25 ottobre 2011 – Segni dei tempi

Riprendo il tema che apriva il mio post di ieri (che si può rileggere da qui)    

Il GrIS è la prima associazione friulana che reagisce positivamente al richiamo della problematica dei diritti civili per i neonati, figli di immigrati irregolari.
In Friuli, pur cercando di diffondere questa informazione con tutti i mezzi che avevo a disposizione, in particolare con il piccolo mensile udinese Ho un sogno, avevo finora ottenuto solo qualche interesse individuale (e comunque non di persona appartenente a istituzioni, non di appartenenti a chiese cristiane o altre organizzazioni religiose).
Fuori di qui c’è stato interesse da parte di un’organizzazione milanese (Notam) che ha reso possibile la pubblicazione di cui ho scritto il 15 marzo scorso, dell’associazione Amisdrada (Roma) e da parte della rivista Confronti (Roma) che ha pubblicato una notizia qualche mese fa.    

Quando mi sono resa conto del disinteresse totale delle istituzioni, non per le mie segnalazioni ma per il problema, ho provato un’angoscia profonda.
Mi turba in particolare il silenzio dei sindaci che vengono indicati come democratici che si sono dimostrati incapaci, anche attraverso gli organismi che li rappresentano (penso in particolare all’ANCI), di rivendicare la loro funzione di responsabili di un territorio, il che significa in primo luogo il dovere di assicurare l’evidenza della popolazione che su quel territorio vive.
Naturalmente i sindaci leghisti sono stati invece attivissimi nel diffondere le oscenità persecutorie che sono loro proprie.
Il 4 ottobre ho raccontato dell’incivile disobbedienza proclamta dal sindaco – senatore Mazzatorta. ma già nel 2009 avevo ricordato il Natale per soli bianchi, proclamato dal sindaco di Coccaglio, e la caccia all’uomo (ovviamente migrante) indetta dal sindaco di San Martino dall’Argine. Chi poi facesse ricorso al tag ‘istituzioni local regionali’ troverà altri esempi sparsi nel mio blog.
Sorvolo sulle leggi regionali del Friuli Venezia Giulia, reiteratamente respinte dalla consulta.    

Purtroppo il silenzio dei sindaci è facilitato, se non promosso, dalle associazioni di settore, che -pur se capaci talvolta di esercitare attività di nobile livello- sono dal tutto indifferenti alle istituzioni, alla promozione di norme che regolino la vita di tutti noi. La sola cosa che interessa alla associazioni che si occupano di migranti (e in molti casi,ma qui il mio giudizio è meno pessimistico, di emarginati in genere) è il proprio riconoscimento, corroborato da finanziamenti. Poiché l’esperienza mi ha reso sospettosa non posso non pensare al voto di scambio.    

E mi turbano ancora parole e silenzi della gerarchia cattolica, cui corrisponde l’ossequio irresponsabile di molti.
Per dire di questo problema ho la fortuna di non dover usare parole mie.    

Dalla newsletter Notam n.382
Riprendo un articolo che ho scannerizzato dalla newsletter Notam (chi volesse riceverla può mandare il proprio indirizzo elettronico a info@notam.it).
E’ un testo che affronta il problema di silenzi che turbano e di parole improprie ben oltre – e senza citarlo – il tema della registrazione anagrafica ma che, secondo la mia opinione, ricomprende egregiamente  i fondamenti di questo, come di altri diritti non negoziabili   

PRINCIPI NON NEGOZIABILI  Ugo Basso 
Credo che l’espressione sia stata coniata dal cardinale Camillo Ruini, allora per nomina di Giovanni Paolo II presidente dei vescovi italiani, per indicare, con rigore etico, principi appunto non discutibili che avrebbero dovuto essere difesi in qualunque circostanza dai cattolici e in primo luogo dai parlamentari cattolici. I due fondamentali sono la difesa della vita dal concepimento alla fine naturale e la famiglia fondata sul matrimonio, bandiere quindi del coinvolgimento del cattolicesimo nella vita civile del paese.
Tristissimo argomento. Tristissimo innanzitutto per l’espressione: credo che ogni persona che conduca, o intenda condurre, una vita etica abbia dei principi sostenuti con intransigenza, ma una dichiarazione così altisonante e pronunciata da una cattedra che si pone altissima è una dichiarazione contro il dialogo: chi, non condividendo i principi sottoposti a non negoziabilità, si sente opporre una tale affermazione può solo riconoscere di non aver nulla da dire, di non avere spazio di dialogo.
Dunque un’espressione che si pone nello spirito anticonciliare che ha preso il sopravvento nel magistero, visto che il Vaticano secondo, proprio al contrario, invita a praticare lo stile di Gesù, che a nessuno chiude la porta.
E basterebbe questo per cassare l’espressione. Ma purtroppo temo ci sia di peggio.
Infatti i due principi dichiarati non negoziabili riguardano temi complessi e delicati, su cui credo nessuno abbia una parola definitiva, ma proprio nessuno e neppure la scrittura offre risposte chiare e immutabili nel tempo: il cristiano deve appellarsi sempre alla tutela dell’uomo, ma sono argomenti su cui è probabilmente impossibile stabilire in modo inequivoco e definitivo che cosa comporti perché le stesse conoscenze si evolvono presentando situazioni originali e imprevedibili che impongono di ripensare gli stessi parametri di giudizio. La via può solo essere la ricerca insieme agli uomini di buona volontà per operare al meglio, per individuare nelle vie della scienza quello che umanizza e non disumanizza, nell’ambito della coscienza prima che della legge, per dare all’uomo sempre maggiore serenità e una più accettabile qualità di vita a tutte le condizioni, età, appartenenze.
La pretesa immutabilità di principi in questi campi allora non scende da rigore etico, che necessariamente sta a monte, ma dall’esigenza di discriminare in ambito politico: chi li sottoscrive è con la chiesa, chi no è fuori. Guardando lo scenario che abbiamo davanti agli occhi ormai da diversi anni, diciamo con amarezza che chi cerca, si impegna a trovare soluzioni a problemi dolorosi e inquietanti, con la consapevolezza di sbagliare, è additato come non in linea: chi sottoscrive, sottoscrivendo quindi l’idea di una chiesa che pretende norme nell’indifferenza delle coscienze, è da sostenere. E le coincidenze politiche sono pure evidenti, posto che non siano le motivazioni di queste affermazioni, del tutto indipendentemente dalle scelte di vita di che le sostiene in parlamento, relegate a fatti personali.
Cerchiamo di usare il discernimento, dono dello Spirito, per capire e distinguere: i principi etici affermati dall’evangelo sono la fraternità, la dignità, la sobrietà, la laicità, l’impegno a non mentire e a fare giustizia, alla tutela della vita, sì alla vita di tutti, dei malati che non possono curarsi, dei bambini che non possono nutrirsi, dei condannati. L’assiduità alla preghiera mantiene all’erta nel distinguere i falsi profeti che si annidano forse anche in noi, a non abbassare mai la guardia nel riconoscere l’autentico dal corrotto, nonostante gli allettamenti e i successi.
Ancora in questi giorni i cattolici del Pdl ribadiscono come segno di identità i principi non negoziabili: chissà se i movimenti cattolici che stanno cercando un’intesa nella speranza di un nuovo corso alla politica del paese si riconoscono in principi più evangelici?    

