26 ottobre 2010 – Una scienziata, il gergo di facebook e altro ancora

 Domani, 27 ottobre, si celebrerà a Roma la nona giornata del dialogo cristiano islamico, nata nel 2001, dopo l’attentato alle torri gemelle, per iniziativa della rivista Confronti.
Ne ho parlato nel mio blog negli anni precedenti.
Quest’anno mi limito a segnalare il riferimento che consente di accedere al sito ildialogo.org per raccogliere informazioni, notizie, pareri e, per chi volesse, di aderire.  
Ho partecipato parecchie volte a questa giornata, soprattutto a Roma, convinta che le religioni, nella storia e nell’attualità spesso veicoli di violenza, abbiamo gli strumenti per essere anche veicoli di pace.

La voce di facebook
Ma ancora una volta ho dovuto scontrarmi con il pregiudizio.
Su facebook infatti è comparsa una citazione della scienziata Margherita Hack che trascrivo:
Noi atei crediamo di dover agire secondo coscienza per un principio morale, non perché ci aspettiamo una ricompensa in paradiso.
Inaspettatamente (mi capita ancora di riscoprirmi illusa) ho constatato che un’affermazione, che da una donna del livello intellettuale della Hack mai mi sarei aspettata, suscitava diffuso consenso.
Ciò che mi turba è la mancata consapevolezza del limite che impedisce le assolutizzazioni, la divisione degli umani in blocchi totalizzanti (atei, credenti ecc. ecc….), identificandoli irrimediabilmente per ciò che sono, e supponendone l’uniformità all’interno di questo loro predefinito essere. 

Mai più con facebook
E dato che sono arrivata a facebook – di cui cercherò di non occuparmi più perché usa un linguaggio che mi turba e mi disturba (ma non lo devo dire) – pressoché contemporaneamente alla registrazione della citazione che ho riportato – ho dovuto, mio malgrado, registrare un’altro atteggiamento per me inaccettabile.
Scrivevo di non capire le risposte prefabbricate stile ‘mi piace’, la brevità delle affermazioni che non si fanno mai argomentazioni, l’espressione di un disagio o di gioia limitata all’esternazione di un’emozione …quando una persona che mi aveva letto mi ha scritto che adesso la comunicazione funziona così.
C’ero arrivata ma volevo capire cosa pensavano gli altri, per me questo atteggiamento appartiene al significato della parola amicizia che facebook proclama (ho consultato pregevoli dizionari e nessuno mi ha smentito) ma evidentemente quello di facebook è un gergo per iniziati che io ignoro.
 
A questo punto ho confermato richieste di amicizia ricevute e non corrisposte, così –quando invierò questo testo con la parola ‘condividi’ arriverà a tutti con i miei saluti.
Chi vuol leggermi può andare sul mio blog ‘diariealtro.altervista.org’ che penso che continuerà a non essere visitato. Io mi limiterò a curiosare in silenzio.
Non so adeguarmi. Senilità. 

E ora una notizia
Chiuso con la sacralità di facebook segnalo una notizia comparsa su Repubblica.
Con un titolo a dir poco di dubbio gusto, Repubblica ci informa che “Aumentano le tutele per i figli di immigrati. Sarà più difficile espellere i genitori”
“La Corte di Cassazione, nel massimo consesso delle Sezioni Unite, ha deciso che non si possono mandare via gli stranieri, anche se hanno commesso reati, nel caso in cui il loro allontanamento dall’Italia, tramite il rimpatrio, abbia riflessi negativi sul generale equilibrio psico-fisico dei loro bambini. Con questa decisione la Suprema Corte ha accolto il ricorso di una signora africana, madre di tre figli residenti a Perugia, condannata per sfruttamento della prostituzione e raggiunta da foglio di via”.
A prescindere dal fatto che non di foglio di via sembra trattarsi, ma di decreto di espulsione, non è aumentato proprio nulla.
Semplicemente la Corte di Cassazione ha applicato le convenzioni internazionali e non la lettera della legge 94/2009 sulla sicurezza pubblica.
Se il giornalista, anziché partire dalla situazione della madre avesse ragionato muovendo dai diritti del bambino (tanto per cominciare dalla Convenzione di New York) avrebbe scritto meno banalità.
Ma può permettersele: dei bambini all’opinione pubblica non importa nulla.
La mamma in questione ha potuto far valere le sue ragioni e ne ha avuto i mezzi..
Quante non potranno permetterselo?
Molto ho scritto sull’argomento. Ne fanno fede i testi raggiungibili con i tag anagrafe, bambini, istituzioni local/regionali. 

Continua
Ci sarebbero altre notizia.
Ne scriverò presto: dare, almeno a me, una continuità di informazione aiuta.

26 Ottobre 2010Permalink

18 ottobre 2010 – Un NO grazie. – Ricevo e giro

Non so se l’iniziativa di rinviare il prodotto letterario del cav. Berlusconi sia, oltre che intelligente, provocatoria.
Fosse accolta … non voglio pensare all’uso che potrebbero fare degli eventuali introiti i ministri (in)competenti. Intanto ho inviato, se provocazione ha da essere il numero conta. 

Con riferimento all’annuncio del Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi di inviare ad ogni famiglia italiana il libro “Due anni di governo”, mi preme comunicarVi che desidero assolutamente NON riceverlo, essendo un mio diritto in base alla legge per la tutela della privacy n. 675/1996 ed il relativo D.P.R. n. 501/1998, nella fattispecie articolo 13 comma e), e che la spesa relativa che si risparmierà  venga messa   a disposizione del Ministero della Pubblica istruzione e/o del Ministero della Sanità .
Ringraziando per l’attenzione porgo distinti saluti.

 http://www.governo.it/scrivia/scrivi_a_trasparenza.asp
A seguito dell’invio ho ricevuto il riscontro che trascrivo.

La Presidenza del Consiglio la ringrazia per l’invio del suo messaggio al quale risponderà al più presto.

 

18 Ottobre 2010Permalink

17 ottobre 2010 – Un giornalista ebreo, cittadino di Israele.

Israele. Il progetto dello stato «puro»di Zvi Schuldiner – 15/10/2010    

L’intenso dibattito delle ultime settimane sulla ripresa delle costruzioni nelle colonie ebraiche nei territori occupati palestinesi ha coperto i veri problemi che Israele affronta, che tormentano la sua società e mettono in pericolo il suo futuro ben più delle presunte minacce del terrorismo musulmano o palestinese.

