5 Dicembre 2011 – Neonati ammessi ad esistere (forse)

XVI LEGISLATURA CAMERA DEI DEPUTATI
N. 4756 PROPOSTA DI LEGGE
d’iniziativa dei deputati LEOLUCA ORLANDO, DI GIUSEPPE, MONAI.

Modifica all’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno
Presentata il 7 novembre 2011
Onorevoli Colleghi! — La legge n. 94 del 2009, in materia di sicurezza pubblica, ha modificato il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998. In particolare, la lettera g) del comma 22 dell’articolo 1 della legge n. 94 del 2009 ha modificato il comma 2 dell’articolo 6 del testo unico in materia di obbligo di presentazione di documenti attestanti il soggiorno per gli stranieri: la nuova formulazione, nell’ambito dei provvedimenti esclusi dall’obbligo di presentazione di documenti attestanti il soggiorno, espungeva l’esplicito riferimento agli atti di stato civile e all’accesso ai servizi pubblici sostituendolo con quello inerente all’accesso alle prestazioni sanitarie e con quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie. Premesso che il citato comma 2, anche nel testo modificato, è stato di fondamentale importanza per la tutela della maternità, della salute e dell’istruzione – diritti fondamentali e diritti umani ma, soprattutto, di primario interesse pubblico – di tutte le persone extracomunitarie presenti, anche illegalmente, nel nostro Paese, in quanto non obbligava le persone in situazione di bisogno sanitario urgente alla presentazione del permesso di soggiorno per ottenere le cure adeguate, non altrettanto può dirsi degli atti di stato civile – quali nascita, stato di famiglia e morte degli stranieri – in ordine ai quali la modifica apportata della legge n. 94 del 2009 ha creato dubbi interpretativi, cioè se questi atti siano o meno esentati dall’attestazione del soggiorno. Di diversa natura, ma altrettanto problematico, è il nuovo riferimento alle prestazioni scolastiche obbligatorie – in luogo del più generico «accesso ai servizi pubblici» – dalle quali risulterebbero esclusi le scuole dell’infanzia e gli asili nido.
La necessità di chiarimenti sulle questioni inerenti allo stato civile introdotte dalla legge n. 94 del 2009 è testimoniata dalla tempestiva emanazione di una circolare del Ministero dell’interno – n. 19 del 7 agosto 2009, protocollo n. 0008899 – la quale chiariva, al punto 3, che «Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto».
Le indicazioni, pur lodevoli, della circolare, appaiono giuridicamente contraddittorie rispetto al tenore della normativa che, con tale strumento, non può ritenersi né sostituita né interpretata e da cui esplicitamente emerge la volontà di sopprimere il riferimento agli atti di stato civile.
In termini pratici, ciò che ne consegue è l’impreparazione degli uffici di molti enti locali in ordine a ciò che occorre applicare e la mancata registrazione di nascita da parte dei genitori extracomunitari per paura di denunce e di espulsioni, non costituendo la circolare, per loro, uno scudo sufficiente.
Dal Ministero dell’interno sono giunte a suo tempo rassicurazioni in ordine al diritto al riconoscimento dello status di figlio indipendentemente dalla situazione di irregolarità di uno o di entrambi i genitori, status che, ove mancante, lederebbe un diritto assoluto del figlio in quanto, in assenza dell’atto di nascita, risulterebbe inesistente dal punto di vista delle regole dell’ordinamento giuridico.
La Costituzione garantisce tutti i diritti a tutti i soggetti, senza distinzione alcuna, e in particolare afferma il principio dell’inviolabilità del diritto del nato, alla stregua di quanto sancito in materia di tutela dei minori dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dalla legge n. 176 del 1991.
In armonia con lo spirito e con i dichiarati intenti della circolare ministeriale, nella ricerca di uno strumento idoneo a fugare ogni dubbio, si propone una modifica espressa alla normativa vigente al fine di escludere dall’obbligo di esibizione di documenti attestanti il soggiorno i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile e alle prestazioni scolastiche delle scuole dell’infanzia e degli asili nido.

PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
1. Il comma 2 dell’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«2. Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile, per i provvedimenti inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti all’accesso a pubblici servizi e alle prestazioni scolastiche nelle scuole di ogni ordine e grado, compresi le scuole dell’infanzia e gli asili nido, i documenti inerenti al soggiorno di cui all’articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni e altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati».

Per raggiungere questo testo:
www.camera.it
Alla voce; Progetti di legge – scrivere 4756
Compare la voce relativa
Clic su Scheda del progetto di legge
Clic su Testi
Sotto la voce ‘testi disponibili’ compare la possibilità di accesso alla voce C.4756 (formato word) e PDF (per il formato in pdf).

5 Dicembre 2011Permalink

2 dicembre 2011 – Proposta di legge per la registrazione anagrafica dei figli di sans papier.

Il nuovo governo forse ha creato le condizioni perché il parlamento possa esprimersi anche su di un aspetto del ‘pacchetto sicurezza’ di cui questo blog si occupa da quasi tre anni.  In questo clima alcuni deputati hanno firmato la proposta 4756.
Insieme a un’amica abbiamo deciso di impegnarci anche perché percorra un veloce iter fino alla su approvazione.
Abbiamo affidato il nostro desiderio a una corrispondenza che trascrivo.

