9 giugno 2014 – Il Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti e la registrazione anagrafica

Nel supplemento on line della rivista Insegnare del CIDI si può leggere un articolo dell’amico Paolo Citran datato 31 maggio
E’ una carrellata molto precisa sulla storia della vicenda di cui mi occupo da cinque anni.
Ne riporto solo il link perché Paolo ha voluto parlare di me e la visibilità dell’intero testo mi imbarazza un po’.

 

 

 

 
http://www.insegnareonline.com/istanze/filosofia-educazione-societa/bambini-clandestini-diritti-negati

9 Giugno 2014Permalink

16 maggio 2014 – Quando la burocrazia diventa violenta [Terza puntata]

 

L’ASGI fra il 5 maggio (quando ha pubblicato lo scritto che ho commentato con il titolo Calcio negato ai minori stranieri se i genitori non hanno il permesso) e il 13 maggio  si è ancora occupata di minori stranieri rendendo nota una lettera inviata il 7 maggio al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, a un sottosegretario e ad alcuni dirigenti del ministero stesso.

Ne riporto quasi integralmente quanto riferito nel sito dell’Associazione:

«13.05.2014  ASGI al MIUR : le linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri vanno modificate

Nel febbraio 2014  il MIUR ( Ministero per l’istruzione, Università e ricerca) ha reso noto le nuove “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri” .

Nelle indicazioni operative contenute nel testo il Ministero  si trovano le indicazioni dirette alle segreterie scolastiche di richiedere ai genitori degli alunni stranieri, ai fini dell’iscrizione dei figli, l’allegazione alla domanda di copia del proprio permesso di soggiorno.

Seppur in più parti delle Linee guida si ribadisce, doverosamente, come l’irregolarità dei genitori non possa compromettere in alcun modo il diritto degli alunni all’iscrizione scolastica, la richiesta di esibizione ed allegazione del permesso di soggiorno ai genitori degli stessi appare tuttavia, secondo l’ASGI :

illegittima, per manifesta violazione dell’art.6, co.2, D.Lgs. 286/1998 che, nel sancire l’obbligo dei cittadini stranieri all’esibizione del permesso di soggiorno agli uffici delle pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta, fa salvo proprio il caso in cui il cittadino straniero vi si rivolga per provvedimenti “attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie”. Il cittadino straniero che chiede l’iscrizione del figlio a scuola non può pertanto essere tenuto ad esibire il permesso di soggiorno;

discriminatoria, ostacolando (illegittimamente per quanto sopra) l’iscrizione scolastica dei cittadini stranieri;

irragionevole, imponendo ai fini dell’iscrizione stessa l’allegazione di un documento del tutto inutile (la titolarità o meno da parte dei genitori dell’alunno del permesso di soggiorno infatti, come correttamente rilevato nelle stesse Linee guida, è del tutto irrilevante ai fini del perfezionamento della procedura);

dannosa, potendo ottenere l’effetto di scoraggiare i genitori privi di permesso di soggiorno dall’iscrivere i figli a scuola (legittimamente possono infatti ritenere che se a tal scopo viene richiesta l’allegazione di un documento, la sua indisponibilità possa ostacolare l’accoglimento della domanda).

L’ASGI,  in una lettera inviata al MIUR lo scorso 7 maggio 2014, chiede che le Linee guida vengano pubblicate in nuova edizione con la cancellazione, al paragrafo 2.2, della voce “permesso di soggiorno e documenti anagrafici”, da sostituirsi eventualmente con una voce “documenti anagrafici”.

In mancanza di sollecito riscontro, l’ASGI si attiverà in sede giudiziale al fine di ottenere per via giudiziale la rimozione dalle Linee guida della richiesta del permesso di soggiorno ai fini dell’iscrizione scolastica».

Prevenire, denunciare, lamentarsi, tacere?

Trovo questo documento non solo importante ma di singolare rilievo perché non si richiama a episodi specifici di danno già provocato ma analizza una disposizione risalente allo scorso febbraio (contro cui è l’ASGI si dichiara disposta ad attivarsi in sede giudiziale) allo scopo evidente di impedire che norme inaccettabili producano danni.

Spero che l’Asgi trovi una voce altrettanto apprezzabile e autorevole per segnalare la questione di cui scrivo da cinque anni: la legge (e non l’arbitrio dei singoli) che nega l’esistenza, prima ancora che la scuola, ai figli di  chi non abbia il permesso di soggiorno.
Oggi l’avvocato loro iscritto che ha parlato il 23 aprile a Radio3-RAI potrebbe, se ho correttamente interpretato ciò che ha detto, raccontare casi (ovviamente nelle sedi in cui questo non sia violazione del segreto professionale)  anche se –secondo me – la scelta irrinunciabile deve essere quella di opporsi alla legge che crea i tanto richiesti e variegati ‘casi’.        Pro memoria: ne ho scritto il 6 maggio  

Legalità e furbizia
Giustamente l’ASGI segnala la «manifesta violazione dell’art.6, co.2, D.Lgs. 286/1998 che, nel sancire l’obbligo dei cittadini stranieri all’esibizione del permesso di soggiorno agli uffici delle pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta, fa salvo proprio il caso in cui il cittadino straniero vi si rivolga per provvedimenti “attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie”. Il cittadino straniero che chiede l’iscrizione del figlio a scuola non può pertanto essere tenuto ad esibire il permesso di soggiorno».
Da parte mia ricordo benissimo che la precisazione che si riferisce alla “prestazioni scolastiche obbligatorie” fu suggerita dall’on. Fini (allora Presidente della Camera) e presentata con un emendamento dell’on Mussolini,  inserito nel testo imposto nel 2009 con voto di fiducia.
L’azione che lascerebbe trasparire una positiva intenzione da parte dei due era però caratterizzata da una particolare furba sciatteria: infatti il percorso educativo di un bambino inizia dal nido, si sviluppa nella scuola materna, prosegue nella scuola dell’obbligo e oltre.
Nido e materna in particolare sono i luoghi in cui il bambino può sviluppare naturalmente quella competenza linguistica che viene richiesta per l’integrazione.
La conoscenza del meccanismo della legge impone domande precise  «Come iscrivere al nido un bambino cui è stata affidata la funzione di spia dei genitori privi di permesso di soggiorno? come iscriverlo se non esiste? »
Negargli questa precoce opportunità appare anche scelta logicamente sconnessa ma il richiamo alla logica è forse eccessivo in questa vicenda evidentemente repellente anche sul piano etico e politico. Qui si gioca non di logica ma di pretesti per ottenere consenso a leghista benedizione.

Le organizzazioni della società (in)civile
Io però continuo ad essere preoccupata dal silenzio in materia di associazioni che si dicono finalizzate alla tutela dei diritti dei migranti (che, in questo caso almeno, se violati mettono in discussione i nostri di cittadini costretti a subire norme in dirompente odore di razzismo).
Ricordo che opporsi con competenza non  costa nulla e che si possono ottenere risultati anche a seguito di un impegno personale.
Si vedano i miei scritti relativi alla correzione operata dall’Ospedale di Udine nel dépliant che conteneva un richiamo alla discriminazione di neonati attraverso il permesso di soggiorno. Per ottenerla bastò uno scritto a firma personale.
Riferimenti in diariealtro.it: 28 luglio 2013  e 5 gennaio 2014.

 3. forse continua

16 Maggio 2014Permalink

8 maggio 2014 – In conclusione il nemico è svelato [Seconda puntata]

Riprendo le considerazioni conclusive del sei maggio, riportando anche il testo che allora avevo trascritto. .