Oggi appare chiaro che il governo israeliano non ha un reale interesse in un processo di pace che metta fine al neocolonialismo cominciato nel 1967. Oggi quel colonialismo arriva al culmine con chiari elementi fascisti, antidemocratici e fondamentalisti religiosi. La richiesta israeliana circa il riconoscimento dello «stato ebraico» non si riferisce tanto a Israele, come stato, ma è il frutto di uno disegno razzista che nega la realtà e la presenza di un 20% dei suoi cittadini non ebrei. Non è più una democrazia, nel migliore dei casi sarebbe una etnocrazia.
Le richieste negoziali non fanno che scoprire il vero disegno del governo israeliano: il lebensraum tedesco, il concetto di «territorio vitale» essenziale, la colonizzazione espansionista, sono preferibili a concessioni territoriali. Tutto il dibattito sulla costruzione di colonie è solo la trappola in cui cadono gli attori che mancano di riferimenti chiari.

La pace con Egitto e Giordania è stata una chiara accettazione dell’esistenza dello stato di Israele, e in nessuno dei due casi si discusse del carattere ebraico dello stato, perché tutti, israeliani inclusi, erano coscienti del fatto che Israele non era uno stato confessionale e vi abitavano anche cittadini non ebrei. Ancora di più: prevaleva ancora tra gli israeliani l’idea che il popolo ebraico non è definibile solo in termini religiosi, che essere ebreo – un dibattito non risolto a tutt’oggi neppure tra gli ebrei – non può basarsi solo su determinate concezioni religiose.
A partire dal 1988 i palestinesi hanno annunciato il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele, senza addentrarsi nella «questione ebraica». Quando oggi si agita questa questione, il significato è duplice: sia rendere impossibili i negoziati, sia anche aprire la questione di una «purificazione» necessaria dello stato di Israele.

Il ministro degli esteri Avigdor Lieberman lo ha detto in modo chiaro: è disposto ad accettare la formula dei due stati, con uno scambio di territori – ovvero, che la parte di Israele popolata in maggioranza da palestinese israeliani sia trasferita al futuro stato palestinese in cambio dell’annessione dei territori predominantemente colonizzati dopo il 1967. per dirla ancora più chiaramente: l’idea dell’espulsione dei cittadini palestinesi di Israele non è più solo patrimonio di gruppi neonazisti come quello del defunto rabbino Kahane. Ora è accettabile anche per un partito estremista che è il pivot centrale della coalizione di Benyamin Netaniahu. «Capite, comprendetemi, io Netaniahu sono disponibile ai due stati, ai negoziati, alla pace che tutti noi ebrei vogliamo, ma ho una coalizione che punta i piedi e devo tener conto dei miei associati…». Questo manda a dire il premier israeliano, ma questo è falso: la decisione adottata questa settimana in materia di acquisizione della cittadinanza rivela la verità. Lieberman è l’alibi brutale di ciò che Netaniahu persegue con delicatezza.

Chi sono i candidati ad acquisire la cittadinanza israeliana che dovranno prestare il nuovo giuramento di fedeltà? L’ultranazionalista ministro della giustizia ha proposto che il nuovo giuramento sia destinato a tutti, ma per il momento non è così e l’ipocrisia razzista si svela: i destinatari sono gli arabi (molto pochi, per la verità) che sposino palestinesi israeliani. Sono loro che dovranno giurare fedeltà a Israele come «stato ebraico».

E’ vero che in molti paesi l’acquisizione della cittadinanza è accompagnata da un giuramento di fedeltà allo stato e alle sue leggi. Ma non si tratta di un giuramento riferito a una determinata confessione religiosa. Si giura fedeltà alla Francia o al Canada o agli Stati uniti, non al cattolicesimo o qualunque altra confessione.

Lieberman e i suoi adepti riflettono oggi idee maggioritarie nella società israeliana: il giuramento di fedeltà in fondo è destinato agli infedeli, o chi è sospettato di fedeltà dubbie. Invece di chiedersi se lo stato è fedele ai suoi cittadini – tutti i suoi cittadini – gli israeliani ora cominciano la caccia agli infedeli e i loro soci.

Nell’ultimo anno abbiamo assistito in Israele a una continua aggressione alle norme democratiche. E come succede sempre in questi casi il maccartismo, gli attacchi fascisti non si limitano ai cittadini palestinesi israeliani: l’aggressione alle università libere e alle organizzazioni impegnate nella lotta a favore dei diritti umani e politici è diventata norma accettabile anche per i membri del governo.

Alcuni ministri del Likud si sono pronunciati contro la nuova regolamentazione della cittadinanza. Sono una minoranza che resta fedele a certi concetti liberali che erano parte del patrimonio ideologico della destra. Ma sono una minoranza che oggi si arrende al razzismo fascista che comincia a dominare ampi settori della società israeliana.
Sul piano internazionale, purtroppo il razzismo antimusulmano dominante in Europa aiuta a rendere accettabile il razzismo israeliano, e gli esempi europei non fanno che aiutare gli elementi fascisti e fondamentalisti in Israele.

Un processo di pace reale vorrebbe dire per Israele cancellare le acquisizioni territoriali del 1967: il disegno colonialista quindi ha bisogno di mettere ostacoli a l negoziato, e per continuare su questa linea di uno stato sleale con i suoi cittadini, in particolare palestinesi, aumenta la pressione fascista.
E’ tragico per il popolo ebraico: oggi in nome dell’ebraismo il governo israeliano si lancia in politiche che farebbero l’orgoglio dei peggiori nemici del popolo ebraico. Il giuramento di lealtà è un ulteriore passo su una linea suicida che non farà danno solo ai palestinese ma porterà gli stessi israeliani a svolte tragiche.

P.S.: Non sono riuscita a risalire all’articolo attraverso il sito on line de Il Manifesto. 
     Ho insistito e ho trovato il link utile che trascrivo. http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=35102

16 Ottobre 2010Permalink

14 ottobre 2010 – Dalla crisi all’espulsione.

Permesso  di soggiorno

Così il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”

Il permesso di soggiorno è rinnovato per una durata non superiore al doppio di quella stabilita con il rilascio iniziale.
Inoltre la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti del permesso di soggiorno 

Così la legge 30 luglio 2002 n. 189 (nota come Bossi Fini)

Il permesso di soggiorno verrà concesso solo a chi ha già un contratto di lavoro. Durerà due anni. Alla perdita del lavoro, l’immigrato dovrà tornare in patria.

