14 ottobre 2014 – Gli alpini tutelano una storica caserma

Non riesco a commentare questo articolo con parole mie, mi limito a riprenderlo dal link che ho identificato e a proporre qualche nota poco più che linguistica..

Gli alpini: no ai profughi in caserma a Tarvisio                                      13 ottobre 2014

Per il presidente del gruppo Ana Udine sud: la Lamarmora è un luogo simbolo della storia della Julia di Giancarlo Martina

TARVISIO. «Consideriamo quanto meno irriverente destinare la gloriosa caserma Lamarmora di Tarvisio a centro di raccolta – temporaneo o permanente che sia – dei tanti profughi che cercano asilo in Italia». Il pensiero di Antonino Pascolo, responsabile del gruppo Alpini Udine Sud. «Sicuramente – spiega – sono persone che necessitano d’aiuto, che fuggono da conflitti e miserie per mettere in salvo le proprie vite e quelle dei loro congiunti, tra i quali tanti bambini (1).

E come alpini condividiamo questo spirito di solidarietà, è uno dei fondamenti della nostra associazione, l’Ana. Ma, e penso di interpretare il pensiero di tanti alpini che son passati per Tarvisio, trasformare in “parcheggio” (2) uno dei simboli della Julia, una delle caserme più spiccatamente alpine, dove centinaia di migliaia di giovani italiani hanno fatto il servizio militare, dove innumerevoli ufficiali e sottufficiali hanno prestato servizio e molti hanno posto le basi di importanti carriere (3), ci fa storcere il naso».

«Viene alla mente, poi – aggiunge Antonino Pascolo -, quanto accaduto ad altre strutture militari, utilizzate negli anni passati come centri di raccolta di clandestini e profughi: l’inidoneità degli immobili e le carenze logistiche, sommate al posizionamento estremamente remoto e disagiato, hanno deturpato questi luoghi, seminando il degrado a discapito della dovuta memoria storica che andrebbe invece attribuita alle vecchie caserme alpine». «Non si tratta di banali e nostalgici pensieri, anzi: si fa un gran parlare di rievocazioni per il Centenario della Grande Guerra  e Tarvisio c’entra indirettamente con quel conflitto.

E’ la storia che ne è seguita, dall’Unità (4) in poi, che ha sancito un’indissolubile significato storico e affettivo, nazionale, di valore alpino. Valore alpino – conclude il capogruppo -, del quale si sente sempre più necessità, che richiede rispetto in forme concrete».

Pensiero del tutto condiviso dal maresciallo degli alpini in pensione Angelo Zanetti. «La caserma Lamarmora ha una storia importante, ricordo che nei primi anni dopo la fine della guerra, dal 1945, fino all’arrivo del battaglione L’Aquila era ospedale da campo, poi, in anni più recenti ha ospitato il Gemona che da li è partito per importanti missioni, come in Bosnia e l’8° alpini.

E’, dunque, una struttura da preservare e da valorizzare – dice convinto Zanetti -, ma con quella destinazione che si vuole darle si va dalla parte opposta. Il suo degrado, purtroppo, essendo stata utilizzata solo in parte da più anni, è già in corso, ma sono convinto che avrebbe potuto continuare ad essere sede di corsi estivi e invernali di reparti dell’esercito”. E in conclusione Angelo Zanetti afferma che è convinto che la struttura, “Troverebbe, senz’altro maggiore dignità se trasformata in villaggio turistico (5)

NOTE:

1 Il richiamo ai bambini profughi e sopravvissuti a una fuga terribile sottolinea il significato di una presenza che determina  un degrado per la dignità di luoghi altrimenti valorizzabili come villaggio turistico  (vedi nota 5.i

2 Il ricovero è degradato a ‘parcheggio’ qualora vi vengano collocati esseri umani. Meglio carri armati che possano sottolineare la sacralità di così onorande mura! 

3 Il luogo dove si sono radicate le basi di carriere militari verrebbe minacciato dai profughi e in particolare dai bambini non a caso menzionati al primo paragrafo. Molti anni fa un sovrano tentò di liberarsi da un  rischioso infante eliminando tutti i suoi coetanei, ma quello più pericoloso gli sfuggì..

4 La grande guerra prima dell’Unità (identificata come storia che alla Grande Guerra è seguita). Normalmente si parla di unità d’Italia in  coincidenza con l’attribuzione di titolo regio a Vittorio Emanuele II di famiglia sabauda. Qui evidentemente per terminus a quo dell’unità si intende il 1918. E’ una faccenda concettualmente un po’ confusa ma se piace così …

5 Piuttosto che luogo di riparo per profughi meglio un  villaggio turistico. E’ più dignitoso! Dal che si deduce che la dignità non dipende dall’appartenenza alla specie umana ma dal benessere che consente di alloggiare in un villaggio turistico dove ti spiegano anche come si fa a divertirsi, attività certo non consona allo spirito depresso di chi fugge dalla guerra.

Per risalire alla fonte: http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2014/10/13/news/gli-alpini-no-ai-profughi-in-caserma-1.10108553

 

14 Ottobre 2014Permalink

13 ottobre 2014 – UNA VERA BABILONIA. Il Friuli dopo Caporetto 2

Faccio seguito a quanto pubblicato dal mensile Ho un sogno lo scorso mese continuando con alcune testimonianze sull’esodo del 1917.

