27 gennaio 2016 – Titoli allarmanti e articoli dissociati.

Oggi, mercoledì, l’Avvenire (quotidiano ‘di ispirazione cattolica’) titola in prima pagina «Ddl Cirinnà. I numeri dell’”emergenza”. Per ora. Bimbi adottabili. Non 100.000 ma appena 500». Un po’ criptico ma alla pag. 8 il discorso si chiarisce. Copio dall’articolo «Stepchild, una battaglia per solo 529 casi».

«Dati precisi di bambini che potrebbero essere interessati alle “novità” del ddl Ciurinnà non ce ne sono. Ma esiste un ordine di grandezza che viene fuori dal censimento Istat del 2011: 529, ricordava ieri l’agenzia Redattore sociale. Queste infatti sarebbero le coppie dello stesso sesso fra le 7513 conviventi».

Quindi 529, arrotondate a 500, sarebbero le coppie non i bambini. proclamati in prima pagina, e men che meno gli improbabili  100.000 affermati dal Corriere della sera, secondo Avvenire.

Non mi interessa verificare. Quello che mi turba è l’attenzione determinante alla quantità . Quando parliamo di diritti civili davvero la quantità ha un senso?

Recita l’art. 3 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli ….»

A questo punto, se l’aspetto quantitativo avesse un senso in questo contesto, dovemmo scrivere una cifra, in connessione con le forme del discrimine elencate al primo comma, per indicare la quantità da cui iniziare la rimozione degli ostacoli.

L’aspetto quantitativo evidentemente non ha senso ma questa insensatezza mi aiuta a capire anche la ragione per cui  il mondo cattolico non si è mai adoperato a “rimuovere l’ostacolo” che – per legge – impedisce ai migranti irregolari di registrare la dichiarazione di nascita dei propri figli.

Anche questi sono pochi. Vengono nascosti per paura. Chi se ne importa! Andiamo spensieratamente al family day dove nessuno ce ne parlerà

Fonte (un po’ lenta da raggiungere, almeno per me):
http://www.avvenire.it/Politica/Pagine/Stepchild-una-battaglia-per-soli-529-casi-.aspx

 

27 Gennaio 2016Permalink

21 gennaio 2016 –Il Parlamento si volterà dall’altra parte?

Il sito (il cui link riporto in calce) ha copiato un articolo, che riprendo,  comparso ieri su La Repubblica .
Vi si trovano profonde ragioni perché, in una questione così delicata e così intimamente legata agli inalienabili diritti della persona, il Parlamento italiano riacquisti dignità e non decida sulla base di valutazioni di convenienza elettorale .

 Tutti gli alibi che inquinano le unioni civili di Stefano Rodotà

La discussione sulle unioni civili avrebbe bisogno di limpidezza e di rispetto reciproco, invece d’essere posseduta da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze religiose. Di fronte a noi è una grande questione di eguaglianza, di rispetto delle persone e dei loro diritti fondamentali, che non merita d’essere sbrigativamente declassata, perché altre urgenze premono. I diritti, dovremmo ormai averlo appreso, sono indivisibili, e quelli civili non sono un lusso, perché riguardano libertà e dignità di ognuno. Bisogna liberarsi dai continui depistaggi. La maternità surrogata, vietata fin dal 2004, viene evocata per opporsi all’adozione dei figli del partner, penalizzando proprio quei bambini che si dice di voler tutelare e tornando così a quella penalizzazione dei figli nati fuori dal matrimonio eliminata dalla civile riforma del diritto di famiglia del 1975. E si dovrebbe ricordare che la Costituzione parla della famiglia come società “naturale” non per evitare qualsiasi accostamento alle unioni tra persone dello stesso sesso.Ma per impedire interferenze da parte dello Stato in «una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita », come disse Aldo Moro all’Assemblea costituente. Altrimenti ricompare la stigmatizzazione dell’omosessualità, degli atti “contro natura”. L’impegno significativo del presidente del Consiglio per arrivare ad una disciplina delle unioni civili rispettosa di quello che la Corte costituzionale ha definito come un diritto fondamentale a vivere liberamente la condizione di coppia si è via via impigliato nel prevalere delle preoccupazioni legate alla tenuta della maggioranza. Il riconoscimento effettivo di diritti fondamentali viene così subordinato ad una esigenza propriamente politica che sta svuotando la portata della nuova legge. E non si può dire che si cerchi di procedere con la cautela necessaria, data la delicatezza dell’argomento, perché la cautela si è trasformata nel progressivo abbandono di una linea rigorosa, nel gioco delle concessioni verbali che tuttavia inquinano il senso della legge in punti significativi. È indispensabile riprendere una strada coerente con il fatto che si sta discutendo di dignità e identità delle persone, dunque di una materia dove non tutto è negoziabile. Il legislatore sta oscillando tra concessioni improprie e irrigidimenti ingiustificati. Una assai discutibile e discussa sentenza del 2010 della Corte costituzionale viene eretta a baluardo inespugnabile, che non consentirebbe neppure di adempiere a quel dovere positivo di riconoscimento pieno dei diritti delle coppie tra persone dello stesso sesso imposto all’Italia da una sentenza di condanna del 2015 della Corte europea dei diritti dell’uomo. Per sfuggire a questa responsabilità, più si va avanti più si delinea una situazione in cui il legislatore sta costruendo una sua gradita impotenza. Non posso intervenire perché avrei bisogno di una legge costituzionale. Non posso intervenire perché devo ancora considerare il codice civile come un riferimento ineludibile. Non posso muovermi nel nuovo contesto costruito dai principi e dalle regole europee. Non posso intervenire perché l’opportunità politica variamente mascherata me lo preclude.