Ringraziando l’autore che mi ha concesso di condividere e far condividere le sue riflessioni, propongo la citazione di un testo che per me costituiva – e per quanto difficile sia voglio continui a costituire, una speranza. 

Segni dei tempi

Il concilio Vaticano II ha sostenuto le speranze di molti di noi, speranze in un rinnovamento della chiesa cattolica e nella capacità di essere autenticamente laici responsabili, in particolare nell’agire e nel pensare sociale e politico, senza doverci ridurre a passivi  clericodipendenti.
Certamente questo non era l’unico, ma uno dei tanti temi del concilio e si ritrova soprattutto nella Costituzioen Gaudium et Spes.
Per chi volesse far riferimento diretto al testo lo collego con un link (chi non è abituato al linguaggio formale della chiesa non se ne spaventi!) e,  in ogni caso, mi concedo la trascrizione di una breve citazione   

“Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito .
LA CONDIZIONE DELL’UOMO NEL MONDO CONTEMPORANEO  – 4. Speranze e angosce.
Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente
e sulle loro relazioni reciproche”.   

 
25 Ottobre 2011Permalink

24 ottobre 2011 – Anagrafe e cittadinanza – Un intervento importante

GrIS e bambini irregolari

Ricevo e riporto integralmente.  Per conoscere il GrIS andare a Simmweb e procedere secondo le indicazioni  

  

      GrIS Fvg     s.i.m.m.         

      Gruppo Immigrazione Salute Friuli Venezia Giulia            

     Società Italiana di Medicina delle Migrazioni    

  “anagrafe e cittadinanza: bambini irregolari ? “   

Il Gruppo Immigrazione e Salute (GrIS) Friuli Venezia Giulia (della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni – SIMM) ha aderito alla campagna ‘L’Italia sono anch’io’ che promuove due proposte di legge a iniziativa popolare relative ai diritti dei migranti.
In particolare il GrIS del FVG ritiene che le proposte di Nuove norme sulla Cittadinanza, riconoscendo ad ogni nuovo nato in Italia il diritto ad esserne cittadino, attengano direttamente ai propri obiettivi di promozione della salute come diritto umano al completo benessere fisico, mentale e sociale, come ribadito, nel maggio di quest’anno, dalle ” Raccomandazioni finali dell’XI Congresso della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni “
Poiché è chiaro che un diritto è tale solo se si declina in termini di uguaglianza, il GrIS del FVG non può non guardare con preoccupazione alla legislazione in vigore che – dal 2009- impone ai migranti irregolari che vogliano registrare la nascita del proprio figlio la presentazione del permesso di soggiorno, documento che – per definizione – non possiedono.
Qui non si tratta di attribuzione di cittadinanza ma di garantire ad ogni bambina e ad ogni bambino sin dalla nascita, un nome e una nazionalità, come vuole la Convenzione di New York del 1989 che in Italia è legge (n.176/1991) evitandone la discriminazione in nome di un cavillo burocratico.  

L’assenza di un certificato di nascita comporta gravi conseguenze per la tutela della salute.  

Siamo al corrente che è stata precipitosamente emanata dal governo, a pochi giorni dall’approvazione del ‘pacchetto sicurezza’ una circolare interpretativa che apre una procedura che rende possibile la registrazione anagrafica delle nascite.
Ma ciò non basta.
La Corte Costituzionale ci ha recentemente ricordato che i diritti inviolabili dell’uomo, di cui leggiamo negli artt. 2 e 3 della Costituzione, appartengono “ai singoli, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”.
Non possiamo perciò accettare che il diritto alla salute, di cui anche come operatori del settore siamo garanti, e ogni altro diritto inviolabile che appartiene ad ogni essere umano, sia affidato per alcuni bambini alla labilità di una circolare e non a una norma di legge che regoli la nostra convivenza civile.
Chiediamo perciò al Parlamento italiano di modificare con la necessaria urgenza la lettera g) del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009 (cd. pacchetto sicurezza).  

LA SALÛT E JE DI DUCJ
ZDRAVJE JE ZA VSIH
GESUNDHEIT IST FUER ALLE
ZDRAVLJE SVIMA
SHENDETI ESHTE PER TE GJITHE
SANATATEA ESTE A TUTUROR
GOOD HEALTH FOR ALL
LA SANTÉ POUR TOUS
LA SALUD ES PARA TODOS

Il GrIS è la prima associazione friulana che reagisce positivamente al richiamo della problematica dei diritti civili per i neonati, figli di immigrati irregolari.

A questo punto vorrei fare un breve bilancio dalle situazioni che ho conosciuto negli ultimi tre anni, ma attendo il consenso alla presentazione  di un documento che condivido completamente, ma non è mio.
Appena avrò un sì o un no alla pubblicazione riprenderò il discorso

Ritorno al mio blog del 21 ottobre – La morte di Gheddafi

Ritorno al 21 ottobre con un  link a un articolo di Caracciolo che introduce elementi di estremo interesse per collocare nel complicato scacchiere medio orientale la vicenda libica e segnatamente la morte (esecuzione?) di Gheddafi.

