19 settembre 2013 – Alba dorata o insanguinata?

Un comunicato ANSA      –   Militante Alba Dorata uccide rapper

Proteste in tutta la Grecia per l’omicidio del 34enne antifascista Pavlos Fissas. In manette membro del partito filo-nazista, ha confessato

ATENE, 18 SET – Ha confessato le proprie responsabilità ed è stato arrestato l’uomo di 45 anni, membro del partito filo-nazista greco Chrysi Avghì (Alba Dorata), che la scorsa notte al termine di una rissa per motivi politici ha ucciso a coltellate Pavlos Fissas, 34 anni, un rapper e militante nel gruppo di estrema sinistra Antarsia. L’omicidio e’ avvenuto nel corso di scontri durante la notte nei pressi di Atene. Intanto, nell’ambito delle indagini, agenti della polizia greca, alla presenza di un sostituto Procuratore della Repubblica, stanno effettuando una perquisizione nelle sedi di Alba Dorata di Leoforos Mesogion e di Via Deliyanni. Come riferisce il sito web Newsit.gr, all’operazione di polizia sono presenti due parlamentari del partito, Ilias Panayotaros e Christos Pappas.

Si chiama Giorgos Poupakiàs, 45 anni e ha ucciso con tre coltellate Pavlos Fyssas al termine di una discussione di calcio degenerata in politica. Lo hanno reso noto radio ateniesi. Per questo pomeriggio, in segno di protesta per l’omicidio di Fyssas, il sindacato del settore pubblico Adedy ed altri gruppi antigovernativi hanno indetto una manifestazione nei pressi del luogo dove il rapper è stato ucciso che si inserisce nell’ambito dello sciopero di 48 ore proclamato dalla centrale sindacale contro la politica di austerità del governo. Dal canto suo, il ministro per la Protezione del Cittadino, Nikos Dendias, ha espresso il proprio rammarico per l’assassinio di Fyssas e ha annunciato di aver annullato la visita ufficiale a Roma che aveva in programma di effettuare domani.

In Europa è già accaduto

In Europa, in Italia abbiamo già conosciuto il processo che  dall’eliminazione del ‘diverso’  – e si comincia con lo straniero o presunto tale – costruisce via via le ragioni per inserire altri nella schiera di coloro che devono essere eliminati o almeno zittiti.
A me sembra che l’omicidio greco faccia parte di  un processo di passaggio dalla politica-  che tenta di non essere violenta – alla violenza come scelta politica.
E i passi possibili fino ad arrivare all’omicidio per la strada sono tanti: si percorrono uno alla volta e quando ci si vorrebbe fermare il tempo è finito

Quando vennero per gli ebrei e i neri, distolsi gli occhi
Quando vennero per gli scrittori e i pensatori e i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi
Quando vennero per gli omosessuali, per le minoranze, gli utopisti, i ballerini, distolsi gli occhi
E poi quando vennero per me mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno…

Sono versi attribuiti al pastore tedesco Martin Niemöller e non solo.
Poco importa chi li ha scritti.
A me sembra sia il caso di pensarci.

19 Settembre 2013Permalink

15 settembre 2013 – Ogni tanto capita 8

Oggi ho ricevuto un commento al mio scritto del 12 settembre che ho pubblicato e riporto in chiaro segnalando anche l’indirizzo del sito di chi è intervenuto.
http://www.marcozanolla.it

Nota del 16 settembre: Ho aggiunto al titolo il numero 8 ad indicare la continuità con le informazioni la cui fonte principale, se non esclusiva,  era stata finora l’on Pellegrino

Il commento di Marco Zanolla
Devo dire la verità, eravamo in tanti presenti quella mattina. Oltre all’Onorevole Russo c’ero anch’io come rappresentante del PD locale e una serie infinita di cineoperatori (anche della stessa commissione) e rappresentanti delle associazioni. I posti degli accompagnatori erano già chiusi una settimana prima (e devo dire che l’amministrazione locale è riuscita ad esser presente, dopo aver sollecitato i propri parlamentari di riferimento a rientrare nel CIE dopo 4 anni, anche perché prima le richieste non sono mai state accettate). L’assessore provinciale, per esempio, è rimasto fuori dai cancelli e se ci fossero stati rappresentanti regionali avrebbero avuto grossi problemi (anche se l’Onorevole Pellegrino ha segnalato che in altri CIE gli assessori regionali vengono trattati al pari dei parlamentari).
Visto che ero presente sia alla discussione con Prefetto e Questore sia alla conferenza stampa quando è stato scritto che: “«Questo Cie, se permangono queste condizioni, va chiuso». Un parere personale, quello espresso dal presidente della commissione straordinaria per i diritti umani del Senato”
Deriva proprio dalle parole di Manconi perché è prassi che la commissione prima di fare un’uscita del genere si insedi e raccolga il parere di tutti i rappresentanti della commissione. Comunque sia i cineoperatore che i giornalisti che gli stessi parlamentari della commissione hanno affermato che quello di Gradisca è il peggiore dei CIE visitati, non solo, le condizioni di vita di questa struttura sono peggiori delle carceri da loro visitate finora.

Ringraziamenti dovuti

Non solo a Marco Zanolla che aggiunge relativamente alla vicenda CIE importanti informazioni per la mia memoria storica ma anche a chi tempo fa mi ha inviato complimenti che non ho pubblicato, depressa come sono dalla pioggia di messaggi insensati e tentativi di introdurre propaganda nel mio sito.
A Marco Zanolla scriverò anche personalmente per vedere se è possibile un dialogo con una persona che si interessa di politica e che, da quel che ho letto nel suo blog, sembra intenzionato a guardare la realtà con i suoi occhi.

15 Settembre 2013Permalink

12 settembre 2013 – La Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani al CIE di Gradisca d’Isonzo 7

Il numero 7 riguarda la successione delle relazioni che la deputata Serena Pellegrino ha proposto prima con comunicati poi nel suo blog (serenapellegrino[punto]it)
I testi precedenti sono riportati (appunto numerati) in questo mio blog e precisamente in agosto: 13, 14. 15, 17 18, 26.

La relazione dell’on. Pellegrino

Gradisca d’Isonzo,10 settembre 2013. Dichiarazione dell’on. Serena Pellegrino a margine della visita del sen. Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani, al Cie di Gradisca d’Isonzo.

 “Il senatore Luigi Manconi ha rilevato esattamente quanto avevo denunciato un mese fa: tutela dei diritti civili e principi umanitari non stanno di casa al CIE di Gradisca d’Isonzo.” L’ha dichiarato poco fa l’on. Serena Pellegrino, al termine della visita ufficiale del presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, svoltasi questa mattina.

” Le conclusioni di Manconi sono quelle che auspicavo fossero: questa struttura così com’è va chiusa, a tutela delle persone trattenute e di tutti coloro che per ragioni di lavoro varcano i cancelli dei centri. E l’intero sistema dei Centri va ripensato.”

 “Devo notare – ha aggiunto Pellegrino – che a seguire la visita del senatore Manconi e a prendere poi atto delle sue conclusioni c’erano le massime autorità civili e militari: prefetto, viceprefetto, questore, vicario del questore, comandante dei carabinieri, comandante della Guardia di Finanza, il sindaco di Gradisca e altri amministratori locali. Era presente il collega senatore Francesco Russo, i rappresentanti delle associazioni e dei movimenti; ma non ho visto i vertici della politica regionale e gli altri esponenti del difficile dibattito politico che si è sviluppato attorno alle sorti del Cie.”