Nessuno di questi argomenti regge. Nel 2013 la Corte di Cassazione ha detto esplicitamente che le scelte in questa materia sono affidate al legislatore ordinario. Ricostruire il principio di riferimento nel fatto che il codice civile parla ancora di diversità di sesso nel matrimonio è un errore di grammatica giuridica perché si dimentica che la Costituzione si pone in una posizione gerarchicamente superiore al codice civile e bisogna interpretare la Costituzione partendo dal principio di eguaglianza. Proprio la forza di questo principio ha determinato un radicale cambiamento del sistema istituzionale europeo. La Carta dei diritti fondamentali ha cancellato il requisito della diversità di sesso sia per il matrimonio, sia per ogni altra forma di costituzione della famiglia, e ha ribadito con forza che non sono ammesse discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. Se si guarda più a fondo nel nostro sistema, neppure l’accesso al matrimonio egualitario sarebbe precluso al legislatore ordinario.

n questo nuovo mondo, che pure le appartiene e nel quale ha liberamente deciso di stare, l’Italia è recalcitrante ad entrare. E così conferma un ritardo culturale, che in altri tempi aveva vittoriosamente sconfitto, anche in occasioni difficili come quelle dell’approvazione delle leggi sul divorzio e dell’aborto, seInza restare prigioniera delle preoccupazioni della Chiesa, che oggi tornano in maniera inquietante e inattesa.

Di nuovo lo sguardo si fa ristretto, la riflessione culturale si rattrappisce e non si riesce a dare il giusto rilievo al fatto, sottolineato con forza dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ormai la maggioranza dei Paesi del Consiglio d’Europa riconosce le unioni civili e che aumentano continuamente gli Stati dov’è riconosciuto il matrimonio tra persone dello stesso sesso — Francia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti, Danimarca, Inghilterra, Irlanda, Svezia, Norvegia, Svizzera, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Argentina, Brasile, Uruguay, Sudafrica. Strada che questi Paesi non percorrono con avventatezza, ma riflettendo con serietà, e che dovrebbero essere un riferimento per sfuggire alla superficialità con la quale troppo spesso in Italia si affrontano questioni serie come quelle riguardanti le adozioni coparentali ( stepchild adoption). Tema, questo, che trascura del tutto le dinamiche degli affetti, la genitorialità come costruzione sociale e che, a giudicare da alcuni improvvidi emendamenti al disegno di legge in discussione al Senato, rischia di lasciare bambine e bambini in un avvilente limbo, che di nuovo nega dignità ed eguaglianza. Ancora e sempre l’eguaglianza, che la Corte costituzionale non ha adeguatamente considerato in quella sentenza del 2010, la cui interpretazione dovrebbe essere seriamente riconsiderata a partire dal nuovo contesto istituzionale europeo. Perché no? Ricordiamo che, con una violazione clamorosa del principio di eguaglianza, nel 1961 la Corte costituzionale dichiarò legittima la discriminazione tra moglie e marito in materia di adulterio. La Corte sui ravvide nel 1968, mostrando che l’eguaglianza e la vita non possono essere consegnate alla fissità di una decisione. Un legislatore, che sta costruendo la sua impotenza, dovrebbe piuttosto riflettere sulla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che, nel 2015, ha ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Ferma restando la legittima manifestazione di ogni opinione, i giudici americani hanno affermato il loro dovere di sottrarre i diritti fondamentali alle «vicissitudini della politica».

fonte:
http://www.eddyburg.it/2016/01/tutti-gli-alibi-che-inquinano-le-unioni.html
«Temi e principi » de homine

21 Gennaio 2016Permalink

14 gennaio 2016 – Il Parlamento non si volti dall’altra parte

L’appello dei giuristi a sostegno della stepchild adoption.