Un pezzo, datato 5 maggio che ricopio per intero,  dimostra l’attenzione civile e professionale che  l’Associazione Studi Giuridici Immigrazione riserva all’attualità.
E’ chiaro che con legalitaria diligenza l’Asgi si occupa di minori che esistono, la cui esistenza è comprovata da un certificato di nascita, concesso da una pietosa circolare non dalla legge,  ma non possono realizzare il loro desiderio di prendere a calci un pallone all’interno delle organizzazioni a quegli specifici calci deputate  perché, pur se sono nati e risiedono in Italia, sono stati caricati del peccato dei loro genitori di essere privi del permesso di soggiorno.

-5 maggio  Calcio negato ai minori stranieri se i genitori non hanno il permesso

Sono ragazzini e vorrebbero giocare a calcio. Vorrebbero partecipare ai tornei ufficiali in cui gareggiano molti loro coetanei. Ma devono rinunciare perché la legge del calcio lo vieta. Sono i tantissimi adolescenti tagliati fuori dalle competizioni della Figc (Federazione italiana gioco calcio) perché i loro genitori non hanno il permesso di soggiorno 
1 Centinaia in tutta Italia, alcuni nati nel nostro Paese.
. Il permesso di soggiorno a cui si fa riferimento è quello dei genitori, visto che la regolarità in suolo italiano del minore straniero dipende dalla posizione giuridica della madre e del padre
. 2
Una norma che ricalca il regolamento internazionale della Fifa eimmigrazione irregolare, ma che spesso finisce per condannare i bambini, tutti quei bambini che avrebbero diritto allo sport ma che non possono giocare a causa della situazione legale dei genitori. Una norma che è finita al centro del mirino di numerose società calcistiche, spesso costrette a rifiutare tesseramenti di adolescenti stranieri ma perfettamente integrati in Italia, e di varie associazioni tra cui l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), la quale parla esplicitamente di “discriminazione”.
Secondo Alberto Guariso dell’Asgi, “la Figc nega il diritto allo sport dei minori, violando la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, secondo la quale nessun minore può essere trattato diversamente in relazione allo status giuridico dei genitori”  2.
Secondo Guariso “la Figc dovrebbe adeguarsi agli altri settori della società italiana come la scuola e la sanità, dove qualsiasi minore ha diritto allo studio e alle cure mediche, indipendentemente dalla regolarità dei genitori in territorio italiano”  3.

Tanto più che, aggiunge Guariso, “i minorenni non possono essere espulsi dall’Italia in base all’articolo 19 del Testo Unico. Un paradosso – precisa l’avvocato – visto che il minore può restare in Italia ma contestualmente non può praticare sport”.
Un principio su cui sostanzialmente si è espressa anche la magistratura. Nello specifico il altro affermato come il diritto alla pratica sportiva costituisca un diritto fondamentale perché attraverso di essa trova espressione la personalità dell’individuo e l’attività sportiva costituisce certamente uno strumento di integrazione sociale così come una possibilità di fonte di reddito e di accesso al lavoro.
E proprio in base a questi principi, risulterebbero esclusi dai tornei ufficiali anche i minori non accompagnati, quelli cioè presenti in Italia senza genitori e non ancora adottati 2. Anche in questo caso, esiste una sentenza del tribunale di Pescara datata giugno 2011 che giudica discriminatorio il rifiuto del tesseramento a una società calcistica del minore straniero non accompagnato affidato in Italia. In questo caso si trattava di un minore senegalese in affido ad una coppia di italiani in attesa di regolarizzarsi. (js)

A seguito di alcuni dei tratti in rosso ho scritto dei numerini cui corrispondono i tre passi che seguono con cui propongo le citazioni di norme corrispondenti ai tratti evidenziati/colorati  sopra.

1.F.I.G.C. – Settore Giovanile e Scolastico -Carta dei diritti dei bambini e dei doveri degli adulti                                           http://www.figc.it/other/Carta_diritti_06.pdf
La Carta della FIGC si giova del marchio del Ministero del lavoro e Politiche sociali e dell’UNICEF, allineati in questo contesto alle formulazioni della F.I.G.C. e meno interessati al diritto di garantire ai nuovi nati un’esistenza giuridicamente riconosciuta quale è assicurata dalla registrazione anagrafica di cui non sembrano occuparsi. Proclamano invece ‘diritti’ la cui formulazione non si trova nella Legge 27 maggio 1991, n. 176  (si veda il punto successivo) ma interessano evidentemente l’organizzazione calcistica limitatamente ai ragazzini che, per il fatto di essere riconosciuti giuridicamente esistenti, hanno chi assicura loro voce e possono quindi essere utilmente allevati per le funzioni attinenti il calcio.
Se parla anche, nello stesso quadro di indifferenza per chi è privato della registrazione anagrafica, in un articolo reperibile in rete  

2.  Legge 27 maggio 1991, n. 176  Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989

Art. 7  – Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi.
– Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia, in particolare nei casi in cui se ciò non fosse fatto, il fanciullo verrebbe a trovarsi apolide.

Art. 8 –. Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali.
-. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile.

Art. 31 –. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
-. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

3. Leggo nella comunicazione dell’ASGI: “la Figc dovrebbe adeguarsi agli altri settori della società italiana come la scuola e la sanità, dove qualsiasi minore ha diritto allo studio e alle cure mediche, indipendentemente dalla regolarità dei genitori in territorio italiano”.
Qui segnalo due punti che non posso condividere:
–  lo studio – nel pacchetto sicurezza per i minori figli di persone senza permesso di soggiorno lo studio è assicurato solo per le ‘prestazioni scolastiche obbligatorie’, quindi per far assicurare al  proprio figlio la possibilità di frequenza della scuola per l’infanzia e del percorso scolastico successivo alla scuola dell’obbligo occorre il permesso di soggiorno. E tale permesso occorre anche per l’iscrizione al nido così importante per l’apprendimento della lingua italiana che in chiacchiere diffuse viene beffardamente dichiarato fondamentale strumento di integrazione.
– cure mediche. “Sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio […]. Sono, in particolare, garantiti: a) la tutela sociale della gravidanza e della maternità, […] b)la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176;  c)  le vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni” (legge 94/2009 art. 1 comma 22 lettera g)”.
(Si veda Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 33)
Per altre modalità di cura, assicurate ai minori, si vedano i riferimenti all’accordo stato-regioni nel sito della Società di Medicina delle Migrazioni (www.simmweb.it )

CONCLUDO PER ORA:
Nei documenti che ho citato il diritto dei bambini al gioco  come affermato dalla Convenzione di New York  viene intrappolato dentro le maglie dei regolamenti FIGC che a me non sembrano del tutto conformi alla Convenzione stessa
Ripeto il testo dell’art. 31 della Convenzione di New York:
Art. 31 1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica.
2. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

L’Italia è stato parte o no?

Ma soprattutto non voglio dimenticare che i bambini senza certificato di nascita in ogni caso sono tagliati fuori dall’esistenza giuridicamente riconosciuta assicurando così alla società (in)civile il loro ruolo di capro espiatorio.