Dal Messaggero Veneto 11 settembre  (Regione – pag.8)

GRADISCA Tre ore di ispezione, accompagnati dai vertici di Prefettura e Questura. E una sentenza non scritta, pronunciata davanti al sindaco di Gradisca, Franco Tommasini: «Questo Cie, se permangono queste condizioni, va chiuso». Un parere personale, quello espresso dal presidente della commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, Luigi Manconi (Pd), che probabilmente sarà appena accennato nella relazione conclusiva che raccoglierà le risultanze delle visite che i membri del consesso stanno effettuando nei centri che accolgono gli immigrati irregolari sparsi per lo Stivale. Con Manconi c’erano la parlamentare del Sel, Serena Pellegrino, il prefetto di Gorizia, Maria Augusta Marrosu, il questore Pier Riccardo Piovesana, l’assessore comunale gradiscano Linda Tomasinsig, l’assessore provinciale Ilaria Cecot, e i referenti delle associazioni pacifiste che da tempo si battono contro la chiusura del centro di via Udine. All’esterno della struttura, un drappello di manifestanti ha ribadito la richiesta di porre fine alla detenzione dei clandestini, che a loro volta hanno alzato la voce per chiedere la revisione delle leggi sull’immigrazione e la concessione di alcune deroghe sull’utilizzo degli spazi comuni del centro. Secondo Manconi «il problema del Cie può essere affrontato e governato, anche se non è stato fatto finora in alcun modo, complice una gravissima sottovalutazione da parte delle autorità statuali. È necessario distinguere poi il ragionamento tra Cie e Cara – ha detto il parlamentare democratico –. La prossimità tra i due centri a Gradisca è elemento critico ed errore, con una promiscuità che costituisce un grave limite». Per la deputata di Sel Pellegrino, «le conclusioni di Manconi sono quelle che auspicavo fossero: questa struttura così com’è va chiusa, a tutela delle persone trattenute e di tutti coloro che per ragioni di lavoro varcano i cancelli dei centri. E l’intero sistema dei centri va ripensato». Risoluto anche il sindaco della città isontina: «Dopo anni di silenzi da parte dell’amministrazione regionale, la presidente Serracchiani si è finalmente interessata al problema».(chr.s.)

Nota mia

Mentre attendo il testo della relazione che Il Presidente Manconi presenterà in Senato mi permetto alcune considerazioni sulla cronaca del Messaggero Veneto.
Era presente anche il sen Francesco Russo che non viene nominato (il senatore stesso aveva testimoniato la sua presenza ieri su facebook).
Se non sono oscurate, come la precedente, non risultano presenze del governo regionale.
E infine mi incuriosiscono le prime tre righe dell’articolo del quotidiano locale. Le trascrivo:
“E una sentenza non scritta, pronunciata davanti al sindaco di Gradisca, Franco Tommasini: «Questo Cie, se permangono queste condizioni, va chiuso». Un parere personale, quello espresso dal presidente della commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, Luigi Manconi (Pd), che probabilmente sarà appena accennato nella relazione conclusiva… (continua- vedi sopra)”.
Forse sono io che non capisco queste modalità di scrittura ma la ‘sentenza’ della prima riga mi sembra in contraddizione con quella inusuale presa di distanza dalla dichiarazioni del presidente di una commissione parlamentare espressa con ‘parere personale’. Se conosco la lingua italiana i due termini non sono sinonimi.

domenica 15 settembre

Aggiungo il link a un articolo de Il Corriere della sera di oggi

http://www.corriere.it/cronache/13_settembre_15/gradisca_9413ae36-1dda-11e3-a7f1-b3455c27218c.shtml

I componenti della Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani

Presidente MANCONI Luigi, PD
Vicepresidenti FALANGA Ciro, PdL  / DONNO Daniela, M5S
Segretari BILARDI Giovanni, GAL  / DE PIN Paola, Misto
Membri: ALICATA Bruno, PdL;  AMATI Silvana, PD;  CHIAVAROLI Federica, PdL;
CONTE Franco, PdL;   DE CRISTOFARO Peppe, Misto, Sinistra Ecologia e Libertà; 
DI BIAGIO Aldo, SCpI; FASANO Enzo, PdL; FATTORINI Emma, PD;
FERRARA Elena, PD; GOTOR Miguel, PD; LO GIUDICE Sergio, PD;
MAZZONI Riccardo, PdL; MUNERATO Emanuela, LN-Aut;
PALERMO Francesco, Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE; ROMANO Lucio, SCpI; RUSSO Francesco, PD; SERRA Manuela, M5S; SIMEONI Ivana, M5S;
TRONTI Mario, PD; VICECONTE Guido, PdL

12 Settembre 2013Permalink

11 settembre 2013 – Una lettura biblica

Ricordo che oggi è il 40mo anniversario del Golpe cileno
e il 12mo dell’attentato alle Torri Gemelle

Mi sono sempre negata, ma penso che cambierò registro, di dare spazio in questo blog anche ai miei interessi biblici  che però si rivelano non solo miei.
Mi trovo infatti in  una situazione buffa.
Mi è stato chiesto da un pastore amico di proporre il 29 agosto una meditazione all’apertura di quella giornata del Sinodo Valdese (ogni giornata del Sinodo si apre con un breve, sobrio culto).
Mi veniva indicato come tema quello della violenza alle donne, cosa che ho fatto cercando di usare il registro di comunicazione che il luogo mi suggeriva.
Ora mi viene chiesto di conoscere quel testo da varie parti. Eccolo qui (per correttezza preciso che la traduzione del capitolo 34 del libro della Genesi che ho scelto è quella della Nuova Riveduta. In ambiente protestante mi sembrava corretto leggere il testo in uso in quelle chiese).

29 AGOSTO – TORRE PELLICE

Le antiche storie possono parlarci anche al presente
Comincio  dal cap. 34 del libro della Genesi la cui lettura intreccerò alle considerazioni che vi propongo

(Gn 34:1) Dina, la figlia che Lea aveva partorita a Giacobbe, uscì per vedere le ragazze del paese. 

Una tribù di nomadi si sposta e quando trova una stanzialità utile per il pascolo o almeno per una sosta una ragazzina, che non sa che presto verrà spenta la sua gioia di vivere, si allontana curiosa per incontrarsi con coetanee in un momento festoso.
Ma le capita quello che a tante donne è accaduto e accade

(Gn 34, 2-3)  Sichem, figlio di Camor l’Ivveo, principe del paese, la vide, la rapì e si unì a lei violentandola.  Poi egli rimase affezionato a Dina, figlia di Giacobbe; amò la giovane e parlò al cuore di lei.

Può una violenza travestirsi da amore? O è soltanto la giustificazione di una consuetudine che vuol togliere alla vittima anche il diritto di essere tale?
Sichem parlò al cuore di lei. Ma noi non sappiamo se, dopo la violenza, il cuore di Dina fosse disponibile a una qualsivoglia forma di ascolto, non sappiamo nemmeno se Dina fosse in grado di ascoltare qualche cosa, se in lei prevalesse l’orrore, il dolore, la vergogna, la paura …
Non sappiamo nulla perché Dina attraversa questa storia come un oggetto banale, imbarazzante, utile, infine offerto alla vigliaccheria della strumentalizzazione.
Nella storia che ci viene raccontata molti avvenimenti si svolgono, molti uomini si agitano e Dina invece tace. E il suo silenzio è lì come un masso che non si può spostare, su cui le parole scivolano senza intaccare quel nodo di ripugnanza che ha spento, forse per sempre, il moto di gioia di una ragazzina forse costretta riconoscersi acquiescente nella disperazione dell’impotenza, che prende su di sé la vergogna che ad altri dovrebbe appartenere?
Dina tace e continua a tacere mentre scatta il meccanismo antico che ha avuto tanti nomi, anni fa in Italia lo conoscevamo come matrimonio riparatore. E sappiamo bene che  quando il matrimonio è avvenuto può non  essere – e spesso non è – riparo.

(Gn 34, 4-5)     E disse a Camor suo padre: «Dammi questa ragazza in moglie». Or Giacobbe udì che quegli aveva disonorato sua figlia Dina; e siccome i suoi figli erano ai campi con il suo bestiame, Giacobbe tacque finché non furono tornati.