E ora il mio commento dal mensile Ho un Sogno  –  ottobre 2010.

Un po’ di storia

Sappiamo che durante il dibattito parlamentare su quello che allora si chiamava –con intrigante definizione – ‘pacchetto sicurezza’ (oggi legge 94/2009) si era profilato il rischio che il testo definitivo prevedesse l’abolizione del segreto sanitario e quindi obbligasse i medici e gli operatori sanitari tutti a segnalare all’Autorità (genericamente indicata) la presenza di stranieri irregolari identificabili dall’assenza del permesso di soggiorno.

Tale norma non è passata per l’impegno della società civile e soprattutto – è bene ricordarlo – degli organi professionali che seppero percepire la ferita alla loro deontologia e alla loro dignità e oggi il segreto sanitario è ancora in legge con la riserva – ovvia in clima di uguaglianza – per “casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”. Sinteticamente tali casi si riassumono come delitti “procedibili d’ufficio” (art. 365 codice penale) e fra questi si ritrovano anche le conseguenze di infortuni sul lavoro, siano essi morti o lesioni personali o malattie professionali.

Infortuni e disoccupazione

Tali situazioni invalidanti possono comportare tra l’altro la perdita del posto di lavoro il che trasformerà automaticamente l’infortunato non comunitario in irregolare e quindi non assumibile.

E se tanto non bastasse all’emergere del caso seguiranno le dovute segnalazioni anche per chi risulti irregolare o lavoratore in nero.

Prima della crisi la segnalazione si rivelava un ‘vantaggio’ per il lavoratore colpito che il datore di lavoro doveva mettere in regola e quindi, tramite il dovuto contratto, assicurarne il passaggio da irregolare a regolare.
In clima di crisi tale passaggio è improponibile.

A questo punto infatti l’irrimediabile perdita del lavoro (che non c’é per nessuno, cittadino o straniero) lo priverà di quello status che gli consente di disporre di un permesso di soggiorno trasformando automaticamente lo straniero, legalmente entrato in Italia, in irregolare.

Italiani e stranieri – uguali e diversi

Non è difficile immaginare un’altra situazione: il lavoratore in cassa integrazione all’esaurirsi di tale misura se italiano potrà giovarsi delle labili tutele di solidarietà sociale ancora esistenti (dall’assegno di disoccupazione fino alla rete familiare) ma il lavoratore non comunitario passerà – sempre per la conseguente cancellazione della sua figura di lavoratore – dallo status di regolare a quello di irregolare.

In questi casi per il lavoratore irregolare seguirà l’espulsione e, posto che le condizioni politiche del paese da cui si è legalmente allontanato gli consentano il ritorno, non avrà i mezzi per provvedere al rimpatrio proprio e della famiglia (ancorché regolarmente presente a seguito di una procedura di ricongiungimento).
Passerà quindi –in nome della puntuale applicazione di una legge, non solo infame ma anche sciocca – a un obbligato stato di clandestinità.

Sono pochi esempi dei casi che dovremo affrontare a seguito dell’imprevidenza governativa su cui sarebbe opportuno si concentrasse l’attenzione della società civile e, perché no. della silente classe politica.

 

14 Ottobre 2010Permalink

1 0ttobre 2010 – Fra becere dichiarazioni, ignoranza e pregiudizio

Il sentore Ciarrapico, tra l’altro editore, eletto nel 2008 su spinta berlusconiana (“Ha giornali importanti che non devono esserci ostili”) ha dichiarato in un intervento al senato: “Fini ha fatto sapere che presto fonderà un nuovo partito. Spero che abbia già ordinato le kippah perché è di questo che si tratta. Chi ha tradito una volta, tradisce sempre”.
Al momento sono rimasta travolta dalla sintesi fulminante delle argomentazioni: era chiaro chi era stato tradito da Fini ma bisognava collegare il camera-presidente traditore alle kippah.
Ho scartato la prima idea che mi era balenata (Fini come Giuda, richiamato come prototipo dei traditori, ma non nominato. Quindi identificato per essere ebreo?).
Mi era sembrata un’ipotesi – oltre che ripugnante -sinteticamente stupida perché

  1. costruita su un antigiudaismo che (con qualche eccezione, tanto per cominciare Lefebvre e i suoi devoti seguaci) ritenevo inesistente anche nel più retrivo mondo cattolico, ancora ignaro dei documenti del concilio Vaticano secondo e, in ogni caso, inesistente in una società che voglia dirsi civile;
  2. cronologicamente sconnessa dal richiamo della kippah, copricapo che -se non erro- viene dal mondo ebraico più tardo di quello in cui Giuda operò (Giuda presumibilmente per coprirsi usava uno scialle non la kippah).

In ogni caso aspettavo, per chiarirmi le idee, una articolata dichiarazione della giornalista Fiamma Nirenstein, ben nota per le sue dichiarazioni sull’antisemitismo, pure lei componente del Pdl, deputata per il medesimo partito (o ex partito? Nelle vicende di questi giorni mi confondo) e, come l’editore Ciarrapico, membro della delegazione parlamentare italiana al Consiglio d’Europa e all’Unione Europea occidentale.
Qualunque cosa si raccontino i due a Bruxelles (barzellette apprese dal capo?) la signora Nirenstein ha disapprovato il collega  con insolita discrezione o forse la sua voce –normalmente robusta – é stata coperta da quella di un ministro che, per aver dato dei porci ai cittadini della città in cui trascorre parte del suo tempo (inutile o nocivo che sia). spiegava urbi et orbi che si trattava di una battuta.
Per fortuna è intervenuto un felicissimo intervento del giornalista Gramellini che mi ha costretto a prendere sul serio l’interpretazione che avevo pensato fosse stupida e così, fra sconcezze, insulti e bestemmie devo accettare che anche il pregiudizio appesti dall’interno le istituzioni.
Ma questi signori sono graditi al popolo italiano (o almeno ai segretari dei partiti che hanno loro assicurato un posto in parlamento).
Al solito: “Che fare”?

1 Ottobre 2010Permalink

18 settembre 2010 – Lombardia: Una scuola insozzata e forse ripulita – Friuli: un sindaco saggio.