2 continua

NOTA: Oggi 7 maggio il sito dell’Asgi riporta nella colonna di sinistra il testo che ho trascritto e a destra, nella colonna notizie, si ferma al 29 aprile                            http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=3228&l=it


 

8 Maggio 2014Permalink

6 maggio 2014 – Piano piano il nemico si svela [Prima puntata]

Una storia fastidiosa per molti

Il 30 aprile scorso pubblicavo una petizione destinata alla presidente Boldrini con cui le chiedevo di adoperarsi per promuovere il dibattito sulla proposta di legge 740 che si giace in parlamento da più di un anno, affidata alla Commissione Affari Costituzionali dallo scorso mese di giugno  (pure silente). Ne ho trascritto l’iter lo scorso 21 dicembre.
Quella petizione – a riprova del successo della cultura ampiamente diffusa oltre i propri limiti dalla Lega Nord – ha meritato meno di 400 firme e perciò ho inserito nello spazio concesso da  change un aggiornamento, di nuovo riferendomi alla presidente Boldrini.
Eccone il testo:

Gentile Presidente Boldrini
se la mia conoscenza del funzionamento del sito  change.org è corretta dovrebbe  esserle arrivato il testo di una petizione, pubblicata in quel sito nel mese di novembre 2013 (e di cui le allego la trascrizione, mentre le invierò per posta l’elenco delle firme raccolte dal 19 novembre 2013 e il 30 aprile 2014).
Con quella petizione Le viene chiesto di fare quanto nelle sue possibilità personali e competenze istituzionali per promuovere il dibattito in merito alla proposta di legge 740 (presentata il 13 aprile 2013 e assegnata alla I Commissione Affari Costituzionali in sede Referente il 21 giugno 2013), finalizzata alla modifica dell’articolo 6 del Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, per il punto che impone la presentazione del permesso di soggiorno per registrare gli atti di nascita,  come stabilito dall’art 1, comma 22, lettera g  della legge 94/2009.
Sebbene a pochi giorni dall’approvazione della legge 94  sia stata emanata la circolare 19 che afferma essere possibile la registrazione delle nascite dei propri figli anche per i migranti irregolari (e perciò privi di documento di soggiorno) il gruppo Convention on the Rights of the Child, che ha il compito di monitorare la Convenzione di New York sui diritti del minore (ratificata con legge 176/1991), ci informa, nella sua relazione 2012, che “Il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto, con la conseguente mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato, in violazione del diritto all’identità (art. 7 CRC), nonché dell’art. 9 CRC contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori”.

A conoscenza del fatto che le norme sulla tutela della maternità consentono alle partorienti una protezione di sei mesi che si estende anche al loro bambino, sembrava che negare a un padre – o alla madre eventualmente sola – il diritto di dichiarare in comune la nascita del proprio figlio fosse l’aspetto dirimente della vicenda che poteva essere sanata con una corretta informazione fino alla approvazione della proposta di legge 740 che tutti i firmatari della petizione auspicano.
Ora sappiamo che non è così.
Il 23 aprile, nel corso della trasmissione RAI  ‘Tutta la città ne parla’ (ore 10, Radio3, trasmissione ascoltabile in podcast), un avvocato che ha declinato le proprie generalità e si è dichiarato membro dell’Associazione Studi Giuridici Immigrazione (associazione che gode di ottima fama) ha affermato, tra l’altro, quanto letteralmente trascrivo:

“C’è un problema relativo a una questione  molto più grave (ndr: della registrazione anagrafica).  Cioè la possibilità da parte di due persone che senza permesso di soggiorno, ma anche senza un documento di identità (la donna che è priva di un passaporto) di poter riconoscere il proprio figlio. Nel senso che sicuramente la normativa nazionale e internazionale le  riconosce questo diritto. Però questo diritto è stato posto in discussione più volte. […] Per cui non è raro – purtroppo non è raro – il fatto che al momento del parto venga negata alla donna che ha partorito in ospedale, la possibilità di riconoscere il figlio senza documento di identità, per cui una serie di strutture mediche trovano escamotage tipo per esempio la richiesta di testimoni che possano testimoniare che quella donna ha partorito quel figlio o anche altri stratagemmi assolutamente stravaganti”.

Apprendiamo così che ci sono in Italia ospedali del sistema sanitario pubblico dove una donna non può riconoscere come suo (con un atto che precede la registrazione anagrafica che si fa in comune) il suo bambino e sarebbe quindi costretta a ridurlo in uno stato di abbandono che può renderlo adottabile o, peggio, vittima dei mercati più turpi che sappiamo esistere ed essere operanti.

La verità è che la normativa non è chiarissima”, ha aggiunto l’avvocato intervistato, sottolineando conseguentemente la necessità di approvare una norma che faccia chiarezza – e di cui sia data adeguata informazione – quale è la proposta 740 citata sopra.
Come cittadina europea, italiana e come donna e madre conto sul contributo che Le sarà possibile assicurare per modificare una situazione che giudico sconvolgente e umiliante per tutti noi nel momento in cui esclude alcuni neonati dalla possibilità di un’esistenza giuridicamente riconosciuta, e nega loro il certificato di nascita che assicurerebbe la tutela dei genitori, rischiando di arrecare contemporaneamente anche un grave danno alla salute della madre.
Ringrazio per l’attenzione e porgo distinti saluti.
Augusta De Piero

Inviato questo testo alla Presidente il primo maggio ricevevo il 5 la risposta che trascrivo.

La Presidenza della Camera dei deputati ha ricevuto la sua e-mail.
Al riguardo, desideriamo comunicarle che è stato disposto che anche copia della sua nuova nota sia trasmessa alla Commissione parlamentare competente, affinché i deputati che ne fanno parte possano prenderne visione.
Cordiali saluti.
La Segreteria della Presidente della Camera dei deputati

Chi ha paura dei neonati?

Sono andata subito nel sito dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici immigrazione) ritenendo di poter trovare qualche cosa sulla terribile rivelazione fatta da un avvocato loro associato sulla impossibilità per madri prive di documento di identità di riconoscere il proprio nato (ho riportato il passaggio dell’intervista in questione nella lettera di aggiornamento inviata alla presidente Boldrini e pubblicata su change – si veda passaggio in grassetto) e nulla ho trovato in proposito.
Un pezzo, datato 5 maggio che riporto per intero,  dimostra l’attenzione civile e professionale dell’associazione in questione all’attualità.
E’ chiaro che con legalitaria diligenza l’Asgi si occupa di minori che esistono, la cui esistenza è comprovata da un certificato di nascita, concesso da una pietosa circolare non garantito dalla legge,  ma non possono realizzare il loro desiderio di prendere a calci un pallone all’interno delle organizzazioni a quegli specifici calci deputate  perché, pur se sono nati e risiedono in Italia, sono stati caricati del peccato dei loro genitori di essere privi del permesso si soggiorno..

05.05.2014  – Calcio negato ai minori stranieri se i genitori non hanno il permesso

Sono ragazzini e vorrebbero giocare a calcio. Vorrebbero partecipare ai tornei ufficiali in cui gareggiano molti loro coetanei. Ma devono rinunciare perché la legge del calcio lo vieta. Sono i tantissimi adolescenti tagliati fuori dalle competizioni della Figc (Federazione italiana gioco calcio) perché i loro genitori non hanno il permesso di soggiorno. Centinaia in tutta Italia, alcuni nati nel nostro Paese. Su questo punto le regole della Federcalcio sono chiare: i calciatori stranieri minorenni che richiedono il tesseramento per una società della Lega Nazionale Dilettanti, devono presentare “il certificato di residenza anagrafica attestante la residenza in Italia e il permesso di soggiorno che dovrà avere scadenza non anteriore al 31 gennaio dell’anno in cui termina la stagione sportiva per la quale il calciatore richiede il tesseramento”. Il permesso di soggiorno a cui si fa riferimento è quello dei genitori, visto che la regolarità in suolo italiano del minore straniero dipende dalla posizione giuridica della madre e del padre.