Ecco da Repubblica del 22 ottobre Islamismo e petrolio

L’ ESECUZIONE d i Gheddafi sarà forse l’ inizio della fine della rivoluzione libica. Forse. Di certo è una tappa importante della controrivoluzione geopolitica pilotata dalle petromonarchie del Golfo e dagli islamisti. Ossia dagli esclusi della prima ondata insurrezionale che dal 17 dicembre 2010 ha scosso il Nordafrica, a partire dalla Tunisia e dall’ Egitto. Sisma percepito con terrore dall’ Arabia Saudita e dai suoi satelliti nel Golfo. Regimi assolutisti che sposano il pubblico purismo islamico (di rado praticato in privato) al vincolo strategico con l’ America, fondato sullo scambio fra energia araba e asset militari a stelle e strisce rivolti contro l’ arcinemico comune: l’ Iran. Dopo il panico, la prima profilassi sotto specie di pioggia di dollari: quasi duecento miliardi elargiti pronta cassa dal re saudita ai suoi grati sudditi, varie decine dagli emiri del Golfo. Ma due eventi chiave marcano quasi contemporaneamente l’ avvio della controrivoluzione: l’ invasione saudita del Bahrein e la guerra per rovesciare Gheddafi, erratico nemico di Riyad e di quasi tutti i regimi arabi, oltre che degli islamisti. Il 12 febbraio le truppe saudite entrano a bandiere spiegate nel Bahrein in rivolta, nel timore che cada in mani iraniane. Buon esempio di “aiuto fraterno” che in tempi e contesti diversi avrebbe suscitato almeno la riprovazione delle nostre democrazie. Nulla di ciò. Anzi, sospiri di sollievo a Washington come a Londra, a Pechino come a Berlino, a Tokyo come a Parigi. Insomma ovunque si teme che la primavera araba possa estendersi ai custodi del più strategico tesoro energetico – le monarchie arabe del Golfo – tralignando in inverno globale. Proprio in quei giorni maturava in Cirenaica la rivolta contro Gheddafi. Dove l’ insofferenza popolare per l’ oppressione del duce libico affrettava il tentativo di colpo di Stato di alcuni ex fedelissimi del colonnello, supportati dall’ intelligencee da forze speciali francesi e britanniche. Scarsa attenzione si dedicava alla contingenza che le prime armi fossero state distribuite ai ribelli da un commando islamista che aveva assaltato la caserma di Derna. Meno ancora al fatto che l’ organo principe della disinformazione rivoluzionaria si confermava Al Jazeera, canale satellitare qatarino controllato dal più autocratico fra i petromonarchi, l’ emiro al-Thani. Un dittatore che vuole esportare la democrazia, sia pure molto lontano da casa sua – meglio, per tenercela lontana: un paradigma da segnalare nei futuri manuali di politologia. Quasi inosservata passerà poi la recente notizia delle dimissioni del direttore di Al Jazeera, smascherato da WikiLeaks come agente della Cia e prontamente sostituito da un cugino dell’ emiro. Inoltre, solo nella liberazione di Tripoli verrà pienamente in luce il ruolo decisivo delle brigate islamiste nella liquidazione del regime, ben più robuste delle raccogliticce milizie del Consiglio nazionale di transizione, referente dei francoinglesi e della Nato nella guerra contro Gheddafi. Le brigate islamiste erano e restano guidate da un jihadista doc come Abdel Hakim Belhaj. A ispirarle è lo sceicco Ali al-Salabi, esponente dei Fratelli musulmani, il quale ha chiesto e probabilmente otterrà le dimissioni del “primo ministro” del Cnt, Mahmud Jibril, e degli altri “secolaristi”. Di qui le persistenti rivalità fra i rivoluzionari libici, che si contendono armi in pugno quote di potere e di territorio. In attesa di stabilire chi sortirà vincitore dalla partita fra gli eversori del gheddafismo – temiamo ci vorrà del tempo e del sangue – questi e molti altri elementi inducono a stabilire che la rivoluzione libica segni insieme la fine di un’ odiosa tirannia e un passaggio rilevante nella controrivoluzione guidata dalle petromonarchie del Golfo. Una reazione ambiguamente assecondata dagli Stati Uniti, da altre potenze occidentali e non solo, accomunate ai sauditi nell’ interesse a scongiurare la destabilizzazione della Penisola arabica. Evento in sé catastrofico, che nella crisi economica attuale assumerebbe riflessi apocalittici. La sincronia fra invasione saudita del Bahrein e rivolta in Libia non è dunque meramente temporale, ma geopolitica. Si consideri solo che da questo doppio evento sono scaturite, fra le altre, queste conseguenze: a) il rapido declino delle istanze laiche e progressiste nelle piazze arabe e nordafricane, in parallelo all’ emergere di vari gruppi islamisti, dagli scaltri Fratelli Musulmani agli estremisti salafiti, spesso d’ intesa con gli autocrati sunniti del Golfo, Qatar in testa; b) il parallelo riaffermarsi delle Forze armate come centro del potere egiziano, non scalfibile dalle formazioni politiche emergenti; c) la rinuncia, almeno finora, a qualsiasi intervento occidentale o arabo in Siria – dove alAssad massacra a man salva gli oppositori – per timore che il prossimo regime si riveli più pericoloso dell’ attuale; d) il riesplodere degli istinti antisraeliani e antisemiti al Cairo e altrove; e) la parossistica tensione fra Arabia Saudita e Iran, dopo il presunto tentativo iraniano di assassinare l’ ambasciatore saudita a Washington. Il rischio di una guerra preventiva di Gerusalemme contro Teheran ne risulta accentuato. È presto per trarre un bilancio delle manovre in corso lungo la nostra periferia meridionale. Non è tardi per provare a interpretarle a partire non dai nostri desideri o dalle nostre edificanti semplificazioni, ma dalle ragioni e dagli interessi dei protagonisti, per quanto esoterici o esecrandi possano apparirci. Anche per evitare di caderne vittime.
LUCIO CARACCIOLO

 

24 Ottobre 2011Permalink

21 ottobre 2011 – Rileggendo diariealtro

La morte di Gheddafi
Le immagini atroci dell’uomo rifugiato in un scarico fognario, preso e, vivo o morto che fosse, calpestato e trascinato a terra assumono, per me, un forte valore simbolico.
Per quanti amici di Gheddafi, che ora probabilmente si sentiranno rassicurati dalla scomparsa del colonello che forse conosceva anche loro non confessabili segreti, quel buco fetido sarebbe, almeno simbolicamente, un adatto rifugio?
Un ex ambasciatore – ora rispettato editorialista- oggi ha scritto su Il Corriere della sera un articolo con un passaggio molto interessante. Quando il colonnello prese il potere: l’identità nazionale libica era molto più labile delle identità nazionali dell’Egitto, del Marocco, dell’Algeria e della Tunisia. <…>La Libia era una creazione artificiale del colonialismo italiano, uno Stato composto da due territori (la Tripolitania e la Cirenaica) che avevano avuto storie diverse, popolato da tribù che avevano interessi contrastanti, abitato da circa due milioni di persone (tanti erano i libici quando Gheddafi conquistò il potere), sparse su un enorme territorio prevalentemente desertico”.
Una identità artificiale, nata dalla decadenza dell’impero ottomano, costruita contro qualcuno … a me viene in mente la Padania con tutti i nefasti ‘contro’ via via esibiti: meridionali, zingari, stranieri …
Costruire contro è facile. Aiuta a non guardare se stessi, a imprecare o piatire, secondo i gusti, a non costruire nulla e, quando ciò torna utile, a distruggere.
E non si distruggono solo cose ma anche i riferimenti di civiltà faticosamente definiti.
Comunque chi volesse, al di là delle mie elucubrazioni, leggere l’intero articolo di Sergio Romano, può farlo anche da qui.