La guerra nel cuore dei maschi   

Nel numero scorso ci siamo proposti di riprendere passi dei diari pubblicati dagli storici Lucio Fabi e Giacomo Viola nel volume del 1993 ‘Una vera Babilonia’.  Ci riportano le memorie di parroci friulani, spesso unico riferimento per la popolazione dopo lo sfacelo di Caporetto, quando le autorità civili abbandonarono i territori occupati. La solidarietà operante che seppero manifestare non li rende però estranei a una cultura  allora diffusa.

Un anno prima della catastrofe, il 4 novembre 1916, il parroco di Campoformido scriveva, citando un personaggio che diventerà poi significativo nella realtà del cattolicesimo italiano: “Il capitano medico Padre Gemelli tenne uno splendido discorso dimostrando quanto sia nobile e santo il sacrificio della vita per la patria quando è vivificato dalla fede e dalla carità di Gesù Cristo. Dopo la funzione la Giunta Comunale presentò i suoi ossequi e ringraziamenti a Padre Gemelli in canonica”. La dichiarazione prova quanto fosse ambiguo il contesto in cui un anno dopo – il primo agosto del 1917 – la voce del papa Benedetto XV si sarebbe alzata isolata per definire la guerra “inutile strage”. Nel 1914 Giovanni Papini, direttore della rivista letteraria Lacerba, aveva scritto “Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. […] Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre […] La guerra è spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi”.

Una vera Babilonia: le donne, la razza, i pregiudizi  scalarini

Le parole dei parroci si insinuano fra militarismo e dolore e, pur non così grottescamente altisonanti, non rinnegano il pregiudizio diffuso. Nel febbraio 1918 il parroco di Moruzzo, testimoniando la difficoltà della situazione, identifica – associandoli – due fattori di rischio: “sia da parte delle donne, sia da parte delle truppe non vi furono, almeno in questa parrocchia disordini”. E’ un’associazione che, non estranea al contesto sociale, certamente apparteneva alle preoccupazioni del clero anche prima della catastrofe. Scriveva nel 1915 il parroco di Martignacco – dopo aver espresso una grottesca venerazione per il re e la sua famiglia presenti in paese: “Quale il contegno dei soldati addetti alla guardia reale? […]. Non sopprusi, né violenze … ma belli e grossi corazzieri aitanti nella persona, forniti di mezzi anche materiali più degli altri soldati, non influirono certo sulla castigatezza dei costumi. Una mancanza non restava imperdonata giunta all’orecchio del Re; ma si possono fare tante cose al mondo senza che il superiore lo sappia. I fatti purtroppo si conobbero di poi non solo dal numero degli illegittimi; ma peggio ancora dall’abbassamento dei costumi”. E nel 1918, a guerra finita, il parroco di Flambro scrive in un suo ‘bilancio morale’: “Di fatto durante questo sciagurato anno non si ebbero illegittimi, e i tentativi di violenza contro le nostre donne furono rarissimi e sempre superati. E’ bensì vero che due o tre ragazze non diedero il più bel saggio di correttezza nei loro contatti con i soldati nemici. Ma erano sempre quelle e tutto finì lì”.

La preoccupazione per  l’abbassamento dei costumi si fa dileggio senza pietà quando il 30 ottobre del 1918 il parroco di Campoformido osserva la fuga delle truppe austro tedesche:  “Durante l’intera notte vi fu un continuo passaggio verso Udine e Basaldella di autocarri. […] Tutto il giorno passaggio incessante di truppe isolate la maggior parte disarmate e affamate. […] E’ divertente vedere quelle signore con bauli e casse e fagotti sulla strada supplicare piangenti i passanti di lasciarle montare sui carri. Nessuno le accoglie; non era così quando vennero”. E se alle prostitute (spesso vittime coatte dell’organizzazione militare) non è rivolto uno sguardo di pietà altrettanto avviene per le madri che si trovano a reggere il peso dell’organizzazione della famiglia, fino a doversi far carico in solitudine – o al massimo con i parenti anziani – del sostentamento economico. La parola ‘genitori’ che compare nel testo successivo non deve trarci in inganno: gli uomini giovani ancora vivi erano al fronte o prigionieri. Scrive il parroco di Trasaghis il 15 novembre 1917: “Nonostante i ripetuti avvisi miei di custodire i ragazzi (acci) onde non scherzino colle bombe lasciate in quantità dai fuggitivi e con le cartucce e coi fucili, stassera mi is annuncia che un bambino (figlio di … omissis) di anni 8 circa è rimasto ucciso con una bomba a mano ai piedi Naruint. Mi fa compassione l’età e quindi l’inesperienza, ma la trascuranza dei genitori avvisati ripetutamene no e no e poi ancora no. Domani sera funerale … Non è bastato a questi gnocchi lo specchio del mese di gennaio scorso , in  cui 5 altri ragazzi, forse più gnocchi che cattivi lasciavano la pelle a brandelli con una granata fatta esplodere presso il passaggio del Leale per Oncedis”. Questa citazione è tratta da Timp di vuere Il diario del vicario di Avasinis e altre testimonianza sulla Grande Guerra nel territorio di Trasaghis a cura di Pieri Stefanutti, una pubblicazione edita nel 1989 dalla Biblioteca comunale del Comune di Trasaghis con il contributo della legge regionale 15/1987 che prevedeva di sostenere la costruzione di una cultura di pace ricordando certamente il passato ma in un contesto ben diverso da quello che caratterizza molte militarizzate celebrazioni centenarie.

La  Costituzione italiana all’art. 3, nell’elencare gli ostacoli che “limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, avvicina le distinzioni (nell’ordine) di sesso e di razza. Abbiamo considerato sopra alcuni pregiudizi sulle donne che, pur non appartenendo esclusivamente al clero, sono testimoniati nei diari dei parroci, non solo significativa presenza riconosciuta autorevole nei territori occupati, ma anche dotati di certa familiarità con la scrittura in tempi di diffuso analfabetismo. E, in quei diari, compare anche il riferimento alla razza.