Una norma che ricalca il regolamento internazionale della Fifa e che intende essere fedele alle leggi statali sull’immigrazione irregolare, ma che spesso finisce per condannare i bambini, tutti quei bambini che avrebbero diritto allo sport ma che non possono giocare a causa della situazione legale dei genitori. Una norma che è finita al centro del mirino di numerose società calcistiche, spesso costrette a rifiutare tesseramenti di adolescenti stranieri ma perfettamente integrati in Italia, e di varie associazioni tra cui l’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), la quale parla esplicitamente di “discriminazione”.

Secondo Alberto Guariso dell’Asgi, “la Figc nega il diritto allo sport dei minori, violando la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, secondo la quale nessun minore può essere trattato diversamente in relazione allo status giuridico dei genitori”. Secondo Guariso “la Figc dovrebbe adeguarsi agli altri settori della società italiana come la scuola e la sanità, dove qualsiasi minore ha diritto allo studio e alle cure mediche, indipendentemente dalla regolarità dei genitori in territorio italiano”. Tanto più che, aggiunge Guariso, “i minorenni non possono essere espulsi dall’Italia in base all’articolo 19 del Testo Unico. Un paradosso – precisa l’avvocato – visto che il minore può restare in Italia ma contestualmente non può praticare sport”.

Un principio su cui sostanzialmente si è espressa anche la magistratura. Nello specifico il tribunale di Lodi, che nel 2010 aveva accolto il ricorso presentato da un calciatore togolese richiedente asilo in Italia. In questo caso la magistratura ha dichiarato discriminatorie le norme della Figc che impongono ai cittadini stranieri che richiedono il tesseramento il possesso di un permesso di soggiorno valido fino al termine della stagione sportiva corrente. Il tribunale di Lodi aveva tra l’altro affermato come il diritto alla pratica sportiva costituisca un diritto fondamentale perché attraverso di essa trova espressione la personalità dell’individuo e l’attività sportiva costituisce certamente uno strumento di integrazione sociale così come una possibilità di fonte di reddito e di accesso al lavoro.

E proprio in base a questi principi, risulterebbero esclusi dai tornei ufficiali anche i minori non accompagnati, quelli cioè presenti in Italia senza genitori e non ancora adottati. Anche in questo caso, esiste una sentenza del tribunale di Pescara datata giugno 2011 che giudica discriminatorio il rifiuto del tesseramento a una società calcistica del minore straniero non accompagnato affidato in Italia. In questo caso si trattava di un minore senegalese in affido ad una coppia di italiani in attesa di regolarizzarsi. (js)
Fonte : Redattore Sociale
1 continua

 NOTA: Oggi 6 maggio la trasmissione Tutta la città ne parla del 23 aprile  (di cui ho scaricato la registrazione) è sempre presente nel podcast
Il sito dell’Asgi riporta nella colonna di sinistra il testo che ho trascritto e, a destra nella colonna notizie, si ferma al 29 aprile

Rinvio i miei commenti alla prossima puntata

6 Maggio 2014Permalink

21 marzo 2014 – Una data che non avevo dimenticato.

Nell’elenco delle date che scrivo all’inizio di ogni mese – e poi completo se altre me ne vengono alla memoria – avevo annotato: 20 marzo 1994 –  Omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Ora a quel mio appunto posso aggiungere la nota dell’Associazione Ilaria Alpi   

Il governo ha annunciato oggi in Aula alla Camera di aver avviato le procedure per la desecretazione dei documenti che riguardano il caso di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin. Lo ha annunciato il sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento Sesa Amici facendo riferimento alle richieste che ci sono state in questo senso nei giorni scorsi.

“Credo sia arrivato il momento dopo 20 anni di togliere la secretazione sul caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin”, ha affermto il sottosegretario Sesa Amici. “Il governo è molto impegnato ad attivare le procedure su questo fronte. Crediamo che lo si debba alla loro memoria e alla richiesta giustizia che deve tutelare sempre i propri cittadini. Abbiamo il dovere morale e politico -ha concluso – di corrispondere alla richiesta di verità e giustizia”.

Ancora non è chiaro quanti e quali documenti siano oggetto della richiesta di desecretazione. I dossier classificati sono migliaia: 1500 della commissione Alpi- Hrovatin, 750 solo dell’ultima commissione d’inchiesta sui rifiuti, cui vanno aggiunti i documenti delle commissioni ecomafia dalla XII alla XV legislatura. Martedì 19 marzo Greenpeace ha pubblicato la lista dei documenti segreti della Commissione Pecorella: tra i tanti dossier, ve ne sono alcuni che hanno riferimenti diretti alla Somalia, al caso Alpi-Hrovatin, alle navi affondate e a Giorgio Comerio, l’ingegnere che progettava di affondare le scorie radioattive con siluri penetratori. Non ci sono solo i documenti riversati negli archivi della Camera: in una audizione al processo per calunnia nei confronti di Ahmed Alì Rage “Gelle”, l’ex direttore del Sismi Sergio Siracusa ha dichiarato di aver mostrato alla Commissione Alpi-Hrovatin ottomila documenti prodotti dal servizio segreto militare attinenti al caso Alpi.

… e un mio commento
A quanto ho capito da vent’anni la madre di Ilaria Alpi, in accordo con la famiglia Hrovatin, tiene viva la memoria della figlia non nella dimensione del dolore personale ma nella memoria rispettosa della sua professionalità. La Presidente della Camera ha capito ed è stata determinante nello stimolare la decisione che ha portato il governo a decidere la desecretazione del fascicolo Alpi-Hrovatin.
Ci saranno parlamentari in grado di vigilare efficacemente perché ciò avvenga oltre l’emozione del ventesimo anniversario della morte di due professionisti coraggiosi? O ‘la ragion di stato’ sarà più forte  delle ragioni della democrazia? E ci saranno giornalisti capaci di informare con costanza un’opinione pubblica spesso scoraggiante perché dopo un po’ si annoia delle storie che non abbiano un aspetto sanguinolento o sessualmente stuzzicante?

21 Marzo 2014Permalink

18 marzo 2014 – “Quello che le donne non dicono”.

 

Alcune sere fa in un circolo culturale alla periferia di Udine si è parlato del tema della violenza  sulle donne (e, conseguentemente, sui minori che della violenza in ambiente familiare sono spettatori e spesso anche vittime). Erano impegnati alcuni gruppi particolarmente attenti a questa tematica ed era presente anche il Vicequestore di Udine Massimiliano Ortolan. Titolo dell’incontro “Quello che le donne non dicono”.
Paola Schiratti, presidente del gruppo Le donne resistenti che aveva organizzato la serata insieme al circolo Nuovi orizzonti, ha illustrato i dati elaborati dal servizio “Zero Tolerance” del Comune e il protocollo antiviolenza della Provincia.
A suo tempo Paola Schiratti si è molto spesa per la  predisposizione e per l’approvazione di quel protocollo finalizzato a prevenire e reprimere la violenza domestica e sostenere le vittime in modo coerente fra i vari soggetti che possono intervenire.
Il testo del protocollo si può leggere nel blog di Paola  e anche da qui
La stessa Paola, in un suo commento su facebook ha scritto “fa molto piacere, ascoltando il Vicequestore, cogliere molte considerazioni pienamente condivisibili, capire quanto la Polizia sia preparata e interessata ad affrontare queste situazioni, sentite come un problema culturale e sociale imprescindibile”.

Tutto vero ma io non sono soddisfatta

Infatti quando ho fatto funzionare la mia cartina al tornasole, i problemi dei minori, il Vicequestore non mi è apparso così limpido e lineare né completamente convincente l’impostazione della serata. E’ vero che, sperando di semplificare perché non volevo intervenire nel dibattito in maniera troppo invadente,  ho fatto una domanda relativa alla prostituzione minorile, e il Vicequestore ha colto abilmente l’opportunità per parlare di prostituzione e non di minori.
Stupida io che gli ho offerto la via di fuga?