Il ritorno di Shalit
Quando ho saputo del rientro a seguito di trattativa del soldato Shalit, prigioniero da cinque anni di Hamas a Gaza, mi sono detta che – al di là della gioia per quel ragazzo e per i più di mille palestinesi che tornano a casa- Netanyahu aveva trovato il mezzo – opportunistico e cinico, al di là dell’umanitaria copertura – per umiliare al Fatah e renderlo poco credibile davanti all’occidente e agli stessi palestinesi, dopo che Abu Mazen era riuscito a portare, sia pur per ora senza successo, la questione palestinese alle Nazioni Unite.
Quando ho letto su Repubblica del 19 ottobre un articolo di Lucio Caracciolo intitolato “Lo sconfitto è Abu Mazen” mi sono sentita molto confortata nella mia opinione.
L’articolo è molto circostanziato, merita di essere letto e potete farlo anche da qui.
Però ho poi trovato su Il Manifesto del 20 0ttobre, un articolo di Zwi Schuldiner, un anziano professore universitario e giornalista israeliano che stimo molto.
Scrive problematicamente Schuldiner: Netanyahu si è aggiudicato una vittoria di cui aveva un gran bisogno dentro il paese, in quanto essa farà dimenticare – almeno per un po’ – le proteste sociali e la paralisi dei negoziati con i palestinesi. I pessimisti temono che l’improvvisa popolarità del premier gli consentirà di sferrare un attacco militare all’Iran e questo – un progetto demenziale che metterebbe a rischio il futuro stesso di Israele – sarebbe possibile con il via libera Usa.
Però è possibile anche una versione più ottimista. In Israele si sta levando qualche voce a sostegno della logica dell’accordo che ha portato alla liberazione di Shalit: volente o nolente Netanyahu ha negoziato, sia pure in forma indiretta, con Hamas ed è arrivato il tempo di capire che il movimento islamico può essere un partner per negoziati più generali”.
Lascio anche il testo dell’articolo di Schuldiner alla lettura di chi fosse interessato.

21 Ottobre 2011Permalink

20 ottobre 2011: Donne sotto traccia 6

MAJDA: COSTRUIRE RELAZIONI.

Il colloquio con Majda (proveniente dal Marocco e ormai cittadina italiana, mediatrice culturale e di comunità) che avevamo iniziato in settembre è approdato fatalmente alla condizione delle donne.
Ci riferiamo in particolare a quelle che arrivano tramite i ricongiungimenti familiari.
Per loro vale in particolare ciò che Majda ci ha confermato a proposito di un’immigrazione che in Italia non attrae emigranti laureati o con un alto livello di scolarizzazione ma spesso (soprattutto fra coloro che vengono dall’Africa subsahariana) persone non scolarizzate, anche totalmente analfabete. Braccia per pesantissimi lavori controllati dal ‘capolarato’ (si pensi alla raccolta dei pomodori) se uomini, se donne invece si trovano chiuse in una vita familiare dai cui ristretti legami non possono uscire, sole, disorientate e impaurite come sono. Persino il mondo dei consumi  – che in tanti considerano centrale nella nostra organizzazione sociale ed economica – è luogo di isolamento e paura.
Al supermercato devono andare con il marito perché non sono in grado di scegliere merce loro ignota, a volte neppure di leggere le indicazioni che vi si trovano scritte accanto e può capitare che quando si trovano a camminare senza aiuto fra gli scaffali escano dal negozio senza comperare nulla.
E il loro isolamento  compromette le relazioni che la vita familiare loro impone.
Difficilmente possono frequentare corsi di lingua italiana, non sono evidentemente in grado di leggere né di firmare le note e gli avvisi che vengono dalla scuola frequentata dai figli e non si recano ai colloqui con gli insegnanti perché non li capiscono e non sono capite. Anche nelle nostre scuole l’altrui scolarizzazione è data per scontata, senza verifiche. Il risultato è il luogo comune che le vuole disinteressate allo studio dei figli e che spesso penalizza le famiglie migranti con una tanto sommaria quanto crudele valutazione di inadeguatezza.
Alla solitudine delle madri fa seguito quella dei figli costretti, ancor piccoli, a destreggiarsi fra due mondi fra loro estranei. Majda mi dice del  silenzio con cui spesso si difendono bambini appena arrivati e mi racconta del radicale rifiuto alla parola di due piccoli che, pur conoscendo l’italiano, per tre anni lo hanno parlato solo fra loro e con la mediatrice, negandosi a ogni altro contatto linguistico.
Ci vorrebbe una attività intensa di mediazione a scuola ma … e qui è inutile continuare: basterebbe sfogliare la nostra stampa per costruire un’antologia di nocivi luoghi comuni che spesso  bloccano ogni ragionevole possibilità di relazione.
Apriamo anche la pagina assai problematica, e di cui abbiamo più volte scritto su Ho un Sogno, del disagio delle seconde generazioni.
E infine mi permetto una domanda: ‘Potrebbe essere d’aiuto il consultorio familiare?’
Potrebbe, conferma Majda, se improvvide scelte organizzative non ne avessero ristretto il funzionamento a problematiche strettamente sanitarie, coartando anche operatori consapevoli e capaci.
Chi scrive appartiene a una generazione che per la costruzione di efficaci servizi consultoriali si era molto spesa: il fallimento del nostro lavoro di allora è assicurato dal trionfo di troppi, influenti  pregiudizi e di scelte politiche conseguenti.

