20 marzo 2013 – Quando la politica estera ballonzola

da FERRIVECCHI il blog di Amedeo Ricucci

I due marò e lo spread morale  mar 18, 2013 by admin

L’ex ambasciatore Sergio Romano non è certo un estremista di sinistra. Né lo si può accusare di essere un “traditore della Patria” o un “nemico” delle nostre forze armate. Eppure sulla vicenda dei due maro’ non la pensa come il nostro governo, la destra nostrana e i patrioti da quattro soldi che si aggirano nelle nostre redazioni. Questa la sua risposta, oggi, sul Corriere della Sera, ai lettori che gli chiedevano conto: 1) della decisione del nostro governo di sottrarre con l’inganno i nostri due marò alla giustizia indiana che vorrebbe processarli per omicidio; e 2) delle similitudini con il caso del Cermis del 1998. E’ vero o no che in entrambi i casi i patti vennero violati? Ed è giusto o no violare i patti nelle relazioni internazionali?

“Un americano potrebbe rispondere che i patti, nel caso del Cermis, furono rispettati. Il processo ebbe luogo negli Stati Uniti perché così prevedevano la convenzione di Londra del 1951 e gli accordi fra i due Paesi sullo status giuridico dei militari americani nell’esercizio delle loro funzioni. Credo che quegli accordi siano ineguali e che occorrerebbe rinegoziarli. Ma nessun governo italiano, di destra o di sinistra, ha osato sinora sollevare il problema e chiedere l’apertura di un negoziato. Il caso dei marò, quindi, è completamente diverso. Forse l’Italia avrebbe dovuto appellarsi immediatamente alla giustizia internazionale, ma è possibile che anche Roma avesse qualche dubbio sull’esatta collocazione della nave e del peschereccio al momento dell’incidente. A torto o a ragione, comunque, il governo italiano ha deciso di perseguire una linea dialogante e pragmatica, fatta di contatti e sollecitazioni, forse nella speranza che le arti della diplomazia e il passaggio del tempo servissero a modificare gradualmente la posizione delle autorità indiane. Quella linea sembrò dare qualche risultato. Alcuni carabinieri hanno potuto assistere, in veste d’osservatori, agli esperimenti balistici. I due marinai italiani sono stati trattenuti agli arresti, ma alloggiati in un albergo. E sono stati autorizzati a venire in Italia, su cauzione, per le feste di Natale e Capodanno. Più recentemente, quando hanno avuto il permesso di tornarvi per il voto, è parso che il clima fra i due governi fosse considerevolmente migliorato. Ma il governo italiano, improvvisamente, ha cambiato la sua tattica e ha deciso di trattenere i marò in Italia. Se avesse potuto accusare il governo indiano della violazione di un impegno assunto precedentemente, la decisione sarebbe stata forse giustificata. Ma non sembra che agli indiani possa essere mosso questo rimprovero.

Allo stato delle cose l’Italia, quindi, è un giocatore che cambia improvvisamente le regole della partita e butta via il mazzo di carte di cui si era servito fino a quel momento. Può darsi che il governo Monti volesse terminare la sua esistenza con una decisione popolare, gradita a una buona parte del Paese. Ma ha dimenticato che nei rapporti internazionali non esiste soltanto lo spread finanziario. Esiste anche lo spread morale, vale a dire il divario fra la parola di un Paese affidabile e quella di un Paese non affidabile. Il governo se ne va lasciando al suo successore il compito di sbrogliare una brutta crisi con l’India: una eredità singolare per un esecutivo che, dopo lo scioglimento delle Camere, avrebbe dovuto occuparsi soltanto di «affari correnti».

20 Marzo 2013Permalink

18 marzo 2013 – Il nuovo vescovo di Roma

I care

Ieri ho sentito la necessità di trascrivere i due discorsi di insediamento della Presidente della Camera e del presidente del Senato. Ne ho inviato il testo a parecchie persone e ho ricevuto entusiastici riscontri, ‘un regalo’ mi ha scritto un’amica.

Sono due discorsi brevi ma intensi che ci  danno la possibilità di fare esperienza di un linguaggio politico autentico, pulito, condivisibile. Spostano il centro di gravità dalla conta di sedie e dalla blandizie alle varie lobbies che sembrano aver oscurato la società civile e ne occupano il palcoscenico per lasciarci sperare in un’etica per cui la politica sia competente e responsabile servizio. E non  parlo del becerume straripante e della volgarità del linguaggio che riconduce implacabilmente alla volgarità della mente di chi lo pratica e che vorremmo definitivamente cancellare.
L’incipit dei due interventi ha rotto le formalità protocollari.
“Care deputate e cari deputati”, ha detto la neo presidente della camera.
“Care senatrici e cari senatori”, le ha fatto eco il neo presidente del Senato.
Avrebbero dovuto dire ‘Onorevoli colleghi’, ma per fortuna non lo hanno fatto e sono certa che intendevano assumersi tutta la pregnanza della parola care e cari.
‘Mi state a cuore’, ‘I care’ insegnava don Milani ai ragazzi della scuola di Barbiana.
E non voglio dimenticare il mio apprezzamento ai senatori del Movimento 5 stelle che, entrati in Senato al seguito di urla spesso sguaiate di chi si presenta loro  leader, hanno capito il significato alto dell’art. 67 della Costituzione “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” e a quello hanno obbedito, con difficile esercizio di dignità, non a un carisma autoritario.
I ‘no’ possono essere faticosi, ma necessari.

Fratelli, non signori

La rottura protocollare  dei due presidenti me ne ha richiamato un’altra, forse anche più dirompente: “Fratelli cardinali” ha esordito Francesco I° nella sua prima allocuzione ai cardinali, poco dopo quell’elezione per cui Dio (lo ha detto il papa, non io) dovrebbe perdonarli. Avrebbe dovuto dire ‘signori cardinali’.
E poi si è presentato al balcone di S. Pietro, parlando di sé come vescovo di Roma e, se qualcuno non avesse capito, ha onorato il suo predecessore con il titolo di vescovo emerito.
Vescovo quindi di una precisa diocesi. Per questo e tanti altri motivi è una parola che apre alla collegialità. Si riparla di Vaticano II°. Non posso che sperarlo.
E poi ha fatto un gesto che a me ha dato un’impressione profonda: ha chiesto al popolo di cui è vescovo un favore. Ha detto, e voglio trascrivere esattamente  le sue parole “E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore; prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”.
Chiedo scusa per questi riferimenti di natura religiosa che so essere per qualcuno  irritanti, ma il papa è papa e va considerato non solo perché i suoi gesti piacciono ma anche per la sua fede.
Mi permetto quindi di sottolineare che ha chiesto una preghiera ‘SU di me’, non ‘PER me’. E ha ottenuto il silenzio di una piazza normalmente chiassosa mentre si inchinava a chi pregava SU di lui.
L’ho vissuto come il silenzio richiamato in un passo di un antico testo della Bibbia, quando Dio parla al profeta Elia: “11Gli disse: “Esci e férmati sul monte alla presenza del Signore”. Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. 13Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”. (1Re, 19).