L’onore
Per spiegarmi devo fare una piccola rivisitazione storica.
E’ stato sottolineato positivamente (questo sì lo riconosco) che la legge sulla violenza sessuale segna una trasformazione culturale di rilievo enorme: la violenza passa da reato contro la morale a reato contro la persona.
Non va certo ad onore dei legislatori italiani e della cultura italiana in generale se solo nel 1996 (e dopo un iter quanto mai tormentato) venne approvata la legge 66, Norme contro la violenza sessuale.
Chi aveva scosso una cultura immobile era stata Franca Viola, una ragazza intelligente,  coraggiosa, consapevole della propria dignità di persona. Fu violentata nel 1965 ma solo nel 1981 l’infamia del ‘matrimonio riparatore’ che le era stato proposto, fu cancellata dalla legge italiana (legge 442 “Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore”).
Eliminato il concetto di ‘matrimonio riparatore’ ne conseguì, almeno nella formalità legislativa, il punto fermo che l’onore della donna non risiede nella verginità biologica.

E’ bene rilevare, data l’importanza nella realtà italiana della tradizione cattolica, che nel 1950 papa Pio XII aveva fatto un gesto forte per pietrificare la dignità della donna nella presunta inflessibilità della biologia; aveva infatti santificato una povera bambina che, per essersi difesa da un’aggressione sessuale, era stata ammazzata.
Ero una ragazzina ma ricordo ancora la violenza petulante con cui quell’immagine ci fu cinicamente propinata.
Concentrato sull’imene il papa non si rendeva conto (o forse sì) che, mentre negava la dignità della persona donna, consolidava l’onore del maschio proprietario di una cosa senza parola.
Poiché si voleva la donna senza parola si manteneva inamovibile anche il significato letterale della espressione paolina: ‘le donne tacciano nell’assemblea’ (1 Cor 14, 34-35) e quindi si avviliva  con una sola mossa la dignità femminile e quella degli studi biblici che solo il Concilio Vaticano II avrebbe successivamente liberato anche nel mondo cattolico.
Senza parola la donna doveva essere  non solo nello spazio religioso ma anche in quello laico. Così voleva la tradizione per le brave ragazze da marito.

La parola e il cambiamento

Passando lentamente dallo stato di oggetti ad uso dell’onore padronale a quello di soggetti, la cui dignità è riconosciuta e affermata, anche le donne possono dire e dirsi.
I cambiamenti che derivarono da questa modifica segnarono un cambiamento epocale e incompiuto. Ma segnarono anche il riconoscimento che l’affermazione di un diritto fondamentale non appartiene alla forza del soggetto che si può imporre ma al riconoscimento sociale e alla solidarietà che si fonda sulla responsabilità collettiva per cui la Repubblica “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.).
Ricordo quanto si venne a conoscere del dibattito al processo di Franca Viola e l’evidenza che mi colpì di due situazioni inversamente proporzionali: la dignità di Franca e l’abiezione delle argomentazioni degli avvocati che difendevano lo stupratore, l’assoluta mancanza di forza della ragazza che si tentava di ribaltarle contro e l’assoluta bestialità della forza fisica legittimata dalla tradizione, componente dell’onore maschio-padrone.

Le parole che ancora non  si vogliono dire

E qui si pone il problema dei diritti dei bambini e dei minori in genere che non sono emersi con chiarezza, anzi non sono emersi affatto nella serata da cui ho preso le mosse.
Infatti la violenza contro i bambini è apparsa solo in relazione alla loro presenza nella vita familiare e non come offesa alla loro persona perché questa è violenza che i bambini non possono dire se non con i segni di una sofferenza che li accompagnerà per tutta la vita.
Certamente altri possono dire – e penso alle donne come altre che della negazione di parola per essere state considerate oggetti hanno avuto e hanno un’esperienza che potrebbero trasferire nella solidarietà politica e sociale di cui dice la Costituzione – ma ci  sono casi in cui non lo fanno.
Certamente provano – e manifestano – pietà per il bambino sofferente e violato ma arretrano quando si tratta di riconoscergli i diritti di persona, quelli che Franca Viola, nel silenzio imposto dalla tradizione come un macigno, aveva affermato  per sé e per tutte le donne.
Solo così io riesco a spiegare l’indifferenza diffusa alla violazione del principio di uguaglianza che imporrebbe il certificato di nascita a tutti i minori, a prescindere dallo status dei loro genitori.

Il cerchio si chiude sempre lì.
Se le donne rivisitassero un po’ la loro cultura di genere potrebbero riaprirlo, non perché madri ma forti della loro memoria storica se mai volessero averne

18 Marzo 2014Permalink

15 febbraio 2014 – Se ci si mette anche il sindaco di New York

A New York carte di identità agli Undocumented …

Si legge su diversi quotidiani di un’iniziativa del poco più che cinquantenne nuovo sindaco di New York che porta per sua scelta (legalmente registrata parecchi anni fa) il cognome della mamma la cui nonna veniva dall’Italia.
Così si è rivolto Bill de Blasio ai cittadini di New York:
«A tutti i miei concittadini che sono degli immigrati senza documenti: questa città è casa vostra».
Il sindaco non si limita a un’espressione di emozioni ma, da competente responsabile amministratore, indica lo strumento che rende cittadini de la Grande Mela.
La città di New York rilascerà carte d’identità anche agli immigrati clandestini. Undocumented, senza documenti, è l’espressione che il sindaco preferisce perché non implica una criminalizzazione. Insieme con l’altra proposta sul salario minimo vitale, l’offerta agli stranieri conferma che de Blasio non ha paura di suscitare controversie.
Fin qui la cronaca.
L’articolo cui faccio riferimento si può leggere integralmente anche da qui io però voglio consentirmi qualche commento.

 .. e i loro figli resi fantasma in Italia.
In mezzo all’indifferenza generale due sono le linee prevalenti di approccio alla presenza di stranieri senza permesso si soggiorno.
La prima è quella furbesca e abilmente diffusa in maniera capillare dalla Lega Nord già dai tempi in cui si chiamava Padania: creare il nemico per scatenare su ogni piano – dal personale al politico – reazioni xenofobe e razziste.
La seconda è quella dei ‘buoni’, dei donatori in spirito di gratuità, dei ‘benefattori’.
Fra costoro c’è chi coerentemente impegna la propria vita, erogando servizi, assistendo, tendenzialmente presente dove si esprime una necessità, ma in fuga appena si parli del diritto fondamentale di esistere, in maniera giuridicamente riconosciuta.
Mi chiedo se non sia una nuova forma di cultura neocoloniale.
Una spiegazione può esserci: siccome la possibilità di gestire situazioni di assistenza dipende anche dal consenso istituzionale e le istituzioni, dai comuni al parlamento, non vogliono misurarsi col dissenso nazional-popolare,  allora anche i buoni organizzati tacciono, obbedienti alla consegna della tranquillità. Pochi affrontano la fatica del dissenso.
Da cinque anni mi occupo della questione della registrazione anagrafica negata per legge ai figli dei sans papier, gruppo discriminato che fa saltare – proprio nel momento fondante del riconoscimento giuridico dell’esistenza di un nuovo nato – il principio di uguaglianza.
La registrazione dell’atto di nascita comporta l’assegnazione del codice fiscale che consente l’accesso a una serie di servizi altrimenti negati (come si fa, ad esempio ad assicurare cure a chi non esiste, ad accogliere in un asilo nido chi non c’è?)
E’ quel codice condizione per acquisire più avanti la carta di identità, quella che il sindaco de Blasio vuole garantire ai suoi concittadini Undocumented e che i ‘nostri’ bambini non potranno avere al momento opportuno.
O meglio l’avranno se funzionerà il ‘trucco’ immaginato dai nostri eroici legislatori, combattenti di neonati. Il trucco è concedere con strumento amministrativo ciò che si nega per legge.

