8 marzo 2011 – Donne sotto traccia 1

Novembre 2010

Il benessere delle nuove famiglie è stato il tema di un incontro promosso il 23 ottobre scorso dal GrIS del Friuli Venezia Giulia, presso l’Ospedale di Gorizia.

Le nuove famiglie (le famiglie migranti) sono state presentate attraverso il punto di vista di donne mediatrici culturali e di comunità (particolarmente formate all’attenzione competente al sistema sanitario) e, nello stesso tempo componenti delle ‘nuove famiglie’.

Così il punto di vista si moltiplicava, insieme vita e specchio della vita stessa, complessa e difficile anche per i più giovani.

E proprio i bambini a Gorizia sono stati i protagonisti, attraverso i racconti che hanno permesso di arricchire la logica quantitativa delle statistiche per entrare nei processi affascinanti di una cultura, fatta di nuove relazioni, di strumenti di comprensione del vissuto che non possono essere immaginati a tavolino, ma che chiedono di essere conosciuti perché ci permettono di prefigurare il domani del nostro paese.

’Il quattro novembre saremo tutti italiani’, così dichiarava una piccola al rientro da scuola, opponendo  alla sorpresa dei familiari un perentorio ‘lo ha detto la maestra’. Non è stato possibile sapere se vi fosse stata una comunicazione equivoca o che altro, ma era chiaro che la fermezza della piccola manifestava il suo desiderio di diversità. Nata qui, la cultura familiare non le appartiene, il suo riferimento sono i suoi amichetti.

E una madre, mediatrice nella vita oltre che nella professione, riferiva – non senza disagio – della decisione di consentire alla figlia di indossare quei jeans stretti che le permettevano di essere ‘normale’ a scuola.

Sotto la traccia dei racconti si delineavano le figure di altre donne, silenti e assenti, chiuse nelle mura domestiche e perciò impermeabili ai modi e alle relazioni della società in cui i loro figli vivono.

Immigrate a seguito del marito, sole in una realtà in cui non godono di relazioni parentali e amicali, oberate dal lavoro e dai figli di regola numerosi, hanno come riferimento sicuro il ricordo di certezze altrove maturate e appaiono rigide nella loro diversità. E’ una diversità tanto più vistosa quanto più quotidiana che si rende leggibile negli abiti, nel cibo, nei silenzi imposti dalla difficoltà di dirsi e di dire, dall’ignoranza della lingua che la fatica e la solitudine impediscono di apprendere. Capita che quando si incontrano con altri molte di loro abbassino gli occhi.

Per loro è un segno di rispetto per chi é più vecchio o investito di autorità.

E alla mamma che, in nome di quel rispetto, impone alla figlia di abbassare gli occhi quando le parla, la bambina ribatte: “La maestra invece mi dice ‘guardami in faccia quando ti parlo’. Cosa devo fare?”.

Se il gioco degli sguardi diventerà un sereno ‘guardiamoci’ quella bambina sarà stata mediatrice di un processo culturale ancora tutto da scoprire.

Nota informativa
La  Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM – www.simmweb.it) –cui si deve l’impegno che ha consentito di non privare gli operatori sanitari di quel fondamento deontologico che è il segreto professionale –realizza molte delle sue attività attraverso i Gruppi Immigrazione Salute (GrIS).
Per contatti con il GrIS del Friuli Venezia Giulia, la cui pagina è raggiungibile dal sito simmweb, gris.friuliveneziagiulia@simmweb.it  – Portavoce: Guglielmo Pitzalis

Gennaio 2011 –  Faten, cittadina di Udine.

Dieci anni fa ho curato per Ho un sogno la presentazione di alcune storie di donne immigrate e mi sono chiesta se non sia possibile raggiungerle di nuovo e leggere con loro lo svolgersi della loro vita in questi due anni.

Il primo nuovo incontro è con Faten. Nel 2001 avevo intervistato una giovane donna, gentile e inappuntabile nell’aspetto, che era arrivata sette anni prima dalla Siria con un permesso di lavoro.

Oggi mi trovo davanti una imprenditrice (che ancora fa onore al significato del suo nome, affascinante) che gestisce con il marito attività di ristorazione e catering e anche una scuola di danza cui fanno capo alcune iniziative culturali, (“di cultura araba-medio orientale!”, precisa Faten, attenta a sottolineare i caratteri plurali delle presenze straniere).

Questi lunghi anni di presenza in Italia le hanno insegnato il rischio di accettare, e in qualche modo giustificare, la divisione dei migranti in quei blocchi tanto cari a semplificazioni che facilmente scivolano nel pregiudizio.

La Siria da cui proviene – precisa- non è, ad esempio, il Maghreb, pur se la religione maggioritaria è la stessa. Le differenze sono molte, così come in Europa.

Già la religione, quella che- secondo una parte dell’opinione pubblica italiana – vorrebbe le donne coperte e con il volto velato.

La donna che ho davanti veste come me, pantaloni, maglioncino e camicetta, non l’ho mai vista velata né con la testa coperta oltre la necessità di difendersi dal freddo. Eppure so che è mussulmana praticante, che ha fatto il pellegrinaggio a La Mecca (uno dei pilastri dell’Islam, cui si è accompagnata al marito) ed è tornata – secondo il titolo che spetta ai pellegrini- ‘agia’.

“Una responsabilità in più, precisa, nella preghiera, nella condotta della vita, nell’educazione dei figli”.

Dieci anni fa era mamma di Omar, un bambino la cui educazione era al centro dei suoi pensieri. Mi aveva detto: “Per me il fatto che il bambino conosca un’altra religione è cosa che lo fa arricchire, ma mi obbliga a un doppio impegno perché voglio trasmettergli la nostra religione e la nostra cultura e quando torna a casa devo impegnarmi in un grande sforzo per offrirgli un’informazione adeguata sulla nostra fede e le nostre usanze. Mi ripaga il fatto che il mio bambino così diventa più ricco. Io sono facilitata dal fatto di essere cresciuta in Siria, in una società multiculturale e multireligiosa: frequentavo arabi, armeni, curdi, cristiani di varie confessioni. Ricordo che nelle reciproche feste ci scambiavamo gli auguri”.

Con la piccola Leila (che oggi ha otto anni) le cose sono meno facili: alla serenità di Omar (che oggi frequenta un istituto superiore della città) Leila oppone un suo precoce spirito critico.

L’attenzione costante all’educazione dei figli e alla vita familiare (“appena arrivata in Italia –mi dice- ero rimasta sgradevolmente colpita dalla poca disponibilità a sacrificarsi per la famiglia”) non le impedisce di seguire con impegno il lavoro che occupa una trentina di dipendenti, per un terzo italiani.

Le chiedo quali siano a suo parere le ragioni del successo dei ristoranti che lei e il marito dirigono e Faten osserva che il cibo che loro offrono, curato anche nella presentazione, piace perché è sano, nell’insieme vicino alla dieta mediterranea, le materie prime fresche vengono dal mercato locale, altre (grano, semola, una particolare birra leggermente alcolica ma compatibile con le prescrizioni coraniche) dalla Siria.

Affronta il problema del pregiudizio che colpisce l’Islam con molta tranquillità ma non senza determinazione, attribuendo all’ignoranza, che porta a confondere la religione con tradizioni locali radicate che dalla religione non provengono, alcuni eventi e costumi che lei stessa non pratica.

Da quattro anni ha chiesto, insieme al marito, la cittadinanza italiana ma non ha avuto ancora risposta.

Febbraio 2011  -In Bosnia come in Italia: lotta alla discriminazione ( SK).

Continuando con la rivisitazione delle interviste proposte dieci anni fa su Ho un Sogno incontrola bosniaca SK, che ha voluto dar continuità alla scelta di allora anche presentandosi con le sole iniziali.

SK e il marito B rappresentano una figura propria nel panorama delle migrazioni: la loro presenza è infatti il risultato di una guerra europea e del clima di nazionalismo impazzito forse causa, forse conseguenza di quella guerra o forse entrambe le cose.

Giunti in Italia dalla Bosnia nel 1992, sono una coppia mista, lei appartenente al gruppo croato, lui serbo e, se nella realtà di quella che fu la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia  questo non era un problema, oggi, che i nazionalismi degli anni ’90 hanno identificato e radicalizzato le differenze, lo sarebbe.

Il rifiuto della guerra di SK e B ci propone una scelta di vita estranea alla violenza che alla guerra si collega e che spesso si manifesta nelle scelte che ne seguono. SK sorride ricordando le città legate alla vita sua e della famiglia: Doboj, dove è nata, oggi appartiene alla Repubblica Srpska (l’entità serba della nuova Bosnia), mentre  Visoko (la cittadina dove è nato B) e Maglaj – dove la famiglia si è formata e dove è vissuta – sono zone a maggioranza mussulmana.