Lettera al presidente Napolitano

Udine 24 novembre 2011

Egregio Presidente,
i due discorsi che Lei ha pronunciato il 15 e il 22 di novembre, l’uno dedicato ai ‘Nuovi Cittadini italiani’ e l’altro rivolto ai rappresentanti della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, ci sono stati di grande conforto. In entrambi infatti Lei ha fatto riferimento a bambini e ragazzi, nati in Italia o arrivati da noi  anche molto piccoli,  ma non italiani.
Grande fonte di speranza, li ha definiti e ne ha ricordato dispiacere e meraviglia perché, mentre si sentono italiani,  percepiscono la loro diversitànella vita quotidiana, nei sentimenti, nella percezione della propria identità’.
Con una acrobatica proiezione nel futuro una ragazzina (8 anni) annunciava in famiglia ‘Il quattro novembre saremo tutti italiani’. La maestra, cui la mamma si era rivolta per capire, aveva approfittato di un’occasione storica per parlare non di guerre e vittorie ma di fratellanza, di unità, di convivenza e in quei desideri quella bimbetta si era ritrovata cittadina, anche se non lo era. Venga la legge che cittadina la riconoscerà anche formalmente  per ritrovarci con lei, negli stessi valori.
Ma anche fra i migranti, egregio presidente, ci sono diversità che oggi non basta la volontà di riconoscere cittadino chi nasce sul nostro territorio – a prescindere da un’arcaica legge del sangue – a superare.
Infatti la lettera g) del comma 22 dell’art.1  della legge 94 del 2009 impone – cancellando la norma del precedente Testo Unico del 1998 che tanto non richiedeva – di presentare un adeguato titolo di soggiorno per la richiesta di registrazione di atti di stato civile, quelli che in una recente sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato appartenere «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», di talché la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi»
La Corte si è espressa riferendosi specificatamente ai matrimoni (la cui richiesta di celebrazione per due anni ha messo i non aventi titolo di soggiorno a rischio espulsione)  ma in questa fattispecie rientrano anche i certificati di nascita che difendono il nuovo nato dal rischio di essere apolide e assicurano ai suoi genitori il diritto di riconoscerlo figlio senza che la loro gioia sprofondi nella paura della cacciata.
Persino il precedente governo deve essersi accorto dell’incongruità di questa norma se, pochi giorni dopo aver acquisito l’approvazione con voto di fiducia della legge 94, ha emanato una precipitosa circolare interpretativa che –per i nuovi nati – dice il contrario della legge stessa.
Ma, pur se ammettiamo che la circolare sia stata diligentemente applicata e che le procedure abbiano avuto un tale carattere di trasparenza da vincere la paura dei migranti a presentarsi in comune per quella registrazione, restiamo offesi noi cittadini italiani dall’avere nel nostro ordinamento una norma che nega persino ai neonati un diritto che loro appartiene in quanto esseri umani.
Vogliamo esprimere anche a Lei, oltre a un nuovo grazie, la speranza che il Parlamento, ritrovando la dignità di un ruolo e lo spazio per esprimerla, sappia rimediare anche a questo vulnus.
Cordialmente
Augusta De Piero  –  Adriana Libanetti

Chi volesse leggere i due discorsi del Presidente citati sopra potrà farlo nell’ordine da qui e da qui.

Ancora lettere

Abbiamo poi inviato una lettera con simili contenuti al nuovo ministro alla Cooperazione internazionale e l’integrazione e infine abbiamo voluto sollecitare anche il Presidente della Camera nella speranza che voglia farsi carico di un’agenda in cui la proposta n, 4756 inizi presto il suo iter.

Egregio Presidente,
confortate dalle nobili parole del Presidente della Repubblica,  con enorme sollievo vediamo emergere un significativo interesse politico per il problema della cittadinanza ai figli di migranti stranieri, posto con determinazione da una campagna di promozione di una legge a iniziativa popolare.
Ci permettiamo di ricordarLe –oltre al problema del riconoscimento del diritto di cittadinanza a chi nasca nel nostro territorio – che la legge italiana prevede che i migranti privi di permesso di soggiorno,  per registrare la nascita di un figlio (assicurandolo così dal rischio di diventare apolide) devono presentare un titolo di soggiorno che – per contraddizion che nol consente- non hanno (lettera g comma 22 art. 1 legge 94/2009).
Su questo argomento ci risulta essere all’attenzione della Camera la proposta di legge n. 4756, primo firmatario l’on. Leoluca Orlando, “Modifica all’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno” .
Ci rendiamo conto che la dimensione del problema non è quantitativamente rilevante e che in ogni caso una circolare interpretativa, emanata pochi giorni dopo l’approvazione della legge 94, rende operativamente possibile la registrazione dell’atto di stato civile in legge negato.
Siamo però consapevoli della realtà della paura dei genitori interessati (stimolata anche da devastanti campagne xenofobe promosse dalla Lega Nord) e soprattutto dal fatto che noi, in quanto cittadini italiani, siamo offesi dalla presenza nel nostro ordinamento di una norma che fa dipendere l’esistenza di un neonato da una discriminante burocratica.
Le chiediamo quindi che nell’esercizio del suo mandato  istituzionale  voglia assumere iniziative che consentano un rapido iter alla citata proposta di legge 4756.
Augusta De Piero  –  Adriana Libanetti  – 

Il Presidente della Camera risponde

A strettissimo giro di posta abbiamo ricevuto la risposta dalla segreteria del Presidente Fini:

Si comunica che il Presidente ha disposto la trasmissione della Sua e-mail alla Commissione parlamentare competente, affinché’ i deputati che ne fanno parte possano prenderne visione ed assumere le iniziative che ritengano opportune.
Con i migliori saluti.
La Segreteria del Presidente della Camera dei deputati

Nello scritto che segue, Una storia noiosa e qualche commento, si può trovare molta documentazione tratta dal mio blog.
Rivederlo oggi mi è servito a ordinare la mia memoria e a rafforzare molte mie perplessità.

2 Dicembre 2011Permalink

2 dicembre 2011 – Una storia noiosa e qualche commento.

Alcune tappe di una storia noiosa.