 Il rischio ‘de Blasio’
Così una circolare consente ciò che la legge nega ma funziona finché il governo lo desideri e – come ogni atto amministrativo – può essere ritirata, modificata senza il coinvolgimento democratico del parlamentò.
E’ vero che scrivere queste cose nella giornata in cui si srotola una crisi di governo  extraparlamentare suscita un qualche imbarazzo.  Però che l’esistenza di una persona dipenda non da una norma ma da un volatile pezzo di carta – ad alcuni concesso, ad altri no – suscita un turbamento profondo, sempre che uno ci pensi, e crea i padroni (arcigni o buoni e compassionevoli è la stessa cosa) della vita altrui
A questo punto ecco il ‘rischio de Blasio’: offrire ai ‘buoni’ un altro slogan, un’altra icona chiacchierando della quale si possa svicolare dal dovere di riconoscere l’esistenza di tutti i nuovi nati.
Così l’omaggio al bravo sindaco di New York sarà un altro strumento da esibire per assicurarsi consensi e nello stesso tempo per manifestare la propria indifferenza di fronte alla necessità di modificare una legge.

15 Febbraio 2014Permalink

2 febbraio – Donne responsabilmente pensanti

Due NO importanti all’indecenza

Riporto con piacere un’iniziativa della consigliera comunale di Udine, Chiara Gallo.
Chiara ha constatato che non è stata inserita nel calendario dei lavori parlamentari la proposta di legge 740, finalizzata a reintrodurre il riconoscimento anagrafico ai figli dei sans papier (di cui ho scritto innumerevoli volte in questo blog dove potete leggerne la trascrizione il 17 giugno).
Di conseguenza ha pensato di scrivere al capogruppo del Pd, alla presidente della Camera Boldrini, del Senato Grasso e al presidente della I commissione (affari costituzionali, della presidenza del consiglio e interni)  cui la proposta è stata assegnata. Ne ha dato informazione anche al primo firmatario della proposta stessa.
Così ha dato il secondo scossone a una proposta di legge che tenta di correggere la mostruosità introdotta nel 2009 nella legislazione italiana. Con quella norma si è negato il principio di uguaglianza per alcuni neonati cui è rifiutato il riconoscimento di un’esistenza giuridicamente riconosciuta.
Il primo scossone lo aveva dato – era il 2010 – l’allora consigliera provinciale Paola Schiratti che aveva convinto l’allora deputato Leoluca Orlando a presentare una proposta di legge che decadde nell’indifferenza anche dei tre firmatari con la fine della legislatura.
Ora i firmatari della proposta sono 104 (maggioranza Pd, una deputata SEL, due di ‘per l’Italia’).
C’è da sperare che lo scossone di Chiara solleciti il loro interesse ad assicurare la discussione della legge.
In calce alla lettera con cui Chiara si è rivolta ai suoi interlocutori ho lasciato le sigle di associazioni firmatarie e di persone presenti in istituzioni (consiglio regionale FVG e comunale di Udine) perché è giusto sapere di cosa si occupano le associazioni e cosa pensano i nostri rappresentanti, mentre non  pubblico i nomi delle singole persone che hanno voluto sostenere l’iniziativa (fra cui ci sono anch’io), non essendo questa una formale raccolta.
Cercherò di avvertire direttamente quelli che conosco.
Chi volesse ripercorrere la storia di questa vicenda potrà leggere l’articolo di Tommaso Canetta e Pietro Pruneddu  , riportato in questo blog il 21 dicembre 2013   

La lettera di Chiara

Gentilissimo On. Roberto Speranza

Associazioni, rappresentanti delle Istituzioni, cittadine e cittadini del Friuli Venezia Giulia (e non solo) intendono sottoporre alla Sua attenzione la problematica della registrazione anagrafica dei bambini nati in Italia da genitori stranieri “irregolari”, questione segnalata anche all’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza Vincenzo Spadafora nel corso dell’illustrazione della seconda relazione annuale presentata il 10 giugno 2013.

La Legge 94/2009 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica – art. 1, comma 22, lettera g) prevede che gli stranieri debbano esibire agli uffici della pubblica amministrazione “i documenti inerenti al soggiorno” per una serie di obiettivi fra cui la registrazione degli atti di stato civile.

E’ evidente che i cittadini extracomunitari in situazione di irregolarità non dispongono del permesso di soggiorno e se tale documento fosse loro richiesto, per evitare il rischio di espulsione, potrebbero privare il nuovo nato del certificato di nascita, un documento indispensabile per la vita e per la dignità di ogni persona.

Il Ministero dell’interno ha emanato a suo tempo la circolare del 7 agosto 2009, n.19 del Dipartimento per gli Affari interni eTerritoriali, nella quale si precisa che «per le attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti il soggiorno».

Sebbene la circolare ministeriale abbia contribuito a dirimere il dubbio iniziale circa l’interpretazione dell’articolo 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, poi modificato dalla legge 94/ 2009, va considerato che la stessa potrebbe essere disapplicata essendo di rango inferiore alla legge per cui per evitare ciò sarebbe necessaria una modifica normativa.

In mancanza del certificato di nascita il bambino non risulta esistere quale persona e quale individuo destinatario delle regole dell’ordinamento giuridico. In mancanza del certificato di nascita, che testimonia l’identità della madre e del padre, al bambino non viene assicurata la tutela da parte dei genitori, è condannato ad essere un apolide ed è invisibile agli occhi dello Stato.

All’inizio della legislatura è stata presentata la proposta di legge n. 740, primo firmatario On. Rosato, sottoscritta da 104 deputati, per la quasi totalità del Partito Democratico, che purtroppo, ad oggi non è stata calendarizzata. E’ per questo che siamo a chiedere, nella sua funzione di capogruppo del PD alla Camera dei Deputati, un autorevole e risolutivo intervento perché la proposta di legge prosegua il suo iter.

Siamo certi del Suo impegno per una battaglia di civiltà che da troppo tempo stiamo portando avanti con l’esclusivo fine di riconoscere un diritto negato.

Alleghiamo la p.d.l. n. 740 e l’elenco dei firmatari della presente.

Auspicando un sollecito avvio dell’iter parlamentare della proposta restiamo in attesa di un cortese riscontro e la salutiamo cordialmente.

CHIARA GALLO

FIRMATARI

Associazione “Centro di accoglienza e di promozione culturale E. Balducci” (referente don Pierluigi Di Piazza)
Associazione “Vicini di Casa” Onlus (referente don Franco Saccavino)
Fondazione “Casa dell’Immacolata di don Emilio de Roja” (referente don Gianni Arduini)
Associazione Libertà e giustizia (referente Loredana Alajmo)
Associazione “Le donne resistenti” (referente Paola Schiratti)
Associazione “Nuovi Cittadini” Onlus  (referente Silvia De Lotto)
Associazione “SeNonOraQuando? comitato territoriale di Udine” (referente Andreina Baruffini)
Associazione “Centro Solidarietà Giovani Giovanni Micesio” Onlus (referente don Davide Larice)
GrIS del FVG (Gruppo Immigrazione e salute della Società Italiana Medicina delle Migrazioni – referente Guglielmo Pitzalis)
Nascente soc. coop. a r.l. (referente Flavio Sialino)

I e le consigliere regionali del Friuli Venezia Giulia Chiara Da Giau, Emiliano Edera, Pietro Paviotti,  Stefano Pustetto, Gino Gregoris, Silvana Cremaschi, Armando Zecchinon, Alessio Gratton
I e le consigliere comunali di Udine Chiara Gallo, Monica Paviotti, Eleonora Meloni, Marilena Motta, Claudio Freschi, Hosam Aziz, Federico Filauri
L’Assessora ai diritti di cittadinanza e all’inclusione sociale del Comune di Udine Antonella Nonino

 

2 Febbraio 2014Permalink

4 ottobre 2013 – CIE di carne sempre in attività di servizio – 2

Per fare ordine.  4 settembre.