Una ministra, autorità scolastiche e poteri locali.

Adro (Brescia) è un paese diventato famoso per una iniziativa ignobile: una scuola pubblica è stata insozzata con simboli leghisti inseriti ovunque, e non disegnati sui muri per iniziativa di ragazzini maleducati, ma ufficialmente rappresentati sugli arredi dell’edificio. Ora la ministra Gelmini ne ha ordinato la rimozione per via gerarchica, facendo inviare dal direttore dell’ufficio scolastico della Lombardia una lettera con cui viene richiesto al sindaco di Adro di «adoperarsi per la rimozione dal polo scolastico del simbolo» noto come il «sole delle Alpi».
A questo punto, secondo me, dovrebbe essere rimosso – insieme ai simboli- il suddetto direttore, ma la cosa più importante è che a tanto si è arrivati in seguito a una motivata protesta popolare.
Anch’io ho firmato uno degli appelli che circolavano sul web ricordando uno degli scontri – seguito per punizione dal lavaggio dell’aula- con i miei studenti che avevano disegnato una svastica sulla lavagna.
I simboli sono carichi di significati ed è indecente che si inquini la mente dei bambini con la trasmissione dei pregiudizi che hanno inquinato quella di molti genitori. 

A questo punto trascrivo un mio piccolo articolo, pubblicati su Ho un Sogno, un bollettino mensile che testardamente pubblichiamo a Udine da 19 anni.
Non ha molti lettori ma consente di dire e dirsi a chi, in questo paese di lingue tagliate, non ne avrebbe altrimenti la possibilità.
Ho scelto di intervistare un sindaco che fa il suo lavoro con dignità e intelligenza, una voce che non si adegua alla deriva podestarile che umilia il ruolo di molti suoi colleghi, più intesi ad occupare seggiole che a governare un territorio.

Ma su questo ritornerò. 

Da Ho un sogno n.191

Chi, forse nel ricordo della prima guerra mondiale, volesse visitare Caporetto (oggi Kobarid, Slovenia) si inoltrerebbe, superata Cividale, nel territorio delle Valli del Natisone, attraversando, prima di arrivare al confine, il comune di Pulfero, il maggiore della zona per estensione di territorio. E in quel passaggio vedrebbe numerosi cartelli indicanti le varie frazioni, alcune piccolissime, abitate da un paio di famiglie soltanto, altre ormai disabitate o praticate da chi, vivendo altrove ma non lontano, torna nei fine settimana.
Il Sindaco di Pulfero, con cui abbiamo avuto una lunga chiacchierata, puntualizza che la popolazione del comune, un tempo la più numerosa del territorio, oggi si é ridotta a 1150 residenti e, precisa con la dignità di chi conosce il significato del ruolo che ricopre, di averne l’evidenza per ‘dovere di anagrafe’.
La riduzione della popolazione si lega a una storia di migrazioni.
Fra le due guerre mondiali i pulferesi (allora i residenti erano circa 4000) che emigravano in Belgio, Germania, Francia e nell’America latina e del Nord, al momento del pensionamento tornavano e costruivano o ristrutturavano la loro abitazione. Nemmeno l’emigrazione stagionale in Svizzera, tipica degli anno ’60, aveva modificato significativamente la situazione.
Solo dopo il terremoto del 1976, l’emigrazione è diventata, come dice il Sindaco, ‘esodo definitivo’. La mancanza, allora, di un piano regolatore, e conseguentemente di una adeguata viabilità, l’assenza di una organizzazione che assicurasse opportunità di lavoro in loco, spinse molti pulferesi a risiedere nei comuni, spesso poco lontani, dove lavoravano e dove si erano definitivamente stabiliti come gli emigrati che si integrano là dove lavorano e dove i loro figli sono nati e cresciuti.
Le crisi balcaniche degli anni ’90 portarono nelle Valli – e anche a Pulfero – profughi di guerra e così il fenomeno migratorio si è rovesciato: ora il 15% dei residenti sono immigrati (nel 2007 costituivano il 12%), in prevalenza bosniaci e serbi che, veniamo informati, disponibili a qualsiasi tipo di lavoro, si sono pienamente integrati delle comunità locali.
Fanno quello che gli italiani non vogliono o non ‘sanno’ (precisa ancora il Sindaco) più fare. Hanno creato soprattutto piccole imprese edilizie e possiedono quelle competenze che appartenevano ai vecchi muratori e che ora è difficile ritrovare in imprese italiane.
Nelle Valli – e non solo a Pulfero- si sono sistemati per il basso costo degli affitti e qui sono nati i loro figli.
La presenza di bambini e ragazzi a Pulfero è minima e con l’anno scolastico trascorso si è chiuso il servizio di scuola elementare- Non così la scuola dell’infanzia: le iscrizioni per il prossimo anno oscillano fra i 15 e i 17 piccoli di cui 9 figli di immigrati. 
Le scuole elementare e media si trovano nel vicino comune di San Pietro al Natisone e agli spostamenti dei ragazzi possono provvedere anche i normali servizi di trasporto urbano.
E’ una realtà che si modifica. E a una modificazione positiva pensa anche il Sindaco la cui amministrazione ha scommesso –dice- sulla valorizzazione di un turismo ‘di nicchia’ –come lo definisce – che, sempre più diffuso, potrebbe sostenere anche la rinascita di un mercato locale di prodotti caseari e salumi della zona. E non solo questi: potrebbe risultarne favorita la rinascita di quella agricoltura che implica per sé la cura dell’ambiente e che in passato interessava la maggior parte del territorio (in alcune frazioni anche l’80%) e oggi si è ridotta a valori minimi. ‘Non ci sono più le pesche prelibate di un tempo, oggi dominano i meleti’ ricorda il sindaco con il rimpianto di un attimo che non soffoca la determinazione di un impegno che vuol farsi progetto. 

 

Comune di Pulfero
Territorio 48 kmq
Frazioni 59 p   parecchie disabitate;
Abitanti 1.150
Scuole elementari Nell’anno scolastico 2009 – 10
é stata attiva una pluriclasse
di 6 bambini che costituiva
il servizio di scuola
elementare,  ora chiuso. 
Scuola dell’infanzia  –
 statale
15/17 bambini iscritti per il prossimo anno scolastico, di cui 9 ‘extracomunitari’. 
 