20 Ottobre 2011Permalink

4 ottobre 2011 – Ho ricevuto due comunicazioni

Due notizie connesse

Le due notizie sono connesse: si riferiscono infatti all’articolo della legge 94 del 2009, quella che con un inconsapevole ossimoro, è stata chiamata ‘pacchetto sicurezza’.
Ho commentato più e più volte quella norma (la lettera 9, del comma 22 dell’art.1) che in sostanza impone (modificando il Testo Unico fino a quel momento in vigore) la presentazione del permesso di soggiorno per chi voglia registrare atti di stato civile.
Ora la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di tale richiesta in caso di matrimoni (che ho illustrato nel mio pezzo del 31 luglio, raggiungibile anche da qui)
Per ciò che riguarda le nascite a tanto aveva provveduto una circolare emanata a pochi giorni di distanza dall’approvazione del pacchetto sicurezza, circolare che pure ho illustrato – insieme alle mie riserve di principio – nel mio scritto del 15 marzo.
A questo punto mi sarebbe piaciuto chiedere al genitore sans papier, che mi ha inviato la nota di commento, di illustrarci la sua situazione, ma non l’ho fatto e non lo faccio, perché rispetto la sua probabile paura e non voglio essere causa di un’imprudenza.

Disobbedienze (in)civili

Non contenta di un’incongruenza trovata nello scritto di Repubblica, ho voluto risalire alla fonte e, in un sito governativo che raccoglie rassegna stampa, l’ho trovata in un ineffabile articolo de La Padania, datato 27 luglio “Il carroccio si ribella. No ai matrimoni di comodo”.
Sottotitolo: “Dopo la sentenza della Consulta, la Lega farà ricorso alla ‘disobbedienza’”.
“Mazzatorta duro: “I mostri sindaci non sposeranno mai i clandestini”.
Per la cronaca il duro Mazzatorta è sindaco del Comune di Chiari (Brescia) nonché senatore.
Superato lo sgomento per un sindaco che si rifiuta al suo ruolo di ufficiale di stato civile e non succede nulla – o nulla si sa in merito (e il prefetto che fa?)– trovo un’affermazione sconcertante in un virgolettato che ricopio (sono sempre parole del sullodato senatore): “Noi applicheremo l’articolo 6 della legge Bossi Fini che noi abbiamo introdotto nel 2009 e che prevede che siano richiesti i documenti per tutti i procedimenti amministrativi, compresi quelli di stato civile”.

Un po’ di esegesi

Prima di tutto la cronologia:
La cd. Legge Bossi Fini – o meglio  la legge 30 luglio 2002 n, 189 – precede di ben sette anni il riferimento al 2009, proposto dal sindaco-sen. Mazzatorta.
– E poi va considerata anche la connessione fra numeri buttati là e contenuto delle norme cui dovrebbero riferirsi:
Quel 2009 suggerisce forse una pista interpretativa.
Appartiene infatti al 2009 la legge 94 (più nota come ‘pacchetto sicurezza’)  e la lettera g) del comma 22 dell’art. 1 prevede esattamente ciò che il nostro descrive ma  lo fa a modifica del comma 2 dell’art. 6 del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e non all’interno della Bossi Fini, improponibile per sconnessione temporale.
Io ho scelto un’esegesi del pensiero del sen. Mazzatorta che cerca di dare un senso a tutti i numeri. Se qualcuno ha un’interpretazione migliore può proporla alla voce commento.

Quando gli ufficiali di stato civile disobbediscono.

E’ evidente che a fronte di tanta tracotanza la paura di un genitore a dichiararsi tale, se irregolare, è legittima.
Quanti bambini non hanno il certificato di nascita a seguito delle operazioni amministrative della Lega?

E non solo. Anche se –comuni legadipendenti a prescindere—i sindaci, nella loro veste di ufficiali di stato civile, dal 25 luglio celebrano i matrimoni degli irregolari senza chiedere il permesso di soggiorno quante coppie hanno dovuto rinunciare a formalizzare la loro unione nei due anni precedenti quando tale permesso era documento necessario?
Abbiamo notizia di due che hanno parlato (Trento e Catania), quanti hanno rinunciato a sposarsi?
E di questi quanti avrebbero celebrato il matrimonio con rito cattolico concordatario e ora sanno che di loro una gerarchia –spesso loquace oltre il lecito in materia di leggi dello stato – si disinteressa?

4 Ottobre 2011Permalink

19 settembre 2011 – Dalle memorie al presente

Ricordi e dimenticanze.
Sono trascorsi otto giorni da quando l’11 settembre delle ‘torri gemelle’ è stato celebrato e ricordato. Se quella fu una tragedia che cambiò la storia del mondo l’altra tragedia dell’evento dell’11 settembre 1973, la morte di Allende, la fine della sua ‘via cilena al socialismo’ e l’inizio della dittatura di Pinochet non ha avuto rilievo.
Anche la memoria richiede stimoli e sostegno.
Pochi giorni dopo, il 16, si sarebbe potuto ricordare l’eccidio perpetrato nel 1982 dai falangisti libanesi, con il sostegno delle truppe di Israele, nel campo profughi di Sabra e Chatila, se l’evento non fosse stato caratterizzato dal silenzio quasi totale.
Evidentemente Stati Uniti e occidente di sentono minacciati solo da ciò che le ‘torri gemelle’ significano .
Il meno che si possa dire è che non voler ricordate è sciocco.
Da una memoria, rivisitata con umanità e spirito critico, potrebbero sorgere antidoti contro il fanatismo che ci avvelena e ci minaccia.

Due rapporti.
Uno è il rapporto del “Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia ed intolleranza” e l’altro è una critica diretta a noi tutti dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa perché “Le misure adottate dalle autorità italiane nei confronti dei Rom non sono in linea con gli standard internazionali ed europei in materia di diritti umani”.
Ho ormai constatato che l’interesse per i diritti umani, a livello di società civile oltre che politica, è quasi nullo. C’è qualche fibrillazione se chi è colpito può costituire una entità visibile, garanzia di visibilità e successo per chi presta soccorso ma il problema dei diritti –e quindi il rapporto critico e determinato con le istituzioni che li possono garantire – sfugge.
Ciò non significa indifferenza alla beneficenza, tutt’altro. Ma anche la garanzia del diritto è solidarietà.
Chi volesse saperne di più potrà raggiungere le fonti attraverso i siti collegati con link e interamente espressi con il loro indirizzo nella premessa.

Una informazione che non può essere trascurata.
Da quando l’Italia, pur se obtorto collo, ha accettato di ospitare profughi provenienti dalla Libia, questi sono stati sparsi sul territorio a piccoli gruppi in attesa che il loro status di rifugiati venga o meno riconosciuto.
Finora non era stata data alcuna disposizione in merito alle modalità del loro provvisorio soggiorno. Ora è stata finalmente firmata la Convenzione con la Protezione civile per fornire entro il 31 dicembre 2011 adeguata assistenza a 600 stranieri e promuovere il rientro assistito. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) offrirà l’assistenza necessaria per la realizzazione del progetto.
I sindaci dei piccoli comuni dove si trovano questi richiedenti asilo saranno stati informati?.