Violentata e contrattata.  Non sappiamo se abbia potuto piangere con un padre capace di offrirle consolazione. Il rispetto di Giacobbe va ai figli maschi. Sono al lavoro. Si eviti di portar loro cattive notizie. Meglio proporgliele con prudenza e discrezione prima che ciò che è avvenuto causi qualche guaio.
E Dina? Per Dina è pronto il giudizio. E’ stata disonorata. Sulla sua pelle si può contrattare, anzi aprire lo spazio della contrattazione utile per la tribù che può predisporsi a far uso di altre donne.
La parola amore si spende solo per colui che ha agito violenza.

(Gn 34, 6-12)   Intanto Camor, padre di Sichem, si recò da Giacobbe per parlargli. I figli di Giacobbe, com’ebbero udito il fatto, tornarono dai campi; questi uomini furono addolorati e fortemente adirati perché costui aveva commesso un’infamia in Israele, unendosi alla figlia di Giacobbe: cosa che non era da farsi. Camor parlò loro, dicendo: «Mio figlio Sichem si è innamorato di vostra figlia; vi prego, dategliela per moglie  e imparentatevi con noi; dateci le vostre figlie e prendete per voi le figlie nostre. Abiterete con noi e il paese sarà a vostra disposizione; fissate qui la vostra dimora, trafficate e acquistatevi delle proprietà».
 Allora Sichem disse al padre e ai fratelli di Dina: «Possa io trovare grazia agli occhi vostri e vi darò quello che mi direte. Imponetemi pure una gran dote e molti doni; io ve li darò come mi direte, ma datemi la ragazza in moglie».

Nel mercato tutto ha un prezzo. Sichem, amante senza tenerezza (ne aveva avuta dopo la violenza parlando al cuore di lei? Solo Dina potrebbe dircelo, ma Dina tace) vuole una moglie e la chiede a chi è attore della transazione.
Ma il mercato – avvenga in un agglomerato di tende nel deserto o nel salotto di una banca –non è il luogo della trasparenza e della lealtà e il prezzo quando sia imposto dal vincitore può farsi pesante.

(Gn 34, 13-17)     I figli di Giacobbe risposero a Sichem e a suo padre Camor, ma parlarono loro con astuzia, perché quegli aveva disonorato Dina, loro sorella. Dissero loro: «Questo non possiamo farlo; non possiamo dare nostra sorella a uno che non è circonciso; perché ciò sarebbe per noi un disonore. Acconsentiremo alla vostra richiesta soltanto a questa condizione: se sarete come siamo noi, circoncidendo ogni maschio tra di voi. 16 Allora vi daremo le nostre figlie e noi ci prenderemo le figlie vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo.  Ma se non volete ascoltarci e non volete farvi circoncidere, noi prenderemo la nostra figlia e ce ne andremo».

La transazione è accettata. Al silenzio di Dina si unisce quello delle altre donne. Vennero consultate? Non ne abbiamo notizia.
Il prezzo della sofferenza deve sembrare vantaggioso a chi lo possa imporre

(Gn 34, 23)        «I loro armenti, le loro ricchezze e tutto il loro bestiame non saranno forse nostri? Acconsentiamo alla loro richiesta ed essi abiteranno con noi».

Non finisce  così. Nel mercato, come in guerra,  la competizione è il terreno su cui si gioca per vincere e la vittoria non prevede attenzione alle macerie che restano dopo un’aggressione anche se sono costituite da ciò che resta di esseri umani.
Così la tribù di Giacobbe approfitta della debolezza di uomini soggetti a una dolorosa, tardiva circoncisione e

(Gn 34, 26-29)       Passarono a fil di spada anche Camor e suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono. I figli di Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro sorella era stata disonorata; presero le loro greggi, i loro armenti, i loro asini, quanto era nella città e nei campi. Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si trovava nelle case.

Presero Dina … così, di passaggio,  veniamo a sapere  che Dina è ancora viva.
La ‘presero’, non  la liberarono, la presero come le greggi, gli armenti. i bambini, le mogli dei sichemiti.. un grosso bottino che poteva diventare pericoloso.
Giacobbe lo sa e parla ai suoi figli,  cui rimprovera l’imprudenza non la violenza:

(Gn 34, 30-31)  «Voi mi causate grande angoscia, mettendomi in cattiva luce davanti agli abitanti del paese …. Io non ho che pochi uomini; essi si raduneranno contro di me, mi piomberanno addosso e sarò distrutto io con la mia casa».  Ed essi risposero: «Nostra sorella dovrebbe forse essere trattata come una prostituta?»

 

Già, una sorella prostituta non è un  messaggio promozionale accattivante mentre lo è la vendetta.
Sembra una situazione senza via d’uscita. Finché il silenzio di Dina continua e incombe non ci è dato sapere come tutto potrebbe modificarsi,  se dal racconto della sua esperienza possano intravedersi  indizi di una nuova strada di liberazione.
Certamente oggi disponiamo di un passaggio che sembra facile e risolutivo.
Non abbiamo bisogno infatti di affidarci all’arbitrio del  padre-padrone-giudice.
Abbiamo circoscritto il terreno su cui ragionare, definito la violenza sessuale come reato contro la persona, non contro la morale …  e fu dura arrivarci!
Ma è davvero finito il tempo per cui una vittima dovrebbe cessare di imporci la sua presenza come tale a seguito di una riparazione definita in sede giudiziaria?
Capita spesso, e non solo per la violenza sessuale, che alla vittima si chieda di perdonare. Ma il perdono non è una negazione della responsabilità di chi ha prodotto violenza, non è compatibile con la vendetta ma perché ne nascano le condizioni richiede giustizia.
Non la pur necessaria giustizia delle aule di tribunale ma il riconoscimento reale, solidale con chi ha sofferto e soffre, di ciò che è avvenuto.
Dina deve poter prendere parola contando su un ascolto consapevole e solidale. 
E soprattutto su una società capace di mettersi realmente in discussione per evitare che alla violenza consumata si offra solo riparazione.
A Dina finalmente liberata deve essere aperto il futuro che è responsabilità di tutte e tutti non solo sua.

11 Settembre 2013Permalink

8 settembre – Perez Esquivel scrive ad Obama

8 settembre – Una data che parla da sé

Mentre stavo per chiudere il PC, dopo aver deciso di non scrivere nulla sull’8 settembre troppo sconsolata dalle cattive notizie che arrivano da varie parti, ho letto della bella notizia della liberazione del giornalista de La Stampa Domenico Quirico.
Nulla invece su padre Dall’Oglio.
Aggiungo le prime parole di Quirico sulla sua prigionia:
“Ho cercato di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa rivoluzione mi abbia tradito. Non è più la rivoluzione laica di Aleppo, è diventata un’altra cosa“: così l’inviato della Stampa,
Aggiorno il calendario di settembre a mia futura memoria e chiudo.
… e mentre decido di chiudere mi consento una ‘navigazione’ su facebook per vedere se s’è qualche reazione alla liberazione di Quirico (riuscirà a dirci qualche cosa sulla Siria?)
Trovo in una pagina della dott. Cremaschi la lettera ad Obama del premio Nobel per la pace che trascrivo, ringraziando la consigliera regionale per la pubblicazione e la traduzioni.

Lettera di Adolfo Pérez Esquivel, Nobel per la pace, al Presidente Obama

 Caro Obama

 Ascolta il grido che viene dal popolo! La situazione in Siria è preoccupante, e ancora gli Stati Uniti si ergono a gendarmi del mondo e pretendono di invadere la Siria in nome della libertà e dei “diritti umani”.

Il tuo predecessore G.Bush nella sua pazzia messianica ha strumentalizzato il fondamentalismo religioso per dare inizio alla guerra in Afganistan ed in Iraq. Quando dichiarava di parlare con Dio e che Dio gli diceva di attaccare l’Iraq, lo faceva perché “era ordine di dio esportare la libertà” al mondo.