Gesti e simpatia
Non occorre che scriva dei gesti di Francesco I° che, in pochi giorni gli hanno suscitato la simpatia del mondo.
Voglio sottolineare una speranza, anzi due.
Certamente, anche se potessi parlargli non chiederei al papa di rinunciare a quello che, in scienza e coscienza, ritiene il suo magistero (anche se non nascondo la speranza di cambiamenti nello spirito del Vaticano II°), ma di non fare di questo magistero un oggetto per un mercato di potere, questo sì glielo chiederei. Quando decidesse di entrare nella coscienza di chi ha un ruolo politico nelle istituzioni, nelle decisioni dei cittadini in quanto tali, si fermi, eviti un ingresso a gamba tesa (un solo esempio: l’esercizio spregiudicato di potere fatto dal card. Ruini a proposito del referendum sulla fecondazione assistita) .
L’esercizio di questo magistero può arrivare a decisioni irritanti, non condivisibili nell’esercizio – eticamente sostenibile – delle attività istituzionale.?
La risposta non appartiene alla sudditanza ma alla libertà di coscienza.
Se ne facciano carico i politici cattolici e non usino la religione come un comodo passepartout.
E la seconda speranza è ancora più urgente e pressante.

La patata bollente

Ho visto la foto del papa che, durante i riti del giovedì santo,  bacia il piede di un malato di Aids. E’ un gesto significativo, importante, ammirevole.
Ma non voglio dimenticare che questo papa ha ricevuto dal predecessore la patata bollente della ‘relatio’ di tre cardinali (Julian Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi)  che hanno indagato su politiche di curia i cui segni che appaiono all’esterno sono sconvolgenti. I segni che ho potuto intuire riguardano le politiche dello IOR e la pedofilia.
Saprà papa Francesco agire nei confronti della società civile con la stessa umiltà dimostrata verso il malato cui bacia il piede e rendere quella relatio (si prenda il tempo necessario per meditarla!) trasparente e pubblica, chiedendo perdono a coloro che da scelte curiali improprie siano stati offesi?
Voglio sottolineare che l’abuso sui minori, anche se apparentemente non violento, è violenza, e questa consapevolezza appartiene alla società civile e in questa società ha trovato norme anche sanzionatorie e a questa società –tutta- non solo al mondo cattolico – è dovere rispondere.

18 Marzo 2013Permalink

17 marzo 2013 – I discorsi dei Presidenti di Camera e Senato

Ho trovato il testo del discorso di Laura Boldrini  nella posta di Serena Pellegrino su facebook.  L’ho copiato subito.
Successivamente, dal sito del Senato, quello di Pietro Grasso che pure ricopio
Ci offrono  parole che sembrano nuove perché per anni sono state disprezzate.
Ne abbiamo bisogno e non solo di quelle. 

sabato 16 marzo 2013 / Redazione

Il discorso di insediamento a presidente della Camera di Laura Boldrini

Care deputate e cari deputati, permettetemi di esprimere il mio più sentito ringraziamento per l’alto onore e responsabilità che comporta il compito di presiedere i lavori di questa Assemblea.

Vorrei, innanzitutto, rivolgere il saluto rispettoso e riconoscente di tutta l’Assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è custode rigoroso dell’unità del Paese e dei valori della Costituzione repubblicana.

Vorrei, inoltre, inviare un saluto cordiale al Presidente della Corte costituzionale e al Presidente del Consiglio. Faccio a tutti voi i miei auguri di buon lavoro, soprattutto ai più giovani, a chi siede per la prima volta in quest’Aula.

Sono sicura che, in un momento così difficile per il nostro Paese, insieme riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane.

Vorrei rivolgere, inoltre, un cordiale saluto a chi mi ha preceduto, al Presidente Gianfranco Fini, che ha svolto con responsabilità la sua funzione istituzionale.

Arrivo a questo incarico dopo avere trascorso tanti anni a difendere e a rappresentare i diritti degli ultimi, in Italia come in molte periferie del mondo. È un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno.

Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Dovremo impegnarci tutti a restituire piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. In questa Aula sono stati scritti i diritti universali della nostra Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e garantire uno a uno. Questa Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale di una generazione che ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.

Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore ,ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.

Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante, come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato, ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.

Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.

Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore e inesplorata di un disabile.

Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato, ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.

Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.

Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore e inesplorata di un disabile.

In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.

Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a chi oggi a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per mano mafiosa. Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono molto. E molto, molto, dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta, che ricordiamo con commozione oggi, nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.

Questo è un Parlamento largamente rinnovato. Scrolliamoci di dosso ogni indugio nel dare piena dignità alla nostra istituzione, che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica, rendiamo il Parlamento e il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani.

Sarò la Presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato. Mi impegnerò perché la mia funzione sia luogo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese. L’Italia fa parte del nucleo dei fondatori del processo di integrazione europea. Dovremo impegnarci ad avvicinare i cittadini italiani a questa sfida, a un progetto che sappia recuperare per intero la visione e la missione che furono pensate con lungimiranza da Altiero Spinelli. Lavoriamo perché l’Europa torni ad essere un grande sogno, un crocevia di popoli e di culture, un approdo certo per i diritti delle persone, appunto un luogo della libertà, della fraternità e della pace.

Anche i protagonisti della vita spirituale e religiosa ci spronano ad osare di più. Per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente dalla fine del mondo.

A Papa Francesco il saluto carico di speranza di tutti noi. Consentitemi un saluto anche alle istituzioni internazionali, alle associazioni e alle organizzazioni delle Nazioni Unite, in cui ho lavorato per 24 anni, e permettetemi, visto che questo è stato fino ad oggi il mio impegno, un pensiero per i molti, troppi morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce. Un mare che dovrà sempre più diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni.

Sento forte l’alto richiamo del Presidente della Repubblica sull’unità del Paese. Un richiamo che quest’Aula è chiamata a raccogliere con pienezza e convinzione. La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione.

Stiamo iniziando un viaggio, oggi iniziamo un viaggio: cercherò di portare, assieme a ciascuno di voi, con cura e umiltà, la richiesta di cambiamento che alla politica oggi rivolgono tutti gli italiani, soprattutto i nostri figli. Grazie.

Dal sito del Senato:
Discorso di insediamento del Presidente del Senato, Pietro Grasso
Dal resoconto stenografico della seduta n. 2 del 16 marzo 2013

16 Marzo 2013

PRESIDENTE. (Si leva in piedi). Care senatrici, cari senatori, mi scuserete ma voglio rivolgere questo primo discorso soprattutto a quei cittadini che stanno seguendo i lavori di quest’Aula con apprensione e con speranza per il futuro di questo Paese.

Il Paese mai come oggi ha bisogno di risposte rapide ed efficaci, all’altezza della crisi economica, sociale e politica che sta vivendo. Mai come ora, la storia italiana si intreccia con quella europea, e i destini sono comuni. Mai come oggi il compito della politica è quello di restituire ai cittadini la coscienza di questa sfida.

Quando ieri sono entrato per la prima volta da senatore in quest’Aula mi ha colpito l’affresco sul soffitto, che vi invito a guardare. Riporta quattro parole, che sono state sempre di grande ispirazione per la mia vita e che spero lo saranno ogni giorno per ciascuno di noi nei lavori che andremo ad affrontare: giustizia, diritto, fortezza e concordia. Quella concordia, quella pace sociale di cui il Paese ha ora disperatamente bisogno.

Domani è l’anniversario dell’Unità d’Italia, quel 17 marzo di 152 anni fa in cui è cominciata la nostra storia come comunità nazionale dopo un lungo e difficile cammino di unificazione. Nei 152 anni della nostra storia, soprattutto nei momenti più difficili, abbiamo saputo unirci, superare le differenze, affermare con fermezza i nostri valori comuni e trovare insieme un sentiero condiviso.

Il primo pensiero va sicuramente alla fase costituente della nostra Repubblica, quando uomini e donne di diversa cultura hanno saputo darci quella che ancora oggi è considerata una delle Carte costituzionali più belle e più moderne del mondo. (Applausi).