18 Settembre 2010Permalink

9 settembre 2010 – Tra feste e tragici ricordi rispuntano i roghi – Un documento per l’Italia di questi squallidi giorni.

Oggi gli ebrei celebrano Rosh HaShanah, il loro Capodanno religioso che apre l’anno 5771. Seguiranno dieci giorni penitenziali che culmineranno nello Yom Kippur (il giorno dell’espiazione),
Domani invece i mussulmani celebreranno la chiusura del mese di Ramadan.
Sabato sarà il giorno anniversario degli attentati dell’11 settembre 2001.
Intanto lo statunitense Terry Jones, pastore di una chiesa evangelica a Gainesville-Florida, ha pensaro di ricordarlo bruciando pubblicamente copie del Corano.
Il presidente degli Stati Uniti ha definito il progetto distruttivo e pericoloso, il gen. Petraeus, comandante in capo delle truppe statunitensi in Afganistan, ha avvertito che non solo minaccia la vita dei militari ma potrebbe causare problemi a Kabul e ovunque nel mondo.

Ragionando su questi squallidi giorni italiani.

Nel mio bisogno di razionalità ho trovato un testo di Giancarla Codrignani che trascrivo.
Si trova in http://domani.arcoiris.tv/ (per contatti comunicazioni@arcoiris.tv)

09-09-2010   – Il Palazzo trema – Se mi chiedono qual è il programma del Pd non so cosa rispondere

Premessa n.1 (che importa poco): sono contenta che finalmente Berlusconi debba vedersela non con un traditore, ma con gli aspiranti alla successione, ormai pronti a fargli la festa. Preoccupato per la classe di Fini è venuto fuori il Bossi delle migliori performance e, tra pernacchie e preparativi di feste padane, ha detto che la corona tocca a lui (da consegnare a Tremonti?). Ma non siamo ancora alle sfide sul campo ed è inutile sprecare adrenalina mentre il Cavaliere dà appuntamento il 29 settembre per dribblare la sfida.

Premessa vera: ho ricevuto e-mail da gente che mi chiedeva se “mi era piaciuto” Fini. Il mio non vuole essere un punto di vista personale: in politica il verbo “piacere” va eliminato, perché non è (solo) così che si forma un giudizio politico serio. Quindi diciamo che Fini è stato molto bravo e il suo stile, argomentativo e senza insulti, corretto. Dopo di che chiediamoci quali conseguenze il suo intervento comporta per il paese, cercando anche di leggere con attenzione quali sono, dietro le critiche al governo, i suoi obiettivi. Se volesse dare all’Italia una destra “normale”, come sostiene Carlo Galli (Repubblica, 7.IX), d’accordo, a patto che non significhi una disponibilità ad alleanze intempestive con uno che continua a recuperare la storia di Alleanza Nazionale e di Almirante, pezzo d’obbligo dovuto a parte dei suoi seguaci.

Le tentazioni “di pancia” sono, anche a sinistra, pericolosissime perché già i politici vengono percepiti “tutti uguali”. Attenzione: si può finire per avere tutti uguali i cittadini.

Ritorniamo alla Costituzione e domandiamoci quanti sgarri abbiamo lasciato passare (anche noi, compresi i comitati intitolati alla sua salvaguardia) senza protestare, almeno dentro i nostri gruppi. E’ un po’ tardi per rimediare perché neppure la sinistra ha mai promosso una seria cultura istituzionale “di massa”. Quale legalità, se ognuno tira la coperta come gli pare? quale difesa dello stato dei cittadini – la sovranità – se si impara dalla TV e dai dibattiti politici a ricorrere solo alla rissa per “dimostrare” le proprie ragioni? se non ci si accorge di quanto Beppe Grillo aiuta Berlusconi riducendo pezzi della sinistra al non-voto e al leghismo qualunquista? Oggi l’interesse e il dovere dei cittadini perbene è salvare il paese. Anche perché i problemi veri non vengono mai messi sul piatto e nessuno si accorge che i problemi più grossi il governo li ha nell’economia, non solo per il debito che si ritrova, ma per i licenziamenti che verranno con la fine della cassa integrazione e con la perdita dei diritti dovuti alla linea Marchionne.

Ma il problema principale sembra Fini, perché è sul suo protagonismo che si rischia la fine della legislatura. La pubblica opinione sembra riprendere interesse e sarebbe bene approfittare di questo sussulto e impegnarsi su quell’ “informazione formativa” che potrebbe essere usata un po’ meglio dai leader politici. Troppa gente si lascia passare addosso l’idea che Berlusconi abbia le sue ragioni nei confronti di un “traditore”, perché, ha detto il Cavaliere, il Presidente della Camera è “il garante del programma di governo”. E’ grave che una roba così possa passare senza scandalizzare, appena detta, i telespettatori: chi vince le elezioni non si porta a casa il Parlamento cancellando l’opposizione e la libertà di ciascun membro eletto “senza vincoli di mandato”.

I giornalisti che hanno citato il caso di Pertini che, quando il suo partito andò in crisi e lui prese posizione al riguardo, ebbe la sensibilità di porre le dimissioni. Quello che segna la trasformazione della cultura politica è che pochi anni fa la defunta prima Repubblica aveva regole non scritte di questa finezza e non a caso la proposta avanzata fu respinta dalla Camera, responsabile dell’elezione di Pertini a suo Presidente e che da lui aveva ricevuto la richiesta per competenza: il governo non c’entrava per niente. Berlusconi sa bene che perfino lui ha ricevuto la fiducia in Parlamento, non dal popolo o da dio. Ma gli fa comodo imbrogliare.

Quindi dispiace che sia così diffusa l’ignoranza costituzionale tra i cittadini che non possono farsi interpreti della sovranità se non ne controllano le regole: quando si esprimono giudizi senza conoscerne il merito si va incontro a brutte sorprese, perché i pifferai in politica abbondano più che nelle favole. Solo che il bisogno di sapere dei più va soddisfatto con la chiarezza da parte di chi si fa classe dirigente. Il futuro dei partiti, ancora necessari nelle realtà democratiche, sta in questo. Sta bene tornare alla campagne “porta a porta”, ma, caro Bersani, non penserai che i cittadini che aprono la porta siano anche cretini: guarda che, se mi chiedono quale è la proposta del PD per una nuova legge elettorale, io non ne so ancora nulla…. Aspettiamo di andare a votare con “questa” legge?