19 Settembre 2011Permalink

17 settembre 2011 – Donne sotto traccia 5

MAJDA TRA LE DUE SPONDE

Majda viene dal Marocco, entrata in Italia come studentessa universitaria, si è sposata e ha cresciuto qui tre figli, nati in Italia e ora più che adolescenti; vive a Udine e da tempo è cittadina italiana .
La lunga permanenza nel nostro (e  suo) paese assicura un’attenzione consapevole alla realtà che le esperienze lavorative le permettono di guardare con  partecipazione ma anche con disincanto: è mediatrice culturale e di comunità (il che le ha consentito di tenere qualche lezione anche in corsi universitari), lavora in associazioni locali, è interprete per il Tribunale.
Ma non ha mai dimenticato la cultura del suo paese che ha accompagnato la sua crescita di bambina e giovane donna. Ora Majda si muove fra due mondi con invidiabile disinvoltura e in questa pluralità cerca ciò che ci unisce: durante la nostra chiacchierata sottolinea  la fonte comune ed essenziale delle religioni abramitiche.
‘Le religioni uniscono l’umanità –afferma – e impegnano a un comportamento rispettoso per il prossimo’.
Un sogno? Se tale è Majda lo condivide con molti grandi della cultura europea e non solo.
Porta il velo che non copre il volto, che lei chiama khemar  e che a me ricorda l’hijab.
Mi piacerebbe in ogni caso che si smettesse di usare sempre – e per lo più a sproposito – il termine afgano di burqa.
Ma non è il momento di addentraci in un colloquio sulla foggia del velo.
Majda mi spiega di considerarlo segno di sottomissione a Dio e insieme scelta personale e responsabile di una persona adulta. ‘Dio obbliga a studiare per essere consapevoli delle proprie scelte’ precisa.
Non è la prima volta che una donna mussulmana sfata con una battuta il luogo comune della soggezione passiva, che viene loro universalmente attribuita, riportando l’attenzione al tema della conoscenza.
Non posso non pensare alla grande civiltà araba che nel Medio Evo ci ha regalato opere della filosofia greca, prima in Europa ignorate, e tante informazioni sulle scienze matematiche … ma devo frenare le sollecitazioni alla mia curiosità che mi porterebbero troppo lontano per restare al mondo di cui Majda  si fa mediatrice anche per me, introducendomi anche alla durezza di una realtà difficile.
E la realtà più dura è, ancora una volta, quella delle donne.
L’Italia, a differenza della Francia, del Belgio, della Gran Bretagna,  non attrae emigranti laureati o con un alto livello di scolarizzazione e, specialmente fra coloro che vengono dall’Africa subsahariana, ci sono persone non scolarizzate, anche totalmente analfabete.
Se donne si trovano chiuse in una vita familiare dai cui ristretti legami non possono uscire, sole, disorientate e impaurite come sono.
Conoscere la lingua le aiuterebbe certamente ma come frequentare i corsi relativi (posto che ne sia loro garantita l’informazione) se devono accudire ai figli il cui unico spazio protetto è la casa?
Sarebbe un utile esercizio quando ci capita di percepire la paura  dell’autoctono per l’immigrato poterla confrontare con la sua paura speculare, quella dell’immigrato per l’autoctono. Avremmo costruito uno strumento  per uscire  dal pregiudizio che ci avvelena tutti insieme.

17 Settembre 2011Permalink

10 agosto 2011 – da La voce degli Ebrei per la pace

 Propongo il testo di una lettera che ho ricevuto e tradotto. Ringrazio Laura N.  per la revisione della mia traduzione e rinvio alle fonti tramite i link inseriti.

Non è troppo tardi. Israeliani e Palestinesi: Due popoli  – un futuro

Questa volta gli Stati Uniti sapranno fare la cosa giusta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite?
Il governo degli Stati Uniti sosterrà un fondamentale atto di giustizia invece di porre nuovamente il veto al voto delle Nazioni Unite in favore dei diritti umani dei Palestinesi?
I Palestinesi hanno sottoposto il loro caso all’esame delle Nazioni Unite per il prossimo settembre  – non perché vogliano creare immediatamente un possibile stato palestinese o porre fine all’occupazione – ma perché quel voto potrebbe dar forza alla loro richiesta di libertà e uguaglianza.

Ecco parchè il mondo intero aspetterà il prossimo autunno: noi sappiamo che è finalmente giunto il momento.
Gli Stati Uniti hanno già annunciato che si opporranno di nuovo , in coerenza con la loro  tradizione politica, e hanno minacciato di far uso del potere di veto se si dovesse  votare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Se dessero seguito alla loro minaccia , sarebbe il 42mo veto in quaranta anni opposto dagli Stati Uniti al sostegno dei diritti umani dei Palestinesi.
E’ per questo che vi chiedo di unirvi a me e a quasi altre 20.000 persone (fino ad ora) per dire al Segretario di Stato Hillary Clinton e all’ambasciatore Rice che è tempo che gli Stati Uniti votino SI’ per l’autodeterminazione dei Palestinesi.

Gli Stati Uniti e Israele dicono invece di volere che i Palestinesi ritornino al tavolo dei negoziati.
Ma tu ed io sappiamo che i colloqui di pace sostenuti dagli Stati Uniti sono a un vicolo cieco e che gli  insediamenti sono  aumentati non diminuiti.
Noi dobbiamo dire agli Stati Uniti che è il momento di realizzare la strada per una  pace duratura sia per gli Israeliani che per i Palestinesi.
Pensiamo che cambieranno e alla fine faranno la cosa giusta? Probabilmente no.
Ma questa volta non possono farlo nascostamente. Non glielo permetteremo
Nei prossimi giorni la campagna statunitense per la fine dell’occupazione, un’ampia coalizione di organizzazioni per la pace e la giustizia consegneranno la tua firma e molte altre al Dipartimento di Stato degli USA.

E’ venuto il tempo di dirigere  il corso della storia verso la giustizia, la libertà e l’uguaglianza.
Quasi tutto il mondo vuole una giusta risoluzione che dia libertà e sicurezza ai Palestinesi e agli Israeliani. Il governo deli Stati Uniti sceglierà la libertà e l’indipendenza per i palestinesi o una ancor maggiore occupazione?