Lasciatemi in questo momento ricordare Teresa Mattei. (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi). Teresa Mattei, che ci ha lasciato pochi giorni fa e che dell’Assemblea costituente fu la più giovane donna eletta, per tutta la vita è stata attiva per affermare e difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati anche nel nostro Paese.

Siamo davanti a un passaggio storico straordinario: abbiamo il dovere di esserne consapevoli, il diritto e la responsabilità di indicare un cambiamento possibile, perché è in gioco la qualità della democrazia che stiamo vivendo. Allo stesso tempo dobbiamo avviare un cammino a lungo termine, dobbiamo davvero iniziare una nuova fase costituente che sappia stupire e stupirci.

Oggi è il 16 marzo, e non posso che ringraziare il presidente Colombo che stamattina ci ha commosso con il ricordo dell’anniversario del rapimento di Aldo Moro (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi) e della strage di via Fani dove trovarono la morte – come lui stesso ha ricordato – i cinque agenti di scorta Raffaele Jozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Al loro sacrificio di servitori dello Stato va il nostro omaggio deferente e commosso.(Generali applausi).

Oggi bisogna ridare dignità e risorse alle forze dell’ordine e alla magistratura. Sono trascorsi 35 anni da quel tragico giorno, che non fu solo il dramma di un uomo e di una famiglia, ma dell’intero Paese. In Aldo Moro il terrorismo brigatista individuò il nemico più consapevole di un progetto davvero riformatore: l’uomo e il dirigente politico che aveva compreso il bisogno e le speranze di rigenerazione che animavano dal profondo e tormentavano la società italiana.

Come Moro scrisse in un suo saggio giovanile, «Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino».

Oggi, inoltre, migliaia di giovani a Firenze hanno partecipato alla Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia. (Applausi). Vi confesso che mi è molto dispiaciuto non poter essere con loro, come ogni anno. Hanno pronunciato e ascoltato gli oltre 900 nomi di vittime della criminalità organizzata: nomi di cittadini, appartenenti alle forze dell’ordine, sindacalisti, politici, amministratori locali, giornalisti, sacerdoti, imprenditori, magistrati, persone innocenti uccise nel pieno della loro vita. Il loro impegno, il loro sacrificio, il loro esempio dovrà essere il nostro faro.

Ho dedicato la mia vita alla lotta alla mafia in qualità di magistrato e devo dirvi che, dopo essermi dimesso dalla magistratura, pensavo di poter essere utile al Paese in forza della mia esperienza professionale nel mondo della giustizia. Ma la vita riserva sempre delle sorprese.

Oggi interpreto questo mio nuovo e imprevisto impegno con spirito di servizio, per contribuire alla soluzione dei problemi di questo Paese.

Ho sempre cercato verità e giustizia e continuerò a cercarle da questo scranno, auspicando che venga istituita una nuova Commissione d’inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro Paese. (Applausi).

Se oggi, davanti a voi, dovessi scegliere un momento in cui raccogliere la storia della mia vita professionale precedente non vorrei limitarmi a menzionare gli amici e i colleghi caduti in difesa della democrazia e dello Stato di diritto, che io ho conosciuto: non c’è, infatti, un solo nome, un volto, che può racchiuderli tutti e purtroppo, se dovessi citarli tutti, la lista sarebbe – ahimè! – troppo lunga.

Mi viene, piuttosto, in mente e nel cuore un momento che li abbraccia a uno a uno: è il ricordo della voce e delle parole di una giovane donna. Mi riferisco al dolore straziato di Rosaria Costa, la moglie dell’agente Vito Schifani, morto insieme ai colleghi Rocco Dicillo e Antonino Montinaro nella strage di Capaci del 22 maggio 1992, in cui persero la vita anche Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Non ho dimenticato le sue parole il giorno dei funerali del marito, quel microfono strappato ai riti e alle convenzioni delle cerimonie. (I senatori eletti nelle liste «Movimento 5 Stelle Grillo» si levano in piedi). «Chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare. (…) loro non cambiano (…) loro non vogliono cambiare. (…) Vi chiediamo (…) di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l’amore per tutti (…)». (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi).

Giustizia e cambiamento: questa è la sfida che abbiamo davanti. Ci attende un intenso lavoro comune, per rispondere con i fatti alle attese dei cittadini che chiedono anzitutto più giustizia sociale, più etica, nella consapevolezza che il lavoro è uno dei principali problemi di questo Paese. Penso alle risposte che al più presto – ed è già tardi – dovremo dare ai disoccupati, ai cassaintegrati, agli esodati, alle imprese, a tutti quei giovani che vivono una vita a metà, hanno prospettive incerte, lavori (chi ce l’ha) poco retribuiti. Quando riescono a uscire dalla casa dei genitori, vivono in appartamenti che non possono comprare, cercando di costruire una famiglia che non sanno come sostenere.

Penso all’insostenibile situazione delle carceri del nostro Paese, che hanno bisogno di interventi prioritari. (Applausi). Penso a una giustizia che oggi va riformata in modo organico, agli immigrati che cercano qui da noi una speranza di futuro, ai diritti in quanto tali che non possono essere elargiti col ricatto del dovere e che non possono conoscere limiti, altrimenti diventano privilegi. (Applausi).

Penso alle istituzioni sul territorio, ai sindaci dei Comuni che stanno soffrendo e faticano per garantire i servizi essenziali ai loro cittadini. (Applausi). Sappiano che lo Stato è dalla loro parte e che il nostro impegno sarà di fare il massimo sforzo per garantire loro l’ossigeno di cui hanno bisogno.

Penso al mondo della scuola, nelle cui aule ogni giorno si affaccia il futuro del nostro Paese, e agli insegnanti che fra mille difficoltà si impegnano a formare cittadini attivi e responsabili.

Penso alla nostra posizione sullo scenario europeo. Siamo tra i Paesi fondatori dell’Unione e il nostro compito è portare nelle istituzioni comunitarie le esigenze e i bisogni dei cittadini. L’Europa non è solo moneta ed economia: deve essere anche l’incontro di popoli e di culture. (Applausi dei senatori eletti nelle liste «Partito Democratico»).

Penso a questa politica, alla quale mi sono appena avvicinato, che ha bisogno di essere cambiata e ripensata dal profondo nei suoi costi, nelle sue regole, nei suoi riti, nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendo ai segnali che i cittadini ci hanno mandato, ci mandano e ci continuano a mandare in ogni occasione. Sogno che quest’Aula diventi una casa di vetro e che questa scelta possa contagiare tutte quante le altre istituzioni. (Applausi).

Quanto radicale e urgente sia il tempo del cambiamento lo dimostra la scelta del nuovo Pontefice, Papa Francesco (L’Assemblea si leva in piedi. Prolungati applausi), i cui primi atti hanno evidenziato un’attenzione prioritaria verso i bisogni reali delle persone.

Voglio, in conclusione, rivolgere a nome dell’Assemblea dei senatori e mio personale un deferente saluto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (L’Assemblea si leva in piedi ed applaude, ad eccezione dei senatori eletti nelle liste «Movimento 5 Stelle Grillo»), supremo garante della Costituzione e dell’unità italiana, che con saggezza e salda cultura istituzionale esercita il suo mandato di Capo dello Stato.

Desidero anche ringraziare il mio predecessore, il senatore Renato Schifani, per l’impegno profuso al servizio di questa Assemblea. (L’Assemblea si leva in piedi, ad eccezione dei senatori eletti nelle liste «Movimento 5 Stelle Grillo». Applausi all’indirizzo del senatore Schifani).