Il 2 agosto del 2010 l’on, Orlando ha presentato un’interrogazione sulla questione che potrete leggere da qui.
Nel timore che finisse nel calderone delle interrogazioni inevase ho scritto al Presidente della Camera, per sollecitarlo a garantire un riscontro alla interrogazione Orlando.
La relativa corrispondenza può leggere qui.
Il sollecito del Presidente della Camera ha portato a una risposta scritta dell’allora sottosegretario Davico, un piccolo capolavoro di sintesi della rozzezza di un’intelligenza devastata dal pregiudizio che merita una lettura per aiutarci a ricordare quel che abbiamo passato e forse superato (ma non sono sicura).
Il 6 dicembre 2010 la Società Italiana  di Medicina delle Migrazioni (SIMM) affrontava il problema  in un suo documento. Il tema sarebbe stato ripreso il 24 dicembre di quest’anno in un comunicato del GrIS del Friuli Venezia Giulia, Gruppo locale Immigrazione e Salute della SIMM.
Sempre nel dicembre 2010 ho scritto al Presidente della Repubblica che mi ha risposto tramite, naturalmente, la sua segreteria  (corrispondenza leggibile da qui).
Per ciò che concerne l’informazione locale devo segnalare che, oltre al comunicato del GrIS citato sopra, ho sempre trovato spazio sul mensile udinese Ho un sogno e ho potuto scrivere un articolo su Il Gallo di Genova lo scorso mese di marzo.

L’amaro piacere di qualche commento

Evidentemente non riesco a liberarmi da ingenuità che l’esperienza imposta dall’età non dovrebbe consentirmi e quindi sono rimasta sconcertata dalle reazioni  che ho avuto modo di registrare quando parlavo  del problema della registrazione anagrafica dei figli di sans papier. Nello stesso tempo voglio tenere ben fermo il mio diritto all’indignazione e, qualche volta, al disgusto.
Mi è stato detto che ‘non è possibile quindi non è vero’, che ‘in questa situazione (Berlusconi ancora regnante) non ci sentiamo di parlare’, che ‘non protestiamo, ci affidiamo alla  sensibilizzazione’ o –meglio- ‘alla pancia’ (testuale e detto da donne … signore mie se nel ’74 ci fossimo avvitate sulle emozioni delle nostre pance non avremmo il divorzio!) e via blaterando…
Drammaticamente in molte associazioni ci si è affidati alla circolare del 2oo9 che ‘interpreta’ la legge dicendone il contrario e ammettendo quindi la registrazione anagrafica dei neonati.
Altro non poteva fare quello sciagurato ministero dell’interno, pena subire un richiamo da parte delle istituzioni europee, ma, se va detto ad onore degli operatori che collegando circolare e altre norme a tutela della maternità presenti nel testo unico del 1998 (che né la legge Bossi-Fini né il pacchetto sicurezza erano riusciti a cancellare),  riuscivano a proteggere neonati e genitori, non posso dimenticare che anche in associazioni sedicenti democratiche e sensibili (sic! Odio la sensibilità incompetente!|) correva voce che la situazione fosse sistemata, appunto con la circolare.
Ormai il criterio della beneficenza dilagante ad onore (e forse piacere) di chi la pratica e l’abbandono programmatico di ogni dignità di cittadinanza percorre –da destra a sinistra- tutta la nostra società che fu civile.
Per carità di patria non mi soffermo sul silenzio dei sindaci, pavidi minuscoli podestà, ignari del ruolo che dovrebbero esercitare nei confronti di tutti coloro che vivono – e nascono – nel loro territorio.

I matrimoni

A proposito della mia ingenuità colpevole di cui sopra, pur sapendo che la legge 94 del 2009 (lettera g comma 22 articolo 1) colpiva tutti gli atti di stato civile –e quindi oltre alla registrazione delle nascite negava anche quella dei matrimoni di chi non potesse presentare titolo di soggiorno – mi ero concentrata sulle nascite perché mi sembrava che la guerra ai neonati fosse quanto di più ripugnante si potesse segnalare (e comunque a tanto non erano arrivate nemmeno le leggi razziali del 1938).
L’indifferenza generale mi ha insegnato che non è così e, se la Corte Costituzionale è potuta intervenire a cancellare il divieto a celebrare matrimoni di persone prive di permesso di soggiorno (il pacchetto sicurezza aveva provveduto anche a una modifica del codice civile!), è stato perché una coppia mista  ha fatto ricorso contro il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di non so quale comune siciliano  e ha vinto la causa, per sé e per tutti gli altri che si troveranno nelle stesse condizioni (ma chi rimedierà ai danni compiuti nei due anni trascorsi? Chi chiederà perdono per aver negato l’esercizio di diritti fondamentali che spettano a tutti in condizioni di uguaglianza?  E a chi? Non credo che i sindaci che abbiano detto no alla celebrazione di matrimoni di sans papier abbiano preso nota del nome delle persone offese nell’ipotesi di poter rimediare in futuro).
Bisogna rendere onore a quei pochi che ancora esercitano il loro dovere di parola là dove è possibile, che ancora sanno cosa significhi un diritto  e non si limitano all’urlo o al piagnisteo che collega – in un sordido clima emotivo – chi non sa – o non vuole – fare altro.
Particolarmente interessante a questo proposito la posizione della chiesa cattolica i cui ministri di culto  nell’atto di celebrare matrimoni sono ufficiali di stato civile e si sono accodati al no dei sindaci che, consapevoli o inconsapevoli che fossero, li coinvolgeva.
Sull’argomento matrimoni, di cui ho trovato notizie nel sito della Associazione Studi Giuridici Immigrazione (ASGI),  ha pubblicato un mio articolo la rivista Confronti (novembre 2011 –www.confronti.net).

2 Dicembre 2011Permalink

1 dicembre 2011 – Christa Wolff

E’ morta una scrittrice cui devo molto.
Di seguito segnalo due siti in cui si parla di lei (articoli de La Stampa e di Repubblica).
Qui voglio solo  proporne una citazione apparentemente semplice, in realtà sconvolgente:
“Tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere” (Cassandra. Ed, e/o 1985 pag. 132).
Mi piace ricordare non solo quanto mi ha offerto per pensare ma anche un tempo non brevissimo di grande piacere.
Ho riletto molti anni fa le sue “Premesse a Cassandra” davanti alle mura di Micene. Mi ero portata il libro in Grecia apposta e ne valeva la pena.

