudo’, non ottenevo consenso ma rimproveri.

E ho dovuto imparare ben preso che vedere i vestiti che non ci sono è comodo ma –per me- ripugnante.

Mi piacerebbe che il dibattito sull’identità continuasse, se invece vi ho annoiato mi scuso e saluto tutti sperando di rivedervi a Trento o Sardegna o… ovunque sia

Augusta – Udine

13 Marzo 2011Permalink