Le ‘nuove’ realtà, stabilizzate dal riconoscimento internazionale seguito all’armistizio di Dayton, si rispecchiano anche nella scuola –dove le classi mostrano una monoetnicità un tempo sconosciuta – e nella lingua in cui si radicalizzano terminologie e pronunce che sottolineano non tanto differenze quanto una voluta separazione.

Così anche le religioni entrano nel quadro che SK prospetta come elementi di novità che la turbano.

L’influenza delle chiese ortodossa e cattolica e dell’islam è forte in tutti i settori della società; inoltre l’islam della Bosnia, un tempo europeo, si è modificato per l’imitazione di modelli precedentemente sconosciuti. Anche le nuove, numerose moschee non rappresentano più le storiche modalità degli edifici bosniaci.

E non mancano modificazioni del comportamento personale: in Bosnia il velo era indumento sconosciuto. Oggi invece molte donne lo indossano senza che faccia parte del tradizionale costume bosnjacco e, come altrove in Europa, non copre la testa delle madri, che lo avevano dismesso, ma delle figlie che se ne sono appropriate. Ci ritroviamo concordi nel non riuscire a considerare questa una scelta di libertà, pur nel rispetto dovuto alle manifestazioni personali di un credo religioso.

Il veloce passaggio sul problema del velo, ci porta a parlare dell’integrazione che per SK ha la sua chiave insostituibile nella parità di diritti di fronte all’accesso al lavoro. E’ appena tornata dal Belgio dove l’ha impressionata l’evidente molteplicità etnica nella conduzione dei pubblici servizi da parte di persone evidentemente diverse.

Le viene naturale ripensare a domande di partecipazione a concorsi per l’accesso al lavoro rifiutate perché il richiedente non era cittadino italiano.

A questo punto il colloquio si fa dolente perché accanto all’inadeguatezza delle leggi che regolano l’immigrazione si profila la tragica mancanza di lavoro. E così non parlo più con una migrante, ma con una neo cittadina italiana, angosciata quanto me.

Scheda

La Bosnia (Bosnia Herzegovina – capitale Sarajevo) si trova nei Balcani occidentali, confina con la Serbia ad est, il Montenegro a sud-est e con la Croazia a nord e ad ovest. Fino all’aprile 1992, faceva parte della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia.
Nell’ex Jugoslavia era stato riconosciuto uno status particolare per tre delle numerose etnie che ne facevano parte (Serbi, Croati e Bosnjacchi) e che, nella Bosnia post bellica, costituiscono riferimento per una suddivisione territoriale.
La Repubblica Srpska (capitale Banja Luka) è l’area a grande maggioranza serba, mentre croati e Bosnjacchi si dividono a macchia di leopardo il resto del territorio.

8 Marzo 2011Permalink

2 febbraio 2011 – Un articolo da leggere e, alla fine, un impegno.

Non volevo scrivere nulla in previsione dell’assenza di una settimana ma l’amica Enrica mi ha inviato questo articolo di Claudio Fava. Lo giudico imperdibile e, date la fretta, mi limito a collegare un link per avere notizie sull’autore.
In calce all’articolo si trova una citazione (Juliet Mitchell, La condizione della donna, 1966) che riprendo:
Come l’operaio si ritrova alienato nel suo stesso prodotto, così, grosso modo, la donna trova la sua alienazione nella commercializzazione del suo corpo.
Aggiungo io: … e nelle svendita del suo cervello  

Anche i padri … Nostalgia di un’altra Italia

Non solo il cavaliere, non solo le ragazzine, non solo le maitresse e gli adulatori, non solo gli amici travestiti da maggiordomi, le procacciatrici di sesso, i dischi di Apicella e la lap dance in cantina: in questa storia da basso impero ci sono anche i padri. E sono l’evocazione più sfrontata, più malinconica di cosa sia rimasto dell’Italia ai tempi di Berlusconi. I padri che amministrano le figlie, che le introducono alla corte del drago, le istruiscono, le accompagnano all’imbocco della notte. I padri che chiedono meticoloso conto e ragione delle loro performance, che si lagnano perché la nomination del Berlusca le ha escluse, che chiedono a quelle loro figlie di non sfigurare, di impegnarsi di più a letto, di meritarsi i favori del vecchio sultano. I padri un po’ prosseneti, un po’ procuratori che smanacciano la vita di quelle ragazze come se fossero biglietti della lotteria e si aggrappano alle fregole del capo del governo come si farebbe con la leva di una slot machine… Insomma questi padri ci sono, esistono, li abbiamo sentiti sospirare in attesa del verdetto, abbiamo letto nei verbali delle intercettazioni i loro pensieri, li abbiamo sentiti ragionare di arricchimenti e di case e di esistenze cambiate in cambio di una sveltina delle loro figlie con un uomo di settantaquattro anni: sono loro, più del drago, più delle sue ancelle, i veri sconfitti di questa storia. Perché con loro, con i padri, viene meno l’ultimo tassello di italianissima normalità, con loro tutto assume definitivamente un prezzo, una convenienza, un’opportunità.

Ecco perché accanto ai dieci milioni di firme contro Berlusconi andrebbero raccolti altri dieci milioni di firme contro noi italiani. Quelle notti ad Arcore sono lo specchio del paese. Di ragazzine invecchiate in fretta e di padri ottusi e contenti. Convinti che per le loro figlie, grande fratello o grande bordello, l’importante sia essere scelte, essere annusate, essere comprate. Dici: colpa della periferia, della televisione, della povertà che pesa come un cilicio, della ricchezza di pochi che offende come uno sputo e autorizza pensieri impuri. Balle. Bernardo Viola, voi non vi ricordate chi sia stato. Ve lo racconto io. Era il padre di Franca Viola, la ragazzina di diciassette anni di Alcamo che, a metà degli anni sessanta, fu rapita per ordine del suo corteggiatore respinto, tenuta prigioniera per una settimana in un casolare di campagna e a lungo violentata. Era un preludio alle nozze, nell’Italia e nel codice penale di quei tempi. Se ti piaceva una ragazza, e tu a quella ragazza non piacevi, avevi due strade: o ti rassegnavi o te la prendevi. La sequestravi, la stupravi, la sposavi. Secondo le leggi dell’epoca, il matrimonio sanava ogni reato: era l’amore che trionfava, era il senso buono della famiglia e pazienza se per arrivarci dovevi passare sul corpo e sulla dignità di una donna.

A Franca Viola
fu riservato lo stesso trattamento. Lui, Filippo Melodia, un picciotto di paese, ricco e figlio di gente dal cognome pesante, aveva offerto in dote a Franca la spider, la terra e il rispetto degli amici. Tutto quello che una ragazza di paese poteva desiderare da un uomo e da un matrimonio nella Sicilia degli anni sessanta. E quando Franca gli disse di no, lui se l’andò a prendere, com’era costume dei tempi. Solo che Franca gli disse di no anche dopo, glielo disse quando fece arrestare lui e i suoi amici, glielo urlò il giorno della sentenza, quando Filippo si sentì condannare a dodici anni di galera.

Il costume morale e sessuale dell’Italia cominciò a cambiare quel giorno, cambiò anche il codice penale, venne cancellato il diritto di rapire e violentare all’ombra di un matrimonio riparatore. Fu per il coraggio di quella ragazzina siciliana. E per suo padre: Bernardo, appunto. Un contadino semianalfabeta, cresciuto a pane e fame zappando la terra degli altri. Gli tagliarono gli alberi, gli ammazzarono le bestie, gli tolsero il lavoro: convinci tua figlia a sposarsi, gli fecero sapere. E lui invece la convinse a tener duro, a denunziare, a pretendere il rispetto della verità. Tu gli metti una mano e io gliene metto altre cento, disse Bernardo a sua figlia Franca. Atto d’amore, più che di coraggio. Era povero, Bernardo, più povero dei padri di alcune squinzie di Arcore, quelli che s’informano se le loro figlie sono state prescelte per il letto del drago. Ma forse era solo un’altra Italia.
Claudio Fava

Un impegno, almeno di fronte a me stessa:

Il 14 dicembre 2010 la Corte europea per i diritti dell’uomo ha emesso una sentenza secondo cui: “Viola la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo lo Stato che priva della capacità matrimoniale lo straniero in condizione di irregolarità”.
Si tratta evidentemente del problema del rapporto fra la registrazione di un atto di matrimonio e l’esibizione del permesso di soggiorno.
Fa riferimento a una normativa del Regno Unito che evidentemente qualcuno ha presentato alla valutazione della Corte, ma mi sembra perfettamente pertinente alla situazione italiana, di cui molto ho scritto, privilegiando l’aspetto della registrazione anagrafica. 