Per la libertà
Cecilie Surasky, Deputy Director della Voce degli Ebrei per la Pace.

Per una più completa spiegazione dell’opinione della Voce degli Ebrei per la Pace (JVP) sul voto di settembre alle Nazioni Unite leggi l’analisi del Prof Joel Beinin dell’Università di Stanford.

Un articolo di David Grossman

Il 6 agosto 2011 Repubblica ha pubblicato un articolo di David Grossman con il titolo C’ è un popolo che scuote le nostre coscienze.
Chi lo volesse leggere può farlo usando il link che ho inserito

Tempo fa ho letto su La Stampa un articolo dello scrittore Yehoshua dello stesso tenore.
Sarebbe molto interessante se le realtà associative che si occupano anche in Italia dello stato di Israele e dei diritti del popolo palestinese sapessero collegarsi alle indicazioni proposte da questi protagonisti della società civile che, pur con non troppo successo d’opinione, sanno considerare una situazione complessa senza manicheismi e con prospettive importanti da conoscere e utili da confrontare.
A Udine purtroppo non trovo alcun luogo in cui ciò sia possibile.

10 Agosto 2011Permalink

6 agosto 2011 – La situazione migliora ma io sono sempre turbata.

Il 31 luglio ho scritto della sentenza della Corte costituzionale che cancella il comma dell’articolo 116 del codice civile (aggiunto a seguito dell’approvazione del ‘pacchetto sicurezza’ – legge 94/2009) che impone allo straniero che voglia contrarre matrimonio la presenta zione del titolo di soggiorno

E’ stata immediatamente emessa una circolare che comunica tale sentenza anche ai sindaci,
 E allora perché continuo ad interrogarmi e a non sentirmi tranquilla?

Le ragioni sono tre:

–         la prima è che la sentenza della Corte nulla dice in merito al permanere della modifica all’art. 6 comma 2 del testo unico relativo alla disciplina dell’immigrazione, di cui tante volte ho scritto riferendo della norma che cancella la deroga alla presentazione del titolo di soggiorno per gli atti di stato civile (ho scelto di riferirmi non al sito in cui ritrovare la circolare in questione ma a un testo che ne spiega la natura, assicurandone nel contempo il link);

–         la seconda è la constatazione che la sentenza della Corte non si estende al problema delle nascite e delle dichiarazioni di morte (né lo poteva fare dato che in queste materie a quanto mi consta non vi erano denunce che l’attivassero);

–         la terza è la delusione in merito alla insignificanza della società civile e conseguentemente di una politica che –vuoi per l’ignoranza di chi è deputato a decidere a tutti i livelli istituzionali o quasi, vuoi per la ricerca del consenso ad ogni costo, obiettivo se non unico almeno prioritario di scelte che furono politiche – si dimostra indifferente al problema dei diritti civili.

A questo punto comunque:

–         la possibilità di celebrare matrimonio anche per chi non disponga di titolo di soggiorno è affermata per legge;

–         la possibilità di registrare le nascite è assicurata da una circolare (anche qui ho scelto di riferirmi non al sito in cui ritrovare la circolare in questione ma a un testo che ne spiega la natura, assicurandone nel contempo il link)

–         della possibilità della denuncia della morte di un proprio congiunto in condizioni di sicurezza non si sa nulla.

Voglio riportare alcune delle norme citate nella recente sentenza della Corte Cost,   
Resta pur sempre fermo – come questa Corte ha di recente nuovamente precisato – che i diritti inviolabili, di cui all’art. 2 Cost., spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», di talché la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi» (sentenza n. 249 del 2010)”.

Vorrei che queste parole fossero lette anche da chi ha ridotto il soddisfacimento dei diritti dei migranti ad azioni di beneficenza, che – per quanto nobili –sempre beneficenza restano.

La Corte inoltre ci ricorda che anche il contrasto della negazione  a contrarre matrimonio per chi sia privo di titolo di soggiorno con l’articolo 117 della Costituzione che afferma: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
In merito ai matrimoni la “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (C.E.D.U.), firmata – nel suo testo originario- a Roma il 4.novembre 1950, afferma all’art. 12 cheUomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto”

E infine la Corte ci ricorda che: È, infatti, evidente che la limitazione al diritto dello straniero a contrarre matrimonio nel nostro Paese si traduce anche in una compressione del corrispondente diritto del cittadino o della cittadina italiana che tale diritto intende esercitare. Ciò comporta che il bilanciamento tra i vari interessi di rilievo costituzionale coinvolti deve necessariamente tenere anche conto della posizione giuridica di chi intende, del tutto legittimamente, contrarre matrimonio con lo straniero.
Ed è anche evidente a questo punto la necessità di un intervento del Parlamento su norme già originariamente confuse se non criptiche e ora spezzettate dagli interventi della Corte Costituzionale, che ne richiedono un intervento organico.

Ci sarà un deputato o un senatore che abbia la competenza e la volontà di provarcisi anche se eletto in una lista bloccata secondo la garanzia prioritaria dell’appartenenza e della fedeltà a un partico come che sia?

6 Agosto 2011Permalink

31 luglio 2011 – Le ragioni di un turbamento

Chi legge questi diari sa – e comunque ne sono ben consapevole io che li scrivo a mia futura memoria– che da più di due anni mi occupo della registrazione della nascita dei figli dei migranti senza permesso di soggiorno e che ho, con testarda, ottusa, stupida fiducia, cercato di trasferire il problema a istituzioni, partiti politici, organizzazioni della società che civile (?!), convinta che la loro voce sarebbe stata più forte della mia.
Ma la voce non c’è stata, mai.
E continuavo a pensare che l’indifferenza di fronte alla questione fosse dovuta soltanto al fatto che i neonati non fanno opinione (a meno che non siano usati per promuovere la vendita di pannolini, omogeneizzati ecc. ecc.) e che perciò far loro riferimento fuori del contesto sentimental-commerciale non provocasse l’obiettivo esclusivamente perseguito del consenso,
E invece l’indifferenza era molto più profonda: si allargava all’impianto istituzionale, fondante la nostra vita di relazione assicurato dai principi che la Costituzione (invano ?) definisce.
E non avevo valutato fino in fondo la ferita inferta al nostro ordinamento e lo scivolamento, sempre più precipitoso, in una deriva razzista.