Nota aggiuntiva d’emergenza: a proposito di pancia. L’aggressione di chi reagisce con la violenza e non con la testa a chi giova se non a Marchionne e Fini? Qualcuno dei meno sconsiderati chieda scusa a Bonanni!

P.S.: Giancarla Codrignani, è docente di letteratura classica, giornalista, politologa, femminista. Parlamentare per tre legislature

9 Settembre 2010Permalink

7 settembre 2010 – Lettera al Presidente della Camera dei deputati.

 
Fra il grottesco e il tragico

Nell’attuale turbolenza politica, fra il grottesco e il tragico (tragicità non certo attribuibile a chi gli eventi muove, per essere tragici bisogna essere seri e non occasionali occupatori di seggiole già diversamente praticate) faccio ancora un tentativo per rendere nota la questione della registrazione anagrafica dei neonati figli di immigrati irregolari.
Ho praticato associazioni, parrocchie, politici in regione e enti locali, parlamentari e non so più chi altro.
                                          
Non sto ad elencare  tutte le volte che sul blog ne ho scritto (chi vuole può averne elenco tramite i tag anagrafe, bambini e istituzioni local/regionali).
So bene che scriverne ancora è inutile ma, quando, il 19 agosto, ho pubblicato l’interrogazione dell’on Leoluca Orlando (che potete leggere anche da qui) mi sono posta l’eterna domanda: ora che faccio?
Constatato che mi farebbe piacere conoscerne la risposta ho deciso di scrivere a chi della pronuncia di quella risposta è istituzionalmente garante, il presidente della camera.
Se risponderà – e se mi verrà inviato il testo della risposta-  pubblicherò.

Intanto copio un’immagine che un’amica invita a mettere sulla propria bacheca in facebook (operazione la cui esecuzione mi è ignota).

Lettera al presidente della camera

Egregio Presidente,

mi rivolgo a Lei nell’esercizio del suo mandato istituzionale per presentarLe il mio interesse da cittadina, che si sforza di essere responsabile, per l’esito dell’interrogazione recentemente presentata dall’on. Leoluca Orlando che chiede al Ministro dell’Interno “se non ritenga opportuno assumere iniziative che attribuiscano valore normativo alla circolare del 7 agosto 2009 prot. 0008899 fornendo così strumenti sicuramente più incisivi a chi la stessa debba applicare”.
Mi piacerebbe che quell’interrogazione avesse una risposta tempestiva (e questo esito, ritengo, Le appartenga mentre evidentemente non Le appartiene l’indirizzo di ciò che il Ministro dirà). Tuttavia desidero chiarirLe perché a una persona che non é più legata ad alcuna organizzazione politica o della società civile interessi la risposta a quell’interrogazione.
Recita la circolare che l’on. Orlando cita e che interpreta e decripta la lettera g del comma 22 dell’art. 1 della legge 94/2009: Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”..
A questo punto abbiamo un articolo di legge che, dichiarando la necessità di presentazione del permesso di soggiorno (o documento equipollente) per la registrazione degli atti di stato civile, afferma la discriminazione dei neonati in nome dello status giuridico dei genitori e li condanna quindi a diventare apolidi, cui si affianca una circolare che dice che così non ha da essere.
Al di là di quella che a me sembra una allarmante contraddizione giuridica restano almeno due fatti tragici.
Il primo è un principio razzista che si afferma in legge a danno dei più deboli.
E mi permetta di aggiungere che quei piccoli sono affidati alla nostra necessaria protezione non in nome del nostro personale buon cuore ma della dignità che ci viene dall’essere cittadini che si riconoscono nella Costituzione della Repubblica.
Il secondo è la paura dei genitori all’atto della – pur “concessa” – registrazione anagrafica. Uno strumento squisitamente burocratico non basta certo (anche se loro noto) a frenarne il timore dell’espulsione, tanto più che è invece ben nota la serie di violenti e volgari arbitri che appartengono alla parola e all’azione pubblica di sindaci leghisti e forse non solo. Altri e diversi sindaci su questo punto tacciono, umiliando il proprio alto ruolo a una funzione grossolanamente podestarile.
Non so se i necessari filtri che prendono atto della sua corrispondenza Le proporranno la lettura della mia lettera. Se sì, e se vorrà rispondermi, pubblicherò la sua risposta nel mio blog ‘diariealtro.altervista.org’, unico luogo in cui ormai mi sento in grado di esprimermi e far memoria della mia storia personale, intrecciata a quella di tante altre persone che vivono nello stesso territorio in cui anch’io vivo e sono nata.
Distinti saluti
Augusta De Piero
33100 Udine – Via Caccia 33

7 Settembre 2010Permalink

3 settembre 2010 – Colloqui (forse) di pace e una segnalazione.

 I colloqui per la pace in Medio Oriente.

Mentre attendevo di sapere qualche cosa sull’avvio dei colloqui israelo palestinesi a Washington (e riascoltavo la voce di un amico che mi diceva in un momento di sconforto: ‘spero solo in Obama, ma..’) è arrivata la doccia fredda: quattro coloni uccisi da palestinesi (brigate al Aqsa o che altro, non so) e poi altri due feriti.
E si è fatta sentire un’altra voce che in Palestina mi sussurrava con tremore, quasi non volesse farsi sentire: “Ogni volta che sembra profilarsi una speranza di pace succede qualche cosa che la blocca”.
A questo punto per capire, forse, o almeno cercar di capire, bisogna andare là dove il primo attentato ha avuto luogo, a Hebron o meglio nelle vicinanze della città presso l’insediamento di Kiryat Arba  dove é sepolto Baruch Goldstein colui che nel 1994, un venerdì di Ramadan, entrò nella moschea che sovrasta le Tombe dei Patriarchi e compì una strage ‘per vendicare l’onore del Dio di Israele’ come lasciò scritto e come probabilmente ricordano coloro che ne visitano la tomba in una specie di pellegrinaggio.
Hebron è la città della Cisgiordania dove gli insediamenti dei coloni si trovano all’interno, attigui –anzi sovrastanti- il nucleo dell’antica città araba le cui stradine sono chiuse in alto da una rete: un tentativo di difendersi dalle immondizie di ogni genere che i coloni gettano dalle loro finestre e che, ammucchiate sulla rete ormai sovraccarica, pendono sulla testa di chi passa.
Entrare in una casa può essere sconvolgente. A me è successo di vedere in una nicchia scavata nell’antico muro di pietra le fotografie di due bambini uccisi un giorno che invece di immondizia era stata tirata una granata.