Me ne occuperò certamente al mio ritorno, per ora mi limito alla trascrizione dei dati per raggiungere autonomamente il prezioso sito che ne rende possibile la lettura e al collegamento con il link che consente di accedere al documento (che si trova a pag. 18)

31.01.2011
On-line la newsletter del Servizio ASGI di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico razziali e religiose, n. 6 – dicembre 2010/gennaio 2011

Newsletter del Servizio ASGI di supporto giuridico contro le discriminazioni razziali e religiose, n. 6 – dicembre 2010/gennaio 2011 – formato pdf (351.05 KB)
Newsletter del Servizio ASGI di supporto giuridico contro le discriminazioni razziali e religiose, n. 6 – dicembre 2010/gennaio 2011 – formato doc (307.5 KB)

Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

2 Febbraio 2011Permalink

31 gennaio 2011 – Un cardinale, qualche signora e un Presidente

 Da un direttore generale tremolante a un cardinale insinuante.

Nell’ultimo scritto ho fatto riferimento a un direttore generale tremolante (Masi, RAI) ora non voglio trascurare uno che si presenta mite ma … non lo è e oltre che autorevole per dichiarato ruolo è nocivo per quanto comunica a soggetti ahimè passivi: si tratta del card. Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana.

Al di là  dello stile, che trovo vecchio e untuosetto, trascrivo due passi della sua prolusione alla Conferenza dei vescovi italiani (24 gennaio) che mi hanno indignato, non per ciò che dicono (Sua Eminenza sa usare le argomentazioni che vuole usare con abilità e consumata esperienza e conosce bene il significato delle parole) ma per ciò che non dicono.

Al numero 6 della sua prolusione il cardinale propone un termine che ho trovato geniale ‘alfabetizzazione etica’ ma che, a mio parere, tradisce poco sotto dichiarando: “Anche la crescente allergia che si registra nei confronti dell’evasione fiscale è un segnale positivo, che va assecondato”.
Eminenza concordo, ma come la mettiamo con la soppressione dell’ICI non solo per i locali di culto, ma anche per tutta la catena di vari mercati che alla chiesa cattolica, direttamente o indirettamente, si riferiscono (uno fra tutti l’offerta alberghiera)?
Il Vaticano non soffre di allergie?

E poco sotto al n. 7 “Va da sé che una ricognizione lucida della condizione nazionale deve portare il Paese a darsi una politica familiare preveggente, che mantenga la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, e aperta alla vita, quale base per rilanciare il Paese, e rilanciarlo sul proprio caratteristico equilibrio esistenziale, dunque senza ossessivi cedimenti alla struttura del «soggetto singolare»”
Il breve passo che riporto non copre i numerosi  -e ben inseriti nel cardinalizio contesto – riferimenti alla famiglia (comunque chi volesse leggere l’intera prolusione può farlo da qui)

Correttezza a questo punto avrebbe voluto che il cardinale per evitare di cadere nella “cultura della seduzione” (di cui al n.6) avesse ben definito l’ambito del suo uditorio, dato che non può essere altro che il mondo cattolico (che, per fortuna- è tutt’altro che monolitico). Poteva farlo proprio giovandosi del costume che appartiene a quella ‘alfabetizzazione etica’ precedentemente denominata poiché non ignora che nella società italiana molti cercano di ragionare responsabilmente su forme diverse di legami fra persone di diverso e dello stesso sesso.

Cardinalizie seduzioni contro il pluralismo culturale.

Sono ben consapevole che il presidente della Conferenza Episcopale Italiana  non farebbe alcun danno alla convivenza plurale se i cittadini italiani fossero abituati alla personale riflessione e educati al rispetto di sé: così non è.

Quindi nelle parrocchie (veicoli ancora potenti di diffusione culturale di base) quanto detto a livello gerarchico viene assunto come verità di fede e accantonato nell’universo di quelle cose che si dovrebbero fare (e che, per umana debolezza, non si fanno). Così a seguito della fiducia nel modello tradizionale di concordatario matrimonio cattolico (eppure è sempre più praticata la formula del matrimonio civile!) rotolano tutte le tradizioni in qualche modo passivamente assimilate: ivi compresi i diritti dei minori.
Credo che questo sia un punto focale.

Da servili tremolii e tradizioni non verificate ai diritti dei soggetti senza contrattualità

E cammina, cammina … sono arrivata dove volevo.

Mi limito a una considerazione di fatto: l’ambito cattolico non esaurisce quello cristiano.
Sulle coppie omossessuali c’è stata un’ampia discussione al sinodo valdese, provocata da una lettera del deputato Malan (PdL) evidentemente ballonzolante fra il suo partito – e le conseguenti opportunità politiche-  e la sua chiesa.
Al di là dell’intervento del Malan (fortunatamente all’interno della sua chiesa inefficace) resta però il grave problema dell’omaggio di comodo alla gerarchia cattolica di molti cosiddetti laici, oltre che opportunisti servili (almeno per questo aspetto) dottrinalmente ignoranti con pretese di trasmissione di verità.

Esaurita la considerazione di fatto una domanda:
– come fanno questi famiglia tradizionale dipendenti ad educare i bambini se non danno loro, con tutta la necessaria discrezione che il processo di crescita richiede, l’indicazione del rispetto di sé come soggetti di diritto?
Non so immaginare altro modo per educarli anche ai doveri (non si danno doveri senza diritti e viceversa) a meno che i sedicenti educatori famiglia-dipendenti non indulgano alla coppia sostitutiva (e molto praticata) di capriccio-obbedienza passiva.

Questa lacuna spiega, secondo me, la ragione fondamentale (ma non l’unica) per cui nulla ha detto la gerarchia cattolica sul problema della connessione imposta per legge da due anni fra permesso di soggiorno e registrazione degli atti di stato civile, in particolare la registrazione anagrafica.
Le parrocchie e il giro connesso assentono …ma non sono le sole

Donne, cardinali e vacui consensi

A quanto ho letto sui giornali (non mi sono sentita di partecipare) sabato donne di compositi movimenti si sono trovate in piazza per dire che il governo Berlusconi le fa arrabbiare e che non tutte le donne sono escort.
Attentissime a parlare di sé sono non elegantemente sfuggite ai diritti dei soggetti a debole contrattualità.
Eppure il principio dello sfruttamento delle persone è sempre quello e sempre quello è il modo di agire più orientato a una momentanea ricerca di consenso che alla considerazione razionale di un problema e delle possibili ipotesi per affrontarlo.
Non mi va trovarmi a traballare fra improbabili buoni sentimenti, cupo buon senso e incazzature senza obiettivi.

Non voglio ora  riprendere il problema che da due anni affronto nel blog cui potrebbero affiancarsi tanti altri, specifici se qualcuno volesse studiarli e darne comunicazione.. .

Una lettera al Presidente della Repubblica che ha meritato risposta

Egregio Presidente

il Suo gesto –così limpido nella sua determinazione e importante per il significato che riveste- di ricevere in Quirinale una delegazione di studenti, mi ha incoraggiato nella decisione di scriverLe per chiederLe di dar voce a persone cui voce è negata e che non hanno modo di chiederle udienza.

Si tratta dei neonati, figli di immigrati privi di permesso di soggiorno, cui è rifiutata la registrazione anagrafica, il che li condanna alla perdita di diritti anche essenziali e a un futuro da apolidi.

Il meccanismo che crea tale situazione attraversa subdolamente leggi e burocrazie.

Mi spiego: tale esclusione è prevista dalla legge ‘Disposizioni in materia di sicurezza pubblica’ (94/2009 – lettera g) del comma 22 dell’art. 1).

Non c’é una espressione esplicitamente e chiaramente discriminatoria, ma semplicemente una modifica della norma precedente che diceva essere esclusi dalla presentazione del permesso di soggiorno vari provvedimenti, fra cui gli atti di stato civile (comma 2 – art. 6 – legge 40/1998). Nella legge 94/2009, mentre permangono altre esclusioni, é scomparsa quella relativa agli atti di stato civile e di conseguenza la registrazione di tali atti è subordinata alla presentazione del permesso di soggiorno.

I problemi sono parecchi, relativi a situazioni diverse: mi limito al problema nascita.