 

1 Dicembre 2011Permalink

23 Novembre 2011 – “Una follia negare la cittadinanza”

“Una follia negare la cittadinanza” , così titola la stampa del 22 novembre, facendo riferimento al discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica il 15 novembre  e che è possibile leggere per intero nel sito del Quirinale (si può fare anche da qui).
Così il Presidente esprime la sua consonanza con la legge a iniziativa popolare per cui vengono raccolte le firme nel contesto dell’iniziativa ‘L’Italia sono anch’io’  (per chi fosse interessato ricordo che, oltre che nei  banchetti che vengono promossi in luoghi vari delle città italiane,  è possibile  firmare anche negli uffici elettorali dei comuni).
Sempre da La Stampa apprendo che il senatore Marino ha depositato un disegno  di legge conforme a quello a iniziativa popolare, firmato da 113 senatori, di cui ho trovato notizia nel sito web del senatore che potete raggiungere anche da qui)  

Contrastare la discriminazione  –  Pro memoria.

Sono pienamente convinta che l’attribuzione della cittadinanza ai nuovi nati risolverebbe  (non oso ancora dire risolverà: nella pervasività della cultura della paura e della discriminazione, che la Lega Nord ha saputo abilmente suscitare, l’indicativo mi sembra troppo impegnativo) la maggior parte dei problemi che si oppongono a misure di civiltà relative a precisi diritti fondamentali.
Voglio ricordare la definizione datane dalla Corte Costituzionale che  ha detto come  tali diritti appartengano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», di talché la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi»
La Corte si è espressa, riferendosi specificatamente ai matrimoni, con la sentenza n.245 dello scorso mese di luglio  (leggibile da qui) di cui ho scritto nel mio pezzo del 6 agosto.
Dopo che è stata pubblicizzata l’iniziativa de l’Italia sono anch’io alcuni comuni hanno comunicato ai residenti stranieri che compivano 18 anni – e che, diventando maggiorenni, non avrebbero potuto giovarsi del ricongiungimento familiare o di altre forme di tutela riservata ai minori – la possibilità di chiedere la cittadinanza italiana.
Ne ho scritto, ricordando che tale iniziativa è stata condivisa anche dal comune di Udine.
nel mio pezzo del 10 novembre che si può leggere da qui.

Last but not least: figli di sans papier.

Finalmente posso ordinatamente segnalare alcune importanti  iniziative positive.
Resta per me fondamentale la problematica della discriminazione, già al momento della registrazione anagrafica, dei figli di immigrati irregolari.
Ne ho scritto tante volte e, azionando i tag bambini o anagrafe, ne uscirà un materiale forse eccessivo, ma non avevo altro mezzo che scrivere per dire che io non  ci sto.
Ci sono casi in cui al responsabilità personale diventa ineludibile.
A titolo di informazione cito soltanto il mio articolo pubblicato dalla rivista Il Gallo che è leggibile anche da qui.
Fortunatamente della questione si è fatto carico il Gruppo immigrazione e salute – GrIS  del Friuli Venezia Giulia con il comunicato che ancora una volta trascrivo

Il Gruppo Immigrazione e Salute (GrIS) Friuli Venezia Giulia (della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni – SIMM) ha aderito alla campagna ‘L’Italia sono anch’io’ che promuove due proposte di legge a iniziativa popolare relative ai diritti dei migranti.
In particolare il GrIS del FVG ritiene che la proposta di Nuove norme sulla Cittadinanza, riconoscendo ad ogni nuovo nato in Italia il diritto ad esserne cittadino, attengano direttamente ai propri obiettivi di promozione della salute come diritto umano al completo benessere fisico, mentale e sociale, come ribadito, nel maggio di quest’anno, dalle “Raccomandazioni finali dell’XI Congresso della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni”.
Poiché è chiaro che un diritto è tale solo se si declina in termini di uguaglianza, il GrIS del FVG non può non guardare con preoccupazione alla legislazione in vigore che – dal 2009- impone ai migranti irregolari che vogliano registrare la nascita del proprio figlio la presentazione del permesso di soggiorno, documento che – per definizione – non possiedono.
Qui non si tratta di attribuzione di cittadinanza ma di garantire ad ogni bambina e ad ogni bambino sin dalla nascita, un nome e una nazionalità, come vuole la Convenzione di New York del 1989 che in Italia è legge (n.176/1991) evitandone la discriminazione in nome di un cavillo burocratico.
L’assenza di un certificato di nascita comporta gravi conseguenze per la tutela della salute.
Siamo al corrente che è stata precipitosamente emanata dal governo, a pochi giorni dall’approvazione del ‘pacchetto sicurezza’ una circolare interpretativa che apre una procedura che rende possibile la registrazione anagrafica delle nascite. Ma ciò non basta.
La Corte Costituzionale ci ha recentemente ricordato che i diritti inviolabili dell’uomo, di cui leggiamo negli artt. 2 e 3 della Costituzione, appartengono “ai singoli, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”. Non possiamo perciò accettare che il diritto alla salute, di cui anche come operatori del settore siamo garanti, e ogni altro diritto inviolabile che appartiene ad ogni essere umano, sia affidato per alcuni bambini alla labilità di una circolare e non a una norma di legge che regoli la nostra convivenza civile.
Chiediamo perciò al Parlamento italiano di modificare con la necessaria urgenza la lettera g) del comma 22 dell’art. 1 della legge 94 del 2009 (cd. pacchetto sicurezza). 

Una risposta

La richiesta conclusiva del comunicato ha trovato una risposta il cui primo segnale è visibile nel sito della camera dei deputati.
Trascrivo:
Atto Camera: 4756 Proposta di legge: LEOLUCA ORLANDO: “Modifica all’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di obbligo di esibizione dei documenti di soggiorno”.
Per ora un indizio, spero che quanto prima venga pubblicato il testo della proposta.
Ne darò immediatamente notizia.