Il 2 novembre 1917, al parroco di Campoformido che si lamentava del furto di una carta topografica, un ‘ufficiale germanico’ spiegava, previa consultazione di vocabolario: “Eh! Signor Curato, è la guerra!”. Un anno dopo gli occupanti in fuga ripetevano le razzie per quel poco che era rimasto in canonica e “Si distingue fra tutti l’occhialuto ebreo di Trieste […] zoppo per giunta. Cave a signatis maxime quando sono anche ungheresi”. Il parroco, che non si è fatto mancare neppure il pregiudizio verso la disabilità, respira “Finalmente se ne vanno”. Ma non è finita: “Entro nella cucina tornata mia con profondo sospiro di sollievo. Povero me, ti vedo in un canto l’occhialuto elmo triestino. Ha trovato un bicchiere, un cucchiaino, una forchetta e se li porta via trionfante, Vada, vada, gli dico. Le serviranno per il rancio nella gavetta italiana quando sarà prigioniero a Padova. Mi lancia un’occhiata nella quale leggo tutto l’odio di un ebreo e tutta l’ironia di chi è sicuro di sé. Infatti egli non è né tedesco, né italiano. E’ ebreo e quindi prigioniero di nessuno, ma padrone di tutti”.
Non possiamo dimenticare che l’antigiudaismo fu solido supporto all’antisemitismo che più tardi avrebbe segnato per sempre la storia europea.

13 Ottobre 2014Permalink

9 ottobre 2014 – Lettera aperta al Sindaco di Udine che vuol trascrivere i matrimoni di coppie omossessuali

Egregio prof Honsell sindaco di Udine

mi rivolgo a lei perché non ho titolo né modo per scrivere a tutti i sindaci che hanno rivendicato la loro scelta di trascrivere i matrimoni di persone dello stesso sesso celebrati all’estero. Ha dichiarato di averlo fatto (e che continuerà) poiché non esiste nel nostro ordinamento legge che lo vieti e, di conseguenza, non c’è nessuno che lo possa proibire come vorrebbe invece la circolare annunciata dal Ministro Alfano. Il giurista Stefano Rodotà ha in proposito dichiarato “Il nostro ministro dell’Interno si chiude in una lettura formalistica della legislazione vigente e sfugge ad una precisa responsabilità politica, quella che da anni spetta al Parlamento” (La repubblica 8 ottobre 2014) Anche Lei ha fatto richiamo alla responsabilità del Parlamento e, con sbrigativa efficacia, ha dichiarato in una recente intervista che non ”ci faremo fermare da una circolare amministrativa” Nell’apprezzare la sua posizione, che fa seguito a una pagina di civiltà aperta dai cittadini omosessuali nel dichiararsi tali sfuggendo all’oscurità cui un tempo li condannavano le convenzioni sociali che ne volevano il nascondimento, desidero però porle un problema che, a mio parere, ha forti analogie con quanto ho sopra ricordato. Dal 2009 Lei, come ogni altro sindaco (e spero non ci siano eccezioni) registra la nascita dei figli dei migranti senza permesso di soggiorno non più a norma di legge ma di circolare, trattata questa in forma opposta a quella cui ho fatto riferimento finora. Infatti dal 2009 la legge 94 (all’art. 1 comma 22 lettera g che si può leggere anche nel testo coordinato del Testo Unico sull’immigrazione) prevede che, per registrare gli atti di stato civile – fra cui evidentemente l’atto di nascita – sia necessario presentare il permesso di soggiorno. A pochi giorni dall’approvazione della legge lo stesso ministero dell’interno emanò la circolare che, per la registrazione dell’atto di nascita, dice non essere necessaria la presentazione del permesso di soggiorno. Così fu motivata la scelta della circolare in una risposta ministeriale a interrogazione parlamentare: “La mancata iscrizione nei registri dello stato civile andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio, che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di colui che lo ha generato” La legge esclusiva però è rimasta a garanzia dei sindaci che, ignorando la circolare, possono negare ai nuovi nati la dignità di persone destinatarie delle regole dell’ordinamento giuridico. Che esistano genitori costretti a nascondere i loro figli sia dall’insipienza delle amministrazioni italiane dei comuni dove sono nati, sia dalla paura di vederseli strappare a norma di occhiuta burocrazia, ce lo dice il gruppo CRC per cui “Il timore […] di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori”. Non sia superfluo ricordare che l’acronimo CRC corrisponde a Convention on the Rights of the Child, organizzazione di associazioni italiane che opera al fine di garantire un sistema di monitoraggio indipendente sull’attuazione della Convenzione sui diritti del minore (ratificata in Italia con legge 176/1991). Se fosse approvata la pdl 740, già affidata da più di un anno alla commissione Affari Costituzionali, il problema sarebbe risolto almeno nella sua radice giuridica. In questo momento Lei è stato sollecitato a proporsi come istituzione di frontiera, chiamata ad impegnarsi per diritti di cittadini che hanno finalmente trovato parola e, sia pur contradditorio,  ascolto. Io le chiedo di impegnarsi anche per sollecitare l’approvazione della proposta di legge che assicurerebbe un diritto fondante tutta l’esistenza di chi parola non ha ma necessita del medesimo rispetto e protezione.