Un omaggio speciale e un indirizzo di saluto al Presidente emerito della Repubblica, agli altri senatori a vita, fra cui Emilio Colombo (L’Assemblea si leva in piedi. Applausi all’indirizzo del senatore Colombo), che ha presieduto con inesauribile energia la fase iniziale di questa XVII legislatura: lui, che ha visto nascere la Repubblica partecipando ai lavori dell’Assemblea costituente.

Concludo ricordando cosa mi disse il capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto (Applausi), poco prima di entrare nell’aula del maxiprocesso contro la mafia: «Fatti forza, ragazzo, vai avanti a schiena diritta e testa alta e segui soltanto la voce della tua coscienza». Sono certo che in questo momento e in quest’Aula l’avrebbe ripetuto anche a tutti noi. (L’Assemblea si leva in piedi. Vivi, prolungati applausi).

17 Marzo 2013Permalink

9 marzo 2013 – Chiamammo braccia e arrivarono uomini

Marina Frigerio Martina BAMBINI PROIBITI – Storie di famiglie italiane in Svizzera tra clandestinità e separazione COLLANA Orizzonti pp. 208 Casa editrice IL MARGINE Via Taramelli n.8 – 38122 Trento € 16,00

Il 7 febbraio  avevo pubblicato  una parziale recensione del volume che ho citato in premessa, riprendendola dal numero di gennaio del mensile Ho un sogno (chi volesse conoscere quel mensile lo trova – a Udine – alle librerie CLUF e Pecora Nera in via Gemona).
In quel primo intervento mi ero soffermata sulla postfazione in cui un ‘bambino nascosto’ – diventato adulto- ragionava sulla sua esperienza.

Nel numero di febbraio ho analizzato, nello stesso mensile e sempre facendo riferimento al lavoro della Frigerio, la situazione generale dei ‘bambini nascosti’, figli di emigranti in Svizzera.

CHIAMAMMO BRACCIA E ARRIVARONO UOMINI

Lo scrittore svizzero tedesco Max Frisch (morto nel 1991) aveva scritto «chiamammo braccia e arrivarono uomini». Infatti per ammettere i migranti nel proprio territorio «…la Svizzera aveva scelto la politica dell’emigrazione basata sul principio della rotazione: gli stranieri non andavano integrati ma chiamati in base ai bisogni dell’economia.  Erano gli stagionali».
E gli affetti non dovevano far parte della vita degli stagionali, la vita familiare poteva affidarsi al massimo allo scritto, non era consentito si facesse normale quotidianità.
Molto spesso i migranti lasciavano e lasciano i loro figli al paese d’origine ma è capitato e capita che non sempre ci sia chi può accudirli e la ricomposizione di una famiglia in terra straniera può essere fonte di problemi drammatici, a volte insolubili.
Dei figli degli stagionali nella Confederazione Elvetica si occupa una importante ricerca di Marina Frigerio, i cui dati arrivano fino alla soglia del nostro secolo e si accompagnano a significative testimonianze che danno voce a bambini costretti al silenzio nella segregazione.
«Per Francisco la Svizzera consisteva in due letti, un armadio , un comò, un tavolo con quattro sedie e un televisore. Quest’unica stanza rappresentava il suo mondo. Questo bambino di cinque anni trascorreva tutto il giorno con sua madre e sua sorella  rinchiuso in trenta metri quadrati, la sua infanzia consisteva nello stare seduto fermo e in silenzio. Nessuno doveva accorgersi della sua esistenza».
E la clandestinità, imposta per legge d’altro paese, produceva i suoi effetti anche dopo il ritorno. «Maria ha otto anni e disegna mostri enormi che minacciano una bambina minuscola “Due anni fa – racconta la madre– mio marito era ancora lavoratore stagionale, eravamo clandestini e vivevamo costantemente nel terrore di venire scoperti ed espulsi”».
Scriveva nel 1992 la sociologa Elsbeth Müller : «I bambini che vivono illegalmente in Svizzera soffrono le conseguenze del conflitto tra diversi livelli giuridici. Il diritto universale all’istruzione deve fare i conti con il divieto di soggiorno nazionale e i bambini ne portano le conseguenze».
Nello stesso anno l’Unicef documentava «Esistono davvero i bambini che vivono chiusi in mansarde e appartamenti restando soli tutto il giorno. I bambini cui si impedisce di frequentare gruppi di gioco e scuola materna , e per i quali incontrare altri bambini al parco giochi resta solo un sogno».
L’Unicef documentava undici anni fa in Svizzera.
Se volesse guardare a ciò che accade oggi nel nostro paese potrebbe leggere nel 5° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia (anno 2011-2012 – cap 3.1 www.gruppocrc.net) che «il timore … di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità».
Tutto deriva dal fatto che una legge (che, con sarcasmo forse involontario, abbiamo chiamato ‘pacchetto sicurezza’) nega ai figli dei migranti irregolari la registrazione anagrafica e non basta la rassicurazione di una circolare che contraddice la norma (ma le circolari sono per loro natura volatili!) a cancellare la paura.
E così potrebbe capitare che le mamme dicano ai loro bambini, oggi in Italia come ieri in Svizzera: «Se non fai silenzio e non stai buona la polizia ti verrà a prendere e ti caccerà via» (Frigerio pag.51).
Una rivisitata modalità di integrazione?

9 Marzo 2013Permalink

6 marzo 2013 – Un notizia positiva e una mia perplessità

La notizia positiva

Ho ricevuto dal sito change.org (che propone petizioni che segnalo, che firmo e che non firmo)  la comunicazione che trascrivo e  che trasmetto con piacere:

“Grazie! Abbiamo ottenuto la cittadinanza italiana per i tre senegalesi feriti il 13 dicembre 2011 a Firenze.

Il Consiglio dei Ministri ha conferito la cittadinanza italiana ai sopravvissuti del raid razzista di Gianluca Casseri. “La concessione della cittadinanza – spiega il Consiglio dei Ministri – rappresenta un gesto di doveroso riconoscimento e di concreta solidarietà”.

Abbiamo raggiunto questo incredibile obiettivo anche con la tua firma.

Il 13 dicembre 2011 a Firenze Modou Samb e Mor Diop vennero assassinati e Sougou Mor, Mbengue Cheike e Moustapha Dieng furono gravemente feriti durante l’attacco armato di un fanatico razzista. Moustapha è tetraplegico e non potrà più essere autosufficiente.

Ma per loro si accende ora una speranza e una certezza, quella che nel Paese in cui vivono non tutti sono razzisti.

Grazie ancora a nome di tutti loro,
Pape Diaw via Change.org

La mia perplessità

Ieri ho ricevuto un’altra petizione che afferma “Ispirandoci all’articolo 3 della nostra Costituzione che stabilisce il principio dell’uguaglianza tra le persone, abbiamo sostenuto una Proposta di Legge Popolare che promuove lo ius soli e quindi il diritto di cittadinanza per i ragazzi che nascono e crescono in Italia” e conseguentemente chiede al Parlamento non ancora insediato di mettere in agenda e discutere tale proposta.

La richiesta è pienamente condivisibile o meglio la condividevo totalmente finché non mi sono resa conto che la concessione della cittadinanza italiana così come prevista non può estendersi ai piccoli che nascono in Italia se i loro genitori non dispongono del permesso di soggiorno.

Trascrivo l’art. 1 della legge in vigore sulla cittadinanza e l’art. 1 della proposta di legge a iniziativa popolare con cui dovrebbe confrontarsi anche il futuro parlamento (se mai lo farà).