 Hai detto, nell’ occasione dei 50 anni dalla morte del reverendo Luther King, premio Nobel per la pace, della necessità di completare il suo sogno “…un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.” Questo sogno fu la maggiore espressione della lotta per i diritti civili contro il razzismo nella prima democrazia schiavista del mondo. Luther King diede la sua vita per dare vita, e per questo motivo è un martire del nostro tempo. Lo uccisero dopo la marcia su Washington perché agiva con la disobbedienza civile contro la guerra imperialista contro il popolo del Vietnam. Veramente credi che invadere militarmente un altro popolo sia portare a compimento questo sogno?

 Armare i ribelli per autorizzare l’intervento della NATO non è un comportamento nuovo da parte del tuo paese e dei tuoi alleati. E non è una novità che gli Stati Uniti d’America pretendano di invadere paesi accusandoli di possedere armi di distruzione di massa, cosa che non risultò poi certa nel caso dell’Iraq. Il tuo paese ha appoggiato il regime di Saddam Hussein che utilizzò armi chimiche per annientare la popolazione curda e contro la rivoluzione in Iran e non ha fatto nulla per sanzionarlo perché in quel periodo era suo alleato. Il tuo paese pretende di invadere la Siria senza saper con certezza i risultati delle investigazioni che l’ONU sta attuando con l’autorizzazione dello stesso governo della Siria. Certamente l’uso delle armi chimiche è immorale e condannabile, ma il tuo governo non possiede alcuna autorità morale per giustificare un intervento armato.

 Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, sostiene che un attacco militare in Siria potrebbe portare ad una escalation del conflitto.

 Il mio paese, l’Argentina, attualmente alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha reso pubblica la sua posizione contro un intervento militare straniero nella repubblica della Siria rifiutando di diventare “complice di nuove morti”.

Papa Francesco ha chiamato il mondo a rendere globale l’impegno per la pace ed ha decretato una giornata di digiuno e di preghiera contro la guerra per il 7 di settembre ( al quale digiuno noi aderiamo)

 Anche il tuo alleato storico, la Gran Bretagna, si è rifiutato, almeno per il momento, di partecipare a questa invasione. Il tuo paese sta trasformando la “primavera araba” nell’ inferno della NATO, provocando guerre in Medio Oriente e scatenando il ladrocinio delle multinazionali.

 L’invasione che intendi mettete in atto aumenterà la violenza e la morte, aumenterà la destabilizzazione della Siria e della regione Medio Orientale. Quale è il tuo obiettivo? Robert Fisk, lucido analista, ha precisato che il vostro obiettivo è l’Iran e il contrasto alla costituzione dello stato palestinese; non è l’indignazione prodotta dalla morte di 100 bambini siriani che vi motiva ad intervenire militarmente. E proprio quando in Iran trionfa un governo moderato, in cui si possono costruire scenari di negoziazione pacifica verso i conflitti esistenti. Questa tua politica si rivelerà suicida per il tuo paese.

 La Siria ha bisogno di una soluzione politica, non militare. La comunità internazionale deve appoggiare le organizzazioni sociali che cercano la pace. Il popolo siriano, come ogni altro popolo, ha diritto alla autodeterminazione e a definire il suo processo democratico; e noi dobbiamo aiutarlo nella misura in cui ne ha bisogno.

 Obama, il tuo paese non ha l’autorità morale, né la legittimità, né la legalità, per invadere la Siria e nessun altro paese. E ancor meno dopo aver assassinato 220.000 persone in Giappone lanciando bombe di distruzione di massa.

 Nessun congresso del parlamento degli Stati Uniti può legittimare l’illegittimabile, né legalizzare l’illegalizzabile. In particolare tenendo conto di quanto disse un giorno il presidente del Nord America James Carter: Negli Stati Uniti non c’è un regime democratico efficace.

 Le intercettazioni illegali che il tuo governo utilizza ne confronti dei cittadini non sono efficaci dato che secondo un inchiesta pubblica ( Reuters) il 60% degli statunitensi è contrario all’invasione che intendi mettere in atto. Per questo ti domando: “Obama, A chi obbedisci?”

Il tuo governo è divenuto un pericolo per l’equilibrio internazionale e per il popolo degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti si sono trasformati in un paese che non può evitare di esportare la morte per mantenere la sua economia ed il suo potere. Noi non smetteremo di tentare di impedirlo.

 Io sono stato in Iraq durante i bombardamenti attuati dagli Stati Uniti negli anni 90, prima dell’invasione che abbattè Sadam Hussein. Ho visto un rifugio di bambini e di donne assassinate da missili telecomandati. “Danni collaterali” , dite.

 I popoli stanno dicendo “basta” alla guerra. L’umanità reclama la pace ed il diritto di vivere in libertà. I popoli chiedono di trasformare le armi in aratri, ed il cammino per attuare questo obiettivo è ”DISARMARE LE COSCIENZE ARMATE”.

Obama, ricorda che noi raccogliamo i frutti di quanto seminiamo. Ogni essere umano dovrebbe seminare pace ed umanità, soprattutto un Premio Nobel per la pace. Spero che non trasformerai il sogno di fraternità a cui anelava Luther King in un tormento per i popoli e per l’umanità.

 Ricevi il mio saluto di pace e bene

 Adolfo Perez Esquivel     Premio Nobel per la pace

8 Settembre 2013Permalink

7 settembre 2013 – A mia futura memoria. La storia giudiziaria di un cav

Una sintesi interessante.
L’articolo che trascrivo è tratto da: FORUM (359) Koinonia (6 settembre 2013)
http://www.koinonia-online.it
Convento S.Domenico – Piazza S.Domenico, 1 – Pistoia – Tel. 0573/22046
Lo riprendo dal sito www.ildialogo.org e ne riporto il link:
http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/elezioni/dibattito_1378490573.htm

La sentenza della Cassazione nel paese di Bengodi  di Domenico Gallo

Il deposito delle motivazioni della sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Silvio Berlusconi alla pena di quattro anni di reclusione, oltre al pagamento di una provvisionale di 10 milioni di euro all’Agenzia delle entrate, ha aperto una vera e propria breccia nella narrazione creata dai mass media dell’azienda-partito nella quale i fatti sono puntigliosamente cancellati e la realtà sostituita dalla favola del paese di Bengodi. Dove viene narrata l’epopea di un Cavaliere senza macchia e senza paura che combatte eroicamente per ridare la libertà ad un popolo oppresso dalle tasse e proteggerlo da una giustizia ingiusta che perseguita i galantuomini.

Questa realtà rovesciata è penetrata nell’immaginario di milioni di persone, ma ogni tanto la narrazione si inceppa.

I fatti sono duri a morire e gli sceneggiatori del reame di Berlusconi non sempre riescono a cancellarli. Qualche volta i fatti irrompono nella scena pubblica e squarciano il velo delle menzogne con le quali viene costruita una realtà parallela.

Il compito specifico della giurisdizione è quello di accertare i fatti nella loro cruda realtà e, per questa via, disvelare quei comportamenti illeciti che, altrimenti, resterebbero rigorosamente occultati. Il significato di una condanna è proprio quello di far emergere una condotta, un comportamento antisociale, in tal modo neutralizzandolo.

Una condanna passata in giudicato è una vera e propria sciagura perché illumina e cristallizza dei fatti che contraddicono radicalmente la narrazione degli sceneggiatori del regime di Arcore.

Anche questa volta il cavaliere è sceso in campo per cancellare i fatti. A caldo ha dichiarato che la sentenza “è fondata sul nulla”. E poi qualche giorno dopo ha firmato platealmente i referendum radicali ed ha dichiarato: “Non c’è nulla da fare se c’è un pregiudizio politico nei giudici. Sono in questa situazione per colpa di una parte della magistratura, Magistratura Democratica. Ho 41 processi alle spalle nei quali non sono riusciti ad arrivare ad alcuna condanna, così hanno deciso di avvalersi di un’altra strategia, sono diventati i padroni di tutti i collegi che mi hanno giudicato. Le condanne solo esclusivamente politiche, infondate e ingiuste, tese a un disegno preciso, eliminare l’ostacolo Berlusconi”.