Unioni gay: i bambini, innanzitutto     –

I giudici di Strasburgo con la sentenza del 21 luglio 2015 hanno condannato l’Italia per inottemperanza all’obbligo positivo di dare attuazione ai diritti fondamentali alla vita privata e alla vita familiare delle coppie dello stesso sesso. Come sottolineato dalla Corte costituzionale, il Parlamento italiano è chiamato oggi ad approvare “con la massima sollecitudine” una “disciplina di carattere generale” che tuteli le unioni omosessuali. Le corti europee richiedono che la normativa da emanare sia conforme al principio di non discriminazione ed assicuri un trattamento giuridico omogeneo a quello delle coppie coniugate, giacché ogni disparità esporrebbe la legge a nuovo vaglio di legittimità. Preoccupa, quindi, che il dibattito sociale e parlamentare sembri bloccarsi sul tema della genitorialità, agitando questioni estranee al ddl (quale quella della surrogazione di maternità, comunque oggi vietata in Italia) e rischi di arenarsi sullo scoglio della c. d. stepchild adoption. Quali giuristi (docenti universitari, giudici, avvocati) impegnati sui temi dei diritti fondamentali, del diritto di famiglia e dei minori, non possiamo non rilevare che l’adozione del figlio da parte del partner del genitore biologico (c. d. “adozione in casi particolari”), diretta a dare veste giuridica ad una situazione familiare già esistente di fatto, rappresenta la garanzia minima per i bambini che vivono oggi con genitori dello stesso sesso. Il riconoscimento giuridico della relazione anche nei confronti del genitore sociale assicura difatti al bambino i diritti di cura, di mantenimento, ereditari ed evita conseguenze drammatiche in caso di separazione o intervenuta incapacità o morte del genitore biologico, salvaguardando la continuità della responsabilità genitoriale nell’esclusivo interesse del minore. Queste bambine e questi bambini esistono. Il Legislatore non può cancellarli, non può voltarsi dall’altra parte, ignorandone le esigenze di protezione. La giurisprudenza italiana ed europea segnala come la scelta più ragionevole e giuridicamente corretta consista nel consentire ai giudici di valutare caso per caso se l’adozione da parte del partner assicuri la migliore protezione dell’interesse superiore dei figli di genitori omosessuali. La giurisprudenza di merito ha già individuato diverse modalità di tutela, secondo la disciplina vigente, consentendo l’adozione ex art. 44, lettera d, Legge adozioni e, in alcuni casi, la trascrizione di atti esteri. Tutti i Paesi con civiltà giuridica a noi affine si sono dotati di strumenti efficaci per la tutela dei figli di genitori omosessuali: la stepchild adoption, in forma analoga a quella prefigurata nel ddl in discussione, è prevista da anni nella legge tedesca; alcuni dei maggiori Paesi europei (Regno unito, Francia, Spagna) già ammettono l’adozione piena e legittimante. Va, dunque, rigettato il ricorso a un inedito “affidamento in casi particolari” perché del tutto inadeguato alla protezione dei bambini, che non possono restare in balia di status precarî e revocabili, ma che, al contrario, necessitano di stabilità giuridica, di genitori che abbiano responsabilità nella cura, nell’educazione e nel mantenimento sino alla maggiore età ed oltre. Va, pure, respinta con forza l’ipotesi di una legge sulle unioni civili che oggi regoli soltanto le relazioni tra gli adulti, perché ciò significherebbe l’ennesimo rinvio che ancora una volta lascerebbe senza protezione proprio i soggetti più deboli, i bambini.

(verifica di poco fa: 444 firme)

I diritti dei bambini avanzano, forse, a brandelli

Nel 1975 la riforma del codice civile produsse la scomparsa dell’infame dizione ‘figli illegittimi’ e la legge 10/12/2012 n° 219  Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali cancellò anche la buffa dizione ‘figli naturali’. Perché qualcuno può supporre l’esistenza di figli ‘innaturali’? Misteri del linguaggio giuridico-politico.
I figli sono figli e basta, si disse.
Lo aveva già affermato, nel contesto di una cultura tutta da costruire, la Costituzione della Repubblica che all’art 30 afferma La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”.
Il 19 ottobre 2015, la legge  n. 173 proponeva un altro passo avanti: “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”
A questo punto restavano (e restano) altri settori scoperti per cui vale la fondamentale espressione che ho evidenziato nell’appello dei giuristi trascritto in partenza (appello di cui in calce si trova il link che consente di raggiungerlo)
Queste bambine e questi bambini esistono. Il Legislatore non può cancellarli, non può voltarsi dall’altra parte, ignorandone le esigenze di protezione”.
E’ chiaro che i giuristi (magistrati ed avvocati) considerano i bambini che conoscono nell’esercizio della loro professione e che, nel caso di piccoli soggetti possibili della stepchild adoption, sono protetti  dalla esposizione di sé che hanno fatto i loro papà e le loro mamme. I figli dei sans papier che nascono in Italia (cui dal 2009 è negata la garanzia del certificato  di nascita) vengono nascosti, non hanno possibilità di incontro con i professionisti della giustizia.

Dovrebbero farsene carico la ‘politica’ e la società civile ma, finché si continuerà a pensare ai figli come appendici dei genitori, classificando gli uni, classificheremo, in maniera tanto nefasta quanto incivile, gli altri, godendo di un ampio consenso anche della cultura che si dichiara cattolica  e che si è resa cinicamente disponibile a strumentalizzare i bambini per favorire il rigetto dell’istituto della stepchild adoption.
Il suo cinismo le ha consentito anche un laico conforto. Infatti l’Unicef nel suo rapporto del 2013, ora tradotto anche in italiano, elenca puntigliosamente i paesi in via di sviluppo che non hanno anagrafe (e promuove campagne perché quei bambini abbiano un certificato di nascita) ma finge di ignorare l’Italia che ha ben circoscritto e definito  coloro che possono nascere ma non devono esistere..

Mia considerazione con risvolti liturgici

Il 3 gennaio la liturgia celebra il nome di Gesù, che san Paolo dice essere «al di sopra di ogni nome» (lettera ai Filippesi 2, 9). Pochi giorni prima, a Natale, siamo stati chiamati a onorare ben altro protagonista, un nuovo bambino, intrufolato fra suoni frastornanti di mercati, mercatini e bancarelle.
Eppure, se vogliamo pensare a un Dio che, incarnatosi, si è fatto uomo, lo dobbiamo accettare anche con la fragilità di un bambino. Giuseppe, che era conosciuto come suo padre (e aveva già salvato la sua sposa, misteriosamente madre, dalla pena riservata alle adultere), l’aveva chiamato Gesù. Appena nato, il piccolo Gesù si era trovato in pericolo, minacciato da un sovrano fantoccio presto rivelatosi infanticida.
Suo padre l’aveva protetto, nascondendolo in una terra lontana.
Anche oggi in Italia ci sono bambini che vengono nascosti perché la legge nega loro il nome, trasformando il certificato di nascita loro dovuto in una minaccia. Così si è deciso sei anni fa e oggi, se vengono dichiarati all’anagrafe del comune che li deve registrare, quei bambini svelano la situazione dei loro genitori, privi di permesso di soggiorno e obbligati a dichiarare la propria irregolarità per garantire ai propri bambini il certificato di nascita. Il rischio si fa minaccia, voluta ed evidente. Eppure la registrazione del nome è necessaria per esistere giuridicamente.
È su questa contraddizione fra segni dei tempi, che richiamano anche alla giustizia, e «nuove forme di schiavitù sociale e psichica», che già la costituzione conciliare Gaudium et spes aveva richiamato l’attenzione.
Posso sperare che in qualcuna delle nostre chiese il 3 gennaio, qualcuno si sia fatto voce udibile anche nella società civile per assicurare accanto al nome di un Bambino, misterioso ma non lontano, quello di bambini che ne vengono privati? E non prevalga chi ne approfitta per creare la paura che rende l’uomo schiavo del più ingiusto dei poteri, talmente ingiusto da trasformare le creature più fragili e più degne di protezione in una minaccia?