Legge n. 91/1992 Art. 1
1. È cittadino per nascita:
a) il figlio di padre o di madre cittadini;
b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.
2. È considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza
.

Proposta di legge a iniziativa popolare:

Art. 1. (Nascita)
1. Al comma 1 dell’articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono aggiunte, in fine, le seguenti lettere:
b-bis).Chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia legalmente soggiornante in Italia da almeno un anno.”
“b-ter). Chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno sia nato in Italia.”

Purtroppo parlando con parlamentari e amministratori locali ho scoperto che c’è un’incredibile confusione fra il concetto di cittadinanza e quello di registrazione anagrafica: molti pensano che la seconda sia una conseguenza automatica della prima come se la cittadinanza fosse un segno visibile sulla persona e non un dato riportato nel certificato di nascita che consegue la registrazione.
E io non riesco ad accettare che un problema burocratico riguardante i genitori penalizzi i figli fino a farli apolidi e che si ‘abbandoni’ la proposta sulla cittadinanza nelle mani di persone che non capiscono un problema così elementare.
Inoltre ci facciamo beffe del recepimento nella nostra legislazione della Convenzione di New York sui diritti dei minori che per noi è legge n.176/1991 che così recita all’art. 7 “1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza”
Tenterò di parlarne con qualche parlamentare neoeletto e, se non otterrò alcun risultato, non mi resterà che prendere atto del fatto che non c’è opposizione a una legislazione barbara che mi ripugna.

Una considerazione finale.
Il 3 marzo avevo scritto del broglio che –già nel 2oo6- aveva penalizzato la sen. Menapace, sottraendole il ruolo di presidente della commissione difesa che le sarebbe spettato.
Poiché non voglio che il ricordo di quell’episodio sia completamente rimosso, dopo aver considerato che nessun giornale ne parla pur essendo venuto ai disonori delle cronache il fatto della compravendita del sen. De Gregorio, ho inviato una lettera a un’ampia cerchia di amici e conoscenti.
Per la prima volta ho ricevuto riscontri positivi.

6 Marzo 2013Permalink

3 marzo 2012 – Una confessione insufficiente.

Due giorni fa, appena saputo della confessione del sen. De Gregorio,  ho scritto una breve nota  – come premessa al calendario che pubblico ogni mese.
Poi ho ritenuto opportuno rielaborarla un po’ e l’ho inviata al sito Il dialogo che l’ha pubblicata.
Perciò la ripropongo (sostituendo la precedente) nella forma aggiornata, insieme all’indirizzo de Il dialogo * e del vecchio articolo di Repubblica che narra la vicenda del 2006 **.
La invierò ad alcune amiche (senza trascurare gli amici). So che il mio blog è poco letto e desidero che il ricordo del torto fatto alla senatrice Menapace si diffonda.

Il sen. Sergio De Gregorio ha confessato di aver ricevuto nel 2006 dall’on. Berlusconi tre milioni di euro per far cadere il governo Prodi, passando dall’Italia dei Valori al partito di Berlusconi che allora si chiamava ancora Casa delle Libertà.
De Gregorio aveva fondato nel 2000 l’associazione Italiani nel mondo che, trasformata in un movimento politico, raggiunse un accordo con l’Italia dei Valori per le elezioni politiche del 2006. quando il De Gregorio divenne direttore editoriale di Italia dei valori, allora organo ufficiale del partito di Antonio Di Pietro. Nello stesso anno fu eletto senatore nella circoscrizione della Campania, avendo già alle sue spalle una turbinosa carriera politica.
Ma, tornando all’atto di compravendita, è chiaro che una merce per essere acquistata deve garantire affidabilità e qualità e la prima prova di interessante possibilità d’acquisto il senatore la diede nel 2006.
Era appena nato il governo Prodi (maggio 2006) e dovevano essere eletti, dopo i presidenti di camera e senato, i presidenti delle commissioni che, secondo prassi, sono distribuiti fra i partiti in campo ad assicurare una corresponsabilità (che è anche fonte di trasparenza) nella conduzione dell’attività parlamentare che precede l’aula.
Per gli accordi intercorsi sarebbe dovuta essere Presidente della Commissione difesa la senatrice Lidia Menapace, rappresentante del Partito della Rifondazione Comunista, una signora con un passato politico e professionale di tutto rispetto.
Proprio il De Gregorio, con una manovra tanto scorretta quanto abile, le sottrasse la Presidenza, dimostrandosi così oggetto sicuro di futuro acquisto.
Occorre però precisare che – a memoria di chi scrive – la senatrice Menapace non fu adeguatamente sostenuta né dal suo partito, né dalle forze di maggioranza, né dai movimenti delle donne che pur si battevano per le donne in politica ai livelli decisionali, né dall’associazionismo pacifista.
Evidentemente tutti costoro non avevano saputo leggere il significato di un gesto che, riguardando una donna, probabilmente giudicarono non degno di attenzione.
La senatrice continuò ad esercitare con intelligente dignità il suo ruolo di componente la commissione, ormai presieduta dal De Gregorio, fino al mese di maggio del 2008 quando il governo Prodi cadde. E oggi sappiamo come e perché.

* http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/lettere/indice_1362248311.htm

** http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/politica/nuovo-governo-cinque/menapace/menapace.html

3 Marzo 2013Permalink

2 marzo 2013 – LE DUE CRISI di Raniero la Valle

Ho ripreso l’articolo che propongo dal sito www.ildialogo.org, dove è stato pubblicato ieri, 1 marzo

Con grande forza simbolica, nel febbraio di quest’anno di grazia 2013, hanno contemporaneamente fatto irruzione sulla scena le due crisi epocali che il cattolicesimo critico aveva identificato e denunciato negli anni Quaranta del Novecento, alla fine della seconda guerra mondiale: la catastroficità della situazione politica e la criticità della situazione ecclesiale…, due crisi speculari e alimento l’una dell’altra.

La prima si manifestava nel fatto che nel nazismo, nella guerra e in Hiroshima era venuto a concludersi tragicamente l’intero ciclo culturale e politico dell’Occidente; la seconda era espressa dal drammatico interrogativo dell’arcivescovo di Parigi, cardinale Suhard, tradotto in Italia dalla Corsia dei servi e da “Cronache sociali” col titolo: “Agonia della Chiesa?” Fu soprattutto Giuseppe Dossetti che su questa doppia diagnosi di situazione critica della società e della Chiesa, parlò con spirito di profezia e impostò tutte le sue scelte e la sua vita, dalla Costituente al Concilio, alla scelta monastica, alla Palestina, ai Comitati per la Costituzione.

A queste due crisi catastrofiche furono opposti nel Novecento due potenti antidoti: il primo fu il costituzionalismo, i diritti dell’uomo e il ripudio della guerra; il secondo fu il Concilio. Antidoti, non soluzioni. Sarebbe stato necessario, per uscire dalla crisi, che il nuovo pensiero politico e giuridico e la novità del Concilio fossero stati proseguiti, non rovesciati, non interrotti, ma davvero realizzati. Così non è stato. Le speranze politiche sono state travolte dal delirio di potenza del capitalismo finanziario vincitore globale dopo la “caduta” del Muro dell’89, quelle ecclesiali dall’interdizione che sotto varie forme – ermeneutiche e di governo – il Concilio ha subito nella sua attuazione, per il ricatto dei tradizionalisti giunto fino alla scisma e per le contraddizioni e le paure di vertici ecclesiastici provenienti quasi sempre da quella che era stata la minoranza conciliare.