Distinti saluti  (firma)

Per non dimenticare il contesto

Il 28 di maggio 2013 (governo Letta) è Ministro dell’Interno l’on. Angelino Alfano, il sostenitore dei ‘valori non negoziabili’, che non impedisce l’espulsione di una minore con la sua mamma. E’ il caso Shalabayeva. Per farne memoria riporto qui il link con un articolo de La Repubblica.

Leggo che domani verrà interrogata dai magistrati di Perugia, non come persona informata sui fatti, ma in qualità di indagata, Stefania Lavore,. Giudice di Pace. Dovrà spiegare la sua versione dei fatti in merito a presunte omissioni contenute nel verbale di espulsione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua, rispettivamente moglie e figlia del banchiere e dissidente kazako Muchtar Ablyazov. Omissioni che, oggi, costano al giudice l’accusa di falso e abuso d’ufficio.

Riscontri
10 ottobre – pubblicata da il Gazzettino
Girata da esponente SNOQ ai propri aderenti

9 Ottobre 2014Permalink

5 ottobre 2014 – In Friuli Venezia Giulia c’è una Garante per i diritti della persona … e parla!

Ho ricevuto la lettera che si trova in allegato, scritta alla commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza dalla Garante regionale dei diritti della persona: Mi ha fatto piacere venir a sapere che un organismo regionale si fa carico del problema della segnalazione della pdl 740, di cui tanto si trova in questo blog.

testo della lettera della Garante

Così ho risposto: 

Gentile dr. Mellina Bares, La cortese dr. D’Orlando mi ha inviato copia della sua lettera alla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza su cui  mi permetto, per la personale conoscenza che ho del problema alcune precisazioni. Lieta del sostegno da Lei manifestato alla pdl 740 e della consapevolezza espressa relativamente al danno che una persona subisce se privata (e a tanto in Italia provvede la lettera g del comma 22 dell’art. 1) della registrazione della nascita, sento però il dovere di alcune precisazioni.

Lei scrive che il ‘rischio paventato’ di mancata registrazione anagrafica ‘non ha trovato probabilmente effettiva realizzazione’ e cita, quale elemento di tutela dei nuovi nati, la circolare datata 7 agosto 2009 (cui fa riferimento con il n. 0008899). Il 23 aprile scorso l’avvocato Fachile, membro della Associazione Studi Giuridici Immigrazione, esprimeva alla radio tutta la sua consapevole preoccupazione (trasmissione Tutta la città ne parla – radio 3  – Rai). Le allego il testo del suo intervento che ho trascritto. Inoltre, per ciò che riguarda il problema specifico, il gruppo Convention on the Rights of the Child – CRC (http://gruppocrc.net) – così scrive nel suo quinto rapporto 2011-2012, lamentando la scarsa conoscenza della circolare da lei citata: “Il timore […] di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori.

Pur non esistendo dati certi sull’entità del fenomeno, le ultime stime evidenziano la presenza di 544 mila migranti privi di permesso di soggiorno. Questo può far supporre che vi sia un numero significativo di gestanti in situazione irregolare” (cap.3.1).

E ancora, dopo aver ripetuto tali considerazioni nel successivo e sesto rapporto, nel settimo e più recente pubblica la seguente raccomandazione del comitato ONU, che parzialmente riporto sempre dal cap. 3.1 “Il Comitato ONU è preoccupato per le restrizioni legali e pratiche al diritto dei minorenni di origine straniera di essere registrati alla nascita. In particolare, il Comitato esprime preoccupazione per come la L. 94/2009 sulla pubblica sicurezza renda obbligatorio per i non cittadini mostrare il permesso di soggiorno per gli atti inerenti il registro civile. Il Comitato [..], raccomanda all’Italia: di assicurare che l’impegno sia onorato tramite la legge e facilitarlo registrazione alla nascita di tutti i bambini nati e cresciuti in Italia”

Voglio aggiungere – a riprova della constatata inefficacia della circolare – che è di mia conoscenza una informazione errata, diffusa dal 2009 – successivamente all’approvazione della legge 94/2009 – e contenuta in un dépliant informativo dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine che indicava il permesso di soggiorno fra i documenti da presentarsi per la registrazione di nuovi nati che poteva e può essere eseguita nell’ambito ospedaliero. A seguito di mia personale segnalazione il dépliant veniva ritirato e l’anno successivo ripubblicato corretto. Con una cortese lettera il Direttore dell’Azienda mi informava non essere mai stati frapposti ostacoli alla registrazione delle nascite ma resta il fatto che per più di quattro anni l’opinione pubblica aveva ricevuto un’informazione distorta da fonte autorevole. Considerando che ci sono gestanti che scelgono (secondo la testimonianza dell’autorevole gruppo CRC) il parto nascosto a domicilio non è difficile evincere l’urgenza della modifica legislativa da Lei stessa sostenuta. Permetta però a una cittadina italiana, priva di qualsiasi ruolo politico e autorevole nella società civile di affermare con forza che il diritto inalienabile a un’esistenza giuridicamente riconosciuta deve, per la dignità di noi tutti, essere affidato alla legge e non a uno strumento di rango inferiore, quale una circolare che, per sua stessa natura, potrebbe essere revocata senza che vi sia neppure dibattito parlamentare.