FONTI:
fonte delle mie considerazioni sulla continuità affettiva (8 novembre 2015)
https://diariealtro.it/?p=4081
Fonte:  www.notam.it
Fonte del r
apporto UNICEF “Every Child’s Birth Right 2013
Fonte dell’appello dei giuristi
http://www.articolo29.it/2016/appello-dei-giuristi-a-tutela-dei-bambini-si-alla-stepchild-adoption-il-parlamento-non-si-volti-dallaltra-parte-3/

 

14 Gennaio 2016Permalink

9 gennaio 2016. Dal n. 242 di Ho un sogno (dicembre 2015 – Due)

Il corpo delle donne, costante oggetto di contesa

Il 9 dicembre un diffuso quotidiano locale intitolava in cronaca di Udine: “Le mussulmane: sì allo sport ma in palestre senza maschi”. Tutto era partito da un  gruppo di donne che si riuniscono nei locali della scuola media Bellavitis a seguito di una intelligente iniziativa dell’associazione locale La Tela che ha promosso un laboratorio di italiano. Sono donne straniere, ben integrate, che affrontano consapevolmente i problemi dei loro figli, ormai seconda generazione nata, cresciuta e scolarizzata in Italia e hanno trovato una risposta al loro desiderio di acquisire migliori competenze nell’uso della lingua italiana. Gli interventi che si sono susseguiti sul quotidiano hanno giocato fra due possibili, diverse interpretazioni. La prima muove dalla constatazione che l’esercizio fisico delle donne corrisponde ad esigenze diverse da quelle degli uomini, come ben sanno palestre private che offrono iniziative riservate integralmente alle donne e come tali pubblicizzate senza che intervengano obiezioni. La seconda sembra essere una interpretazione ricondotta a motivazioni ‘religiose’, un no ad attività che avvengano in contatto con maschi non familiari. In tal caso sarebbe stato auspicabile un chiarimento della prima notizia, informando l’opinione pubblica che anche l’accesso a strutture sportive in Italia non può avvenire a seguito di un discrimine religioso mentre nulla vieta la creazione di spazi separati, ove necessario, per sesso. Comunque, come ci dice Maria Rosa Loffreda presidente de La Tela, le corsiste hanno semplicemente ragionato sull’importanza dello sport in un processo di integrazione senza nulla chiedere. Il dibattito iniziato il 9 dicembre si è trascinato per alcuni giorni fino ad approdare a un articolo il cui titolo, in luogo di un discrimine, afferma un rifiuto generalizzato, chiosato in forma che lascia perplessi. “No a spazi per sole donne negli impianti sportivi”, recita il 13 dicembre il sullodato quotidiano. Chiariscono le assessore allo Sport, all’Educazione e agli Stili di Vita (Basana) e al Bilancio e all’Efficacia Organizzativa (Del Torre), pur senza rifiutare in assoluto la possibilità di “chiedere uno spazio in palestra e riservarlo alle sole donne” (Basana), che la “Casa delle Donne è aperta da sempre anche agli uomini” (Del Torre). E ancora all’inizio dell’articolo, in un testo non virgolettato riferito all’assessore Basana, è riportata una curiosa considerazione per cui “i diritti di alcuni non possono ledere quelli di altri. Ovvero quelli degli uomini che in quelle ore verrebbero esclusi dagli impianti sportivi”. Chi si è occupato di pari opportunità fin da quando il termine ha fatto la sua comparsa nel linguaggio istituzionale ricorda bene i muri alzati in nome della ‘reverse discrimination’, la discriminazione indiretta che avvantaggerebbe impropriamente il soggetto debole. Ricominciamo aggrappandoci al pretesto religioso di cui, anche in questo caso, c’è chi ha già fatto politico abuso? Augusta De Piero

“El muro devi restar su”,

A Trieste, vicino al Molo Fratelli Bandiera, c’è l’ultimo stabilimento balneare in Italia – ma forse anche in Europa – in cui la spiaggia e il mare sono divisi in base ai sessi, metà per gli uomini e metà per le donne, che accedono al bagno per accessi diversi. Si chiama Lanterna ed è noto come Pedocin (piccola cozza). La storia della Lanterna è iniziata più di un secolo fa, quando Trieste era ancora porto  dell’impero austro ungarico. E’ stato più volte proposto invano l’abbattimento del muro che divide uomini e donne. Anni fa venne fatto anche un referendum e il responso che sanciva il mantenimento del muro fu praticamente plebiscitario. Nel 2009 il bagno è stato interamente ristrutturato e riportato alle sue sembianze originarie e, come allora, resta inamovibile la divisione per sessi, difesa in nome di una dichiarata scelta di libertà, una possibilità in più per le bagnanti (e specularmente i bagnanti) di fare quello che vogliono.