A scuola con la scorta.

I bambini vanno a scuola scortati: la presenza di stranieri può difenderli da chi li beffa, li insulta, li molesta e, forse, anche da fucili di militari dallo sparo facile, e talvolta efficace (“Uccidere i bambini non è più una faccenda tanto importante”, scriveva nel 2004 Gideon Levy e ne abbiamo parlato anche qui).
Ho conosciuto alcune ragazze che li accompagnavano: facevano parte di un’iniziativa promossa dal Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Fra loro –tesissime e angustiate- spiccava per la sua serenità Pandora, una sudafricana resa forte dall’esperienza dell’apartheid subita nel suo paese … ma incontrare un Nelson Mandela é quasi impossibile, ovunque.
La cultura che riesce ad identificare la forza con la pace – di cui sa accettare il prezzo a volte amaro – non è diffusa da nessuna parte.
Il 27 gennaio 2007 in un mio vecchio blog (la prima edizione di Diariealtro) avevo tradotto un articolo di Ha’aretz (che si può leggere da qui nel testo inglese)  in cui si riportavano le dichiarazioni a Radio Israele di Yosef Lapid, oggi scomparso ma allora presidente dello Yad Vashem.  Lapid, che aveva perso suo padre nel genocidio nazista ed era poi stato Ministro della Giustizia in Israele, era un sopravvissuto all’Olocausto..
Scriveva Ha’aretz il 20 gennaio 2007 che “gli atti di alcuni coloni di Hebron gli riportavano alla mente la persecuzione sofferta dagli Ebrei alla vigilia della seconda guerra mondiale, nel suo paese d’origine, la Jugoslavia” e citava: “Non c’erano forni crematori o pogroms che rendessero amara la nostra vita in diaspora prima che cominciassero ad ammazzarci, ma le persecuzioni, le molestie, il lancio delle pietre, le difficoltà di sostentamento, le intimidazioni, gli sputi e il disprezzo  …Avevo paura di andare a scuola perché i piccoli antisemiti erano soliti tenderci agguati lungo la strada e bastonarci.  Che differenza c’è rispetto ai bambini palestinesi di Hebron?”
Centinaia di commenti di lettori di Ha’aretz chiosavano con insulti le parole di Lapid.

L’impopolarità della pace

Volere la pace, quella possibile, quella che conviene e non semplicemente quella proclamata come moto del proprio cuore anche dove le parole –belle e alte- si possono sprecare senza preoccuparsi della loro efficacia, é difficile. Se non espone, come capitò a Lapid, allo stigma sociale, espone alla beffa. ‘Tu sogni’ ci si sente dire dimenticando chi come Luther King morì per un sogno che voleva essere, e in parte fu, efficace.
Il 23 gennaio del 2007, mentre mi sforzavo di tradurre Ha’aretz, moriva il grande giornalista e scritto polacco, Ryszard Kapuscinski  
Uno di coloro che lo celebravano nei vari blog citò una poesia che secondo me descrive magnificamente le contraddizioni della volontà di pace:
“Filo spinato
Tu scrivi dell’uomo nel lager
io – del lager nell’uomo
per te il filo spinato è all’esterno
per me si aggroviglia in ciascuno di noi
– Pensi che ci sia tanta differenza?
Sono due facce della stessa pena”.

Due facce della stessa pena

Anche se i media italiani non se ne occupano – e poco se ne occupano anche molti di coloro che dicono di volere la pace – qualche tentativo di incontro fra chi vive dalle due parti in lotta in Medio Oriente c’é. Qui mi limito a ricordare alcuni siti che propongono iniziative di cui ho parlato in passato:
—  Parents Circle che in un suo sito in italiano così si presenta:
“Siamo un gruppo di genitori in lutto che desidera impegnarsi per portare la pace fra israeliani e palestinesi. Noi, che abbiamo perso i nostri figli nella guerra fra i due popoli, sosteniamo la pace. Noi, madri e padri, vogliamo arrivare a un accordo fra i due popoli, e desideriamo rafforzare i dirigenti di ambo le parti durante i negoziati”.
Combatants for peace è un movimento creato congiuntamente da palestinesi e israeliani che sono stati gli uni soldati dell’esercito israeliano (IDF) e gli altri parte della lotta violenta per la libertà della Palestina.
E poi ci sono coloro che rifiutano di far parte dell’esercito israeliano di stanza in Palestina, una forma di diserzione ‘mirata’ diversa dalla obiezione di coscienza come da noi é stata intesa, i gruppi di israeliani che rendono testimonianza ai check point e tanti altri oscurati da una disinformata informazione

Confronti – Una segnalazione.  Io ho avuto la fortuna di conoscere direttamente parecchie di queste realtà attraverso le iniziative culturali e i viaggi organizzati dalla rivista Confronti, il cui numero di settembre  ha un carattere monografico ed è dedicato al ‘dialogo in precario equilibrio’..
 Potrete prenderne visione (c’é anche la possibilità di lettura di qualche articolo) andando al sito del mensile : www.confronti.net.

3 Settembre 2010Permalink

21 agosto 2010 – Chi garantisce il diritto di esistere?

Una notizia da Israele.

Il 16 agosto 2010 Lucia Cuocci (di cui ben conosco la conoscenza profonda della realtà israelo-palestinese) ha pubblicato su facebook un articolo del giornalista israeliano Aviad Glickman. Era in lingua inglese e io ho deciso di tradurlo.
Chi comunque volesse leggerlo nell’originale potrebbe farlo da qui. 