Pochi giorni dopo l’approvazione della legge 94 il Ministero dell’interno emanò una circolare (n. 19 del 7 Agosto 2009, prot. 0008899) che affermava essere possibile – relativamente alla registrazione anagrafica – ciò che la legge negava.

Ciò nonostante il problema resta aperto.

Infatti alla diffusa impreparazione degli uffici di molti enti locali si aggiunge la paura dei genitori che, scoprendosi irregolari per la mancanza del permesso di soggiorno, non osano avvicinare le sedi comunali, con un gesto che – anziché permettere loro di esprimere la gioia e l’orgoglio di aver generato un figlio – li condannerebbe all’espulsione.

Permetta, signor presidente, a una cittadina che è nata nell’anno in cui furono promulgate le prime leggi razziali italiane, di dichiararsi inorridita di fronte alla questione che le è stata posta da giornalisti cui si era rivolta “Conosce un caso da poter segnalare? L’informazione in  merito alla legge non è una notizia”.

Mi chiedo e Le chiedo: “Se la presenza in legge di un principio che discrimina le persone per uno status burocraticamente accertato è – e io ritengo che sia- un principio razzista, perché tale affermazione non è da considerarsi ‘notizia’?”.

Mi creda signor Presidente, nella convinzione che la difesa dei principi fondanti la nostra Costituzione appartenga ad ognuna e ognuno di noi (e questo ho insegnato ai miei figli e ai miei studenti di un tempo), ho fatto quando potevo e sapevo per segnalare, rendere pubblica la segnalazione, chiedere ai responsabili un gesto consapevole che apra alla modifica della norma.

Ora mi rivolgo a Lei: quei piccoli minacciati dalla negazione di un riconoscimento fondante la vita di relazione, non possono costituirsi in delegazione, né lo osano i loro genitori, ma Lei può essere la loro voce, tutelandoli come la Costituzione, numerose leggi (cito soltanto la legge n. 176/1991, ratifica della Convenzione di New York del 20 novembre 1989), prevedono e garantendo insieme la dignità di tutti noi che un principio razzista, che pretende di essere legale, umilia.

Nella certezza che Lei troverà il modo per essere voce di chi non ne ha e non può averne e insieme di confortarci nel disagio che nasce dalla consapevolezza di non riuscire ad opporci al razzismo strisciante, Le auguro buon anno.
Augusta De Piero

Segreteria generale della Presidenza della Repubblica
Ufficio per gli Affari Giuridici e le Relazioni Costituzionali                       Roma 12 gennaio 2011

           Gentile signora De Piero,
In relazione alla Sua lettera, indirizzata al Capo dello Stato, la informo che questo Ufficio ha sottoposto quanto da Lei rappresentato all’attenzione del Ministero dell’interno, per l’esame di competenza.
p. il Direttore dell’Ufficio
dr. Gino Onorato

31 Gennaio 2011Permalink

28 gennaio 2011 – Memorie lontane e recenti

Un lungo silenzio sul mio blog che ormai sembra quasi abbandonato, un silenzio occupato da  molta corrispondenza (che cerco sempre sia comunicazione e non si umilia agli schemi precostituiti di facebook; mi sembrerebbe di mancare di rispetto ai miei corrispondenti) e varie attività.
Dovrò risolvere il problema di conservare  (per me)molto di più di quanto ora io non pubblichi.
Ma questa è un’altra storia.

Il giorno dopo

Oggi è il giorno successivo al 27 gennaio giornata della memoria, che –oltre alla liberazione di   Auchswitz– dovrebbe ricordare ciò che quella liberazione significò per l’Europa tutta.
Uso il passato –sfuggendo al desiderio di scrivere un ottimistico ‘significa’ perché ….
Ma andiamo con ordine.

La sera ho scelto di non vedere la TV (serata di Annozero!) e  mi sono messa all’ascolto di radio tre che propone ancora (per quanto?) trasmissioni di alto livello per contenuti e modi di comunicazione.
E’ una serata dedicata al ricordo della shoà: ascolto e penso, rifletto molto con molta preoccupazione, uno stato d’animo che ormai mi è abituale e che difficilmente trova il conforto del dialogo, in luoghi aperti, pubblici, a tanto destinati.
Ma vengo interrotta da una telefonata: “Hai sentito Masi ad AnnoZero?” (Se in futuro leggerò queste note, spero che il nome di Masi non dirà più nulla a nessuno e allora sostengo la mia futura memoria: oggi fa il direttore generale della RAI, più attento ai capricci del capo che alla dignità dell’informazione).
Evidentemente non l’ho sentito, ma confido in you tube che infatti questa mattina mi ha assicurato soccorso.

Un direttore generale tremolante

Mentre Santoro dirige Annozero interviene al telefono  il direttore generale dell’azienda Rai che dichiara di voler dissociare l’azienda e se stesso dal tipo di trasmissione che viola il codice di regolamentazione in materia di presentazione di vicende giudiziarie.

H0 riportato alcune parole che ho trascritto ascoltando un precipitoso direttoriale farfugliamento (forse qualcuno gli avrà passato un appunto all’ultimo momento e il direttore lo legge come può e per quel che capisce? chissà!).
Chi volesse ascoltare l’intervento Masi per intero può farlo da qui.

L’intervento diventa però grottesco quando, invitato dal giornalista a dire se la  trasmissione debba essere interrotta, il direttore generale non sa rispondere.
Direttore di che? Del caos? Di un’azienda senza regole che non siano imitare il presenzialismo telefonico del capo? Mah!
La trasmissione continua e, secondo me, il Santoro perde una occasione straordinaria per fare il giornalista professionalmente qualificato e, come suo solito (è la ragione per cui io non guardo Annozero), interrompe costantemente l’interlocutore che, se avesse lasciato parlare in libertà, sarebbe stato probabilmente deriso senza rimedio dalle proprie parole senza bisogno dell’aiuto, non privo di irritante sommaria arroganza, dello stesso Santoro.
Tra l’altro ho l’impressione che ogni interruzione di Santoro dia al masi l’opportunità di districarsi un po’ dal groviglio in cui la sua sottomessa improntitudine l’aveva infilato.

Il 27 gennaio – gli studenti e un assessore che non sa costruire reti.

Ieri si è svolto un incontro che precedeva l’inaugurazione della mostra ‘La persecuzione degli Ebrei in Italia”.
Il luogo dell’incontro, che ospita anche la mostra, era particolarmente significativo.
Si trattava di un palazzo, già proprietà della famiglia Morpurgo.
Elio Morpurgo fu senatore del regno e sindaco della città. Ormai ottantenne, malato e ricoverato in ospedale fu, in quanto ebreo, preso dalle SS e morì probabilmente già sul convoglio che lo trasportava ad Auchswitz.
Ieri purtroppo nel momento in cui il crimine veniva giustamente attribuito alle SS, nessuno ricordò che l’identificazione per ‘razza’ dipendeva dall’obbedienza altrettanto infame di funzionari italiani al dettato delle leggi del 1938.

Ma restiamo all’incontro, preceduto da letture di giovani (bravissimi, diretti da una regista con la collaborazione della Biblioteca Civica) di testi da loro scelti.
I giovani portavano tutti una rosa bianca, di cui in seguito qualcuno avrebbe ricordato il significato. Chissà se qualche adulto consapevole avrà ragionato con loro sul fallimento di un movimento di studenti che oggi assume un alto significato storico?

Finite le letture è iniziata una piccola serie di interventi formali, condotti dall’assessore comunale alla cultura, di cui –oltre all’abitudine, opinabile ma legittima, di usare un tipo di comunicazione piena di sussiego – non ho potuto fare a meno di sottolineare alcune gaffes.
Pronto nel presentare il Direttore dei Civici musei, oratore nel secondo intervento, non presentò il rappresentante dell’Istituto Friulano  per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Associazione Nazionale degli ex Deportati politici (ANED) che avrebbero svolto i due interventi successivi.
A me è sembrato anche che alcuni di questi signori si incontrassero per la prima volta.
Non mi è piaciuto.
Per fortuna gli studenti che li avevano preceduti presentavano un modello diverso di comunicazione e reciproca attenzione

28 Gennaio 2011Permalink

15 dicembre 2010 – Se l’istituzione è forte, è più forte della politica – 4

Una data importante: 10 dicembre

Nel mio scritto del 6 dicembre riportavo un passo della relazione ‘Bambini e Migrazioni’ del Convegno Congiunto della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) e del Gruppo di Lavoro Nazionale Bambino Immigrato (GLNBI –SIP, dove SIP sta per Società Italiana di Pediatria).
Quella relazione è diventata la base per il documento conclusivo (che potete leggere qui) e che significativamente è stato così sottoscritto: “Formulato il 20 novembre 2010, 21mo anniversario della Convenzione di New York sui Diritti dell’Infanzia – Sottoscritto il 10 dicembre 2010, Giornata Mondiale sui Diritti Umani a 62 anni dalla proclamazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”        

Ora l’impegno culturale e civile, unito alla competenza professionale dei firmatari, offrono un grosso contributo a chi voglia occuparsi del problema migratorio da cittadino e non da benefattore, ma resteranno inefficaci – se non all’interno di qualche dimensione privata – se le istituzioni politiche (dal parlamento ai comuni) non se ne faranno carico.