Le dichiarazioni dell’avv. Fachile (citato come allegato) si trovano in questo blog in data 6 maggio

Ma non basta. Chi volesse andare nel rinnovato, ottimo sito dell’ASGI e volesse seguire la voce famiglia/minori dell’archivio ben organizzato, retrocedendo al 2009 troverà una voce datata 29 settembre di quell’anno, titolo
“I minori stranieri extracomunitari e il diritto all’istruzione dopo l’entrata in vigore della legge n. 94/2009”

E non basta ancora Se visiterà il testo del cinque agosto troverà un pezzo straordinario scritto sotto forma di appello con il titolo “Dichiarazione di nascita e riconoscimento del figlio naturale da parte di cittadini stranieri irregolarmente soggiornanti dopo la legge n. 94/2009”. Le riporto per intero ricordando che in finale ci sono le firme (parecchie pagine!) a seguito di un appello al Governo e uno alle regioni.

Ecco il sintetico testo: “La legge n. 94/2009 (c.d. “pacchetto sicurezza”) prevede una norma che, se interpretata restrittivamente, potrebbe impedire la registrazione alla nascita dei figli di cittadini stranieri irregolari. L’A.S.G.I. e altre Associazioni, al fine di chiarire che l’obbligo di esibizione del permesso di soggiorno previsto da tale norma non si applica alla dichiarazione di nascita ed al riconoscimento del figlio naturale, in quanto tra le possibili interpretazioni della legge, questa viene ritenutala sola conforme alla Costituzione e agli obblighi internazionali, ha inviato in data 5 agosto 2009 un appello al Governo e alle Regioni al fine di emanare disposizioni attuative” .

Intristita e un po’ disgustata rimando i miei commenti alla prossima volta. Intanto se qualcuno legge ci pensi su!

5 Ottobre 2014Permalink

4 ottobre 2014 – Visti limitati per i cittadini dei paesi dei Balcani Occidentali

Lo scorso mese di settembre Božidar  Stanišić, uno scrittore bosniaco ora cittadino italiano, ha pubblicato su change.org la petizione che riporto.

Il rispetto del principio di libertà di circolazione e del diritto a lasciare il proprio paese non possono venir ignorati. Io ho firmato la petizione e chiunque ne condivida la richiesta lo può ancora fare servendosi del link
http://www.change.org/p/abrogate-il-meccanismo-per-la-reintroduzione-dei-visti

Per motivi che ignoro non ci si arriva con il solito ctrl+clic, né con il semplice clic. Bisogna copiare il link e provvedere al copia-incolla

Il testo della petizione:

Vivo in Italia da più di vent’anni, vengo dalla Bosnia Erzegovina e ora sono cittadino italiano.  Ho considerato con grande partecipazione la politica sviluppata negli ultimi anni dall’Unione Europea per sostenere la graduale integrazione dei paesi dei Balcani occidentali nell’Unione stessa. In questo quadro Serbia, Macedonia e Bosnia Erzegovina godono di un regime agevolato di visti o cosiddetta lista bianca di Schengen.

Lo scorso mese di settembre però il Parlamento europeo, preoccupato dall’aumento delle richieste d’asilo da parte di cittadini provenienti da paese dei Balcani occidentali, ha votato un  meccanismo che rende possibile la reintroduzione temporanea dei visti in casi di emergenza. Tale meccanismo, comunque soggetto a una procedura non automatica, resterà in vigore fino al 2016, quando gli stati membri perderanno il diritto di limitare lo spazio Schengen.

Se il visto venisse imposto alla Serbia, Macedonia e Bosnia Erzegovina oltre a colpire i giovani che si giovano dell’opportunità degli scambi culturali, primo passo verso l’integrazione, e le persone bisognose di cure negli ospedali dei paesi europei, potrebbe offrire spazio ad umori antieuropeisti non immuni da derive nazionaliste.

Ci rivolgiamo a voi, membri del Parlamento europeo, per chiedere che nel tempo che ci separa dal 2016, il meccanismo di ‘salvaguardia’ da presunti abusi nella richiesta eccessiva di visti sia preso in considerazione con l’attenzione dovuta al rispetto del diritto d’asilo e della libertà di movimento che rappresentano fondamentali diritti umani e come tale sia abrogato.

Questa petizione sarà consegnata a: Direttore e portavoce del Parlamento Europeo Jaum

4 Ottobre 2014Permalink

3 ottobre 2014 – La salute dei migranti fra strumentalizzazione e attenzione competente

Dal sito della Società Italiana di Medicina delle migrazioni

Settembre 2014. Tubercolosi e immigrazione. Inutile e pericoloso allarmismo. “Non c’è assolutamente una epidemia di Tbc” e “l’allarmismo non aiuta. È giusto creare l’attenzione sui problemi ma non banalizziamo e cerchiamo di dedicare al tema la giusta attenzione, mettendo in atto una serie di risposte concrete”. È quanto afferma, in una intervista al Sir, Giovanni Baglio, coordinatore scientifico della SIMM (Società Italiana di Medicina delle Migrazioni) e medico epidemiologo dell’Inmp (Istituto nazionale salute, migrazione e povertà), a proposito della polemica in Italia a seguito di un post lanciato sul blog di Beppe Grillo e il relativo hashtag in rete “tbcnograzie” sul rischio Tbc tra i poliziotti che vengono in contatto con i migranti. “Questo degli immigrati che portano le malattie è un vecchio cliché che periodicamente viene riproposto. In realtà è un cliché che non trova conferma dalle statistiche – precisa Baglio rispondendo alle domande di Patrizia Caiffa -. Il  problema della Tbc è assai complesso, quindi è necessario evitare le banalizzazioni e non scatenare gli allarmismi”. Secondo i dati del ministero della Salute forniti dall’esperto c’è stato un aumento assoluto del numero dei casi di Tbc tra i migranti: erano 1.600 nel 2003, sono saliti a 2.000 nel 2009. “Ma se poi questi dati si mettono in rapporto con l’aumento della popolazione straniera in Italia, il tasso di incidenza diminuisce drasticamente: era di 100 su 100.000 abitanti nel 2003, si è addirittura dimezzato nel 2009, con 50 su 100.000. Questo vuol dire che non c’è assolutamente una epidemia di Tbc”. “La Tbc è una tipica malattia che colpisce le classi più povere – spiega Baglio -. È chiaro che il rischio tra gli stranieri, che vivono in situazioni di più elevata marginalità e degrado, è 5/6 volte maggiore rispetto a quello degli italiani. Ricordiamo che le persone possono avere anche solo l’infezione senza la malattia. L’infezione si può curare tranquillamente, e anche la Tbc è curabilissima con un anno-quindici mesi di terapia. Non siamo di fronte a scenari di peste boccaccesca”. Il problema, a suo avviso, si affronta, “con una risposta non allarmistica ma fondata sulle buone pratiche: prevenzione individuale, tutela dei lavoratori impegnati nelle attività più rischiose, per evitare il contagio e gestirlo al meglio, attraverso sorveglianza e screening periodici. Serve uno sforzo costante per la prevenzione e l’accesso ai servizi sanitari da parte della popolazione straniera”. “Abbiamo tutti gli strumenti a disposizione – conclude – usiamoli. L’allarmismo non aiuta. È giusto creare l’attenzione sui problemi ma non banalizziamo e cerchiamo di dedicare al tema la giusta attenzione, mettendo in atto una serie di risposte concrete”.