NOTA
Ho scritto quanto precede per Ho un sogno turbata dall’uso fatto dalla locale informazione in merito al fatto che signore di origine nord africana e non solo (e perfettamente inserite nel quartiere udinese di via Di Giusto) esprimessero un proprio parere sulla positività di una disponibilità della palestra per attività al femminile. Ho riportato brevi citazioni delle dichiarazioni di due assessore del comune, pubblicate virgolettate dalla stampa locale, che mi hanno lasciato sgomenta.

9 Gennaio 2016Permalink

8 gennaio 2016 – Inconsapevoli o spietati?

Non ho voglia di scriverne ma ho deciso che nel mio blog resti memoria di una notizia locale proposta dai mezzi di informazione con leggerezza incosciente (e secondo me con pesante sottovalutazione)  che voglio trasferire solo per dire che io oggi mi sento spettatrice sconvolta dell’abiezione che ha trovato radici anche vicino a me.
Pensavo che dopo quello che è accaduto in Germania la notte di Capodanno  (e che abbiamo conosciuto tanto lentamente da far pensare a una volontà di occultamento) l’Europa avrebbe saputo finalmente reagire con la dignità che le consente una storia lunga, difficile, controversa ma che sul piano della costruzione di principi di civiltà ha molto da dire.
Invece … leggo che in un piccolo comune alle porte di Udine la sera dell’Epifania è stato dato fuoco a un tradizionale falò, uno di quelli che da noi sono chiamati pignarûl, e che probabilmente si ricollegano ad antichi riti di luce propri del solstizio d’inverno.
Tutto normale …purtroppo no.
Sulla cima di quel pignarûl era stato messo un pupazzo che, nelle intenzioni degli organizzatori, doveva rappresentare un fantoccio dell’Is. La stampa ce ne offre anche la fotografia che non cercherò di scaricare e che mai proporrei ad alcuno perché a me ha fatto venire in mente antichi e non  troppo antichi roghi suggerendomi la continuità con le pagine più buie della storia d’Europa.
La presa di distanza dignitosamente espressa dal sindaco del paese non mi basta (anche se so che altro non poteva fare).
Non provo paura ma vergogna: è successo vicino a casa mia.
Se questo è il modo di reagire a ciò che ci minaccia, forse sempre più da vicino, la speranza diventa una scelta faticosa e non c’è appoggio per una necessaria fiducia..

8 Gennaio 2016Permalink

7 gennaio 2016 – Dal n. 242 di Ho un sogno (dicembre 2015 – Uno)

Antichità accogliente
Al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia sono esposti otto reperti del museo del Bardo di Tunisi, dove il 18 marzo 2015 un gruppo di terroristi fondamentalisti, provocò una strage che costò 22 vittime. L’obiettivo di questa mostra, che si intitola ‘Archeologia ferita ’ è quello di tenere in vita, opponendosi ad ogni scontro di civiltà, la memoria storica dell’umanità che si vuole distruggere..
Aquileia, grande porto adriatico dell’antichità e riferimento di commerci mediterranei in particolare con il vicino e medio oriente, ha conosciuto allora la convivenza tra romani, giudei, greci, alessandrini, nord africani e oggi è patrimonio mondiale dell’Unesco.
A sottolineare il significato dell’ospitalità archeologica all’ingresso è stata trascritta una  lastra funeraria di un africano morto ad Aquileia fra la fine del IV e la metà del V sec. d. C. che si trova al Museo Paleocristiano di Aquileia.
Qui giace il forestiero Restituto.
Era venuto dall’Africa per vedere questa città (Aquileia)
Da qui desiderava tornare là dov’era nato, ciò tanto più fu crudele, in quanto non poté rivedere nessuno dei suoi.
(Qui però) aveva trovato molto di più che non i suoi propri genitori.
Ormai non era più forestiero come era venuto, così da essere (considerato) come uno di loro.

stele-cavaliere-dettaglio-©-gianluca-baronchelli-150x150La  scultura – sempre proveniente dal Museo del Bardo –
racconta una storia parallela a quella scelta come
‘ingresso’ alla mostra: è la stele funeraria di un cavaliere
proveniente dalla Gallia e morto in Africa.

 

 

E non solo antichità:  Accomunati dall’eterno riposo  
Trieste_cimitero mussulmanoSempre a Trieste, nel cimitero cattolico di Sant’Anna, sono presenti anche cimiteri di altre confessioni religiose, quelli serbo, greco, ebraico, evangelico, anglicano e l’ex-cimitero militare. Non manca neppure un piccolo cimitero musulmano che risale al 1849.
La sua particolarità è innanzitutto quella di essere l’unico cimitero interamente musulmano in Italia: si tratta di un’eredità del passato asburgico della città e dei rapporti diplomatici tra l’impero austro-ungarico e quello ottomano
E’ presente la camera mortuaria e sopra l’edificio c’è una cupola con in cima una mezzaluna e, accanto, un pozzo da cui attingere l’acqua per il lavaggio rituale dei defunti.
Queste concrete manifestazioni di rispetto interculturale sono un’eredità che fa risaltare la limitatezza di certe attuali polemiche.

7 Gennaio 2016Permalink

2 gennaio 2016 – Entra in vigore l’accordo tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina firmato lo scorso 26 giugno

Entra in vigore l’accordo tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina firmato lo scorso 26 giugno. Lo ha comunicato oggi il Vaticano spiegando che «la Santa Sede e lo Stato di Palestina hanno notificato reciprocamente il compimento delle procedure richieste per la sua entrata in vigore». L’intesa è arrivata dopo 15 anni dall’ accordo base tra la Santa Sede e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) che era stato firmato il 15 febbraio 2000 e che ha costituito il punto di partenza dei negoziati.