A questo processo potranno dare un significativo apporto le associazioni di settore, informando, stimolando, verificando, senza limitarsi, come alcune fanno, a promuovere la propria immagine.
In questi giorni sono invasa da messaggi postali (grosse buste che getto con rabbia prima di aprirle: mi basta il nome del mittente) e da e-mail destinate alla cancellazione senza lettura, che mi chiedono denaro.
Non darò un euro a chi non si colloca in un processo dove tutti concorrono a un obiettivo condiviso e ognuno fa, consapevolmente, la sua parte, nel contesto di una cultura che non sfugge né ai doveri di solidarietà né ai comportamenti propri di una moderna concezione della cittadinanza.

Fra i vuoti della politica e gli svolazzi dei buoni sentimenti.

Sabato scorso, a conclusione della manifestazione indetta dal Pd, l’on Bersani, segretario del partito, ha ripetuto una espressione che aveva già proferito nella trasmissione di Fazio ‘ Vieni via con me’. Ha detto di volere leggi  “che impediscano che il disordine dell’immigrazione ricada sulla parte più debole della nostra popolazione e che dicano finalmente ad un bambino qui e figlio di immigrati: tu sei dei nostri, sei un italiano”.

Come temevo ho verificato purtroppo che molti ascoltatori si sono commossi, ne hanno ammirato la bontà d’animo (come se la cittadinanza avesse a che fare con un sentimento) e, soddisfatti della loro occasione di piccola catarsi stagionale, si sono fermati lì.
Nobile sogno (e così lo ha chiamato Bersani) quello di trasferire il concetto di cittadinanza dallo jus sanguinis allo jus loci, praticabile certo in un paese civile che però, a voler essere sfrenatamente ottimisti, a noi richiederebbe tempi lunghissimi per farsi realtà. E io spero si faccia realtà.
Io chiedevo solo di impegnarci in una corretta amministrazione dell’anagrafe, impegno altrettanto nobile, anche se meno esaltante, che non è certamente ostacolo alla modifica delle modalità di fondo del concetto di cittadinanza, anzi potrebbe facilitarne l’approccio.
E allora perché tanta difficoltà a cogliere il senso di una proposta così modesta?
Ho una mia interpretazione

Non sanno riconoscere il razzismo

L’idea mi è venuta quando, parlandone con qualche giornalista, mi sono sentita chiedere la segnalazione di un caso, perché altrimenti le mie considerazioni –pur condivise dagli interlocutori – non avrebbero potuto costituire notizia.
Quindi per i giornalisti, almeno per quelli che ho interpellato, l’esistenza di un principio razzista in legge non fa notizia, le notizie devono emozionare e perciò vogliono il loro cadaverino fresco di giornata.
Non si rendono conto che una persona che, per proteggere il neonato e se stesso, nasconda la nascita di un figlio non viene certo a raccontare pubblicamente il fatto e non sono al corrente che, intrecciando con solidale competenza varie disposizioni e circolari, chi si occupa dei migranti può riuscire ad allungare il periodo di permanenza in Italia di persone pur identificate irregolari.
Ma se questo risultato è risposta a un impegno attento e intelligente non può bastare a chi considera la realtà con il filtro della politica (intesa come faccenda della polis e non del gioco delle tre seggiole) e non ignora la storia (che non si riduce a tramandare usanze popolari e ad esaltare il conseguente ‘buon senso’, trasformando il pregiudizio in luogo comune).
Una prassi non può sostituire l’affermazione di un principio fondativo.
E invece basta. Perché?
E’ un altro tema che voglio affrontare in una prossima, e spero ultima, puntata
Ho bisogno di dar ordine ai miei pensieri sempre più turbati.

continua

15 Dicembre 2010Permalink

8 dicembre 2010 – Se l’istituzione è forte, è più forte della politica – 3

Una frase chiave

La frase chiave per comprendere il crimine che la legge sulla sicurezza pubblica rende praticabile anche dai benpensanti è stata scritta dal sottosegretario Michelino Davico (origine Lega Nord – ora Sottosegretario di Stato per l’ interno dal 12 maggio 2008)

Ricopio la frase, anche se l’intero testo della comunicazione Davico si trova nel mio pezzo del 6 dicembre.

E’ stato chiarito che l’eventuale situazione di irregolarità riguarda il genitore e non può andare ad incidere sul minore, il quale ha diritto al riconoscimento del suo status di figlio, legittimo o naturale, indipendentemente dalla situazione di irregolarità di uno o di entrambi i genitori stessi. La mancata iscrizione nei registri dello stato civile, pertanto, andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio, che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di colui che lo ha generato. Se dovesse mancare l’atto di nascita, infatti, il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico.

Il principio della inviolabilità del diritto del nato è coerente con i diritti garantiti dalla Costituzione italiana a tutti i soggetti, senza alcuna distinzione di sorta (artt. 2,3,30 ecc .), nonché con la tutela del minore sancita dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (Legge di ratifica n. 176 del 27/05/1991), in particolare agli artt. 1 e 7 della stessa, e da diverse norme comunitarie.

L’inequivoca valutazione del ‘’diritto assoluto’ del neonato (suo, come persona non come grazioso bagaglio della sua famiglia) – espressa da un membro del governo in carica – nasce dallo stimolo proposto da un’interrogazione parlamentare (nella fattispecie dell’on. Orlando – vedasi i miei scritti del 6 dicembre e del 19 agosto).
Prima domanda: perché nessun altro parlamentare si é mosso, salvo –a mia conoscenza – qualcuno (ricordo in particolare l’on. Capano) durante il dibattito del 2008 e 2009 su quello che allora chiamavamo ‘pacchetto sicurezza’, diventato poi legge 94/2009, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica?
Tentar di rispondere a questa domanda implica l’aprirsi di una catena di infamie silenziose che arriva fino agli enti locali e, ai mezzi di informazione e quindi alle organizzazioni di una società sedicente civile, alle chiese, ai gruppi di ispirazione religiosa genericamente intesi.

Ancora un po’ di esegesi di testi non sacri 

Il convincimento governativo relativo al diritto del neonato, come espresso dal sottosegretario Davico –origine Lega Nord- è inequivocabile.

Quindi gli sciagurati consapevoli (non tutto è ignoranza, anche se il livello di ignoranza montante non è un rassicurante spettacolo) sanno quello che fanno quando scrivono “all’articolo 6, comma 2, le parole: «e per quelli inerenti agli atti di stato civile o all’accesso a pubblici servizi» sono sostituite dalle seguenti: «, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie»” (art. 1, comma 22, lettera g della legge 94/2009). 

Decripto il testo non tanto artatamente astruso, quanto conforme a una sciatta abitudine di legiferare per modifiche delle norme precedenti  “Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo e  «, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie», i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”.Ne riassumo il senso per l’aspetto che ci interessa.

Le registrazioni degli atti di stato civile –nascite, matrimoni, morte –che venivano assicurate senza esibizione del permesso di soggiorno a norma del Testo Unico sull’immigrazione, Dlgs 286/1998, a seguito della legge 94 vengono concesse a condizione dell’esibizione del permesso stesso.

Di conseguenza l’immigrato irregolare (sia irregolarmente entrato o diventato tale a seguito della perdita del lavoro) non potrebbe avere figli che siano riconosciuti come suoi (se non fosse intervenuta la precaria garanzia della circolare interpretativa di cui ho scritto il 6 dicembre), non può sposarsi, non può uscire dal mondo dei vivi perché non gli è concessa la registrazione della morte.
Un essenziale documento di cui può disporre è la tessera Stranieri Temporaneamente Presenti (STP) che gli garantisce una serie di misure sanitarie (a tutela sua e della comunità in cui vive), contro cui, almeno in Friuli Venezia Giulia, la Lega Nord ha espresso un’opposizione feroce.
Inoltre gli è assicurato l’accesso alla scuola dell’obbligo a seguito di un emendamento dell’on. Mussoline, accolto nella legge 94. Se poi è capace e meritevole e vuol proseguire gli studi … torniamo all’esibizione del permesso di soggiorno.