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Ottobre 2014.

A Brescia un corso SIMM su “Immigrazione e Malattie Infettive”. La maggior parte di chi giunge in Italia è fondamentalmente in buona salute. Si osserva, infatti, il cosiddetto “effetto migrante sano”, una forma di autoselezione all’origine secondo cui decide e può emigrare solo chi è in buone condizioni di salute. Una volta nel nostro Paese, però, gli immigrati vedono progressivamente il loro stato di salute impoverirsi, poiché esposti a molti fattori di rischio legati a condizioni di vita a volte precarie. Molti sono i fattori che condizionano il profilo di salute dei migranti. Prima dell’arrivo nel Paese ospite, questi comprendono l’esposizione a eventuali fattori di rischio (ambientali, microbiologici, culturali, ecc) e l’accesso a servizi sanitari preventivi e curativi nel Paese di origine e/o d’immigrazione intermedia. A questi si aggiungono le conseguenze delle difficoltà fisiche e psicologiche affrontante durante il percorso migratorio. Dopo l’arrivo nel paese ospite, diventano invece rilevanti le condizioni di vita (economiche, ambientali, ecc) e l’accesso ai servizi socio-sanitari. Diversi studi hanno dimostrato come condizioni di vita caratterizzate da marginalità e degrado e uno scarso accesso ai servizi clinici e di prevenzione possono favorire l’insorgenza e lo sviluppo di patologie. Quest’aspetto è particolarmente rilevante per le malattie infettive, patologie che si diffondono più facilmente in condizioni di scarsa igiene e sovraffollamento. L’assistenza sanitaria al cittadino straniero in Italia è regolata da alcune norme nazionali e condizionata da politiche locali. Le buone norme, tuttavia, non bastano a garantire l’accesso ai servizi e alle prestazioni sanitarie. In tutto questo diventa basilare e di primaria importanza la formazione degli operatori sanitari, per un’efficace presa in carico dei migranti. Inoltre, per favorire l’integrazione, diventa sempre più imprescindibile l’informazione-mediazione verso gli stranieri e la comunicazione verso la società ospitante.

3 Ottobre 2014Permalink

29 settembre 2014 – Una petizione che non demorde e forse non è proprio fallimentare.

Riprendo il ragionamento iniziato il 26 con una importante novità.
La petizione ha iniziato settembre, dopo nove mesi dalla sua proposta, con sole 531 firme. Il 25 settembre, ne vengono dichiarate 547, meno di una al giorno. Il 29 al mattino ne conta 573: 26 in 4 giorni. La sera sono 592. Lo scarto diventa di 45 firme in più dal 25 settembre, 9 al giorno. Come mai?
Un’amica mi ha messo in contatto con Anna Luce Lenzi della Scuola di Italiano per stranieri Penny Wirton (Roma). Anna Luce mi ha inviato alcune graziose vignette che chiedevano la firma alla petizione e le firme sono arrivate.
Le sono molto grata. Infatti, fino a quel momento, avevo dovuto strappare le firme una ad una servendomi anche della ‘amicizie’ di fb cui mi ero adeguata con perplessità e fatica allo scopo di poter promuovere la petizione che chiede il riconoscimento della esistenza giuridicamente riconosciuta dei neonati che nascono in Italia, senza discriminazioni relative alla condizione burocratica dei genitori.

Ora, mentre girano le vignette disegnate da Emma Lenzi non devo strappare nulla.
Osservo con meraviglia ciò che accade e rifletto sulle sollecitazioni che colpiscono l’emotività. Mai i miei scritti per spiegare e documentare avevano prodotto nulla del genere. Né a tanto erano arrivati scritti d’altre persone che si erano sforzate di capire e dire. Sono turbata ma non voglio approfondire ora questo aspetto.
Preferisco sperare che l’aumento delle firme agisca sui parlamentari che dovrebbero promuovere il dibattito sulla pdl 740.

Dicono le lettrici
Intanto registro un commento alla mia pagina del 26 (si può leggere anche a seguito di quella ma ci tengo a trascriverlo vista l’eccezionalità dei commenti nel mio blog) e registro anche una breve nota – breve ma significativa- che accompagna una delle firme recenti alla petizione.