Sono pienamente consapevole che la circolare interpretativa di cui parla il comunicato (e ampiamente illustrata nell’articolo de Il gallo)  è stata utile strumento per chi, con competenza e onestà, si occupa di assistere gli immigrati nell’espletamento delle procedure che li riguardano ed è stata rispettata dai comuni non inquinati dal flusso dilagante di inciviltà.
Ma, se a un operatore –vuoi dell’ente locale vuoi del mondo associativo- tanto può bastare, non è così per un cittadino che, in quanto tale, non può accettare che motivi di discriminazione dichiarati in legge costringano un neonato a non avere genitori che la legge riconosca e a diventare apolide.
E’ per questo che da tre anni – e sono stati anni di frustrazioni e delusioni cocenti – mi occupo della registrazione anagrafica dei neonati figli di immigrati irregolari.

La peste è contagiosa.

Prima sono venuti a prendere gli zingari,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo zingari;
poi sono venuti a prendere gli ebrei,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo ebrei;
poi sono venuti a prendere i comunisti,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo comunisti;
poi sono venuti a prendere gli omosessuali,
e noi non abbiamo protestato perché non eravamo omosessuali;
infine sono venuti a prendere noi,
e non c’era più nessuno capace di protestare.
Martin Niemöller

23 Novembre 2011Permalink

19 novembre 2011 – Veli e svelamenti

16.11.2011 Giudice intima all’interprete musulmana di togliersi il velo in aula

Comunicato dell’ASGI: “Una lesione del diritto costituzionale alla libertà religiosa”
 
Stando alle notizie pubblicate su diversi quotidiani (si veda ad es. l’articolo comparso sul quotidiano “La Repubblica“, edizione del 15 nov. 2011), nel corso di un’udienza dinanzi alla prima sezione penale di Torino, il 14 ottobre scorso,  un giudice avrebbe intimato all’interprete di lingua araba di togliersi il velo islamico, l’hijab, che questa portava sul capo coprendone i capelli ed il collo lasciando libero interamente il volto oppure, in caso contrario, di lasciare l’aula. Il caso sarebbe stato portato davanti al CSM dal Presidente del Tribunale di Torino, non d’accordo con la decisione del collega. Il magistrato avrebbe giustificato la sua posizione, asserendo la necessità di rispettare il dettato dell’art. 129 del codice di procedura civile che impone a chi interviene o assiste all’udienza di stare a capo scoperto per rispetto nei confronti della Corte.

Ancora dal  comunicato stampa dell’ASGI del 15 novembre

La sezione torinese dell’ASGI esprime il proprio disappunto e sconcerto per la vicenda dell’esclusione dall’aula giudiziaria dell’interprete in lingua araba decisa nel corso di un’udienza tenutasi il 14 ottobre scorso davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Torino, in ragione del fatto che la donna indossava lo hijab, il velo tradizionale islamico che copre i capelli ed il collo, lasciando libero il volto.

Sebbene l’art. 129 del c.p.c. preveda che chi interviene o assiste in udienza debba stare a capo scoperto e prassi istituzionale vorrebbe che chi presenzia in udienza stia a capo scoperto a tutela del decoro e del rispetto dell’Autorità Giudiziaria sulla base anche dei poteri di disciplina dell’udienza attribuiti al giudice ai sensi dell’art. 470 c.p.p., l’ASGI ricorda che l’applicazione di tali norme deve trovare il limite del legittimo  rispetto del diritto fondamentale alla libertà religiosa e alla manifestazione del proprio credo religioso di cui all’art. 19 della Cost.  e all’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Inoltre, un‘ applicazione assoluta delle norme dei codici di procedura senza le dovute eccezioni per chi ritenga di rimanere  con il capo  coperto in ossequio alla propria fede religiosa (sia essa la suora cattolica, o l’ebreo ortodosso, o il sikh o la donna musulmana) o abbia altre legittime ragioni per farlo (si pensi alla persona sottoposta a chemioterapia) finirebbe per snaturare la stessa ratio della norma, esorbitando dalla sua funzione di assicurare il dovuto rispetto nei confronti della Corte per invece arrecare una lesione alla dignità della persona coinvolta. Inoltre,  l’applicazione generalizzata della norma,  senza possibilità di giustificate esenzioni,  nei confronti di  persone che svolgano  in udienza incarichi professionali tecnici quali quelli di interprete o verbalizzante, costituirebbe anche una forma di  “discriminazione indiretta” nell’esercizio dell’attività lavorativa, vietata dal d.lgs. n. 216/2003 di recepimento della direttiva europea n. 2000/78. Questo in quanto l’applicazione di un criterio apparentemente neutro (il capo scoperto) finirebbe per escludere dall’attività professionale persone appartenenti a minoranze religiose senza che ciò corrisponda ai requisiti di necessità e proporzionalità.

Ho ricopiato la notizia mettendo in chiaro anche una parte che nell’originale è accessibile attraverso link e questo mi ha suscitato altre considerazioni su cui mi propongo di tornare presto.

Non chiamatelo sempre burqa

Per ora torno alle mie storie pubblicate su Ho un sogno e riprese in questo blog sotto il titolo  di ‘donne sotto traccia’ dove anche di velo si parla.
Chi volesse leggere il testo integrale delle tre storie troverà il link agendo sul nome delle tre donne
Faten  “La donna che ho davanti veste come me, non l’ho mai vista velata né con la testa coperta oltre la necessità di difendersi dal freddo. Eppure so che è mussulmana praticante, che ha fatto il pellegrinaggio a La Mecca (uno dei pilastri dell’Islam, cui si è accompagnata al marito) ed è tornata – secondo il titolo che spetta ai pellegrini- ‘agia’”
Nabila “ indossa il velo come la sua mamma e ne parliamo. Chiarisce subito che si tratta di una sua scelta personale, come personale è quella delle due sorelle che non lo indossano. In famiglia questo significativo pluralismo di atteggiamenti è accettato con tranquillità. A nessuna di loro è stato richiesto di giustificare le ragioni della scelta compiuta. Nabila mi spiega che il velo (le copre i capelli e il collo, nulla nasconde del volto) è una protezione della ‘modestia’ suggerita dalla tradizione religiosa islamica.
Vissuta in Marocco –paese islamico quasi al cento per cento- l’identità in cui si riconosce appartiene a quella realtà, senza che ciò la faccia sentire a disagio nell’occidente in cui è immersa”.
Majda  “Porta il velo che non copre il volto, che lei chiama khemar  e che a me ricorda l’hijab. Mi piacerebbe in ogni caso che si smettesse di usare sempre – e per lo più a sproposito – il termine afgano di burqa”.