Così le due crisi si sono ricongiunte e sono esplose nello sbigottimento dell’Europa per l’esito delle elezioni italiane, e nel ritiro del Papa dal suo ufficio, casualmente coincidenti ma risuonati insieme come grido potente, quasi da ultimo avviso, e invito a cambiare strada prima che sia troppo tardi.

Non tutto, infatti, è perduto. La crisi di un sistema istituzionale, politico e finanziario, non è infatti la fine della civiltà, non è il venir meno delle risorse umane, non è la perdita della inventiva e della forza di cambiamento di elettorati, popoli, classi impoverite e giovani espropriati di futuro.

La crisi del papato non è la crisi della Chiesa che pur finora si è adagiata sulla sua supplenza per tutte le cose, in una sussidiarietà rovesciata; né la crisi della Chiesa “governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui”, è la crisi dell’unica Chiesa di Cristo che, come dice la Lumen Gentium del Concilio, in essa “sussiste” senza esaurirvisi; la polvere che Benedetto XVI (non ancora diventato “emerito”) aveva visto addensata sul suo volto, o addirittura la sua “sporcizia” – termine brusco che in italiano ha un sapore moralistico e impietoso che forse in tedesco non ha – nonché le divisioni del corpo ecclesiale, e il servirsi di Dio per fini di denaro e di potere, sono piaghe di una Chiesa “in questo mondo costituita e organizzata come società”, non sono confutazioni dell’ “una, santa, cattolica ed apostolica Chiesa” professata nel Credo.

Il contemporaneo esplodere di queste due crisi è salutare se, al di là delle manifestazioni esteriori (le piazze piene di Grillo e il balcone vuoto di San Pietro) si va alle realtà di cui esse sono simbolo: l’afasia della politica istituzionale, da tempo incapace di parole e gesti di vita, e il silenzio di una Chiesa che dopo il Concilio ha mancato il suo appuntamento col mondo. Queste due estraneità, della politica e della Chiesa, hanno messo la gente in una condizione di esilio, senza una terra in cui stare: sono venuti a mancare punti di riferimento, obiettivi politici, legami sociali, etiche condivise, speranze teologali e preghiera, e c’è bisogno che questo retroterra si ricostituisca. Se ora, scompaginando il sistema politico, i risultati elettorali produrranno un cambiamento reale nella pratica della democrazia, nei rapporti parlamentari e nel servizio dello Stato, essi potranno dirsi eccellenti. Se, ritirandosi dalla modernità, come Jacques Le Goff interpreta le sue dimissioni, Benedetto XVI farà venir meno la rinnovata contraddizione accesa nel suo pontificato tra la Chiesa e una modernità bollata come relativismo, questo ritirarsi sarà stato positivo; e se riprenderà la costruzione di una comunità democratica delle nazioni, e se il Concilio riprenderà il cammino della sua ricezione nella Chiesa si potrà ricostruire un tracciato di speranza.

Questo è oggi possibile, perché la crisi si abbatte non su aborti, ma su uomini viventi che Dio “ha messo in mano al loro consiglio” e ha reso capaci di agire con sapienza in un momento in cui “è in pericolo il futuro del mondo” (che è la Gaudium et Spes). Con la politica, con il diritto e con la fede.

Venerdì 01 Marzo,2013 Ore: 22:17

2 Marzo 2013Permalink

28 febbraio 2013 – Chi vince e chi perde

26 febbraio  – dall’edizione bolognese di Repubblica

L’Istituto Cattaneo fotografa il voto: Pd e Pdl crollano rispetto al 2008

Il dato nazionale: i democratici hanno perso il 28% dei consensi rispetto alle precedenti politiche, il partito di Berlusconi addirittura il 46%. Il Movimento cinque stelle strappa un successo quasi omogeneo fra Nord, Centro, Sud

Partito democratico (Pd) e Popolo della libertà (Pdl) hanno perso rispettivamente il 30% e circa la metà dell’elettorato che li aveva scelti nel 2008; Movimento cinque stelle ha ottenuto consensi, seppur con qualche differenza percentuale, in tutte le regioni, sia al Nord che al Sud. Sono queste le istantanee che per l’Istituto Cattaneo di Bologna fotografano meglio il voto nazionale del 24 e 25 febbraio.

Il Partito democratico. Il Pd ha perso 3.400.000 voti rispetto alle precedenti elezioni politiche, pari a una contrazione del 28%. Il calo è stato significativo e diffuso sull’intero territorio nazionale, ma con picchi superiori alla media nelle regioni meridionali (-37% rispetto al 2008) e del Centro. In particolare, sottolinea l’istituto Cattaneo, la perdita più importante si è avuta in Puglia (- 44,8%), Basilicata e Calabria (-39,4%), Abruzzo (-36,5%). Il partito di Bersani subisce un arretramento considerevole nell’area economicamente più dinamica del Centro-Sud. In controtendenza va il dato del Molise, unica regione dove il Pd ha migliorato la sua posizione guadagnando circa 7.000 voti, pari al 20% in più. Perdite inferiori, ma comunque nell’ordine di oltre un quinto dell’elettorato del 2008, si sono registrate nelle regioni settentrionali. Anche la ‘zona rossa’ ha conferito al Pd un numero assai minore di consensi, pari a un declino di oltre un quarto dei voti delle precedenti politiche (-26,3%).

Pdl. Il Pdl ha subito una riduzione dei consensi tra il 2008 e il 2013 pari a quasi il 50% (-46%, quasi -6.300.000 voti). In particolare nelle regioni centrali della penisola il partito di Berlusconi ha visto ridursi il proprio elettorato esattamente della metà (-50,1%), mentre nel resto delle aree considerate la variazione si è attestata tra il -44% e il -48%. L’unica area in cui il Pdl ha ‘contenuto’ la sconfitta è stato il Nord-est, in cui la riduzione dei voti è stata inferiore al 40% (-39% in media, -34% in Veneto).

Lega Nord. La Lega Nord ha perso oltre la metà dei consensi raccolti nel 2008 (-54%, -1.600.000 voti) con una riduzione molto superiore alla media nelle regioni della ‘zona rossa’ (-68%). L’evoluzione è stata più negativa nelle roccaforti del Nord-est (-61%), mentre nel Nord-ovest (-49%) il forte declino in Piemonte (-64,3 %) e Liguria (-68%) è stato solo parzialmente compensato da una perdita minore in Lombardia (“solo” il 44,2% in meno).

Sinistra radicale. La Sinistra radicale segna una crescita seppur contenuta dei voti, dovuta soprattutto al risultato estremamente negativo del 2008, quando la débacle della Sinistra arcobaleno non permise di accedere alla rappresentanza parlamentare. L’avanzamento è stato di 400.000 votanti, pari a circa il 30% in più. Dal punto di vista geografico la progressione maggiore si è registrata al Sud. Il risultato è stato invece assai meno favorevole al Nord, e in particolare nelle regioni del Nord-ovest, dove la crescita si è limitata a poche migliaia di voti in più rispetto al risultato molto negativo del 2008.

Destra. I partiti riconducibili all’area politica della Destra sono passati da quasi 1 milione di voti a poco più di 400.000. La perdita – sottolinea l’Istituto Cattaneo – è stata quindi considerevole, in media del 60%, più marcata nelle regioni del Nord rispetto al Centro-Sud.