Se i diritti dei nascituri non ci interessano, il trastullo offerto dai giullari invece

Tra l’altro la richiesta di un documento che l’irregolare non può avere “per la contraddizion che nol consente” (Dante, Inferno, XXVII, 118-120) sembra una incongruenza folle, quasi che la numerazione 22 del comma tante volte citato fosse una scelta sarcastica e non una casualità. Certamente la pretesa che i cittadini italiani, ancorché parlamentari, per dimostrare la loro buona integrazione nella società debbano conoscere il vecchio romanzo di Heller non ha senso e quindi possiamo tranquillamente accettare come casuale la numerazione del comma 22.
E, in ogni caso, non preoccupiamoci perché sempre allegri bisogna stare, come cantava Jannacci, “che il nostro piangere fa male al re / fa male al ricco e al cardinale / diventan tristi se noi piangiam!”.
E a garanzia della serenità di chi se la può permettere la presenza dei giullari è assicurata; infatti chi eserciti ‘attività sportive e ricreative a carattere temporaneo’ non deve esibire il permesso che non ha.

Il candore di un leghista a collocazione ministeriale.


Nell’incipit della risposta all’on. Orlando firmata dal sottosegretario Davico possiamo leggere che la legge 94 è “volta a consentire la verifica della regolarità del soggiorno dello straniero che intende sposarsi e ad arginare il noto fenomeno dei matrimoni “fittizi” o di “comodo”.

Così. per arginare il fenomeno dei matrimoni di comodo, il provvedimento governativo diventato legge a seguito di voto parlamentare, ha creato un’ampia voragine che probabilmente soddisfa il più osceno e volgare populismo, quello che condivide un razzismo profondo che l’esito, pur noto, delle leggi razziali del 1938 non ha evidentemente spento.
Non dimentichiamo però che il giudice di pace di Trento ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità di un provvedimento di espulsione di una immigrata – che si era scoperta criminale chiedendo le pubblicazioni di matrimonio con un cittadini italiano – ricordando che il diritto a contrarre matrimonio ha carattere di universalità e può essere esercitato quindi indipendentemente dalla regolarità del soggiorno e dalla cittadinanza.
Possiamo sperare nell’alta corte per il diritto sia degli sposi che dei neonati?

Continua

8 Dicembre 2010Permalink

6 dicembre 2010 – Se l’istituzione è forte, è più forte della politica – 2

L’argomento che scelgo diventa un’anguilla  

Ogni volta che cerco di affrontare la seconda puntata delle mie riflessioni la realtà mi impone cambiamenti rispetto a quello che avevo pensato fino a poco prima.  

Continuo a tenere come filo conduttore la questione della problematica iscrizione anagrafica dei figli degli immigrati irregolari.
Credo non ci sia misura più vergognosamente razzista della discriminazione di un neonato, che per legge diventa, per il solo fatto di essere nato, un pericolo per i propri genitori e per sé.  

Quando le istituzioni esprimono forza  

Il mio blog, anche nella sua precedente edizione, segue questa faccenda ormai da più di due anni e, solo da pochi mesi, ho ottenuto una prova di interesse da parte di un parlamentare che ha presentato un’interrogazione sull’argomento (Leoluca Orlando – vedi qui)
Decisa a fare tutto ciò che potevo perché quell’interrogazione non cadesse nel vuoto, il 7 settembre pubblicavo la lettera che avevo scritto al Presidente della Camera chiedendogli di adoperarsi affinché l’interrogazione avesse una risposta tempestiva precisando “e questo esito, ritengo, Le appartenga mentre evidentemente non Le appartiene l’indirizzo di ciò che il Ministro dirà”.
La lettera è leggibile integralmente anche da qui  

Il 5 novembre la segreteria del Presidente della Camera mi scriveva:
“Si comunica che il Presidente ha disposto la trasmissione della Sua e-mail alla Commissione parlamentare competente, affinché i deputati che ne fanno parte possano prenderne visione ed assumere le iniziative che ritengano opportune”.    

Non solo politici 

Il 19 e 20 novembre si svolgeva a Chieti il quarto convegno congiunto SIMM e SIP – GLNBI su “Bambini e Migrazioni”.

Una breve digressione dentro la digressione perché a me piace informare non proclamare.
Potete trovare notizie sul Convegno nel sito della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM- www.simmweb.it) .
E ricordo anche il significato delle altre sigle:
Sip (società italiana di pediatria http://www.sip.it/)
GLNBI (Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Immigrato http://www.glnbi.org/
  

Una delle relazioni centrali di quel convegno (Bambini stranieri in Italia: di quali leggi abbiamo bisogno. Intervento di Geraci e Mazzetti – potete leggerla da qui)  inseriva finalmente il riferimento al problema della registrazione anagrafica, dichiarando: Di fondo, ci sembra anche assolutamente necessario affrontare in modo definitivo la questione della iscrizione anagrafica dei figli degli immigrati irregolari oggi garantita grazie ad una circolare del Ministero dell’Interno del 7 agosto 2009 prot. 0008899: il “diritto umano” alla iscrizione anagrafica viene “prima” della questione della cittadinanza e attiene ai diritti civili fondamentali dei bambini (vedi le campagne per l’iscrizione anagrafica che molte ong conducono in vari paesi africani etc) e ci sembra fondamentale assumere iniziative che attribuiscano valore normativo al contenuto specifico di tale circolare fornendo così strumenti più sicuri e incontestabili per garantire tale diritto”.   

Il ministro risponde  

E torniamo così alla comunicazione del Presidente della Camera. Il 3 dicembre inaspettatamente (confesso il mio pessimismo) potevo scoprire che aveva centrato l’obiettivo e, tramite l’on. Orlando, ricevevo il testo che ricopio:
“Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 19 del 7 agosto 2009, ha inteso fornire indicazioni mirate a tutti gli operatori dello stato civile e di anagrafe, che quotidianamente si trovano a dover intervenire riguardo ai casi concreti, alla luce delle novità introdotte dalla legge n. 94/09 (entrata in vigore in data 8 agosto 2009), volta a consentire la verifica della regolarità del soggiorno dello straniero che intende sposarsi e ad arginare il noto fenomeno dei matrimoni “fittizi” o di “comodo”.
E’ stato chiarito che l’eventuale situazione di irregolarità riguarda il genitore e non può andare ad incidere sul minore, il quale ha diritto al riconoscimento del suo status di figlio, legittimo o naturale, indipendentemente dalla situazione di irregolarità di uno o di entrambi i genitori stessi. La mancata iscrizione nei registri dello stato civile, pertanto, andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio, che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di colui che lo ha generato. Se dovesse mancare l’atto di nascita, infatti, il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico.
Il principio della inviolabilità del diritto del nato è coerente con i diritti garantiti dalla Costituzione italiana a tutti i soggetti, senza alcuna distinzione di sorta (artt. 2,3,30 ecc .), nonché con la tutela del minore sancita dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (Legge di ratifica n. 176 del 27/05/1991), in particolare agli artt. 1 e 7 della stessa, e da diverse norme comunitarie.
Considerato che a un anno dall’entrata in vigore della legge 94/09 non risultano essere pervenute segnalazioni e/o richieste di ulteriori chiarimenti, si ritiene che le disposizioni contenute nella predetta circolare siano state chiare ed esaustive, per cui non si è ravvisata sinora la necessita di prospettare interventi normativi in materia.
IL SOTTOSEGRETARIO DI STATO   (Miche1ino Davico)”  

 Un po’ di esegesi di testi non sacri  

Nella ministerial risposta sono dette chiaramente due cose importanti, mentre una –altrettanto importante –è taciuta.

Vediamo per ordine:  

1. L’inconsulta esclusione degli atti di stato civile (registrazione dell’atto di nascita, del matrimonio e di morte) da quelli per cui non è necessario presentare il permesso di soggiorno era stata progettata per “arginare il noto fenomeno dei matrimoni “fittizi” o di “comodo”.
E allora per non fare la fatica di immaginare un ostacolo a un percorso improprio si era creata una voragine ampia e – a parere del legislatore ignorante e in malafede – risolutiva del problema.  

2.  L’on. Sottosegretario si dimostrava informato sul fatto che: “Il principio della inviolabilità del diritto del nato è coerente con i diritti garantiti dalla Costituzione italiana a tutti i soggetti, senza alcuna distinzione di sorta (artt. 2,3,30 ecc .), nonché con la tutela del minore sancita dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 (Legge di ratifica n. 176 del 27/05/1991), in particolare agli artt. 1 e 7 della stessa, e da diverse norme comunitarie”  

3.  Ma ostentava di ignorare i rischi cui si espone un immigrato irregolare denunciando la nascita di un figlio, rischi che neppure il paravento della burocrazia può permettersi di cancellare.  