Forse se provassimo ad ascoltare in libertà (soprattutto dal pregiudizio) arriveremmo da noi alle conclusioni che l’Asgi ci propone ma sostenere in Italia (o almeno in Friuli dove vivo) che l’uso del velo è compatibile con una scelta libera e che non portarlo non è offesa al Corano suscita derisione e ostilità.
Eppure gli  anziani (e soprattutto le anziane) se non usassero la memoria come un’arma per celebrare le proprie virtù e rovesciarle sugli altri come un liquame invasivo dovrebbero ricordare che la connessione fra veli, abiti e religione maggioritaria appartiene anche alla nostra storia.
Ne riparlerò perché voglio testimoniarmi che non omologo la mia memoria al comune cattivo buon senso.

19 Novembre 2011Permalink

12 novembre 2011 – Donne sotto traccia 7

MARY SILVA: QUANDO I NOSTRI FIGLI ERANO CLANDESTINI

Da tempo ci occupiamo su Ho un Sogno della registrazione anagrafica degli atti di stato civile riguardanti gli immigrati senza permesso di soggiorno. Nel 2009 infatti una modifica alla legislazione precedente ha loro imposto di esibire il documento che non possiedono anche per registrare la nascita di un figlio e sposarsi.
Di recente una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma in materia di matrimoni, mentre la possibilità di registrare le nascite resta affidata alla labilità di una circolare e in legge permane un divieto che disonora il nostro paese.
Molte persone, quando abbiamo cercato di passare questa informazione, ci hanno detto ‘non è possibile’.
E ciò che non è possibile non è vero.
Certo impedire a un genitore di dire ‘questo è mio figlio’ sembra una mostruosità incredibile ma la protezione del nuovo nato, su cui la vita si fonda, sarebbe un tabou inviolabile, se non fosse già stato violato. Ad esempio in Svizzera le leggi in vigore in un non troppo lontano passato impedivano ai lavoratori stagionali emigrati di tenere con sé i figli che, solo vivendo nascosti, assicuravano il lavoro dei loro genitori.
A questo punto interviene Mary Silva, una donna che in Svizzera aveva lavorato per cinque anni e ora vorrebbe servirsi della memoria come di una risorsa che consenta di leggere meglio il presente e immaginarne, se possibile, il cambiamento.
“Non solo i figli dei lavoratori stagionali ma anche quelli di chi aveva il permesso annuale –precisa – subivano la clandestinità. Infatti le mogli, se volevano vivere con  il marito, dovevano essere lavoratrici e non potevano quindi accudire a bambini tanto ‘ingombranti’. Per loro non c’era posto. Infatti la politica degli alloggi per emigranti li costringeva in spazi particolarmente ridotti”.
Gli emigrati che in patria avessero nonni disponibili avrebbero visto i figli – pur amorosamente accuditi –solo durante il periodo di ferie (“A questo proposito – ricorda Mary Silva- la distanza rendeva particolarmente pesante la condizione delle donne del sud”).
La divisione delle famiglie ne causava spesso una definitiva disgregazione o almeno situazioni di quotidiana crudeltà. ((La nostra interlocutrice ricorda la mamma che voleva regalare un vestitino al figlio ma dall’ultima visita non poteva sapere quanto era cresciuto!).
Certamente merita di essere ricordata anche la solidarietà che permetteva alla comunità italiana di nascondere i bambini e di proteggerli durante le uscite notturne dall’alloggio che per loro di giorno (quando la visibilità era più rischiosa) era prigione.
Anche la vita dei piccoli che potevano vivere alla luce del sole non era certamente felice.
Pregiudizio e difficoltà linguistiche discriminavano gli scolari italiani costringendoli nelle classi ‘speciali’.
C’era una scuola italiana, riconosciuta nell’ordinamento dello stato, ma aveva poca disponibilità di posti anche nell’era pre-Gelmini.
Mary Silva, che allora guardava questo squallore con gli occhi di una giovane cui l’esperienza non aveva ancora insegnato che i soggetti contrattualmente deboli possano essere perseguitati ovunque proprio in quanto tali, pensava “Da noi non accadrà mai. Siamo diversi dagli Svizzeri”.
Oggi sa che non è così.
La banalità del male ne consente la diffusione ovunque e una ben governata burocrazia costringe alcuni bambini a non esistere anche in Italia.

12 Novembre 2011Permalink

10 novembre 2011 – Notizie buone e pessime.

Una notizia buona.

Ero venuta a sapere che a Udine circolavano frammentate informazioni, senza un coinvolgimento formale dell’istituzione comunale, in merito alla possibilità per i giovani stranieri nati in Italia che compissero 18 anni nel corso dell’anno di chiedere la cittadinanza italiana (art. 4 comma 2 della legge 5 febbraio 1992 n°91).
Le norme sulla cittadinanza stabiliscono infatti che gli stranieri nati in Italia, che vi abbiano risieduto legalmente senza interruzioni fino alla maggiore età, possono diventare cittadini italiani con semplice dichiarazione di volontà da rendere all’ufficiale di stato civile entro un anno dal compimento della maggiore età.
Di qui si può raggiungere il sito che fa capo all’ANCI dove ci sono tutte le informazioni necessarie.
Sembra che anche il comune di Udine abbia finalmente deciso di informare gli interessati.
Non è che Udine sia il centro del mondo ma, poiché è la città dove sono nata e vivo, ci tengo a verificare ciò che vi succede.
Se la notizia è vera cercherò di pubblicare il comunicato stampa che spero il comune vorrà emanare.
E’ un altro frammento di iniziative positive rivolte ai minori: a me resta l’amarezza del silenzio sulla registrazione anagrafica di cui ho scritto tante volte.
Mi dicono che ci sono tanti modi per arrivare a risultati positivi e ciò va ad onore di chi ha studiato questi percorsi e sostiene gli interessati nell’affrontarli ma a me, cittadina italiana, non basta.
Voglio una legge di chiara impronta non razzista e spero che venga sollecitato un intervento della Corte Costituzionale (come è accaduto per i matrimoni – da qui si può raggiungere un mio scritto in proposito) o che qualche parlamentare si renda conto della necessità di presentare una proposta di legge  – come ha chiesto il GrIS -che dia il segno di una presenza di civiltà in questa squallida chiusura di un ciclo di vita della repubblica (ma sarà chiusura?)