Il mantra del pregiudizio politico questa volta ha raggiunto un nuovo stadio. Adesso non sono i pubblici ministeri che lo perseguitano o quei prevenuti dei magistrati milanesi. Adesso la piovra rossa ha ulteriormente allungato i suoi tentacoli: i magistrati comunisti si sono impadroniti di tutti i collegi che hanno avuto la ventura di giudicare il Cavaliere.

Peccato che la sentenza illumini delle vicende che appartengono alla dura sostanza dei fatti, e non è colpa dei giudici, né di alcun pregiudizio politico se i fatti smentiscono le favole che il regime di Arcore vuol dare da bere agli italiani.

Di questi fatti si dovrebbe parlare, si dovrebbero far conoscere agli italiani, invece delle chiacchiere della politica.

Con il deposito delle motivazioni sono i fatti a parlare attraverso le sentenza della Cassazione e le sentenze dei giudici del merito che la Cassazione ha confermato, riconoscendone la correttezza.

E i fatti ci parlano di una colossale operazione di uso illegale del potere economico, iniziata intorno al 1985 e proseguita, con modalità varie fino al 2003; ci parlano della creazione di una ragnatela di società off shore, volte a creare una interposizione fittizia attraverso la quale si gonfiavano artificialmente i costi dei diritti di sfruttamento delle opere cinematografiche acquistate dalle Major americane, al fine di creare una provvista enorme di fondi nero all’estero, sottratti ad ogni controllo, con l’effetto anche di realizzare una imponente frode fiscale, che è stata punita solo in minima parte. Ciò perché, sia i reati fiscali più risalenti, sia tutti gli altri reati collegati a questa vicende, come il falso in bilancio e l’appropriazione indebita in danno degli azionisti Fininvest-Mediaset, sono caduti in prescrizione, anche grazie ad una coraggiosa legge, varata dal governo Berlusconi che ha accorciato i tempi della prescrizione per i reati dei colletti bianchi.

Tutti questi fatti sono stati incontestabilmente accertati attraverso le indagini giudiziarie e sono puntigliosamente descritti nelle 208 pagine della sentenza della Cassazione.

Come in tutti gli accertamenti giudiziari, i fatti sono basati su prove, non su opinioni. Sono basati sulla documentazione bancaria acquisita all’estero che ha seguito le tracce dei passaggi di denaro fino a quando non veniva trasformato in contanti, su numerose prove testimoniali, su mail dal significato inequivocabile, su lettere e missive scritte dai protagonisti di queste vicende. Tutte prove che sono state analizzate, controllate, passate ai raggi x dai giudici del merito in contraddittorio con l’agguerrita difesa degli imputati.

Sostenere che la sentenza è basata sul nulla, significa dire che la realtà deve sparire perché turba la narrazione delle favole.

I fatti definitivamente accertati con la sentenza della Cassazione, devono essere inquadrati in un contesto in cui altre sentenze passate in giudicato hanno accertato (o quasi accertato per via della prescrizione) che i fondi occultamente accumulati da questo gruppo di potere sono stati utilizzati per illeciti finanziamenti a partiti politici (caso All Iberian), per corrompere giudici (Metta e Squillante), testimoni (l’avv. Mills), e ufficiali della Guardia di finanza.

Insomma le enormi risorse accumulate con “il giro dei diritti cinematografici” sono rientrate e sono state utilizzate a fini di potere per forzare le regole istituzionali ed inquinare la vita pubblica italiana.

Durante la sua seconda campagna elettorale Roosevelt pronunziò una frase memorabile: “il governo del denaro organizzato sarebbe altrettanto pericoloso del governo della delinquenza organizzata”.

A volte questi due fenomeni sono convergenti.

Domenico Gallo                                                       

pubblicato da il dialogo.org: Venerdì 06 Settembre,2013 Ore: 20:01 

7 Settembre 2013Permalink

4 settembre 2013 – Naturalmente tacciono

Io non sono una lobby

Il 26 luglio avevo segnalato in questo blog lo sconcerto provocatomi da un documento con una affermazione sorprendente distribuito dall’Ospedale di Udine. (Si veda Perplessità e preoccupazioni )

Ho consegnato una segnalazione in merito all’Ufficio relazioni con il pubblico dell’ospedale stesso e ne ho scritto all’assessore comunale di competenza. A distanza di più di sei settimana risposta zero.
Certamente ci sono le ferie, ma i responsabili dei servizi dispongono di sostituti … comunque io conto solo uno che sembra equivalere a nulla.

Ecco la segnalazione consegnata all’Ospedale di Udine

Non parlo né di me né di singoli casi a me noti ma espongo quanto potrebbe essere accaduto o accadere a tutti i neonati, figli di migranti privi di permesso di soggiorno, cui sia stato richiesto il permesso stesso per presentare la denuncia di nascita del figlio/a, per assicurargli l’atto di nascita. Se tale certificato dovesse mancare il bambino non risulterebbe esistere quale persona destinataria delle regole dell’ordinamento giuridico. Nel comune di nascita non ne verrebbero infatti registrati né il nome, né la data e ora di nascita, né il nome dei genitori, né la cittadinanza (che, allo stato attuale, è quella dei genitori dato che viene attribuita secondo jus sanguinis).

Purtroppo se un migrante si trova in situazione di irregolarità non può corrispondere alla richiesta del documento di cui non dispone (ché se lo avesse non sarebbe irregolare) nemmeno se ciò comporti per il figlio il danno irrimediabile della mancata registrazione e la mancata iscrizione nei registri dello stato civile andrebbe a ledere un diritto assoluto del figlio che nulla ha a che fare con la situazione di irregolarità di chi che lo ha generato.

Nello scritto che segue cercherò di chiarire perché la richiesta stessa del permesso di soggiorno possa – anche se non ne consegue esplicito rigetto della domanda presentata–trasformare la richiesta della registrazione anagrafica in un rischio e quindi disincentivarne la presentazione.

Riferendomi a  quanto ho affermato constato che nel  dépliant intitolato : Guida rapida all’ospedale dove si citano esplicitamente l’Azienda Ospedaliera Universitaria Santa Maria della Misericordia di Udine, la sede di Cividale del Friuli e di Gemona del Friuli alla voce ‘denuncia di nascita’ si precisa la richiesta del permesso di soggiorno, scrivendo:  “COSA SERVE: documento di identità valido di entrambi i genitori, se stranieri non residenti passaporto o permesso di soggiorno valido” .

Preciso che tale dépliant è stato consegnato in un reparto dell’Ospedale di Udine al signor Luca Peresson in giornata immediatamente precedente il 25 luglio quando me lo ha messo a disposizione.

Il proposito osservo che:

secondo quanto recita l’art. 7 della Legge 27 maggio 1991, n. 176 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989) “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”.

Tanto dovrebbe bastare a dissuadere dalla richiesta di un documento che, per il fatto di non esistere, diventa un ostacolo al soddisfacimento di un diritto fondamentale.

Fino al 2009 la legge italiana non prevedeva la richiesta del permesso di soggiorno o documento equipollente per lo straniero che registrasse la nascita di un figlio.

In quell’anno intervenne la legge 94 (cd pacchetto sicurezza) che modificò il Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” e  successive modifiche che al comma 2 dell’art. 6 impose la presentazione del documento un migrante ’irregolare’ non possiede per definizione..

Pochi giorni dopo l’approvazione della legge venne emanata una circolare definita interpretativa che consente ciò che la legge nega (Circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 7 Agosto 2009) la cui applicazione, sebbene si tratti di strumento il cui valore è inferiore a quello di una legge, assicura la regolare registrazione anagrafica. Vi si legge infatti. “Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita – dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell’interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto”.