Monti. La nuova aggregazione di Centro, guidata da Mario Monti, ottiene poco meno di 2 milioni di voti, dei quali quasi la metà (800.000) concentrati nel Nord-Ovest e solo una minima parte al Sud. In generale il partito di Monti, che ha ereditato il consenso politico dell’Udc moltiplicandolo, mostra un baricentro assai differente da quello del partito di Casini. Le regioni in cui cresce maggiormente (rispetto all’Udc del 2008) sono infatti il Trentino – Alto Adige (+252,5%) la Lombardia (+207,9%), la Liguria (+172,5%), ma in tutto il Nord avanza più nettamente rispetto al dato medio nazionale.

M5S. Non esiste naturalmente un confronto storico col 2008 per il Movimento cinque stelle. I consensi ottenuti dal partito sono stati circa 8.700.000, distribuiti abbastanza equamente su tutto il territorio italiano. E’ questo un dato di grande importanza, se si considera che la capacità di insediamento elettorale del Movimento sino a pochi mesi fa appariva limitata solo ad alcune regioni del Nord. Di fatto, il partito di Grillo conquista oltre 2.400.000 milioni di voti al Sud, circa 2.150.000 nelle regioni del Nord-Ovest e 1.600.000 voti nella “zona rossa”. La regione che guida la graduatoria dei consensi è la Lombardia (1.130.704), seguita dal Lazio (928.175) e dalla Sicilia (842.617).

Questo articolo è stato segnalato da Lino di Gianni su facebook: http://bologna.repubblica.it/cronaca/2013/02/26/news/istituto_cattaneo_confronto_2013-2008-53470404/?ref=HREA-1

28 Febbraio 2013Permalink

26 febbraio 2013 – Contributo da tempi duri

Mi fa piacere riportare quanto ha scritto e mi ha inviato l’amica Giancarla Codrignani. Condivido pressoché tutto ma voglio sottolineare, «con buona pace di tutti quelli che “recitano” le scritture, cioè le leggono secondo la tradizione dei bimbi che vanno a dottrina», la scelta di un linguaggio razionale per un messaggio adulto, per adulti che si assumono ogni giorno la responsabilità del proprio pensiero.

IL CRISTIANESIMO DOPO BENEDETTO XVI                     febbraio 2013
Giancarla Codrignani

Eugenio Scalfari, appreso l’ “evento”, ricordava (Repubblica del 17 febbraio): “Non fu Cristo a dire a Simone: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa? E’ vero, così recitano le scritture del Nuovo Testamento“. Con buona pace di tutti quelli che “recitano” le scritture, cioè le leggono secondo la tradizione dei bimbi che vanno a dottrina, per molti studiosi e teologi del nostro tempo non è così “vero” che Gesù abbia istituito la successione apostolica e il papato (per giunta, dal 1870, “infallibile”). E nemmeno “questa” Chiesa.

La rinuncia di papa Benedetto, che lo storico Le Goff, riferendosi alle intenzioni presunte, ha definito un’ “uscita dalla modernità”, sta producendo un potente effetto di rimbalzo proprio “dentro” la modernità, destinato, forse, a diventare controproducente. Come continuare a mantenere l’aura sacrale e a sostenere l’infallibilità quando un Pontefice romano lascia il soglio perché “non ce la fa”? Joseph Ratzinger, nemico del relativismo, è diventato involontariamente relativista; impressionato dalla secolarizzazione, ha evidenziato la secolarizzazione interna al Vaticano.

Difficile conservare memoria della visione immaginata al momento dell’annuncio di Papa Ratzinger come uomo fragile, dallo sguardo infantile, velato di timidezza repressa, disposto a tornare nella sua Germania per sedere in poltrona con il gatto sulle ginocchia ad ascoltare Mozart. In realtà, sempre che la salute glielo consenta (appare davvero vulnerabile), la presenza in Vaticano di un pensiero tutt’altro che debole potrà riservare ancora sorprese, quanto meno letterarie. L’aver fatto vescovo il segretario per mantenerlo accanto a sé ma garantito da vendette postume, la nomina di un finanziere dell’industria bellica tedesca al controllo dello Ior, l’allontanamento in Colombia di un curiale apparentemente più faccendiere che prete, sono scelte forti. Il motu proprio dell’11 novembre 2012 prende atto del disordine amministrativo delle Caritas, ma non ne impone la trasparenza mediante un controllo laicale o tecnico, bensì le sottomette tutte all’autorità  episcopale; così la condanna del gender al Consiglio Cor Unum del 19 gennaio, successivo alla lunga controversia con le suore americane accusate di “femminismo”, e la scomunica di p. Bourgeois impegnato a favore del sacerdozio femminile, non illudono sul pensiero teologico del papa “riformatore” che piace ai “laicisti”. Probabilmente il prossimo scritto non riguarderà l’infanzia di Gesù.

In ogni caso il nuovo pontefice avrà un compito assai difficile. Tutte le religioni attraversano un momento critico e nemmeno l’islam può restare immutato e non superare i suoi fondamentalismi. Il cattolicesimo non può chiedere agli anglicani di sottomettersi al primato di Roma, dato che nessuno di noi, nemmeno un anglicano, ha qualcosa a che vedere con Enrico VIII: l’ecumenismo deve fare i passi avanti fin qui intercettati, mentre il tempo interpella senza rinvii la libertà religiosa. Anche in questi, che sembrano problemi minori, si tratta di fedeltà ai messaggi originari da cui le religioni traggono senso. Sarebbe molto grave favorire, proprio nella fragilità psicologica della gente che vive male una crisi mondiale, il ritorno al “sacro” e alle ritualità, ormai solo formali.

Il 2013 è stato denominato “l’anno della fede”. Da troppo tempo si nomina invano il nome di Dio – sono parole di Benedetto – per interessi profani che arrivano alla corruzione, alla copertura complice degli scandali e all’interferenza nelle politiche degli stati. Ma si parla anche di etica, senza rendersi conto che i “principi non negoziabili” favoriscono l’ipocrisia della doppia morale: il rifiuto di ridiscutere di natura e di sessualità umana fa sì che nessuno segua i precetti della Chiesa che partono da una tradizionale (e materialistica, peraltro) concezione della “natura” per predicare la castità ai divorziati, il celibato ai preti, l’inferiorità della donna rispetto all’altare, il divieto della contraccezione e del preservativo anche anti-aids, la discriminazione dei fratelli omosessuali.

Eppure, proprio nei momenti difficili sarebbe importante occuparsi della spiritualità degli umani, non quella che evade nella trascendenza, ma quella che dà senso e alimenta le speranze, camminando insieme alla gente e cercando di prevedere i  nuovi “segni dei tempi”. Riprenda il nuovo Papa gli impegni del Concilio Vaticano II a partire dalla collegialità, mettendo fine al pregiudizio di un Concilio finalmente pastorale, contestato perché non dogmatico. Il Vaticano II affrontò un tema di coerenza evangelica senza dargli compiuto sviluppo teologico, quello della “povertà”. I padri conciliari avevano incominciato a trattarne in modo radicale, poco confacente con le linee tendenziali dello Ior, addirittura opponendosi al fasto delle vestimenta clericali. Tuttavia, proprio quel rigore potrebbe rendere amico il volto della Chiesa.

26 Febbraio 2013Permalink

20 febbraio 2013 – Riflessioni che continuano, autocitazioni e confronti

Riprendo dall’ampia rassegna stampa ‘L’abdicazione di Benedetto XVI’, firmata da Patrizia Vita, che potete trovare nel sito ‘ildialogo.org’ l’articolo che segue, con l’indicazione delle fonti tutte accessibili. Ho verificato.