Ho pubblicato il testo della mia segnalazione all’ospedale di Udine in un pezzo intitolato ‘Naturalmente tacciono’ .
Ero venuta in possesso di un dépliant dell’Ospedale stesso, finalizzato ad informare gli utenti sui servizi e sulle modalità in cui – insieme a una lunga serie di utilissime informazioni – si leggeva alla voce ‘denuncia di nascita’
 “COSA SERVE: documento di identità valido di entrambi i genitori, se stranieri non residenti passaporto o permesso di soggiorno valido” .
Ho ricopiato pedissequamente il testo dalla “Guida rapida all’ospedale” dove si citano come estensori  l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, la sede di Cividale del Friuli e di Gemona del Friuli.

Per fare ordine. 26 settembre  

Scrivo un pezzo intitolato ‘CIE di carne’  anche in risposta a una lettera (prot. 51831) inviatami dall’Ospedale di Udine come riscontro alla mia segnalazione, da poco ricevuta anche se la data del timbro postale è  20 settembre.  
Ne ho scritto nel mio pezzo del 26 settembre e ne riprendo il passo centrale perché è intervenuto un fatto nuovo che voglio commentare senza escludere nessun elemento, almeno di quelli che io riesca a cogliere.

La dott.ssa Paola  Toscani ha approfondito la problematica evidenziata e precisa che l’informazione inerente il “permesso di soggiorno valido”, indicato in alternativa al passaporto per effettuare la denuncia di nascita, non è finalizzata a verificare se sussiste una situazione di irregolarità del migrante, ma ad agevolare lo straniero, offrendogli più di una possibilità. Infatti ai migranti irregolari non è mai stato chiesto il permesso di soggiorno ma solamente ‘un documento’ che potesse accertare l’identità del genitore, come previsto dalla normativa.

Dalle sue osservazioni sembrerebbe che l’indicazione del permesso di soggiorno abbia generato equivoci, pertanto le assicuriamo che nella prossima ristampa della Guida Rapida si provvederà a ometterla.

Nel ringraziarla per la segnalazione che ha fornito l’occasione per migliorare le informazioni sull’accessibilità ai servizi sanitari da parte della popolazione migrante, si coglie l’occasione per inviare i migliori saluti”.

Una osservazione soltanto.
Il problema che ho posto  non è l’eventuale ‘generar di equivoci’ , non questione di  opportunità, ma di ‘legalità’.
Persino la subdola circolare Maroni, con cui nel 2009 il Ministro dell’Interno allora in carica negava ciò che la legge affermava (per evitare penalizzazioni legate alla violazione di norme internazionali) recitava: “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto” (Circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 7 Agosto 2009).
Quindi, se i documenti non devono essere esibiti perché possono essere richiesti?

La lettera dell’Ospedale – che segnalava come mittente la responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico e citava nel testo la Dottoressa Paola Toscani (mi scuso ma ne ignoro il ruolo) – era giustamente firmata dal dott. Mauro Delendi, direttore generale, perché la normativa prevede che il Sindaco (sul cui ruolo di Ufficiale di Stato Civile, responsabile dei registri su cui si trascrivono gli atti di stato civile, dovrò tornare) possa delegare la registrazione degli Atti di Nascita ai direttori sanitari degli ospedali, così come a Udine è avvenuto.

A qualcuno è stato fatto presente che il documento su cui si svolge la procedura delle registrazioni non contiene la dizione con cui è stato (dis)informato il pubblico.
Ci mancherebbe. Un illecito praticato in un atto ufficiale?
Nemmeno la mia malignità arriva a supporre tanto ma io ritengo fondamentale anche l’informazione generalizzata soprattutto quando proviene da fonte autorevole e, surrettiziamente, sostiene un pregiudizio.
(Comunque chi volesse può verificare l’art. 30 del DPR n. 396/2000 e l’art. 16 comma 2 n. 445/2000).

E infine anche oggi provo a fare ordine

 Due amiche hanno scritto al sindaco di Udine, a seguito delle considerazioni relative alla responsabilità del Sindaco, una lettera con argomentazioni analoghe a quelle della mia segnalazione, e hanno ricevuto – datata 24 settembre PG/U 0128916 e firmata dal dirigente del servizio dott. Paolo Asquini – una lettera che, dopo aver ricordato  ”che analoga nota era già stata presentata direttamente all’Ufficio URP della locale Azienda Ospedaliera , da altra persona”, propone due precisazioni importanti.
1. Ricorda ‘i diritti dei minori figli di immigrati che qualsiasi Amministrazione pubblica italiana deve rispettare’ (dal che ho cominciato ad occuparmene io è la prima volta che la cosa viene detta nell’ambito dell’Amministrazione comunale. Che abbiano finalmente capito? Onore alle due amiche – Adriana Libanetti e Daniela Rosa – che sono riuscite ad ottenere questa risposta).
2 – Però afferma anche Corre l’obbligo di precisare che sia l’Ufficio di Stato Civile di questo Comune, sia la Direzione Sanitaria dell’Azienda ospedaliera, struttura presso la quale si effettuano le dichiarazioni di nascita, che operano in collaborazione pur nei rispettivi distinti ruoli, mai hanno richiesto agli stranieri l’esibizione del permesso di soggiorno in sede di dichiarazione/denuncia di nascita”.
L’ho già scritto sopra: nemmeno io avrei supposto che qualcuno potesse impegnarsi in un simile ignominia. Lasciamo l’excusatio non petita. Ovvio che non l’abbiano fatto.

Che fare?
Ora, ma questo spetta alle forze politiche non agli amministratori in quanto tali, è necessario impegnarsi per la modifica della legge che nel 2009 ha introdotto la matta bestialità dell’esibizione  del permesso di soggiorno.
Finora esiste in parlamento una proposta (n. 340 – primo firmatario on. Rosato, alla cui firma segue quasi un centinaio di firme Pd, quella di SEL dell’on Pellegrino e un paio di Scelta civica). Si trova nel mio blog, ricopiata  in data 17 giugno.
Io spero che questo pluralismo, non numericamente significativo ma reale, serva a facilitare la velocità del dibattito e impedisca perdite di tempo in cui ognuno voglia dimostrare che il partito suo è meglio di quell’altro.
Una volta tanto si concentrino su di un obiettivo in nome della loro dignità di parlamentari che ‘esercitano un ruolo senza vincolo di mandato, quindi, spero, in scienza e coscienza e non ‘in disciplina’ con finalità elettorali asservite a lobby.

Dopo la tragedia di Lampedusa.

Qualcuno comincia ad urlare ‘aboliamo la Bossi Fini’.
E’ una specie di mantra di cui non so si valuti bene il significato.
La Bossi Fini è una delle nostre vergogne nel settore specifico, non la vergogna.
Lasciamo perdere i mantra da esibizionisti e cominciamo a nominare esattamente la norma da modificare. Ecco:
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 – “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”.
Qui sono confluiti la legge Turco-Napolitano, la Bossi- Fini e il ‘pacchetto sicurezza’ (legge 94/2009) di maroniana gestazione, con tutte le modifiche via via cumulatesi.
Ed è su questo testo che bisogna consapevolmente lavorare.