Infatti, e ce ne dà documentazione proprio il prezioso sito della SIMM, il 28 novembre la questura di Milano denunciava il medico che aveva soccorso un immigrato irregolare che partecipava su una gru alla protesta contro la ex Carlo Erba, senza che sia chiaro se la denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina si estenda anche al medico dell’Ospedale San Paolo che aveva preso in cura l’immigrato. 

E’ doveroso ricordare a questo punto che l’immigrazione cd ‘clandestina’ (perché non la chiamano irregolare?) a seguito della legge 94 è reato (vedi).

Lo schema dei rischi è chiaro  

I denuncianti non sono i medici (rispettosi del segreto sanitario che la Lega Nord e complici dei partiti di maggioranza non sono riusciti ad abolire) ma qualcuno che ha assistito all’attività di soccorso.
Lo stesso potrebbe avvenire per una persona (papà o mamma) che si rechi in Comune a denunciare la nascita di un figlio.
Proprio la Simm aveva creato il logo per una lunga battaglia per il rispetto del segreto sanitario, ma qui il  mio argomento anguilla si snoda e si allunga e lo devo rimandare a una prossima puntata.

 

6 Dicembre 2010Permalink

20 novembre 2010 – Il 18 novembre è morta Adriana Zarri. E poi una ricorrenza e una notizia

Ricordo di Adriana Zarri.Chi volesse conoscere alcune parole di chi la ricorda può farlo da qui.
Rossana Rossanda ha avuto la capacità tra le cose che ha scritto di dirne una che, da sola, è per me il ritratto di Adriana: “Un giorno le dicevo che del cristianesimo mi interessava la disciplina interiore, protestò con veemenza: disciplina era un termine che non tollerava. Né esteriore né interiore”.
Io voglio ricordarla trascrivendo l’epigrafe che lei stessa si preparò:  

EPIGRAFE

Non mi vestite di nero:
è triste e funebre.
Non mi vestite di bianco:
è superbo e retorico.
Vestitemi
a fiori gialli e rossi
e con ali di uccelli.
E tu, Signore, guarda le mie mani.
Forse c’è una corona.
Forse
ci hanno messo una croce.
Hanno sbagliato.
In mano ho foglie verdi
e sulla croce,
la tua resurrezione.
E, sulla tomba,
non mi mettete marmo freddo
con sopra le solite bugie
che consolano i vivi.
Lasciate solo la terra
che scriva, a primavera,
un’epigrafe d’erba.
E dirà
che ho vissuto,
che attendo.
E scriverà il mio nome e il tuo,
uniti come due bocche di papaveri. 

E all’epigrafe aggiungo la citazione con cui Uomini e Profeti (radio 3) apre il testo che annuncia la trasmissione che oggi dedicherà  ad Adriana (appena possibile aggiungerò la sigla per risentirla in podcast):

Signore, non voglio il tuo cielo, Signore, voglio la mia terra:
le strade, i pozzi, le fontane, e le lune che cadono nell’acqua;
e, se c’è un rovo irto di spine, voglio anche quello,
perché fiorisce, a primavera;
 e se c’è un rospo, sul sentiero, voglio anche quello,
perché sa gracidare, nella notte, lungo la riva dello stagno…
Adriana Zarri

Una ricorrenza – 20 novembre

Copio le notizie che seguono dal sito della CISL scuola:
Il 20 novembre 1959 l'”Assemblea Generale” dell’ONU, su proposta della “Commissione per i diritti umani”, ha adottato la “Dichiarazione dei diritti del bambino”. E’ una risoluzione, una dichiarazione di principi che espande e amplifica il diritto abbozzato nel 1948 nella “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo” che all’art. 25 stabilisce “che alla maternità e all’infanzia devono essere assicurate speciali tutele e assistenza”.

Il 20.11.1989 è ¨ stata approvata la “Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia”. Da allora molti passi avanti sono stati fatti ed oggi i Paesi che hanno assunto questo importante impegno nei confronti dell’infanzia sono ben 193 (mancano all’appello solo gli Stati Uniti d’America e la Somalia).
Ogni anno, nella sua ricorrenza, si rinnova un impegno.

Possiamo oggi considerare quei documenti qualche cosa di diverso da una presa in giro? Perché lo penso?
Chi volesse capirlo può far ricorso nel mio blog alle parole chiave (gergo tag) bambini, anagrafe, nascita. 

Notizie dal sito ASGI   19.11.2010 

Tribunale di Udine:  E’ illegittimo il requisito di anzianità di residenza decennale in Italia ai fini dell’accesso ai contributi per il sostegno alle locazioni in quanto in contrasto con il diritto dell’Unione europea.
I Comuni e la direzione regionale devono disapplicare la normativa regionale, assicurando rispettivamente l’accesso dei richiedenti ai bandi di concorso ed il trasferimento delle risorse economiche agli enti locali. 

Chi volesse saperne di più può farlo da qui.
Domanda finale: Quando accadrà, se mai accadrà, che il parlamento si faccia carico delle indicazioni che vengono dalla magistratura sollecitata, nell’esercizio del compito che le è proprio, caso per caso e saprà farne principi di carattere generale?

P.S.: Due notizie su analogo argomento (e sempre riferite al Friuli Venezia Giulia) si possono leggere, dal sito Asgi. in data 17 novembre e 18 novembre.
Vi si può accedere evidenziando le rispettive date.

20 Novembre 2010Permalink

19 Novembre 2010 – Se l’istituzione è forte, è più forte della politica – 1

Se l’istituzione è forte, è più forte della politica – 1  

“Se l’istituzione è forte, è più forte della politica” lo ha detto l’8 novembre lo scrittore Saviano nella trasmissione Vieni via con me, la prima della serie ascoltata e discussa.
Tanto mi sono piaciute queste parole che le ho immediatamente trascritte: erano una sintesi di ciò che io penso, anzi di uno dei fondamenti dei pensieri che vengo via via elaborando
Cercherò di spiegarmi le più recenti ragioni di questo mio interesse, consapevole che la strada della ricerca del significato di ciò che accade e vedo  non è molto praticata.
Di solito, quando la percorro, non incontro nessuno.

Quindi, camminando da sola, mi racconto: chi non c’è non si annoierà

Partendo da una stufetta elettrica.

Vivo in un condominio dotato di servizi comuni che lo rendono una potenziale residenza protetta, per chi abbia bisogno di fruirne. Ho scelto di vivere qui ritenendolo non un rifugio dell’ultima ora ma uno strumento per garantirmi autonomia quanto più a lungo possibile, senza dover inquinare la vita di parenti e amici di buona volontà e senza costringermi a cercare un’assistenza individuale. almeno finché sarò in grado di suonare un campanelle e di sapere quando farlo.
E’ chiaro che chi abita questo luogo è di regola in età avanzata e portatore di esigenze particolari. Una delle esigenze è il calore del proprio alloggio per cui il manifestarsi di necessità di riparazioni, anche tali da richiedere tempi prolungati, quando fa freddo può essere pericolosa. Ma, per ragioni che ignoro, la verifica annuale dell’impianto di riscaldamento viene fatta al momento dell’accensione stagionale … quando fa freddo.
Basterebbe anticiparla e io – come il solito sciocca e sprovveduta – ho cercato il consenso di altri condomini in appoggio a un’esigenza ragionevole e non mia (per il momento mi basta una maglia di più).
Risposta illuminante. “ma chi ha questi problemi non potrebbe comperarsi una stufetta elettrica?”.
Eh già potrebbe … e io potrei mettermi a promuovere la vendita di stufette ricavandone un pizzo e, soprattutto, mi chiedo perché dobbiamo pagare il lavoro si un manutentore senza poter interloquire nelle modalità di svolgimento del lavoro stesso.
Lo penso ma non lo dico: è un grande sforzo, facilitato dal fatto che – folgorata dall’inossidabilità del buon senso – mi sono messa a pensare ad altro, tanto per cominciare a chi ritiene che il problema degli infortuni sul lavoro si possa affrontare partendo dalla sciatteria individuale nell’usi dei mezzi di protezione.

Fra stufette elettriche e barriere architettoniche.