Il cambio di governo ci garantirà oltre che sicurezza economica una maggior civiltà?

I punti di domanda si inseguono da un pezzo all’altro e basterà l’articolo he ricopio a spiegarne uno dei tanti perché.

Da repubblica on line
Lega shock: “Grazie a pioggia sgomberati campi rom a Torino”

Il maltempo, dichiara Davide Cavallotto, deputato del Carroccio,è riuscito laddove aveva fallito Fassino: l’evacuazione dell’insediamento  sul lungo Stura. Rosa Callipari, Pd: “Lo ispirano cinismo e razzismo”. L’ira di Fassino: frasi assurde, intanto anche i rom sono rientrati nei loro campi
“Ora che la pioggia è riuscita nell’impresa in cui aveva fallito il sindaco Piero Fassino, ossia lo sgombero del campo nomadi abusivo sul Lungo Stura Lazio, mi auguro che il comune provvederà all’identificazione di tutti gli irregolari che vivevano in quel campo”. Lo dichiara il deputato della Lega Nord Davide Cavallotto. “Se questo non dovesse accadere, e i nomadi dovessero rioccupare abusivamente quell’area – aggiunge in una nota – la responsabilità sarà solo del sindaco. I torinesi vogliono meno salotti radical chic e meno zingari irregolari”.

Seguono alcuni commenti che potrete raggiungere da qui.
Io non commento. Mi limito a un ricordo.

Era il 1996 ed era Presidente della Repubblica l’on. Scalfaro.
I leghisti, se ben ricordo, non brandivano ancora crocifissi da appendere ovunque potessero essere segno di un’aggressiva diversità, si limitavano a scendere il Po con ampolle da versare, fra insulti e gesti impropri, nella laguna di Venezia, ma…
In quegli anni era ancora in vigore la norma che assicurava ai profughi dalla ex Jugoslavia accoglienza in Italia e, agli enti che li ospitavano, una somma giornaliera pro capite.
Fra i profughi c’erano anche Rom e la Lega diffuse la notizia (falsa) che quei contributi venivano erogati indiscriminatamente ai Rom in quanto tali e stampò migliaia e migliaia di cartoline, distribuite ovunque (io ricordo che trovai le prime sul banco della macelleria), indirizzate al Presidente della Repubblica (e quindi esenti da francobollo) con cui il mittente chiedeva di diventare rom per avere la stessa cifra agli ‘zingari’ attribuita.
A me quel mescolamento di bugie e razzismo, ben inseriti nella palude del comune cattivo buon senso, fece orrore e mi preoccupò moltissimo l’indifferenza ad ogni livello.
Andai da sindaci, parlamentari, parroci, avvicinai associazioni … tutto inutilmente e ricordo ancora il sentimento misto di preoccupazione, rabbia e frustrazione che ne trassi e che oggi si rinnova e non solo a causa dell’agire delle forze politiche che per anni abbiamo detto di maggioranza e che spero, senza fiducia, di poter presto non considerare più tali.
E chi le sostituisse nel ruolo sarà in grado di farlo con dignità?

10 Novembre 2011Permalink

30 ottobre 2011 – Un commento per il 15 marzo.

Ho appena ricevuto un commento a un mio vecchio articolo.

I commenti vengono segnalati per posta perché chi è responsabile del blog possa accettarli o rifiutarli.
Ne ho cancellati parecchi perché proponevano una qualche pubblicità
Questo l’ho mantenuto e ho risposto ma, data la lontananza di quel testo –nel tempo e nello spazio del blog- riporto commento e risposta:

Scrive Draw Lotteryc.
Non daranno mai l’assicurazione della cittadinanza italiana a chi nasce in Italia!”

Ecco la mia risposta:

Può essere che in Italia il passaggio dallo jus sanguinis allo jus loci, come fondamento al diritto di cittadinanza, venga negato anche in future decisioni parlamentari.
Il ‘mai’ è forse un po’ drastico, ma lasciamolo come nefasta ipotesi.
Solo che non vedo come possa collegarsi a questo articolo in cui non si parla di cittadinanza ma solo di certificato di nascita su cui risulterebbe la cittadinanza dei genitori, evitando al nuovo nato la condizione di apolide e riconoscendogli il diritto ad essere figlio della sua mamma e del suo papà.
Tale procedura era in vigore fino al 2009 quando la legge 94 l’ha modificata

 Grazie comunque del commento
(segue la firma) 

Dato che il commento è telegrafico tento di interpretarlo.

  1. L’autore –o autrice che sia- prevede, a prescindere dal contenuto dell’articolo, che la legislazione italiana non avrà mai una norma che preveda il riconoscimento della cittadinanza a chi – aggiungo – non sia figlio di italiani.
    Credo di aver correttamente mitigato l’assolutezza di quel ‘nasce in Italia’.
  2. L’autore –o autrice che sia- esprime, a prescindere dal contenuto dell’articolo, il suo rammarico per ciò che prevede non avvenga.
  3. L’autore –o autrice che sia- esprime, a prescindere dal contenuto dell’articolo, la sua condivisione della prevista negazione della cittadinanza.