Non sia indifferente ricordare che il migrante in situazione di irregolarità non potendo assicurare al figlio il normale certificato di nascita gli causa danni irrimediabili (la impossibilità della tutela genitoriale, la difficoltà nell’accesso alle cure sanitarie, l’impossibilità di iscrizione al nido, alla scuola dell’infanzia, alla scuola successiva a quella dell’obbligo e a tutti gli atti di stato civile che accompagnano il corso dell’esistenza in cui il certificato di nascita è richiesto) e nello stesso tempo espone se stesso al rischio di essere espulso quale ‘clandestino’ in costanza del permanere del reato di clandestinità introdotto dalla legge cd. Bossi Fini.

Il Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (Gruppo CRC che ha il compito di preparare il Rapporto sull’attuazione della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza che viene trasmesso al Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza), oltre a far presente che la mancata iscrizione al registro anagrafico comunale del neonato avviene in violazione del diritto all’identità nonché dell’art. 9 della Convenzione di New York contro gli allontanamenti arbitrari dei figli dai propri genitori, ricorda che ciò comporta un rischio anche per le partorienti. Infatti “il timore di essere identificati come irregolari può spingere i nuclei familiari ove siano presenti donne in gravidanza sprovviste di permesso di soggiorno a non rivolgersi a strutture pubbliche per il parto ”sottraendosi a cure necessarie e cui hanno diritto.

Segnalo anche la relazione della proposta di legge 740 (allegata) che, prevedendo la modifica della norma in vigore, spiega nell’ampia relazione in premessa la situazione che ho sommariamente riportato nella mia segnalazione.

Non ho titolo alcuno per richiedere o proporre alcunché.

Solo la consuetudine all’esercizio dei miei doveri di cittadina nei confronti di soggetti privi di difesa – e spesso del tutto ignorati anche da chi dovrebbe assicurarne tutela – mi ha indotto a segnalare la situazione che ho descritto.

Non posso che augurarmi che i dépliant con il testo che ho trascritto vengano immediatamente corretti nella speranza che neppure un neonato abbia subito il danno della mancata registrazione o della sottrazione alla potestà genitoriale se già privo di certificato che tale genitorialità formalmente dichiari.

Una interrogazione parlamentare.

Nel frattempo sono venuta a conoscenza di una interrogazione parlamentare che puntualizza un altro aspetto –che a quello che ho più volte segnalato si connette – e che, per documentazione utile almeno a me, ricopio.

Rossomando – Al Ministro dell’Interno – per sapere – premesso che:

–             l’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo,  ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, stabilisce testualmente: “Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della nascita, e da allora ha diritto a un nome, ad acquistare una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da loro”;

–             La Convenzione sui diritti del  Fanciullo introduce un vero e proprio diritto del fanciullo all’immediata “registrazione”, che nel nostro ordinamento consiste nella formazione dell’atto di nascita da parte dell’ufficiale di stato civile sulla base della dichiarazione di nascita effettuata da chi ha il dovere di farla;

–             Il vecchio Ordinamento dello stato civile (r.d. 9/7/1939 n. 1238) prevedeva, all’art. 67, che la dichiarazione di nascita fosse fatta nei dieci giorni successivi al parto dal padre o dalla madre, o dall’ostetrica o da qualsiasi persona che avesse assistito al parto (art. 70 e71), con un ampio intervallo temporale attribuibile alle difficoltà di collegamento esistenti all’epoca;

–             il vigente Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’Ordinamento dello Stato civile, emanato con D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, in attuazione della legge 15 maggio 1997 n. 127, ha previsto, all’articolo 30, un nuovo termine di tre giorni per le dichiarazioni fatte presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura  in cui è avvenuta la nascita, ma ha conservato il vecchio termine di dieci giorni fissato nella previgente normativa nel caso di registrazione della nascita presso il comune nel cui territorio è avvenuto il parto e nel caso in cui i genitori vogliano registrare il neonato nel comune di residenza (articolo 30, comma 7); 

–             il mantenimento del termine dei dieci giorni, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, potrebbe portare all’eventualità che le dimissioni della puerpera avvengano prima che la dichiarazione di nascita con contestuale riconoscimento sia stata effettuata, esponendo quindi il neonato al pericolo di divenire vittima della tratta di minori o di finire nel circuito delle adozioni illegali, anche attraverso falsi riconoscimenti di paternità-:

quali iniziative intenda assumere affinché i termini per la registrazione e il riconoscimento dei neonati vengano aggiornati ed uniformati a quanto indicato dall’art. 7 comma 1 della Convenzione delle N.U. sui Diritti del Fanciullo, ratificata dall’Italia con la legge 27.5.1991 n. 176, affinché i neonati non vengano dimessi prima che sia stata effettuata la dichiarazione di nascita, sia stato dato loro un nome e, se del caso, nominato un tutore provvisorio che ne risponda.

Roma, lunedì 5 agosto 2013

On. Anna Rossomando

4 Settembre 2013Permalink

3 settembre 2013 – Ritorno a casa

Dopo qualche giorno di assenza torno a casa. Mai mi era capitato di desiderare un tablet che non ho per restare collegata alla mia posta e ai siti poco noti, ma di cui mi fido, che pratico.
A Torino, dove mi ero fermata, non mi è capitato di trovare nemmeno un internet point.
Oggi i giornali riferiscono del messaggio di domenica scorsa del papa: un tentativo di costruire unità sulla richiesta di pace con il più nonviolento dei mezzi, il digiuno. Una richiesta che vorrebbe farsi planetaria.
Ci riuscirà? Intanto si segnala il successo dei parlamento inglese nei confronti della decisione di appoggio agli USA nell’iniziativa militare del primo ministro Cameron e i mezzi di informazione analizzano il no (eventuale ma, sembra, improbabile) del Congresso americano come un insuccesso personale del presidente Obama.
A questo punto l’iniziativa di più ampio respiro politico sembra essere quella del papa ed è buffo vedere tante persone che ne sono coinvolte ma, preoccupate dal respiro religioso che la cosa può assumere, dichiarano (il mio riferimento è facebook) il proprio consenso con un ‘sì, ma … io sono laico’ ‘e tuttavia..’.
Il vaticano ha pubblicato il testo del discorso del papa di domenica scorsa anche in arabo.
Ho visto con piacere che il parroco della parrocchia della mia zona lo ha appeso nell’atrio della chiesa accanto al testo italiano.
Cerco di farlo sapere agli amici arabi e soprattutto siriani. Ancora una volta … vedremo
Intanto ne metto il link. Non si sa mai che qualcuno lo legga e se ne serva.
http://www.vatican.va/holy_father/francesco/angelus/2013/documents/papa-francesco_angelus_20130901_ar.html

I tetti di Gradisca

Ne ho scritto il 13, 14, 15, 17, 18, 26 agosto. Oggi riprendo il comunicato che l’on Serena Pellegrino ha pubblicato nel suo sito. Mi avvalgo delle notizia diffuse da lei perché la so attendibile e soprattutto è entrata al CIE e si spesa in una difficile mediazione e ha coinvolto il sen. Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.
Per oggi non posso che riportare il comunicato di Serena del 31 agosto.

GRADISCA. Clandestini nuovamente sui tetti, è ancora bagarre al Cie di Gradisca. L’allarme è scattato mercoledì sera, quando un gruppo di una ventina di trattenuti all’ex Polonio ha forzato le barriere, riuscendo a uscire dalle vasche di contenimento e a salire nella zona già teatro delle proteste dei giorni scorsi.

 Almeno in due hanno tentato senza successo la fuga: uno di loro si è ferito in maniera non grave cadendo a terra nel tentativo di raggiungere il muro di cinta aggrappato a una sorta di fune rudimentale che ha cercato di agganciare alle sbarre. L’uomo non ha voluto desistere dal suo proposito (con gli agenti che avevano piazzato una scala per farlo scendere) quando la corda improvvisata ha ceduto facendogli compiere un volo di 4 metri. È stato soccorso dagli uomini del 118 e ricoverato al nosocomio di Gorizia, dal quale è stato dimesso facendo ritorno al Cie già durante la notte.