Nascite e matrimoni

Certamente mi era noto il significato della soppressione delle parole “per quelli inerenti agli atti di stato civile” che sottraeva la registrazione delle dichiarazioni di nascita morte e matrimonio dall’obbligo della presentazione del titolo di soggiorno. Erano parole contenute nel “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).
Le “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica” (il cd pacchetto sicurezza del 2009) crearono l’obbligo della presentazione di quel documento che, per definizione, i migranti irregolari non possiedono.
Per chi volesse documentarsi ricordo solo uno dei miei tanti interventi, l’articolo pubblicato dalla rivista Il Gallo e trascritto in questo blog il 15 marzo scorso.
Ora la questione è non solo evidente ma formalmente affrontata dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 245 dd. 25 luglio 2011.

La Corte Costituzionale si esprime sul matrimonio.

Ricopio dalla sentenza della Corte:

1.— Il Tribunale ordinario di Catania ha sollevato – in riferimento agli articoli 2, 3, 29, 31 e 117, primo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano». 

1.1.— In punto di fatto, il Tribunale remittente premette di essere stato adito da una cittadina italiana e da un cittadino marocchino per la declaratoria dell’illegittimità del diniego opposto dall’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del loro matrimonio. 

[omissis]

Il 31 agosto 2009, l’ufficiale dello stato civile aveva motivato il diniego alla celebrazione del matrimonio per la mancanza di un «documento attestante la regolarità del permesso di soggiorno del cittadino marocchino», così come previsto dall’art. 116 cod. civ., come novellato dalla legge n. 94 del 2009, entrata in vigore nelle more

[omissis a questo punto la Corte elenca – con preziosa puntigliosità- gli articoli della Costituzione connessi al problema e in seguito quelli relativi a documenti dell’Unione Europea]

E infine:  dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano».

perché

il matrimonio costituisce espressione della libertà e dell’autonomia della persona, ed il diritto di contrarre liberamente matrimonio è oggetto della tutela di cui agli artt. 2, 3 e 29 Cost., in quanto rientra nei diritti inviolabili dell’uomo, caratterizzati dall’universalità. Inoltre, l’art. 31 Cost., nel sancire che la Repubblica agevola la formazione della famiglia, «esclude la legittimità di limitazioni di qualsiasi tipo alla libertà matrimoniale»”.


E la nascita?

Non voglio allungare questo diario. Rinvio quindi (oltre che ai tag che collegano questo testo ad altre mie pagine) alle sottolineature che ho apposto ai frammenti di testi della sentenza ricopiati che possono rendere evidente l’analogia con la situazione dei neonati privati del certificato di nascita, primo fondamento della libertà e dell’autonomia della persona, diritto inviolabile e perciò caratterizzato dall’universalità,  testimonianza fondante la presenza del nuovo nato nella famiglia cui invece è impedito di accoglierlo se non subendo una minaccia che può essere insostenibile, l’espulsione.
Mi si è detto che la circolare n. 19 del 7 agosto 2009 sistema tutto.
E’ tristissimo e preoccupante trovare persone (che si autoproclamano democratiche) che accettano di vedere un principio, che appartiene ai diritti fondamentali dell’uomo, umiliato a una procedura consentita da una circolare e negata invece da una legge che appartiene a tutti noi.  
Ed è forse ancor più triste vedere associazioni che – pur perseguendo a proprio uso interno nobili finalità – –non si oppongano a una simile norma e alle sue applicazioni (non dimentichiamo che la questione degli aspiranti  coniugi di Catania nasce dal diniego opposto dall’ufficiale dello stato civile alla celebrazione del loro matrimonio. E tante volte avevo cercato, invano, di porre la questione del ruolo dei comuni in questa vicenda).
Gli sposi di Catania (come quelli di Trento, di cui ho già scritto) sono evidentemente adulti, hanno potuto disporre dei mezzi per affidarsi a un tribunale, i neonati non hanno questa possibilità, né l’hanno – di norma – i loro genitori. Erano affidati alla custodia di tutti, quella che si esprime attraverso le reazioni della società civile e delle forze politiche, capaci di trasferire il loro impegno a livello istituzionale. Ma nessuno ha voluto far nulla.
Se volessimo ricordare che la maggioranza che ha voluto questa legge che, pezzo per pezzo, la Corte Costituzionale sta smontando, è la medesima che pochi giorni fa ha negato il riconoscimento di pregiudizi omofobici come aggravante in caso di violenza, le analogie con le prime leggi razziali italiane –e il costume di allora- si farebbero fortissime e potrebbero indurci a significative considerazioni, ma restiamo al presente.


Sulla pelle dei neonati si consolidano poteri forti.

Sappiamo che i matrimoni celebrati nell’ambito della chiesa cattolica seguono –salvo eccezioni – l’iter concordatario e che, se celebranti del sacramento sono gli sposi, il sacerdote che testimonia il loro patto in quel momento è ufficiale di stato civile, quindi deve comportarsi –perché il matrimonio sia valido agli effetti civili – secondo le norme del codice che ne assicurano la regolarità.
Ne ho già scritto nel mio pezzo del 21 maggio ma ci tengo a precisare che le indicazioni della Corte Costituzionale che sopra ho trascritto ora valgono anche come indirizzi per la chiesa cattolica che in questi ultimi due anni si è invece adeguata a una norma che viola i diritti umani fondamentali. Certamente la chiesa cattolica non ha opposto un rifiuto diretto a chi avesse voluto celebrare il matrimonio secondo il rito cattolico e non ne avesse i titoli. Non ne aveva bisogno. Il rigetto di un diritto fondamentale era invisibile.
Infatti ogni richiesta dei sans papier si sarebbe scontrata,  prima che venisse aperta la procedura ecclesiastica, con l’infame codicillo aggiunto all’art. 116 del codice civile  dal pacchetto sicurezza, «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano».
La chiesa cattolica nelle sue espressioni gerarchiche – e non solo – ha chiacchierato di famiglia, di vita, di figli e quant’altro in un clima di ipocrisia che io trovo offensivo e che la beneficenza, che pur viene esercitata, non riscatta.
In molte realtà parrocchiali e analoghe ha convinto persone di buona volontà che è sufficiente farsi carico di azione benefiche di tipo volontario e, con scelte evidentemente opportunistiche, ha glissato sul dovere di opporsi con la protesta civile alle leggi (di cui però sa far uso: vedi esenzione dall’ICI)
I vantaggi che il concordato assicura ai due poteri contraenti sono troppo importanti per metterli in discussione a causa di qualche poveraccio.
E sono molti, anche apparentemente insospettabili, a non volersene accorgere.

31 Luglio 2011Permalink