Immunità: ecco perché Ratzinger resterà in Vaticano

Sicurezza e privacy, certo, sono i motivi contingenti che hanno spinto alla scelta di far risiedere papa Ratzinger all’interno del Vaticano. Ma ce n’è un terzo, più sottile e meno immediatamente percepibile, che è quello della conservazione dell’immunità: decaduta quella diplomatica con il decadere della carica di capo di Stato, infatti, solo la residenza all’interno dello Stato della Città del Vaticano, in base ai Patti Lateranensi, può continuare a garantirgliela. Non un dato irrilevante, dal momento che, in passato, diverse iniziative hanno cercato di coinvolgere il pontefice per citarlo in giudizio. E questo sia durante il suo incarico precedente di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sia per il ruolo di capo di Stato vaticano, come sottolinea il quotidiano
The Huffington Post.

L’ambito è quello dello scandalo degli abusi sessuali perpetrati dal clero e dei processi avviati da varie associazioni delle vittime, specialmente negli Stati Uniti, che hanno coinvolto Ratzinger nel ruolo di “datore di lavoro” dei preti colpevoli di abusi, ma anche per il silenzio rispetto alla copertura da parte della Santa Sede. Fu quanto accadde in Oregon nel 2010, quando, nell’ambito della denuncia di abusi sessuali commessi negli anni ‘60 a Portland da un prete proveniente dall’Irlanda, i legali della vittima fecero leva sulla responsabilità diretta della Santa Sede, chiamata a rispondere delle azioni dei suoi “dipendenti”. L’accusa, per la Santa Sede, era di non aver preso provvedimenti limitandosi a trasferire il prete da una diocesi all’altra. La tesi, accolta dalla Corte d’appello dell’Oregon ma contestata dai legali del Vaticano, fu discussa davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che contestò l’immunità per la Santa Sede, stabilendo che il tribunale potesse proseguire nell’accertamento delle specifiche responsabilità degli organi vaticani.

In Wisconsin un analogo processo venne archiviato. L’avvocato Jeff Anderson, in rappresentanza di centinaia di vittime di abusi sessuali, aveva depositato una notifica di archiviazione – che comporta l’immediata chiusura del procedimento senza bisogno che la Corte si esprima – per un’azione legale che riguardava gli abusi perpretati, tra il 1950 e il 1974, da p. Lawrence Murphy. Secondo i documenti pubblicati nel 2010 dal New York Times, nel 1998, investita della questione, la Congregazione per la Dottrina della Fede, allora guidata da Ratzinger, rifiutò di procedere contro p. Murphy. «Era anziano e in precarie condizioni di salute», aveva motivato al quotidiano statunitense il portavoce della Sala stampa vaticana, p. Federico Lombardi, sottolineando che la Congregazione era venuta a conoscenza della questione solo a 20 anni di distanza dalla denuncia dei fatti alle autorità diocesane e di polizia. La notizia dell’archiviazione fu accolta con entusiasmo dall’avvocato che rappresenta la Santa Sede negli Usa, per il quale si trattava di una causa tenuta insieme solo da una «rete mendace di accuse infondate di complotti internazionali».

Non fu possibile aggirare l’immunità diplomatica di Benedetto XVI nemmeno nel 2010 quando, durante la sua visita in Gran Bretagna, lo scrittore inglese Richard Dawkins e il giornalista Christopher Hitchens chiesero l’arresto del papa.
Ma già nel febbraio 2005 Ratzinger, allora “solo” prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, era stato citato in giudizio per “ostruzione alla giustizia” davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas). Secondo l’avvocato Shea, infatti, il testo emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2001, l’Istruzione De delictis gravioribus che imponeva il silenzio su tutti i casi di pedofilia di cui i vescovi cattolici fossero venuti a conoscenza, avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. La corte texana emise un ordine di comparizione per il prefetto del dicastero vaticano. Ma il 19 aprile 2005 Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato Usa per chiedere l’immunità diplomatica per il loro assistito. L’amministrazione Bush acconsentì, anche per l’evidente imbarazzo che avrebbe suscitato l’audizione giudiziaria di un papa. E’ evidente, però, che con il passare del tempo le condanne per copertura degli abusi stanno colpendo sempre più in alto nella scala gerarchica ecclesiastica: basti pensare al recente coinvolgimento dell’ex arcivescovo di Los Angeles, card. Roger Mahony, che dovrà deporre in tribunale il prossimo 23 febbraio e la cui corrispondenza con la Santa Sede sul tema è compresa nelle migliaia di pagine di documentazione rese pubbliche.

I legali delle vittime di abusi presentarono, poi, nell’autunno 2011 un esposto alla Corte Penale Internazionale dell’Aia per dimostrare che «i più alti livelli del Vaticano hanno tollerato e reso possibile la copertura sistematica e diffusa di stupri e crimini sessuali contro bambini di tutto il mondo». Ancora non si conosce l’esito della procedura. Certo è, in ogni caso, che Ratzinger, al riparo del monastero Mater Ecclesiae, all’interno delle mura vaticane, potrà dormire sonni più tranquilli. Lo affermano anche funzionari vaticani: «La sua permanenza in Vaticano è necessaria – conferma un’autorità vaticana citata in forma anonima in un articolo dell’Huffington Post – altrimenti sarebbe indifeso. Altrove non avrebbe la sua immunità, le sue prerogative, la sua sicurezza».

Leggi tutto da:
linkiesta.it;    giornalettismo.com;     articolo21.org;    babylonpost.globalist.it;

17 febbraio – autocitazioni e verifica 

Riprendo, a mia futura memoria, quello che avevo scritto due giorni fa. Non mi associavo alla richiesta che si trova nell’articolo che ho trascritto (e che allora non conoscevo) ma mi chiedevo se il papa non avesse rivisto i motivi che potevano averlo indotto a non denunciare all’autorità competente i preti pedofili.
L’eventuale pentimento e confessione non cancella quello che per la società civile di molti paese è un crimine.
Ora fioccano sui quotidiani le notizie relative alla protesta di cattolici statunitensi che si oppongono a che il cardinale Roger Mahony entri in conclave. Il cardinale ha coperto preti pedofili. In Italia della questione si occupa Famiglia Cristiana.
Io mi chiedo invece se il suo silenzio non lo renda complice di un crimine e perché non entri come tale in tribunale. Solo lui?

Ecco le mie considerazioni del 17 febbraio:

“Mi viene da pensare a uno splendido racconto di Pirandello, Il treno ha fischiato, la storia di un poveretto la cui vita è solo lavoro di contabile che, per necessità, continua anche la sera a casa finché una notte, chissà perché, sente il fischio di un treno che rompe la sua ossessiva, totalizzante routine, tanto da stroncarlo. Pareva “gli si fosse scoperto, spalancato d’improvviso all’intorno lo spettacolo della vita.”

E se fosse successo anche al papa? Se a un certo punto avesse sentito un fischio, non credo di treno ma da chissà dove, e si fosse chiesto che cosa poteva fare sulla cattedra di Pietro che non sembra appoggiare su basi esemplarmente virtuose e si fosse reso conto che cardinali esperti in alta contabilità più che in pratiche di meditazione, usi forse a leggere bilanci con più interesse che salmi, erano più forti di lui? Se si fosse chiesto se non fosse il caso –come timidamente aveva cominciato a fare (con esiti finanziariamente disastrosi) nel caso della pedofilia – di consegnare alcuni suoi collaboratori all’autorità giudiziaria, dando a Cesare quel che è di Cesare?

E se a questo punto avesse pensato a un atto di radicale rottura come l’abdicazione, ammettendo la propria irrimediabile debolezza?”

20 Febbraio 2013Permalink