 Rovinosa caduta anche per un secondo straniero che non è riuscito a scavalcare le barriere per questione di centimetri. Non vi sono stati comunque scontri fra gli “ospiti” e le forze dell’ordine. Fonti interne alla polizia smentiscono con decisione, fra l’altro, la notizia secondo cui anche gli agenti sarebbero saliti sui tetti nel tentativo di riportare nelle camerate i “rivoltosi”. L’ordine della Questura al contrario è quello di controllare la situazione evitando il contatto fisico.

 I trattenuti hanno continuato a occupare il tetto per tutta la giornata di ieri, dichiarando di volervi rimanere a oltranza. Il “casus belli” della nuova protesta sono state le convalide di fermo per altri due mesi comminate dal giudice di pace nei confronti di 4 delle persone trattenute al Cie, una delle quali si trova all’ex Polonio da ormai 14 mesi.

 Altre persone colpite dal provvedimento hanno moglie e figli nel nostro Paese. Altri due avrebbero inoltrato senza successo richiesta di rimpatrio volontario.

 Torna quindi d’attualità il tema dei tempi di “detenzione” nei Cie, tempi che sono acuiti anche dalla lentezza e a volte negligenza con cui i Paesi d’origine di queste persone colpite da decreto di espulsione avviano le procedure di rimpatrio. «Non abbiamo prospettive», «La vita qui non conta più niente», «Siamo come cani, molto meglio il carcere».

Altri ospiti hanno persino chiesto il trasferimento in altri Cie. Nel frattempo il trattenuto algerino che aveva spaccato il naso a un operatore con un pugno al volto è stato processato per direttissima e condannato a sei mesi di reclusione. È stato tradotto a Gorizia, nella casa circondariale via Barzellini.

 Ieri sera l’onorevole Serena Pellegrino (Sel) ha svolto una nuova visita al Cie per proporre eventuali mediazioni. La nuova protesta è andata in scena proprio quando a Roma si è svolto un incontro fra i funzionari del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e le Questure il cui territorio ospita un Cie. Sul tavolo le criticità di questi giorni e le possibili soluzioni operative.

CIE di carne
Rappresentano l’impegno più importante che mi sono data e che fallirà come molti altri miei impegni, ma non  voglio tralasciarlo: ci sono cose che si devono fare anche se destinate al fallimento.
Ne scriverò i prossimi giorni raccogliendo brandelli di informazioni che, negli anni, hanno costruito un dossier. Forse inutile ma ci tengo che resti.
Per ora solo una considerazione. I neonati per la cui registrazione alla nascita è prevista l’esibizione del permesso di soggiorno dei genitori svolgono la funzione dei CIE: servono ad identificare i genitori al fine di espellerli.
Che poi vi siano misure burocratiche che rendono difficile, o almeno rallentano, il processo nulla toglie alla vergogna di una legge che ci teniamo quasi con indifferenza.

3 Settembre 2013Permalink

27 agosto 2013 – Una gran signora

Sono riuscita a recuperare alcuni brani del discorso della ministra Kyenge al Sinodo valdese.
E’ possibile ascoltarlo integralmente dal sito di cui riporto l’indirizzo

http://vociprotestanti.it/wp-content/uploads/2013/08/serata-pubblica-intervento-Kienge.mp3

Vigilate, siate saldi, comportatevi da uomini e da donne”.
 L’intervento del ministro Kyenge al Sinododi Matteo Scali  Pubblicato il 27 agosto 2013

E’ diventata, probabilmente suo malgrado, un simbolo e ne è pienamente consapevole. E il suo è stato, per l’appunto, un discorso ricco di rimandi simbolici e di metafore. A cominciare dalla citazione di Martin Luther King e del celebre discorso al Lincoln Memorial Park, 50 anni fa. Quel discorso in cui vennero pronunciate le celebri parole: I Have A Dream.

Il suo sogno, la ministra Kyenge lo ha raccontato, con parole semplici di fronte a centinaia di persone che gremivano il tempio di Torre Pellice. “Sono colpevole di essere nera, di essere donna, di aver osato parlare di cose semplici, di essere nata all’estero, di essere nata in un a famiglia che non ho scelto, ma che è la mia famiglia. Mi chiedo se noi qui questa sera non dovremmo sentirci tutti colpevoli oppure, al contrario, sentirci protagonisti di un cambiamento. Tocca a noi scegliere se essere colpevoli o se contribuire a cambiare la cultura. In questo luogo a 2 giorni dai 50 anni dal discorso di Martin Luther King, io credo che dovremmo adattare quelle parole al presente”.

E la legge sulla cittadinanza si incrocia con il testo biblico, il secondo passaggio simbolico del discorso della ministra. “Io non ho scelto quello che sono – dice la Kyenge – sono arrivata in Italia perché volevo studiare e diventare medico. Ho scelto l’Italia, ho capito che era il luogo dove potevo continuare. Sono tanti quelli che come me hanno fatto questo percorso e meritano un’opportunità. Quando avevo due mesi fui salvata da un medico che per caso mi portò fuori dall’obitorio in cui mi trovavo per vedere se ero morta. Da quel momento la mia vita è cambiata, non sarei qui. Se ho avuto l’opportunità – sottolinea – di essere qui, studiare e fare quello che faccio, perché negarlo al prossimo?”

Ed è proprio “il prossimo” il centro del discorso della ministra. “Dire di voler bene al nostro prossimo come a noi stessi  – dice la Kyenge – bisognerebbe non fosse un atto di coraggio ma di normalità”.

Poi un ringraziamento importante verso la Chiesa valdese. “Ringrazio questa comunità anche per le lotte che ha sempre fatto: la lotta contro il razzismo e l’esclusione, contro il femminicidio, per i diritti civili. Credo che il mio mestiere sarebbe molto facile se avessi al fianco comunità e persone come voi, che riescono ad interpretare le parole integrazione, interazione, conoscenza dell’altro. Parole che ho sentito qui oggi. Conoscere l’altro è fondamentale e forse noi abbiamo bisogno di questo: abbiamo bisogno di conoscere chi abbiamo di fronte per capire che l’altro non è un pericolo”.

Ma l’altro non è solo una categoria astratta, qualcuno di incorporeo cui tendere. “Dobbiamo dare un’opportunità a noi stessi – dice la ministra – di fronte a voi non ci sono io ma la vostra immagine allo specchio e mi chiedo come potete fare del male a voi stessi quando vi guardate allo specchio. Il percorso per la cittadinanza parte di qui”.

Il percorso della cittadinanza ha occhi, carne, volti. Gli stessi che guardiamo quando siamo allo specchio ed è così che al centro di una standing ovation finale, la ministra si congeda con una citazione, insieme simbolo, metafora, sogno e citazione biblica (1 Corinzi 16, 13): “Vigilate, siate saldi, comportatevi da uomini e da donne”.

27 Agosto 2013Permalink

26 agosto 2013 – Il silenzio non è calato sul CIE di Gradisca d’Isonzo 6

Dichiarazione a margine della manifestazione avvenuta davanti al Cie di Gradisca d’Isonzo sabato 17 agosto

“Ieri, a Gradisca d’Isonzo, si è svolta davanti al CIE una manifestazione di sensibilizzazione, di pacifica protesta e di civile impegno. Come tale molti l’hanno sostenuta e condivisa.
Spiace però constatare che gli esponenti delle istituzioni regionali non abbiano potuto accedere al CIE. Come già da me più volte auspicato riteniamo sia essenziale che questi luoghi possano essere accessibili attraverso più semplici protocolli.
Ma quello che più mi preoccupa è che l’accaduto possa vanificare il processo fin qui sviluppato. E’ evidente che la nuova situazione di crisi all’interno del CIE deve essere ricomposta: coloro che ne hanno la competenza istituzionale si attivino quanto prima.”