Il commento:

«Sembra che questo secolo XXI inneschi un ritorno al passato con l’incremento costante ed esponenziale di azioni e leggi atte a limitare i diritti civili ed a far crescere le discriminazioni togliendo diritti e dignità a chi “possiede di meno” e concedendo qualsiasi diritto a chi “possiede di più”: dignità condizionata dal possesso!!! MENO discriminazioni e paure attiveremo e più facilmente costruiremo FUTURO»

La nota alla firma:
«Come può essere che esistano bambini invisibili? Io insegno ai miei alunni i loro diritti e i loro doveri. Uno dei diritti fondamentali è di “esistere”.  Milena»

Per conosce meglio Anna Luce Lenzi

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Via di San Saba 19, Roma
http://www.eraldoaffinati.it/pennywirton.asp
Su Facebook sotto il nome <Penny Wirton Roma>

Per leggere la petizione copiare su Google:
http://www.change.org/p/laura-boldrini-mai-pi%C3%B9-bambini-invisibili-agli-occhi-dello-stato-italiano

Vignette efficaci  penny 1

29 Settembre 2014Permalink

26 settembre 2014 – Una petizione fallimentare che non demorde

La petizione presentata lo scorso novembre per sollecitare l’approvazione della pdl 740 ha ottenuto solo 547 firme. Ma i diritti sono diritti a prescindere dal loro peso commisurato al numero delle persone che si espongono per sostenerli, non necessariamente e non sempre disposte a sottomettersi alla logica del voto di scambio pur a mio parere dominante. So bene che a volte (ma non sempre per fortuna) le associazioni che si dicono finalizzate alla promozione dei diritti delle persone sono attente invece al consenso che si avvita fra istituzioni e ‘senso comune’. E’ un consenso che può produrre contributi (o almeno notorietà) e quindi la premura a non dare fastidio diventa quasi ossessiva e porta a scelte anche squallide.
Considerato che la proposta di legge (di cui ho pubblicato il testo il 17 giugno 2013) resta proposta ho così scritto alla presidente Boldrini, ai deputati firmatari della pdl 740 e all’on. Kyenge, segnalando un interesse, tanto raro quanto pregevole, di realtà associative, fermo restando il mio rispetto e la mia gratitudine per chi si è impegnato a firme personali. Al solito, per lo sviluppo delle informazioni, rinvio al tag anagrafe nel blog e, in calce, riporterò il sito di change.org da cui è ancora possibile firmare la petizione.

Gentile presidente Boldrini, le scrivo quale prima firmataria della petizione con cui le viene chiesto di garantire, secondo le sue competenze istituzionali, la proposta di legge 740 (primo firmatario on. Ettore Rosato) che è all’attenzione della Commissione Affari Costituzionali da più di un anno. Se approvata cancellerebbe la discriminazione che da cinque anni nega il certificato di nascita ai figli dei migranti privi di permesso di soggiorno. Si tratta di bambini che nascono in Italia cui è negato il diritto, affermato dalle norme internazionali e nazionali, di avere un’esistenza giudicamene riconosciuta con tutto ciò che ne consegue nella vita di una persona e, in particolare, di una persona debole, messa a rischio senza difese non solo dalla violenza che in tanti modi si esercita nella nostra e in altre società ma direttamente dalla legge. Ce lo chiede anche il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia (come riferisce il settimo rapporto della Convention on the Rights of the Child)  facendo esplicito riferimento a quanto previsto dalla legge 94/2009. Pochi giorni fa la petizione è stata firmata anche dal segretario del Movimento di cooperazione educativa che ha accompagnato la sua firma con questo commento: «Gent. Presidente, in qualità di segretario nazionale del MCE-Movimento di Cooperazione Educativa, riteniamo che l’educazione alla convivenza democratica, alla pace, alla mondialità, all’intercultura non possano essere ristretti ai cittadini ufficialmente riconosciuti da uno stato ma a tutti coloro che vi vivono e/o vi sono nati, senza preclusioni. Una scuola inclusiva e democratica presuppone una società inclusiva e aperta. Ringraziando vivamente per l’opportunità, Giancarlo Cavinato». Tale adesione, motivata e consapevole, si accompagna a quanto raccomandato a seguito del recente congresso dalla Società Italiana di Medicina delle Migrazioni: «approvare una legge che garantisca il diritto alla registrazione anagrafica per tutti i figli indipendentemente dalla situazione giuridico amministrativa dei genitori, senza la necessità di esibire documenti inerenti al soggiorno, in modo da evitare che ci siano “nati invisibili” con conseguenze aberranti di ordine sociale e sanitario». Queste voci sono state raccolte anche dalla Associazione Studi Giuridici Immigrazione che il 26 agosto scorso ha scritto in un comunicato pubblicato nel proprio sito web: «L’ASGI sostiene la proposta di legge presentata da un gruppo di Deputati per reintrodurre esplicitamente gli atti di stato civile tra quelli per i quali non è necessaria l’esibizione dei documenti di soggiorno». Non posso naturalmente citarle le parole di singole persone consapevoli che hanno cercato di far sentire la propria voce su questo problema, firmando la petizione e con altri strumenti di cui si sono voluti giovare. Contando sulla sua attenzione, porgo distinti saluti

Augusta De Piero – Udine

https://www.change.org/p/laura-boldrini-mai-pi%C3%B9-bambini-invisibili-agli-occhi-dello-stato-italiano

 