Quale che sia l’intenzione di chi ha firmato il commento lo segnalo a coloro che in questo momento pubblicizzano la proposta di legge ‘Nuove norme sulla cittadinanza’. E’ necessario si documentino bene e chiariscano che la registrazione anagrafica non comporta il riconoscimento della cittadinanza italiana.
Ho constatato che molti ne sono convinti.

30 Ottobre 2011Permalink

27 ottobre 2011 – Decima giornata del Dialogo cristiano islamico

Oggi si celebra la X ma giornata del Dialogo cristiano islamico. 

Chi vorrà leggere il testo dell’appello che l’ha promossa (e la relativa documentazione) potrà farlo da molti siti (perché molte sono le adesioni all’iniziativa).
Qui segnalo il sito www.ildialogo.org, in particolare alla voce http://www.ildialogo.org/cristianoislamico/Cstampa_1308129442.htm.

Per quel che mi riguarda ricordo bene i giorni della prima manifestazione la cui idea nacque in seguito all’attentato alle torri gemelle e qualcuno capì la necessità dell’incontro, della conoscenza che distingue, libera dal pregiudizio e capace di sostenere il rifiuto della guerra.

In memoria di quei giorni riporto un articolo di Filippo Gentiloni che mi sembra ancora perfettamente attuale. 

Da Il Manifesto del 18 Novembre 2001

Non è da ieri che ci occupiamo di islam, ma non c’è dubbio che negli ultimi due mesi il discorso si è moltiplicato. Forse anche approfondito. Discorso-confronto: il divino direttamente interessato, anche se si continua a ripetere che la guerra in atto non è né di religione né di civiltà. Sarà vero? Se ne può dubitare.
Un dibattito-confronto confuso e contraddittorio: per lo meno ha – può avere – il vantaggio di farci conoscere un po’ meglio il mondo islamico, un mondo per molti di noi piuttosto misterioso. Abbiamo difficoltà, prima di tutto, a riconoscerne il pluralismo, anche mentre continuiamo a ripetere che le frange più radicali, tipo talebani, non rappresentano né la totalità e neppure la maggioranza del mondo islamico. E’ quella frangia, comunque, che fa talmente parlare di sé da oscurare l’enorme maggioranza moderata.
Abbiamo anche difficoltà nel confronto. Oscilliamo fra le condanne e le sottovalutazioni (per le quali molti si sono autorevolmente distinti, da Berlusconi a Oriana Fallaci a Baget Bozzo) e le facili omologazioni, sulla base, magari, del monoteismo comune all’islam come al cristianesimo e all’ebraismo. Un comune monoteismo che però sembra piuttosto ininfluente agli effetti della pace. Come piuttosto ininfluenti sembrano quelle citazioni della Bibbia e del Corano che si moltiplicano, da una parte e dall’altra mentre si continua a sparare. Sui sacri testi secoli di storia hanno sparso tanta di quella polvere – anche da sparo – da renderne ardua la lettura.
Sarebbe meglio evitare sia i confronti sulla base di voti di merito sia le omologazioni. Così stanno cercando di operare non poche istituzioni, sollecitando un confronto che eviti i due scogli. Fra le dichiarazioni recenti, mi sembra particolarmente significativa quella sottoscritta da Gianni Long, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FceiI) e da Nour Mohamed Dachan, presidente della Unione delle Comunità e Organizzazioni islamiche in Italia (Ucooii).
La “Dichiarazione Congiunta per il dialogo interreligioso” si apre con una decisa condanna del terrorismo e prosegue con la preoccupazione “per l’andamento dell’azione militare in Afghanistan che sempre più spesso colpisce civili innocenti, mentre fatica a individuare e colpire le basi del terrorismo”. Angoscia anche “per l’attentato condotto in Pakistan il 28 ottobre contro una chiesa in cui erano raccolti in preghiera credenti cattolici ed evangelici”. Forte preoccupazione anche per la gravità della situazione in Medio Oriente. Nonché “per il clima più teso che avvertiamo anche nel nostro paese”.
“Per questo vogliamo impegnarci, insieme ad altre espressioni delle comunità cristiana ed islamica in Italia, a promuovere quella reciproca conoscenza che è premessa del dialogo e fondamento della convivenza”. In questa linea di serietà e di libertà, moltiplicare le occasioni di incontro: “Sollecitiamo i mezzi di informazione di massa a dare un’informazione più completa ed equilibrata del mondo delle fedi, non ignorando quindi le comunità di minoranza e non limitandosi a dare visibilità soltanto alle componenti più radicali; auspichiamo che la scuola si apra alla presenza di esponenti delle diverse comunità di fede e che proprio la scuola possa qualificarsi come un laboratorio di convivenza e di pluralismo nel rispetto della fede di ciascuna e delle regole di convivenza di tutti”.
Sulla stessa linea un appello ecumenico corredato di molte firme autorevoli, chiede la creazione di una “Giornata del dialogo cristiano-islamico”, ben sapendo che non sarebbe risolutiva, ma che si “tratterebbe di un piccolo segnale nella direzione di un incontro che, in ogni caso, sta nella forza delle cose”. Siamo chiamati “ad accelerare il processo di reciproca conoscenza senza il quale ci sembra difficile ipotizzare passi avanti sul piano delle relazioni interreligiose, in particolare con quei musulmani che sono da tempo nostri compagni di strada sul cammino della costruzione di una società pluralista, accogliente, rispettosa dei diritti umani e dei valori democratici”

L’Islam in Italia tra fondamentalismo e islamofobia

 Ma non voglio dimenticare l’oggi e, fra le tante iniziative conseguenti la diffusione dell’appello per il dialogo cristiano-islamico, segnalo quella promossa il 21/22 ottobre 2011 dalla rivista Confronti  “L’Islam in Italia tra fondamentalismo e islamofobia.
Lo faccio in particolare perché il convegno si è svolto presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, sperando che questo evento contribuisca anche ad  indicare i modi di una miglior informazione.

27 Ottobre 2011Permalink