Il contributo specifico dei consiglieri comunali potrebbe essere, nel dolore di tutte quelle morti atroci che hanno colpito anche bambini, quello impegnarsi a non fare dei bambini che nascono a Udine dei morti alla vita giuridicamente riconosciuta.
Dopo il pianto viene il ‘che fare?’
La mia è una proposta.
I figli non possono essere usati come  CIE di carne, strumenti per l’identificazione e l’espulsione dei genitori.

4 Ottobre 2013Permalink

17 agosto 2013 – I diritti umani non vanno in ferie 4

Non so come ciò che è accaduto verrà riportato dalla stampa ma nei prossimi giorni non avrò tempo  per analisi e nemmeno il modo di documentarmi.
Mi garantisco quello che posso ancora registrare.

Al CIE di Gradisca un piccolo passo verso la “normalità”:

 I DIRITTI UMANI NON VANNO IN FERIE

 Rientrando a Gradisca, dopo un paio di giorni di assenza, la calma sembra tornata. 
 Alcuni materassi però sono ancora sistemati sopra il tetto; mi auguro ancora per poco perché all’idea che qualcuno possa di nuovo salirci non può che tenerci in allerta.
Arrivo, annunciando preventivamente che dopo la mia visita avrei tenuto una conferenza stampa nel piazzale antistante.
 Mi aspettavano.    La Prefettura avvisata.   Tutto regolare.    Nessun blitz.
 La collaborazione prima di tutto.

 Sapevo che oggi, con ogni probabilità, avrebbero restituito i cellulari: prima grande conquista dopo i colloqui tenutisi prima con gli “ospiti” e poi con il Prefetto e il Questore -dopo due anni di misura straordinaria direi che può essere definito un grande risultato per loro.

 Una volta dentro sono stata dissuasa dall’entrare a dialogare con loro: avevano avuto rimostranze nei miei confronti nei giorni precedenti, ma non mi faccio intimorire.

 Il dialogo e la fiducia per aver mantenuto la parola, prima di tutto.

 La diffidenza e il timore che io possa essere come tanti altri che fanno la visita e poi…chi li vedi più sono altissimi, ma quanto accaduto oggi rischia di valere più di mille carte scritte.

 Il ripristino della mensa, dal momento che necessita di lavori di manutenzione, non potrà essere agibile prima di una settimana.
 La cosa non mi turba. Loro lo sanno e mi auguro che sappiano attendere.  Entro.

 Mi accolgono, insospettatamente, con atteggiamento positivo.

 Sono contenti. Sembravano bambini. Piccoli pezzi di libertà. Poter comunicare e ricevere comunicazioni: impagabile! Parlare con la famiglia, ma soprattutto poter ricevere telefonate, perché l’uso del telefono pubblico per parlare con l’esterno non gli era mai stato negato.

 Mi trattengo qualche minuto con loro e mi dicono che hanno visto tutte le trasmissioni televisive, che sono contenti che si parli di loro, ma le richieste che avanzano di continuo sono l’impegno di diminuire il numero di mesi di “trattenimento” (perché è così che bisogna chiamarlo senza paura) da 18 a 6 mesi.

 Effettivamente, a parte alcuni casi e da quanto sostiene il Questore, parrebbe sia così.

 Prima di andare via, una raccomandazione: sono con voi se voi siete rispettosi…non posso dire delle regole, perché le regole NON CI SONO!!!
 Vengono decise di volta in volta e la cooperativa al suo interno deve fare di tutto perché venga rispettato. In ultimo, come extrema ratio, interviene la polizia.
 Mi auguro che mantengano la parola data.

 Nel frattempo sul piazzale antistante mi aspettano numerosi i giornalisti per la conferenza stampa.
 Perché una conferenza stampa il 16 agosto: perché i diritti umani NON VANNO IN FERIE!
 …e diventa lo slogan della conferenza…

 Intervengono tutti, tutte le associazioni che i questi anni hanno operato perché il CIE potesse diventare qualcosa di umano, la tenda per la pace. l’associazione laciasciateCIEntrare, il centro Balducci e molti altri. Qualcuno mi chiede: e la Bossi/Fini? ha fatto acqua da tutte le parti, la mia risposta, e quando una norma è palesemente sbagliata, bisogna avere il coraggio di cambiarla.

 Alla riapertura della Camera questo deve essere uno dei prossimi impegni. Il PD in questi giorni, per bocca della nostra Presidente, si è sbilanciato con dichiarazioni aperte.
 Ora dobbiamo continuare con i fatti: Senza Paura!
 Unico vero dispiacere: che si voglia con determinazione farmi apparire, in una diatriba tra guardie e ladri, dalla parte dei ladri.
 La difesa delle forze dell’ordine rimane in capo alla destra.
 Ma capiamoci. Qui, e cito don Di Piazza, nessuno vuole il CIE.

 La mia posizione è netta.
 Siamo lì per tutti, dai cittadini di Gradisca che subiscono sul loro territorio situazioni di forte anomalia e disagio, alle forze di polizia che anziché impegnarsi sul territorio sono costretti presidiare un luogo che, di fatto, non dovrebbe essere presidiato, agli operatori della cooperativa che non percepiscono lo stipendio da molti mesi e, ultimi nella catena perché non sostenuti da alcuna istituzione ufficiale a differenza di tutti gli altri, i “rifiuti” della società: gli immigrati irregolari.

 D’altronde chi vuoi che li voglia degli ex delinquenti, stranieri per di più, o dei senza diritto in un momento in cui la crisi morde qualsiasi settore? Meglio disfarsene e relegarli in una struttura fino a 18 mesi. O fino a quando lo stato d’origine dà l’ok per il rimpatrio – la loro “casa” – da dove, gioco forza, riprenderebbero lo stesso percorso.

 Ed è un cane che continua a mordersi la coda: ma i diritti umani NON VANNO IN FERIE!

Il mio commento pubblicato su facebook

Grazie Serena! e ti prego di ricordare che nessun diritto umano va in ferie, né quelli di chi li urla dai tetti né quelli di chi può solo affidarli alla civiltà consapevole di altri.
Ancora una volta ti ricordo i bambini cui la legge nega l’appartenenza a un ordinamento giuridico. Sono i figli degli immigrati irregolari che, per  registrarne la nascita, dal 2009 devono presentare il permesso di soggiorno che non hanno. E’ una norma che è stata pensata – sulla pelle di neonati (ma si può immaginare una vigliaccheria peggiore?) – per facilitare l’identificazione e l’espulsione dei padri.
I figli diventano il loro CIE!
Il fatto che possa non essere applicata non cancella la vergogna e il pericolo di una simile norma.
Hai firmato la proposta di legge 740 la cui approvazione – che rimedierebbe questa situazione – non comporta oneri per lo stato. Mettila nel ‘pacchetto’ delle questioni che tratterrete in parlamento.
“Filo spinato
Tu scrivi dell’uomo nel lager
io – del lager nell’uomo
per te il filo spinato è all’esterno
per me si aggroviglia in ciascuno di noi
– Pensi che ci sia tanta differenza?
Sono due facce della stessa pena”.
(Ryszard Kapuściński)

ore 23
Gradisca (GO) – La mobilitazione di fronte al CIE. I migranti lanciano bozzoli e psicofarmaci dall’interno: la prova delle violenze

17 Agosto 2013Permalink