Tempo fa, dopo un repellente ricovero ospedaliero dove ho constatato con disgusto la riduzione per molti operatori sanitari della professionalità a una tecnica autoreferenziale per chi la esercita (che poi sia utile, e spesso lo è, mi sembra solo un effetto collaterale), avendo scoperto che l’ospedale pullula di barriere architettoniche anche di recente costruzione, ho cercato di farne un  problema collettivo.
In fondo chi ricopre incarichi di alta amministrazione (alta. leggasi ben pagata) è stato nominato dalle forze politiche di governo e di maggioranza, quindi l’espressione di dissenso dei sudditi (già cittadini) avrebbe un senso, ma tutti tacciono.
Comincio a pensare che l’unico sistema per suscitare interesse sul problema sia quello di azzoppare il prossimo, sistema che non riuscirei a praticare.
Ho scritto a un quotidiano locale e ho diffuso la mia lettera sperando di interessare le associazioni di categoria.
Con una ci sono riuscita con altre no.
Perché? Vari fatti e ripetute esperienze ormai mi convincono che molte associazioni – soprattutto quelle più socialmente visibili – agiscono da ammortizzatori, mediando fra istituzioni e cittadini a beneficio delle prime.
Infatti – e ecco che cominciano a comparire le istituzioni del mio incipit – molti politici amano starnazzare in pubblici incontri a scopo benefico. Se hanno responsabilità istituzionali (sia come forze di governo, sia come maggioranza, sia come opposizione) possono garantirsi il disimpegno nel luogo politico loro proprio e nello stesso mostrare alle anime buone che le buone associazioni riescono a convocare nei loro catartici incontri quanto sono impegnati nella solidarietà (delegata).
Naturalmente anche i palcoscenici hanno il loro pizzo e le associazioni ricevono contributi per le loro –reali- azioni positive, tanto più consistenti quanto maggiore è la loro visibilità. Così attorno a questo tipo di associazioni si crea uno spazio (non sempre e  non tutto trasparente) di partecipazione e consenso che a me provoca un vago malessere.

Fra associazioni operanti, politici starnazzanti e cittadini silenti.

Cosa potrebbero fare in tutto ciò le istituzioni?
Non certo garantire tramite pubblici servizi assistenza individuale, ma emanare norme che assicurino un ‘ordine’ alla manifestazione della solidarietà.
Tanto per restare al mio primo esempio assicurare che negli edifici  pubblici o di pubblico interesse (strade, ospedali, scuole, mezzi di trasporto, uffici, alberghi, luoghi di svago …) non ci siano barriere architettoniche e venga quindi privilegiata l’autonomia di chi ha difficoltà motorie (stabili o momentanee) rispetto al sostegno finanziario di chi –in presenza di barriere – si adopera a tirare su e giù le persone che ne hanno bisogno.
Che poi nulla vieta che ci sia chi, in mancanza d’altro si adopera con personale espressione di solidarietà. Quel che conta sarebbe garantire istituzioni – e quindi norme, regole, trasparenza – più forti della politica, soprattutto di quella che ha come primo obiettivo la connessione indissolubile fra seggiola e fondo schiena o, almeno, il mantenimento del privilegio di poter determinare quale fondo schiena sia conveniente per quale seggiola, con sovrano disinteresse per diritto di scelta dei propri rappresentanti che dovrebbe spettare ai cittadini, che tali ancora sono, anche loro malgrado quando sembrano avviticchiati al loro ruolo di sudditi.

Per oggi basta, ma continuerò … mi fa bene.

19 Novembre 2010Permalink

29 ottobre 2010 – Fra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Conferenza Episcopale … non c’é spazio per tutti.

Eminenze ed Eccellenze

Mentre il Presidente del Consiglio soccorre, pietoso e benevolo, una ragazzina ora da pochi giorni maggiorenne, minacciata (??) dalla questura (altrimenti perché se ne sarebbe fatto carico?), il presidente della Conferenza Episcopale presenta gli Orientamenti Pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, un documento pontificio in cui ci spiega ciò che minaccia la famiglia.

Meglio lasciare la descrizione alle sue parole

“La famiglia, a un tempo, è forte e fragile. La sua debolezza non deriva solo da “motivi interni alla vita della coppia e al rapporto tra genitori e figli. Molto più “pesanti sono i condizionamenti esterni: il sostegno inadeguato al desiderio di “maternità e paternità, pur a fronte del grave problema demografico; la difficoltà a “conciliare l’impegno lavorativo con la vita familiare, a prendersi cura dei soggetti “più deboli, a costruire rapporti sereni in condizioni abitative e urbanistiche “sfavorevoli.
“A ciò si aggiunga il numero crescente delle convivenze di fatto, delle separazioni “coniugali e dei divorzi, come pure gli ostacoli di un quadro economico, fiscale e “sociale che disincentiva la procreazione. Non si possono trascurare, tra i fattori “destabilizzanti, il diffondersi di stili di vita che rifuggono dalla creazione di legami “affettivi stabili e i tentativi di equiparare alla famiglia forme di convivenza tra “persone dello stesso sesso”.

Ho letto e riletto le 42 pagine dell’intero documento ma non ho trovato quello che cercavo.
Già perché fra le minacce io cercavo quella della paura: la paura che impedisce a un genitore privo di permesso di soggiorno di dire ‘questo bambino è mio figlio’ per non scoprirsi, affrontando il rischio dell’espulsione (ne ho parlato tante volte nel mio blog, comunque chi volesse una sintesi della questione può farlo da qui)

Famiglie e non

Gli Orientamenti Pastorali danno grande spazio alla proclamazione dell’importanza dell’educazione fino a dichiarare: “Avvertiamo infine la necessità di educare alla cittadinanza responsabile”.
Ma evidentemente c’è famiglia e non famiglia e gli irregolari –a parere di Sua Santità, di Sua Eminenza e dei legislatori italiani dominati da un Presidente del Consiglio pietoso anche se forte di presenze dichiaratamente razziste nel suo governo- non costituiscono soggetti capaci di unirsi ad altri per formare famiglie e quindi i loro figli non sono soggetti da amare né da educare alla ‘cittadinanza responsabile’. Fin qui nulla potrebbe meravigliarmi. In Europa abbiamo già conosciuto poteri diversi intrecciati solidamente fra loro per devastare in nome di scelte di razza o di guerra.
Quello che mi turba sono i cittadini indifferenti quando non complici di tutto questo, ignari che i bambini sono soggetti di diritto che non dipende dalla razza né da ciò che la burocrazia conseguente a questa deriva riconosce ai loro genitori.
E lo sono i singoli e le associazioni, i partiti, le parrocchie (tanto esaltate nel documento di cui sopra come luoghi deputati ad attività educative, compresa la formazione alla cittadinanza responsabile nell’esclusione mirata?).
Criticare avversari politici, contemplare sofferenze lontane garantisce la consolazione della catarsi per chi ci riesce. E ci riescono in molti perché il luogo di esibizione di dolore, indignazione o altro che sia genera, a chi ne sa far uso, un consenso quantitativamente verificabile e visibile.  E i neonati non producono nulla, non vanno in piazza e non partecipano a trasmissioni televisive, sono inutili nella ricerca di quella popolarità che nasce dall’uso ampio e reciproco del voto di scambio.

 Consenso e svendita dei figli.

E’ un altro problema di cui gli Orientamenti Pastorali, ben sostenuti dall’opinione pubblica,   non dicono nulla.
Alla televisione capita spesso di vedere corpi di bambini usati per pubblicità: non è un bello spettacolo e forse nemmeno decente, ma, a mio parere, esistono casi intollerabili per le contraddizioni interne che presentano.
Ci sono due signore che praticano con successo internazionalmente riconosciuto lo sport loro congeniale che, attraverso ciò che propinano ai loro figli e figlie impietosamente esibiti in attività masticatorie, traggono un reddito aggiuntivo.
A me consta che quando si fanno campagne contro l’obesità infantile uno dei cibi indicati come pericolosi siano le merendine che le due sventate propinano alle loro redditizie creature.
E si tratta di signore che per la loro attività hanno cura del proprio corpo ben conservato e anche i loro figli non sono obesi.
Forse nella  vita privata non faranno ingurgitare ai graziosi piccini ciò che danno loro davanti alla macchina da presa.
Come spiegheranno la contraddizione?
Diranno – o lasceranno intendere- che ci sono bambini di qualità, che devono avere rispetto per la loro salute e altri, di qualità inferiore, cui tanto non è dovuto?
Di qui all’accettazione dei bambini di razza il passo non è poi così lungo.
A questo punto mi vengono in mente le critiche ai rom che mandano i loro figli a mendicare.
Non so perché mi frullino per la testa queste strane idee.
Qualcuno me lo sa spiegare?

29 Ottobre 2010Permalink