Il testo: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/06/26/0511/01117.html#com

Il precedente all’ONU

La prima bandiera palestinese all’Onu

01 ottobre 2015 09:43

Il 30 settembre 2015 è stata issata per la prima volta la bandiera della Palestina al palazzo delle Nazioni Unite. La cerimonia si è svolta durante il discorso del presidente palestinese Abu Mazen di fronte all’assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il 10 settembre del 2015, l’assemblea ha votato in favore di una mozione che permette anche alle bandiere degli stati osservatori (dal 2012 Palestina e Città del Vaticano) di sventolare insieme ai vessilli dei 193 paesi membri dell’Onu. I paesi che riconoscono la Palestina come stato sono 135.

http://www.internazionale.it/notizie/2015/10/01/bandiera-palestina-onu-foto

I

2 Gennaio 2016Permalink

1 gennaio 2016 – Calendario di gennaio

1 gennaio 1948   –  Italia, entra in vigore la Costituzione
1 gennaio 1959      Inizio della rivoluzione cubana
2 gennaio 2016   –  Entra in vigore l’accordo fra la Santa Sede e lo stato di Palestina    firmato il 26 giugno 2015
4 gennaio 2005      La Corte Suprema del Cile autorizza il processo a Pinochet
5 gennaio 1942   –  Morte di Tina Modotti
5 gennaio 1964   –  ‘Cosa nostra’ uccide il giornalista Giuseppe Fava
6 gennaio 1980   –  Assassinio del presidente della regione Sicilia, P. Mattarella
6 gennaio 1992      Il Consiglio di sicurezza dell’ONU condanna all’unanimità Israele per la   deportazione di Palestinesi (risoluzione n. 726)
7 gennaio               Natale ortodosso e copto
7 gennaio 2015      Parigi, attacco a Charlie Hebdo
8 gennaio 1642      Morte di Galileo
8 gennaio 1913      Sudafrica: Nasce l’African National Congress
8 gennaio 2015      Romero è riconosciuto ‘martire’ dalla chiesa cattolica
10 gennaio 1948     Prima assemblea generale delle Nazioni Unite a Londra
11 gennaio 1947     Scissione di Palazzo Barberini (nascita Psdi)
11 gennaio 2014     Morte di Ariel Sharon
12 gennaio 1948     La Corte Suprema USA dichiara l’uguaglianza fra neri e bianchi
14 gennaio              Capodanno ortodosso e copto
14 gennaio 2011     Tunisia, cade il regime di Ben Alì
15 gennaio 1929     Nascita di Martin Luther King
15 gennaio 1993     Arresto di Totò Riina
16 gennaio 1992     Firma degli accordi di pace in El Salvador
17 gennaio 1961     Congo, assassinio di Patrice Lumumba
17 gennaio 1991     Inizia la prima Guerra del Golfo
18 gennaio 1919     Luigi Sturzo fonda il Partito Popolare Italiano
19 gennaio 1969     Praga, morte di Jan Palach
20 gennaio 1996     Arafat eletto presidente dell’Anp
21 gennaio 1924     Morte di Lenin
25 gennaio  2015    Rapimento di Giulio Regeni
26 gennaio 1564     Pubblicazione delle conclusioni del Concilio di Trento
27 gennaio              Giornata mondiale in memoria delle vittime della Shoa
30 gennaio 1948     Assassinio di Gandhi
31 gennaio 1929      L’Urss esilia Lev Trotsky
31 gennaio 2015      Sergio Mattarella, dodicesimo presidente della repubblica

1 Gennaio 2016Permalink

28 dicembre 2015 – Vent’anni fa: da delitti contro la morale a delitti contro la persona

Il 26 dicembre non uscivano i quotidiani ma una giornalista competente si è ricordata (e ne ha scritto il giorno successivo) che nel 1965 proprio quel giorno era stata rapita una giovanissima ragazza di Alcamo il cui coraggio sarebbe stato determinante per modificare il codice penale.
Per quella modifica ci vollero trent’anni.
Infatti solo il 15 febbraio del 1996 fu approvata la legge n. 66, “Norme contro la violenza sessuale” che dispose lo spostamento dei delitti sessuali da delitti contro la moralità pubblica e il buon costume a delitti contro la persona.
Furono trent’anni di impegno costante e di rapporto fra una società civile consapevole e parlamentari capaci di una responsabile ed efficace attività veramente politica.

26 dicembre- Franca Viola: “Io, che 50 anni fa ho fatto la storia con il mio no alle nozze riparatrici”
Nel ’67 rifiutò di sposare l’uomo che l’aveva violentata. Il suo coraggio cambiò il codice penale.
“Mai avere paura di lottare” di CONCITA DE GREGORIO

ALCAMO. È di nuovo Natale a casa Viola. In sala da pranzo finiscono il dolce e i racconti il marito, Giuseppe, i due figli, Sergio e Mauro, le nuore. L’unica nipote, tredici anni, è appena uscita per raggiungere gli amici. Una ragazzina bellissima, Sonia: bruna e bianca come sua nonna Franca. “Ha visto com’è cresciuta? Mi ricordo che dieci anni fa, quando lei signora venne a trovarmi, mi trovò che pulivo le scale, di fuori, e quando la feci entrare in soggiorno c’era il triciclo della bambina e i suoi giocattoli a terra. Che vergogna questo disordine, pensai. Ancora me ne dispiaccio. Lei è l’unica giornalista che ho fatto entrare in casa mia, lo sa? Non lo so perché: certe volte è una parola, uno sguardo. Una cosa piccola, è quella che cambia”.