Eccone il testo:
“Lunedì il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha deciso che lo Stato é responsabile per la morte avvenuta nel 2007 di Abir Aramin, una ragazzina palestinese di 10 anni e risarcirà la sua famiglia.
Il tribunale ha stabilito che la ragazzina è stata uccisa da un proiettile vagante di gomma sparato da un ufficiale della Guardia Confinaria.
Secondo la sentenza lo sparo fu il risultato di una negligenza dello Stato.
Inoltre con procedura civile la famiglia della ragazzina ha presentato appello all’Alta Corte di Giustizia chiedendo che gli sparatori israeliani siano sottoposti a processo dopo che il Pubblico Ministero avrà chiuso la causa intentata contro di loro.
Il giudice Orit Efal-Gabai ha affermato nella sua sentenza che non c’é dubbio che la sparatoria, avvenuta nel villaggio di Anata nella West Bank, ha violato delle regole di ingaggio.
”La sparatoria non aveva come obiettivo dimostranti o lanciatori di pietre. Abir e i suoi amici camminavano luongo una strada da cui non erano state lanciate pietre contro le Guardie confinarie. Secondo la sentenza  “non c’era un apparente motivo per sparare in quella direzione”.
L’azione legale, promossa nel mese di luglio 2007 dall’avvocato di parte civile Lea Tsemel in rappresentanza dei genitori di Abir, ha richiesto un risarcimento per la famiglia.
Per determinare l’ammontare del danno il giudice Efal-Gabai ha stabilito una successiva udienza che si terrà in ottobre. La sentenza si è basata sulle testimonianze degli amici di Abir. “Hanno vissuto un’esperienza veramente pesante e sono stati testimoni del ferimento di Abir ” ha affermato il giudice, aggiungendo che la versione degli eventi data dallo Stato, secondo la quale Abir sarebbe stata ferita da una pietra e non da una pallottola di gomma, era inattendibile.
In seguito alla morte di Abir la famiglia ha presentato un rapporto di un anatomopatologo che stabiliva che era stata colpita da un proiettile sebbene la Polizia Israeliana affermasse che un’autopsia aveva dimostrato che non era stata uccisa da un proiettile di gomma.
Il gruppo per i diritti umani Yesh Din e Bassan Aramin, padre di Abir, hanno presentato una petizione all’Alta Corte contro il procuratore generale e due ufficiali della Guardia Confinaria, chiedendo che gli stessi fossero processati.
A seguito dell’appello il Pubblico Ministero ha annunciato ulteriori indagini sulla morte della ragazzina.”
 

La notizia non è sorprendente: le morti di bambini palestinesi, colpevoli solo di vivere nei Territori Occupati, sono frequenti e non solo a Gaza, terra terribile di strage infinita, ma anche nella West Bank.
  Nel 2003 la fotografia di una bambina uccisa copriva i muri di Betlemme e così ne scriveva un coraggioso giornalista israeliano, Gideon Levy, in un articolo che il quotidiano Ha’aretz pubblicò con il titolo “Uccidere i bambini non è più una faccenda tanto importante” (Domenica 17 ottobre 2004, Cheshvan 2, 5765 secondo il calendario ebraico) : “Kristen Saada era nell’auto dei genitori, di ritorno a casa dopo una visita di famiglia, quando i soldati colpirono la macchina con una raffica di proiettili. Aveva 12 anni al tempo della sua morte … La pubblica indifferenza che accompagna questo seguito di sofferenze ignorate fa di ogni israeliano il complice di un crimine. Persino i genitori, che capiscono che cosa significa l’angoscia per il destino dei figli, si girano dall’altra parte e non vogliono sentir parlare dell’ansietà dei genitori dall’altra parte della barriera. Chi avrebbe creduto che i soldati di Israele avrebbero ucciso centinaia di bambini e che la maggioranza degli israeliani sarebbe rimasta in silenzio? Persino i bambini palestinesi sono diventati parte della campagna di disumanizzazione: uccidere centinaia di loro non è più una faccenda tanto importante”. 

E poco importante é rimasta, tanto che i casi singoli non fanno più notizia.
E invece l’articolo che ho riportato sopra, segnala un fatto di estremo interesse: l’intervento di un tribunale su un caso specifico, la morte di un’altra bambina per cui il padre e Yesh-Din, un gruppo israeliano impegnato nella difesa dei diritti umani, chiedono giustizia.

I diritti dei bambini: giustizia e politica.

La giustizia può agire caso per caso, diventando forse spia di un disagio, la politica potrebbe produrre indicazioni di ordine generale tali da modificare una situazione.
Questo non accade in Israele e non accade in Italia.
Le leggi balorde che vengono votate avviandoci a un democratico precipizio affondano nella stessa pubblica indifferenza di cui scriveva ormai sette anni fa Gideon Levy.
La nostra Costituzione “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” nel rispetto di quei “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” che “la Repubblica riconosce e garantisce”.
Non a caso l’art. 2 usa il termine Repubblica e non Stato ad indicare tutti i livelli dell’ordinamento, ognuno dei quali sembra –fra silenzio e consenso – sfuggire alle proprie responsabilità o violare i principi della Carta.

Paradossalmente gli attivissimi sindaci leghisti non esitano a proclamare oscenità,  pronunciandosi nella consapevolezza del loro ruolo, pur violato e umiliato dalle loro stesse affermazioni, mentre quelli che ancora hanno coscienza della dignità di ogni cittadino e cittadina non osano parlare e delegano il rispetto dei diritti ad associazioni certamente meritevoli ma sempre più implose su se stesse e incapaci di stimolare le istituzioni locali a un esercizio pubblico e trasparente del proprio ruolo.
Sindaci, province, regioni sostengono queste associazioni –sfuggendo alle proprie responsabilità istituzionali e coprendosi dietro l’altrui ‘bontà’ per non urtare direttamente il diffuso razzismo del buon senso- e quel rapporto appare materia di voto di scambio.
Non é una bella deriva.

 Sindaci d’Italia fra abiezione e dignità

Propongo di nuovo la fotografia del manifesto del Sindaco di San Martino dall’Argine, che ho già pubblicato il 26 novembre 2009, sperando che qualcuno mi indichi un documento altrettanto esplicito ma promotore dei diritti dei cittadini, forti o deboli che siano, e non della pratica della caccia all’uomo già cara al Ku Klux Klan. 
Ho il dubbio che non esista nulla di altrettanto esplicito e trasparente ma speculare e opposto.
Le scritto precedente riporta il testo di un’interrogazione parlamentare che chiede la revisione di un punto di una legge intollerabile ma, a proposito della registrazione anagrafica dei figli dei sans papier, particolarmente abietta.
Attendo con curiosità di sapere se vi sia almeno un altro parlamentare –comunque collocato – capace di farsi carico del problema e se i sindaci sono disposti a farsi carico del fatto che la legge impone una umiliazione del loro ruolo. Un loro primario obiettivo dovrebbe essere l’evidenza della popolazione che vive sul loro territorio: gli ostacoli costruiti dal nuovo concetto di sicurezza possono renderlo impraticabile

21 Agosto 2010Permalink