NOTA MIA

Il 31 luglio sette consiglieri regionali erano entrati al CIE. Io avevo trovato al notizia nell’intervento su fb della consigliera regionale Cremaschi e ne avevo dato notizia nel mio blog del 15 agosto, raggiungibile anche da qui                   
Perché è intervenuto il rifiuto di ingresso per i parlamentari locali, i sindaci e i loro rappresentanti?

Link ad articolo de Il Piccolo 17 agosto

COMUNICATO STAMPA   20 agosto 2013

Alla riapertura di oggi della Camera dei deputati , la parlamentare Serena Pellegrino ha depositato proprio in queste ore un interpellanza urgente : il Governo spieghi quali politiche intende attuare per affrontare concretamente le continue situazioni di crisi al CIE di Gradisca d’Isonzo.

 L’interpellanza inquadra il problema nell’architettura normativa vigente e ne illustra gli sviluppi in ordine a palesi violazioni delle leggi italiane, delle direttive europee , dei principi umanitari e dei diritti universali, delle disposizioni contrattuali che regolano il rapporto tra Prefettura e cooperativa che gestisce il CIE.

 Pellegrino, oltre a ribadire la necessità di una revisione della legge italiana in materia di immigrazione, chiede un controllo regolare sulle condizioni attinenti il rispetto della dignità umana e delle norme igienico sanitarie all’interno della struttura di Gradisca d’Isonzo. Si rivolge al Ministro dell’Interno affinché le istituzioni competenti alle pratiche di identificazione dei trattenuti – in primis ambasciate e consolati – svolgano con maggior sollecitudine gli adempimenti necessari.

22 agosto
Nei giorni scorsi, dopo aver vissuto le vicende del CIE di Gradisca, da dentro e in un periodo dell’anno molto particolare in cui l’Italia intera sembra sopita, devo esprimere un sentito grazie e manifestare la mia stima nei confronti del Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Luigi Manconi. Avendo saputo che mi stavo interessando in prima persona del CIE, mi ha contattato e mi sono relazionata con lui quotidianamente, ferragosto e domeniche incluse.
L’interesse e il modo in cui ha preso a cuore l’evento, ben aldilà di quanto la carica istituzionale chieda, ha dato a tutti la possibilità di sapere quanto sia uomo di grande valore umanitario.
Mai incarico istituzionale è stato assegnato così appropriatamente.
Grazie sen. Luigi Manconi

24 agosto

Prima di dirigermi verso il Comune di Gradisca, alla riunione congiunta indetta dal Sindaco, sono passata dal CIE.
Vengo a sapere che uno di loro è ricoverato in ospedale per aver ingerito un quantitativo eccessivo di psicofarmaci ma che per fortuna è fuori pericolo.
Comunico alla questura il mio arrivo, il senatore Francesco Russo di Trieste mi chiama ieri e mi chiede se è possibile entrare al CIE. Certo che si può entrare! tutti i parlamentari possono entrare! è curioso, è come se mi chiedesse il permesso. Effettivamente in questi giorni si è instaurato un rapporto con tutti, dai poliziotti, ai soldati presenti, agli operatori “in maglietta arancione”, agli “ospiti” – mi ostino a chiamarli così perché così vuole la legge e perché è così che dovrebbero essere considerati – che sembra familiare.
Rimango piacevolmente stupita. La prima telefonata istituzionale che ricevo dopo quindici giorni da quando ho denunciato i primi episodi e scopro che fa parte anche lui della commissione per i diritti umani: gaudio!
Arrivo al CIE. Mi annuncio al telefono e mi dicono che è già presente in struttura l’onorevole Gigli.  BENE!
Porto con me Matteo Negrari. Aspettiamo il Sen. Russo ed entriamo nelle “vasche”. Mi accolgono come se fossi una loro sorella. Una gioia indiscriminata. Lo stupore dei presenti è forte. Anche il mio.
Trovo pulito, in ordine, nel limite delle potenzialità della struttura, i vetri riparati la rete ripristinata.
La gabbia è di nuovo intatta.

Quante speranze, quante aspettative nei confronti della riunione di oggi.    Non voglio illuderli.
Con chiarezza gli dico che l’incontro di oggi non è risolutivo perché non è quello il luogo dove si decidono le sorti del CIE di Gradisca.
Arrivo in Comune, i ragazzi delle associazioni fuori! sempre fuori dal muro! Ma oggi è importante che ascoltino anche loro il pensiero degli amministratori. Gli dico di seguirmi.
Ottengo, senza grande difficoltà, la loro presenza. Ci siamo tutti.

La riunione congiunta a Gradisca, ospiti del sindaco Tommasini gli amministratori del comune di Gradisca, della provincia di Gorizia, della regione e della Presidente Serracchiani, ha evidenziato una voce unanime: il CIE va chiuso e la Bossi/Fini superata.

Le analisi sono chiare ed è evidente a tutti che è arrivato il momento di far sentire la propria voce.
Tutti i parlamentari presenti Brandolin, Malisani, Pegorer, Russo sono intervenuti – tranne Lorenzo Battista del movimento 5 stelle e parlandoci successivamente capisco che proprio l’argomento gli è poco chiaro.

Il CIE questo sconosciuto. Per tanti, molti, troppi in Friuli il CIE è sempre stato un universo sconosciuto.

Il mio intervento: narro in parte quanto accaduto in queste due settimane ma mi addentro subito su chi e che cosa può essere fatto.
Chi può incidere sulle sorti del CIE di Gradisca: Viminale, Prefettura a cui fa riferimento la Questura, l’ente Gestore.

Il Parlamento è l’organo di controllo e può legiferare.
Regione, Provincia e Comune hanno il compito di vigilare, tutelare e far emergere le criticità del proprio territorio.
Ecco perché in tutti questi anni ognuno, una volta interrogato ha detto: “non è di mia competenza”.
Ma ora, tutti al tavolo, per dichiarare e far valere la propria posizione e il proprio pensiero.
Questa volta credo che ci siano le persone giuste a ricoprire i ruoli giusti.

La due giunte, comunale e regionale, hanno elaborato di concerto una nota da inoltrare al Governo.
E finalmente oggi la finestra si è aperta.
Un altro piccolo passo.

Nota mia – Una preghiera a Serena
Non dimenticarti, non far dimenticare l’esigenza di far riferimento anche alle norme del pacchetto sicurezza.

Non si dica solo eliminiamo/rivediamo la Bossi Fini. Il pacchetto sicurezza voluto dal Ministro Maroni aggiunge altri disumani  e incostituzionali elementi.
Prima che mi si contesti l’attributo di incostituzionali ricordo che la norma che prevedeva il rifiuto della registrazione dei matrimoni (unitamente a quella che ancora prevede il rifiuto della registrazione delle nascite, che si trova alla lettera g del comma 22 dell’art. 1 del pacchetto sicurezza) è stata cancellata dalla Corte costituzionale con  sentenza n. 245 del 20 luglio 2011 (depositata in cancelleria il 25 luglio 2011).
Serena, chiedere al padre e/o alla madre il permesso di soggiorno che non  hanno perché manifestino la loro condizioni di irregolari (e conseguentemente possano essere espulsi) significa fare del figlio il CIE vivente dei genitori
Così ho scritto a Serena.
Aggiungo che ne ho già scritto in questo blog  
Poiché mi si è detto (ed è questione su cui dovrò tornare che ‘chiedere il permesso di soggiorno o in alternativa altro documento’  lascia al migrante irregolare libertà di scelta, ricordo che il titolo della sentenza dell’Alta Corte  suona “Illegittimità costituzionale dell’art. 116, primo comma, Codice Civile, per richiesta esibizione del permesso di soggiorno ai fini del matrimonio”.
Non sempre la cura grammaticale di burocrati, ideologicamente orientati o meno essi siano, è utile a capire.

26 Agosto 2013Permalink