Non c’era nessun disordine signora Franca, solo il triciclo di una bambina. “Sonia adesso ha la stessa età di quando mi sono promessa a suo nonno Giuseppe. La vita è un lungo attimo. Mi somiglia moltissimo: quando a scuola hanno chiesto le foto dei nonni le ho dato la mia alla prima comunione e la maestra ha detto ‘Sonia, avevo chiesto la foto di tua nonna non la tua’. Ma questa è mia nonna, è Franca Viola… Mi rende così felice che sia orgogliosa di sua nonna. Certo che la sa la storia, sì, gliel’ho raccontata io ma non ce ne sarebbe stato bisogno. Sta su Internet, mi cerca lei tutte le notizie. Io non so usare il computer, neppure riesco a vedere i messaggi nel telefono. Però c’è lei che fa tutto. Le ho solo detto, in più: l’importante Sonia è che tu faccia quello che ti dice il cuore, sempre. Poi certo, bisogna che le persone che ti amano ti aiutino e non ti ostacolino, come è successo a me con mio padre e mia madre. Ma lo sa che sono passati cinquant’anni dal fatto?”. Il fatto, lo ha sempre chiamato. “Chi se lo poteva immaginare che sarebbe stata una vita così”. Così come? “Così bella. Perché poi la storia grande nella vita delle persone è una storia piccola. Un gesto, una scelta naturale. Io per tantissimi anni non mi sono resa conto di quello che mi era successo. Quando mi volle vedere il Papa, il giorno del mio matrimonio, chiesi a mio marito: ma come fa il Papa a sapere la nostra storia, Giuseppe?”.

“Per me la mia vita è stata la mia famiglia. Stamattina sono andata a trovare mia madre, che vive qui accanto, da sola. Ha 92 anni, è lucidissima. Per prima cosa mi ha detto: Franca, ti ricordi che giorno è oggi? È il 26 mamma, sì. Per lei il 26 dicembre è il giorno del mio rapimento e il giorno della morte di mio padre. Lo sa che mio padre è morto 18 anni dopo il mio rapimento, lo stesso giorno alla stessa ora? È stato in coma tre giorni, io pensavo: vuoi vedere che aspetta la stessa ora. E infatti: è morto alle nove del mattino, l’ora in cui entrarono a casa a prendermi. Ha aspettato, voleva dirmi: vai avanti”.

Cinquant’anni fa, alle nove del mattino, Franca aveva 17 anni e 11 mesi. Era la ragazza più bella di Alcamo, figlia di contadini. Filippo Melodia, nipote di un boss, la voleva per sé. Lei si era promessa a Giuseppe Ruisi, un coetaneo amico di famiglia. Melodia e altri dodici della sua banda bussarono alla porta e rapirono lei e il fratello Mariano, 8 anni. Li portarono in un casolare in campagna. Dopo due giorni lasciarono andare il bambino, dopo sei portarono Franca a casa della sorella di Melodia, in paese. La legge diceva, allora, all’articolo 544 del codice penale, che il matrimonio avrebbe estinto il reato di sequestro di persona e violenza carnale. Reato estinto per la legge, onore riparato per la società. Doveva sposare Melodia, insomma: era scritto. Ma Franca non volle. Fu la prima donna in Italia – in Sicilia – a dire di no alla “paciata”, la pacificazione fra famiglie, e al matrimonio riparatore. Ci fu un processo, lungo, a Trapani. Lei lo affrontò. Un grande giudice, Giovanni Albeggiani.

I sequestratori furono tutti condannati. Melodia è morto, ucciso da ignoti con un colpo di lupara, molti anni dopo. Gli altri sono ancora lì, in paese. «Quando li incontro per strada, capita, abbassano lo sguardo. Non fu difficile decidere. Mio padre Bernardo venne a prendermi con la barba lunga di una settimana: non potevo radermi se non c’eri tu, mi disse. Cosa vuoi fare, Franca. Non voglio sposarlo. Va bene: tu metti una mano io ne metto cento. Questa frase mi disse. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro. Mi riportò a casa e la fatica grande l’ha fatta lui, non io. È stato lui a sopportare che nessuno lo salutasse più, che gli amici suoi sparissero. La vergogna, il disonore. Lui a testa alta. Voleva solo il bene per me. È per questo che quando ho letto quel libro sulla mia storia, “Niente ci fu”, mi sono tanto arrabbiata. Non è quella la mia storia, per niente. Mio padre non era un padre padrone: era un uomo buono e generoso. Lo scriva». Lo scrivo. «Perché poi vede, il Signore mi ha dato una grazia grande: non ho mai avuto paura di nessuno. Non ho paura e non provo risentimento». Intende risentimento per chi la rapì? «Né per loro nè per nessun altro dopo. Sono stati molti altri i dolori della vita, ma di più sono state le gioie. Ho un marito meraviglioso. Nei giorni del processo e anche dopo mi arrivarono tante proposte di matrimonio, per lettera. Giuseppe però mi aveva aspettata. Io non volevo più maritarmi, dopo. Gli dicevo: sarà durissima per te. Ma lui mi ha detto non esistono altre donne per me, Franca. Esisti tu. Sono arrivati i figli, mio padre ha fatto in tempo a vederli e vedermi felice. Poi c’è stata la malattia di Sergio: temevo che morisse. Quando nel 2014 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto darmi il titolo di Grande ufficiale ho pensato ecco, una persona ora la conosco. E ho chiesto aiuto per curare Sergio. Ma non è servito a niente. Mi hanno dato il numero di un medico, dal Quirinale, poi questo medico non rispondeva e quando sono andata a Roma con mio figlio, ad agosto, mi hanno detto che era in ferie. Ho lasciato stare e ho fatto da sola. Un difetto si ce l’ho: l’orgoglio. Il Signore spero mi perdoni».