26 Settembre 2014Permalink

23 settembre 2014 – Le nonne di piazza di maggio

Ricopio dal numero di settembre del mensile Ho un Sogno.
Sullo stesso argomento si veda anche il testo del 26 febbraio

27 marzo 1976. La notte delle matite spezzate è il titolo di un film che ricorda il colpo di stato perpetrato dal generale Jorge Rafael Videla in  Argentina – colpo di stato che avrebbe dato luogo a un regime terminato solo nel 1983 con la caduta dell’ultima giunta militare e l’elezione del presidente Raul Alfonsin. Gli anni terribili del “processo di riorganizzazione nazionale” (così la giunta militare definì il proprio governo) furono caratterizzati dal fenomeno dei desaparecidos e fra questi di molti giovanissimi, le “matite spezzate”, appunto, nell’età in cui occupavano – o avrebbero dovuto occupare – i banchi delle scuole. Oggi le nonne ne fanno ancora ricordo in luogo delle mamme che, trascinate in carcere, se incinte venivano ammazzate dopo il parto e l’origine dei loro bambini occultata da “adozioni” che spesso li vedevano consegnati agli assassini e ai torturatori delle madri. Le Abuelas de Plaza de Mayo cercano questi nipoti, incrociando i dati che riescono a raccogliere con test del DNA. Lo scorso 5 agosto la loro presidente, Estela de Carlotto, ha ritrovato il nipote ormai trentaseienne, che avendo dei dubbi sulla propria origine aveva attivato ricerche per suo conto e si era avvicinato alla organizzazione delle Abuelas. Lo chiama Guido perché sa che questa era la volontà di Laura. Guido/Ignacio (questo il nome datogli dalla famiglia adottiva) è il figlio della figlia Laura, ammazzata dopo il parto avvenuto in un centro di detenzione clandestina.  Il suo cadavere (a differenza di altri prigionieri gettati ancor vivi nell’oceano) fu buttato in strada, ritrovato e riconosciuto. Il generale argentino Guillermo Suarez Mason, l’assassino di Laura Carlotto e responsabile del sequestro di suo figlio, fu processato e condannato in Italia perché Laura disponeva di una doppia cittadinanza essendo figlia di un italiano emigrato.La Corte di Assise di Roma lo aveva condannato all’ergastolo il 6 dicembre del 2000 aprendo la strada di una procedura giudiziaria che si concluse il 28 aprile del 2004 con la sentenza della Corte di Cassazione. Numerosi discendenti di emigranti italiani furono coinvolti nel dramma argentino. Nel processo italiano vennero ricordati, insieme all’omicidio di Laura Carlotto e al sequestro del suo piccolo Guido, gli omicidi di Norberto Morresi, Pedro Mazzocchi, Luis Fabbri, Daniel Ciuffo.

 

23 Settembre 2014Permalink

20 settembre 2014 – UNA VERA BABILONIA. Il Friuli dopo Caporetto

Anche il mensile Ho un sogno ricorda la prima guerra mondiale. Ricopio l’ultimo articolo (i precedenti  il 31 maggio e il 3 luglio)

L’esodo dal Friuli dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917) fu terribile ed enorme nelle sue dimensioni. Le autorità statali e l’organizzazione militare, del tutto impreparate ad affrontare le conseguenze della disfatta, abbandonarono completamente la popolazione civile cui non restò che la fuga. Fuggirono tutte le autorità civili, fuggì il vescovo. Restarono molti parroci. Secondo una recente ricerca, su 668 sacerdoti dell’arcidiocesi di Udine solo l’11% scelse la profuganza. Si presentò una situazione da Alto Medioevo perché il clero si trovò ad essere il solo punto di riferimento di una popolazione particolarmente debole (gli uomini in età di combattere erano al fronte) e impossibilitata a far fronte ai saccheggi, agli stupri, a ogni violenza che  la guerra conosce. Nel 1993 la Federazione regionale delle Casse rurali e artigiane del Friuli Venezia Giulia sostenne la pubblicazione di un lavoro degli storici Lucio Fabi e Giacomo Viola, che avevano attinto agli archivi parrocchiali per trovare le testimonianze di chi aveva vissuto quella tragedia e, condividendo la sorte delle vittime, ne poteva dare testimonianza. Scrive il parroco di Moruzzo che già il 20 ottobre 1917 assiste alla fuga dei militari italiani: “I nostri ci lasciano, restiamo in balia del nemico. Iddio ci assista! Il Comandante avea detto: Parroco rimanga al suo posto, la sua presenza tra i parrocchiani sarà preziosa” A volte con il “nemico” è possibile trattare. Lo testimonia sempre lo stesso parroco, che incontra il colonnello della fanteria austriaca acquartieratosi nel castello sovrastante il paese: “Sarà in breve emesso un ordine. Frattanto bisogna che vi ingegnate a nascondere”. Il colonnello sapeva che sarebbe venuta la fame.Il primo novembre il parroco di Campoformido annota: “I soldati entrano nella case e la fanno da padroni. Si assidono e divorano la cena o il pranzo preparato; dormono nei letti cacciandone i proprietari. rubano quanto possono, specialmente polleria, suini e pecore. La mia cantina subisce un salasso di sei ettolitri” “Signor Curato, è la guerra” spiega un ufficiale tedesco dopo aver consultato un vocabolario che portava con sé.

NOTE: La ricerca cui si fa riferimento è il lavoro di Elpidio Ellero, Caporetto, Gaspari Editore, 2013, mentre le citazioni dei diari dei parroci sono tratte da Lucio Fabi Giacomo Viola, Una vera Babilonia, Edizioni della Laguna, 1993

20 Settembre 2014Permalink