Il 9 gennaio Franca Viola compirà 69 anni. Nella sua vita ha visto abolire la norma del codice penale sul matrimonio riparatore. Ha visto nel 1996, solo 20 anni fa, la legge che fa dello stupro un reato contro la persona e non contro la morale. Si è vista riprodotta in foto, con grande incredulità, sui libri di scuola. «Il primo è stato Sergio. Era alle medie, mi ha detto: mamma sul mio libro c’è una tua foto da ragazza. Come mai? Gli ho raccontato. Un poco, certo, non tutto. Certe cose non si possono raccontare. Ma altre sì: che ciascuno è libero fino all’ultimo secondo, che tutto quello che dipende da te è nelle tue mani. Questo ho potuto spiegare ai miei figli e adesso a mia nipote. Sonia è una ragazzina del suo tempo. Vorrebbe fare l’attrice, mi fa sorridere: mi dice nonna, ma tu non conosci nessuno che mi possa insegnare a recitare? Le dico amore mio, impara da sola. Ciascuno si fa con le sue mani. I fatti grandi della vita, glielo ripeto sempre, mentre accadono sono fatti piccoli. Bisogna decidere quello che è giusto, non quello che conviene».

E per se stessa, Franca? Cosa si augura, ancora? «Di vedere guarito del tutto mio figlio. Di avere altri Natali con mio marito, con Sergio e Mauro, le loro mogli. Che ci sia un mondo meno ostile, meno feroce tutto attorno a noi. Perché è peggiorato, il mondo, sa, in questi anni. Però ora vedo questo Papa e sì, ecco, un desiderio ce l’avrei. Quando andai da Paolo VI ero giovane, tante cose non le capivo. Adesso che sono vecchia mi piacerebbe andare da Papa Francesco e consegnare a lui i miei ringraziamenti al Signore per la vita meravigliosa che mi ha dato. Ma lo faccio qui, se me lo consente lo faccio attraverso di lei. Ho il peccato dell’orgoglio, è vero, ma non quello della presunzione. Il Papa non può certo conoscere una storia così vecchia, una piccola storia siciliana. Come fa. Ha tantissime cose molto importanti da fare, in tutto il mondo. Un compito enorme. Infatti lo penso e lo prego. Tanto, prego per lui».

http://www.repubblica.it/cronaca/2015/12/27/news/_io_che_50_anni_fa_ho_fatto_la_storia_con_il_mio_no_alle_nozze_riparatrici_-130210807/?ref=HREC1-4

28 Dicembre 2015Permalink

24 dicembre 2015 – Buon Natale da Pontoglio (Lombardia)

pontoglio

Pontoglio: anche il prete contro i cartelli stradali, “avete il cuore pieno di marciume”

Parole pesantissime, come un macigno. Sono le parole di don Angelo Mosca, parroco di Pontoglio dal 2008: in chiesa, domenica mattina, ha voluto dire la sua – o meglio, la posizione della chiesa cattolica – sul tema dei cartelli stradali in cui a caratteri cubitali, e su sfondo marrone, si viene invitati ad allontanarsi dal paese – definito “a Cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana” – chinque non intenda “rispettare la cultura e le tradizioni locali”.
Le parole del prete, benzina sul fuoco. Che si sommano alle polemiche infinite – anche degli stessi pontogliesi, più di un centinaio le firme raccolte in poche ore per chiedere la rimozione di quei cartelli – che avvolgono la contestata decisione del sindaco Alessandro Seghezzi. Don Angelo, senza fare nomi, in chiesa attacca “coloro che si lavano le mani sbandierando tradizioni, ma con il cuore pieno di marciume”.
E ancora: “Le porte aperte, e non chiuse, sono il messaggio di Dio. Gesù augura la pace a tutti gli uomini, e non a chi appartiene a una sola cultura. Questo è un messaggio distorto, l’uso strumentale del Vangelo per ideologie e secondi fini. Utile ai falsi profeti che predicano la divisione, e non l’unità”.
In conclusione: “La chiesa è misericordia. Dio non è una tradizione, Dio è per sempre”. La notizia dei cartelli intanto ha fatto il giro d’Europa: ne ha scritto anche il Telegraph. Che parlando di Lombardia cita anche la ‘Northern League’, la Lega Nord: “Il partito di destra che guadagna voti con la sua retorica anti-immigrati e anti-rifugiati”.“

Fonte:
http://www.bresciatoday.it/politica/pontoglio-cartelli-stradali-polemiche-chiesa.html

Il quadro regionale di riferimento
La Lombardia approva norma anti-accoglienza: penalizzati gli albergatori che ospitano rifugiati
I gestori che utilizzano gli hotel per «fini non turistici» esclusi dai bandi della Regione. L’emendamento alla legge elettorale voluto dalla Lega. 

fonte: http://www.lastampa.it/2015/09/16/italia/politica/la-lombardia-approva-la-norma-antiaccoglienza-penalizzati-gli-albergatori-che-ospitano-migranti-FGtLjPRPrbSu7ms9377LjJ/pagina.html

 

24 Dicembre 2015Permalink